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domenica 10 luglio 2022

UTOPIA21 - LUGLIO 2022: PANDEMIA, GUERRA (E CLIMA) RIPORTANO IN AGENDA IL DILEMMA VITA/MORTE

 

PANDEMIA, GUERRA (E CLIMA) RIPORTANO IN AGENDA IL DILEMMA VITA/MORTE

di Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi

 

Le questioni di vita o di morte inerenti alla Pandemia e alla guerra (ora forse anche al clima) emergono non solo nelle percezioni psicologiche personali, ma nel mezzo del dibattito pubblico, a fianco dei consueti od aggiornati temi di confronto sul benessere sociale

 

Negli ultimi decenni (due o tre), dimenticata la ‘guerra fredda’ e connesse minacce nucleari e sopito il terrorismo nostrano (sia politico che mafioso, e mancando per fortuna in Italia attentati di stampo jihadista), ci sembra di poter affermare che il dilemma vita/morte si era allontanato dal dibattito politico italiano e dallo ‘spazio pubblico’, rimanendo confinato e rimosso nella sfera privata e incontrandone la intrinseca ‘sacralità’ in riti religiosi di limitata socializzazione: in un contesto di progressiva secolarizzazione della società italiana, che pur rimanendo in gran misura credente e cattolica, di fatto vede diminuire nettamente la partecipazione alla messa domenicale e l’opzione per il matrimonio religioso (ma non così per il funerale).

La suddetta ‘privatizzazione’ del dilemma vita morte, nel periodo in esame, si presenta comunque come fenomeno contradditorio, che ha convissuto con importanti eccezioni, quali:

- il senzazionalismo mediatico su numerosi delitti o sparizioni (si pensi al successo di “Chi l’ha visto?”), che per lo più però rassicurano sulla ‘restante normalità’ delle normali esistenze,

- la partecipazione, con i frequenti applausi, ai “funerali di vittime”, che però erano per lo più vittime di fatalità oppure di violenza “privata” (fatalità e violenza talora non prive di cause o premesse ‘politiche’, dalle alluvioni ai terremoti, dai morti sul lavoro ai femminicidi),

- i casi più eclatanti di annegamento di migranti nel Canale di Sicilia (o di asfissia nei TIR dai Balcani), di fatto però per lo più considerati come ‘esterni’ alla coscienza nazionale,

- il conflitto giuridico-culturale sul fine-vita (da Eluana Englaro a Piergiorgio Welby, da Dj Fabo a ‘Mario’).

Da notare in proposito il paradosso della non cercata pubblicità dei propri casi da parte degli interessati, che diviene necessaria per rivendicare tali nuovi elementari diritti, di fronte non solo alle forze dichiaratamente ostili, ma anche ad una opinione pubblica prevalentemente sorda (perché preferisce ignorare lo scoglio) e che pare affezionata al silenzio ovattato del sistema vigente, dove un potere paternalista elargisce talora come concessioni ciò che nega come diritti (il medico pietoso, il confessore misericordioso, gli inquirenti distratti…); come per altre questioni bio-etiche (aborto, LGBT+), solo la conquista stabile di ragionevoli diritti consentirà al dolore di chi soffre il ritorno alla dimensione privata.

 

Un quadro complesso che consentiva comunque all’opinione pubblica, al di fuori di queste eccezioni (o anche grazie alla loro stessa eccezionalità), di esorcizzare il tema vita/morte, lasciandolo marginale rispetto alle altre preoccupazioni e distrazioni dominanti.

 

Per cui lo spazio del dibattito pubblico e politico era rimasto invece in prevalenza polarizzato sul divario felicità/infelicità, da misurare con il PIL o con il BES, seguendo i pifferai magici dell’edonismo televisivo e dell’imprenditoria vincente o del localismo e/o sovranismo xenofobo, o viceversa le promesse del riformismo europeista (centro-sinistra); con la variante effimera (almeno così oggi appare) del populismo tecnocratico del Movimento 5 stelle: questioni di tasse e di redditi, di migrazioni e di lavoro, di irrisolte riforme istituzionali e di modalità della democrazia, di riconoscimento o non riconoscimento dei diritti di alcune minoranze; anche se la propaganda securitaria del centro-destra, enfatizzando casi di criminalità di matrice ‘extra-comunitaria’ (di fatto per lo più micro-crimini contro il patrimonio), ha talvolta inserito la paura dello stupratore/assassino (immigrato) nell’agenda mediatica e politica (Roma 2008 e 2018, Macerata 2018).

