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lunedì 21 novembre 2022

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2022: DOPO LE ELEZIONI POLITICHE - DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE?



Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi:

DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE?

Per commentare l’esito del confronto elettorale dello scorso 25 settembre (pur nella consapevolezza di ricadere su argomenti già molto battuti), premettiamo di non demonizzare la legge elettorale vigente, cosiddetto Rosatellum, che ha indubbiamente molti difetti (liste bloccate, pluricandidature, impossibilità di voti disgiunti, ecc.), però a nostro avviso distorce ma non troppo la rappresentanza, in favore delle maggioranze relative, consentendo loro la conquista della maggioranza dei seggi, e quindi la possibilità di formare governi potenzialmente stabili.

Non abbiamo nessuna nostalgia verso il “proporzionale puro” (e conseguenti coalizioni eterogenee ed occasionali). Preferiremmo una forma di maggioritario a doppio turno (vedi elezioni comunali, vedi Francia), che responsabilizzerebbe più chiaramente gli elettori sulla scelta finale del governo, ma con il rischio di abbassare ulteriormente, nel secondo turno, la partecipazione al voto: il problema della scarsa partecipazione già si è rivelato grave nelle ultime tornate elettorali, scendendo al 60% (e anche meno per alcune regionali e comunali).

Il che tra l’altro, ferma restante la legittimità formale dell’attuale maggioranza di destra, ne limita alquanto la rappresentatività “degli italiani” ovvero “della nazione”, perché solo il 27% degli aventi diritto al voto si è espresso per la coalizione di destra (e solo il 17% per il suo maggiore partito, Fratelli d’Italia): pertanto il 73% degli elettori NON ha votato per questa coalizione (che in qualche misura si troverà costretta a farci conto, anche in termini di tenuta sociale).

 

Per ragionare sul chiaro esito elettorale e sulle fratture nello spazio politico esterno alla destra, riteniamo che occorra risalire agli anni ’90, con la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”.

Constatando, innanzitutto, che – pur nel succedersi di tre diverse leggi elettorali: Mattarellum, Porcellum, Rosatellum, tutte con rilevanti componenti maggioritarie – la destra e il centro-destra, quando uniti, non hanno quasi mai perso il confronto elettorale per il Parlamento, fino all’esplosione del fenomeno 5Stelle (2013 e 2018), ora assai sgonfiato. Infatti con la guida di Berlusconi hanno vinto nel 1994, 2001, 2008 ed ora con Meloni nel 2022 (mai comunque superando il 50% dei voti validi): l’unica quasi-eccezione è il 2006, quando Prodi vinse di stretta misura, con la coalizione di centro-sinistra più estesa possibile, ed anzi impossibile, da Bertinotti a Mastella (più figure come il senatore Sergio De Gregorio[A]); coalizione che infatti nel giro di due anni perse i pezzi, dai vari De Gregorio agli stessi Mastella e Bertinotti. (Nel 1996 Prodi e Bertinotti, uniti solo con la “desistenza” nei collegi, sconfissero Berlusconi solo perché quest’ultimo era separato dalla Lega Nord di Bossi).

 

Il problema costante negli ultimi 30 anni, quindi, è la frammentazione del potenziale “campo largo” del centro e della sinistra, con la variabile, inizialmente indipendente, del MoVimento 5Stelle: frammentazione che è sociale, ancor prima che politica.

Iniziando dalla politica, ci sembra che la matrice prima delle divisioni stesse nella contrapposizione tra il raggruppamento prodiano dell’Ulivo e Rifondazione Comunista, già latente nel suddetto accordo di desistenza del 1996 e precipitata con la sfiducia di Bertinotti a Prodi nel 1998: da una parte il riformismo dell’Ulivo, exPCI+exDC+exVari+intellettuali&managerProdiani, immerso nell’ottimismo interclassista della “terza via” di Clinton e Blair, culturalmente subalterno all’onda neo-liberista e alla connessa globalizzazione seguita alla caduta dell’URSS ed allo scongelamento della Cina: molto “ceto politico” e però una chiara contrapposizione verso l’affarismo plutocratico-televisivo e populista di Berlusconi;

-       dall’altra parte la lucida visione di Bertinotti sulle trasformazioni neo-monopoliste e finanziarie del capitalismo multinazionale e del suo impatto distruttivo sulle condizioni dei lavoratori e del pianeta; e però l’incapacità di cogliere sia le nuove contraddizioni “in seno al popolo” (a partire dalla reazione xenofoba verso gli immigrati) sia le forme specifiche della nuova destra nascente, localista/sovranista e “monarco-populista”, che dall’archetipo italiano di Berlusconi si è poi manifestata in Trump, Bolsonaro (ed in modi diversi in Boris Johnson e Viktor Orban); non senza somiglianze con Erdogan e lo stesso Putin...