In tale quadro, ad esempio, le questioni sanitarie figuravano in prevalenza come specificazioni degli scontri tra pubblico e privato, tra statale e regionale, tra buongoverno e sprechi clientelari (di cui gli episodi di malasanità apparivano come un evitabile sottoprodotto locale): l’adeguamento dei Livelli Essenziali di Assistenza non appassionava l’opinione pubblica e nessuno chiedeva se erano aggiornati i piani anti-epidemici.

Ed anche i problemi ambientali erano vissuti – parliamo sempre di dibattito sulla scena pubblica, ad esempio sui media generalisti e nei programmi elettorali, nazionali o locali –soprattutto come variabili del benessere/malessere (nonché, sempre, delle politiche di bilancio): gli inquinamenti, le modalità di smaltimento dei rifiuti, la tutela di flora e fauna e del paesaggio.

 

In precedenti articoli abbiamo già rilevato (come d’altronde numerosi commentatori) il devastante irrompere nella nostra psiche della Pandemia Covid-19 (e connessi collassi del sistema sanitario ‘ordinario’) e poi anche della guerra in Ucraina: guerra che viviamo più da presso di altre guerre fisicamente più o meno lontane (Libia, Medio Oriente), non solo per i coinvolgimenti politici filo-ucraini e per i concreti risvolti socioeconomici (energia, inflazione, crisi settoriali), ma anche per la similitudine nei modi di vita urbani e per il frequente intreccio delle famiglie italiane con le ‘badanti’ da là immigrate, tutti motivi che giustificano la fitta copertura mediatica, che a sua volta esalta gli altri suddetti fattori di attenzione. Guerra che inoltre evoca concreti pericoli di allargamento, con il coinvolgimento diretto della NATO (e quindi anche dell’Italia), e addirittura minacce di impiego di armi nucleari; si tratta di armi di cui quasi nessuno ha ipotizzato l’uso esclusivamente tattico e locale, per cui si passa in breve a parlare anche di ritorno al rischio di una catastrofe bellica a scala mondiale.

A fianco di queste angosce, anche i temi ambientali, forse grazie al successo relativo conseguito dalle Conferenze di Parigi (2015) e di Glasgow (2021) e dai movimenti come i Fridays For Future, e di fronte alle crescenti evidenze del malessere climatico (ultima la siccità), stanno assumendo una maggior drammatizzazione e delineano non più solo aspetti di ‘qualità della vita’, ma addirittura di sopravvivenza dell’intera specie umana nel giro di qualche decennio, e già ora di concreto rischio di morte per fattori climatici e/o mancanza di cibo (in altri continenti) o per eventi atmosferici estremi (anche dalle nostre parti).

 Illlustrazione: “Alfa e Omega” di Anna Maria Vailati 

(VEDI SU www.universauser.it/utopia21.html)

Questo insieme di scenari collettivi e di tensioni individuali – pur spingendo spesso alla ‘rimozione forzata’, come mostra il vitalismo del ritorno alle vacanze, ai grandi concerti, alle sagre, ai Saloni e Fuori-Saloni (anche se si sente, al fondo, che ‘non siamo più quelli di prima’) – a nostro avviso fa emergere, non solo nelle percezioni psicologiche personali, ma nel mezzo del dibattito pubblico, a fianco dei consueti od aggiornati temi di confronto su felicità/infelicità, anche alcune pre-condizioni relative al binomio vita/morte cioè alla stessa sopravvivenza (individuale e collettiva): pre-condizioni più larvate sul fronte ambiente/clima:

-       dalle residue misure di contenimento anti-pandemico alle contrastate campagne vaccinali, fino alle code ed ai ritardi (talora esiziali) nella cura delle altre patologie,

-       dal no all’esportazione di armi ai timori di un inverno senza riscaldamento, fino alla paura di una guerra diretta anche per gli italiani.

Quanto sopra non si ricompone in un nuovo quadro coerente di priorità (con possibili slogan semplificativi, tipo “pace, terra, pane” di Leniniana memoria), bensì delinea un inviluppo di contraddizioni, che si apre a pulsioni divergenti e talora radicalmente alternative, come ad esempio:

-       riaprire le centrali a carbone oppure all’opposto accelerare con le fonti energetiche rinnovabili,

-       spingere gli ucraini ad arrendersi oppure insistere per una pace giusta,

-       chiudersi nell’egoismo nazionale o stringersi nella solidarietà atlantica, oppure ancora adoprarsi per una effettiva Federazione Europea (anche più autonoma dagli USA).

 

A livello individuale si rischia di smarrirsi a fronte di un universo così caotico, si fatica a cogliere con lucidità le ‘poste’ in gioco, che intersecano sopravvivenza e benessere. Tuttavia non disperiamo che sia possibile dipanare le complessità, cercare percorsi collettivi di salvezza, utilizzare anche il filo dell’utopia per ricucire orizzonti di senso.

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