 

Se il PD è l’erede diretto della stagione Ulivista, con l’aggravante di essersi fondato rilanciando quei contenuti ecumenici ed interclassisti (il “ma anche” di Walter Veltroni) nel 2007, proprio alla vigilia della crisi finanziaria del 2008, cui sono seguite altre e diverse crisi (debiti sovrani dal 2011, pandemia Covid 19 dal 2019, guerra in Ucraina dal 2022), tutte inconciliabili con quella visione conciliatoria (forse servirebbe finalmente una “teoria dei conflitti”), l’eredità di Bertinotti si è invece dispersa (in parte per esplicita volontà testamentaria…) in diversi rivoli improduttivi e vani tentativi di rinascita (lista Tsipras, lista Arcobaleno, Unione Popolare), per lo più accomunati dall’ossessione del PD come “nuova destra”, interna al sistema di potere capitalistico e sostanzialmente non distinguibile dalla restante destra: una involuzione dell’iniziale teoria delle “due sinistre” verso il “social-fascismo” di staliniana memoria.

 

Come misura dell’esito attuale di tale atteggiamento, riproduciamo in nota [B] un “post” di Domenico Finiguerra – ambientalista proveniente alle origini dai Democratici di Sinistra ed approdato infine in Unione Popolare – che snocciolando critiche (anche meritate) al PD giunge alla conclusione (a nostro avviso aberrante), che non vi sia differenza tra il PD e la ‘vera’ destra, i cui effettivi caratteri stiamo invece tutti cominciando a misurare contemplando il governo Meloni: a partire, come assaggio, limitato all’economia, dall’innalzamento dei limiti al contante, dalla promessa di condoni fiscali e dalla estensione della flat tax per le partite IVA fino a 100.000 €

Mentre secondo noi è fondamentale capire la differenza tra chi, come il PD, nel bene e nel male, ricerca le soluzioni dei problemi nel collettivo inteso come corpi intermedi (sindacati e associazioni) e come istituzioni, tendenzialmente universali (Stato italiano, Unione Europea, ONU…), e chi invece – la vera destra, seppur ancora sfaccettata in diverse sfumature (che andrebbero meglio studiate) - si racconta come “Nazione”, ovvero leader e popolo (famiglie, imprese), ben saldi nei rispettivi interessi privati, ma uniti contro “gli altri” (in un immaginario torneo tra “Nazioni”, etnie, religioni).

 

La questione non sta nei (pochi) voti raccolti da UP, ma nella diffusione di questo comune sentire in una vasta area di elettori, tra gli astenuti e tra gli elettori confluiti da sinistra verso i 5stelle (e presente anche nei nuovi movimenti, come in parte dei Fridays For Future) e nella separazione tra il PD e tale area sentimentale, frattura che sta prima e sopra ai mancati accordi tra Letta e Conte e – indebolendo il perno riformista - incoraggia le schegge opportuniste del “Terzo Polo” di Renzi e Calenda.

 

Tra l’inizio e la provvisoria fine di questa vicenda sono passati tre decenni, con un sostanziale ricambio generazionale, gli anziani degli anni ’90 ci hanno lasciato, i lavoratori sono divenuti pensionati, i loro figli sono rimasti a mezz’aria nel guasto degli “ascensori sociali” (e faticheranno a divenire pensionati), i nuovi giovani non sanno più molto degli antichi cicli di lotte; mentre finanziarizzazione, globalizzazione (ed ora nuove guerre e de-globalizzazione), digitalizzazione, comunicazione “social” e crisi ambientali (e sanitarie) hanno cambiato l’Italia ed il mondo, aumentando le disuguaglianze all’interno dei paesi industrializzati (e con più complessi effetti a scala internazionale), ma nel contempo frammentando le condizioni sociali dei ceti subalterni, difficilmente riconducibili a omogenei “interessi di classe”.

 

Tuttavia ci pare significativo che i perimetri fondamentali del consenso politico assomiglino ancora a quelli iniziali, sia in termini geografici (tra regioni, tra centri e periferie), sia in termini sociali (il centro-destra aveva sfondato tra i ceti subalterni fin da subito negli anni ’90, andando anche oltre le tradizionali basi popolari della DC, ed anzi pescando pure tra operai già comunisti e socialisti), con il risultato di un sostanziale interclassismo nell’elettorato di quasi tutti i partiti.

 

Il che però costituisce un problema più rilevante per quelli di sinistra, che nel re-insediamento tra le vittime delle crescenti disuguaglianze dovrebbero trovare ragione di vita e di identità.

Ciò vale per il PD, che con segretari Veltroni e poi Renzi ha deliberatamente scelto invece di proporsi come sede di negazione/superamento dei conflitti di classe, e con gli altri segretari ha corretto debolmente tale impostazione in direzione più laburista: come rilevano diversi esponenti dello stesso PD, in questa fase non conta per nulla scrivere un programma avanzato su lavoro, fisco e ambiente, perché gli elettori ti rinfacciano comunque le scelte fatte o avallate negli anni precedenti su articolo 18, pensioni, trivelle.

Ma vale a maggior ragione per chi ha cercato di organizzare una presenza alla sinistra del PD, acquisendo finora una credibilità trascurabile, salvo scaricarne le colpe sul PD stesso (più seriamente forse la scarsa attrazione di proposte variamente socialiste e comuniste risiede ancora nello storico fallimento novecentesco del ‘socialismo reale’, mentre anche la socialdemocrazia non si è più sentita molto bene).

 

Verdi: sostanzialmente non pervenuti all’appuntamento storico con la crisi ambientale, climatica ed energetica (che li vede invece ben piazzati in Germania, Austria ed altrove).

Regalando così anche un enorme spazio all’ambientalismo superficiale e incolto del MoVimento 5Stelle.

La cui meteora, costruita sul populismo anti-casta ed anti-partiti, ha dissipato energie quanto un esperimento di fusione nucleare, mancando in pieno i conclamati obiettivi di superamento della democrazia rappresentativa, e finendo, partito tra i partiti, fortemente invischiato nelle tattiche del Palazzo, salvo ora tentare di riscattarsi con alcune parole d’ordine di largo consenso (pace, reddito di cittadinanza, salario minimo) prive però di un chiaro progetto socio-economico progressista (quale progressione del fisco? quale governance per le imprese? quale accoglienza per i migranti? Ed anche: quale seria transizione ecologica?).

 

Che fare? Impegnativa domanda cui ci sembra superficiale e difficile rispondere ora “unire in un campo largo tutte le opposizioni al governo della destra”, anche se la pratica dell’opposizione, in Parlamento e fuori (ed anche nelle elezioni locali), offrirà terreno di crescita per possibili e necessarie convergenze (o chiarificatrici divergenze: pensiamo a Matteo Renzi, che al momento sembra orientato ad opporsi soprattutto allo stesso PD; ma – almeno lui – chiaramente da destra).

Un tempo si sarebbe parlato di “politica delle alleanze”: a partire da partiti di sinistra ben piantati tra i lavoratori sindacalizzati, riguardava la necessità – per raggiungere maggioranze elettorali e limitare l’acutezza dei conflitti sociali – di contemperare gli interessi dei lavoratori con quelli di parte dei ceti medi, ecc.

Oggi invece si tratta di districare, nella “società liquida”, gli interessi e i sentimenti dei segmenti subalterni nella società capitalistica con l’interesse generale e trasversale alla “salvezza del pianeta” (cioè di una biosfera abitabile per la specie umana): compito che riguarda movimenti, sindacati, associazioni (pensiamo soprattutto a luoghi di elaborazione come ASviS, Forum DD, Legambiente, Oxfam) e infine i partiti: non ne escluderemmo il PD ed il suo faticoso congresso (come il contemporaneo congresso della CGIL), che ci sembrano comunque luoghi collettivi e frequentati (o almeno non così mal-frequentati da divenire infrequentabili…).

Immaginiamo che una futura ed auspicabile unità nel campo della sinistra e del centro possa nascere, forse, solo da una egemonia conquistata sul campo dell’opposizione, da chi meglio capirà come ricostruire una nuova identità ed un adeguato linguaggio: innanzitutto cercando di dialogare con chi non ha votato oppure ha smesso di votare.

E questo è soprattutto un invito alle presunte avanguardie a misurarsi sul terreno delle iniziative di massa – ad esempio mirati scioperi dei consumi – anziché isterilirsi in isteriche manifestazioni tipo “imbrattare le tele in favor di telecamera” oppure inveire contro la perfidia del PD, auspicandone la scomparsa.

 



[A] Scelto da Di Pietro per “Italia dei Valori” è passato al Centro-destra perché corrotto, come da sentenza del 2013 conseguente al patteggiamento della pena

[B] Domenico Finiguerra, 23 ottobre alle ore 09:33

#OPPOSIZIONE ALLA TERZA

Letta twitta con convinzione: "opposizione opposizione opposizione al governo Meloni". Un'opposizione al cubo.

Ma ciò che si oppone dovrebbe essere appunto di segno opposto e l'opposizione è reale solo se è fatta a partire da posizioni alternative. E il PD su quali basi farà opposizione?

Opposizione sulla politica internazionale del nuovo governo?

Impossibile, perché pensano le stesse cose, perché saranno d'accordo su invio delle armi e sulla collocazione azzerbinata agli USA.

Opposizione alla politica economica liberista?

Impossibile, perché Letta e Meloni sono alunn* e compagn* dell'Aspen Institute. Perché la cancellazione dell'art. 18, il job's act, le privatizzazioni o meglio la svendita dei beni comuni ai privati, tutte politiche di destra, sono state portate avanti dal PD.

Opposizione alla politica ambientale? Impossibile, perché il PD e il centrosinistra guidato dai dem è stato per vent'anni l'esecutore fedele di tutti i sogni d'asfalto racchiusi nella bibbia del partito del cemento, nella "legge obiettivo" di Berlusconi/Lunardi. 

Resta il tema dei diritti. Ma sarà solo un teatrino. Perché in decenni al governo il PD ha dato prova di che pasta è fatto sotto le passerelle alle manifestazioni: slogan tanti e risultati pressoché zero.

Sull'accoglienza ai disperati: vedere alla voce Minniti.”

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