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mercoledì 24 maggio 2023

UTOPIA21 - MAGGIO 2023: LA CITTA’ E I DESIDERI SECONDO GIANDOMENICO AMENDOLA

 

Un testo sulla complessità della città contemporanea, tra sogni e bisogni, immaginario e desideri, anche alla luce del percorso storico verso città ideali, utopiche o distopiche

 

Sommario:

-       premessa

-       la divaricazione delle domande sociali

-       carrellata storica sulle utopie (urbane)

-       recepire l’immaginario, costruire il futuro

 

 

PREMESSA

 

“Desideri di città. Utopie Speranze Illusioni” del sociologo Giandomenico Amendola, raccogliendo in parte testi già in precedenza elaborati, intesse alcuni ragionamenti sulla città come soggetto e come oggetto di “desideri”, che mi sembra opportuno suddividere in 3 parti:

-       una introduzione sulle domande sociali che oggi investono le città e i tentativi di pianificarle; 

-       una breve storia dell’utopia, con approfondimenti sui temi urbani;

-       una panoramica sul pensiero contemporaneo in materia di “città migliore”, con particolare attenzione all’immaginario.

 

Più volte, ma a mio avviso un po’ frettolosamente, l’Autore precisa che nelle città “la società si condensa”, trascurando perciò il resto del mondo, forse ridotto a contorno da cui si sogna e si desidera la città (come nel capitolo su “L’immaginario urbano degli italiani” – da pag. 122 - , che però si riferisce ai film di Fellini e all’Italia del 1961); mentre a mio avviso le tematiche trattate nel testo meriterebbero – parlando dell’Europa- una estensione “al territorio”, sia dove di fatto è comunque urbano, ancorché meno “denso”, sia dove forse ancora non lo è, le “aree interne”, altrimenti appannaggio della sola “mitologia dei borghi” (con tutto il rispetto per il “paesologo” Franco Arminio).

 

 

 

LA DIVARICAZIONE DELLE DOMANDE SOCIALI

 

Le domande sociali sono indagate da Amendola, partendo dalla constatazione della frammentazione dei soggetti e dalla difficoltà di ascolto per chi governa, anche nelle città medie che più facilmente potrebbero essere città “felix”, suggerendo una divaricazione tipologica tra le tendenze in atto, che contempla pertanto (astrattamente separate):

-       la “città della competizione” o “città-impresa”, che nel quadro della de-industrializzazione e della concorrenza globale, vede il “marketing urbano” convergere nella omologazione di “città-vetrina”;

-       la “città spettacolo”, dove prevalgono commercio e svago, apparentemente aperte ai desideri di tutti, gerarchizzando però nei prezzi chi può o non può permetterselo;

-       la ”città pachwork”, che combina variamente le differenze;

-       la “città delle possibilità”, che appare su misura come un esercizio di “zapping”;

-       la “città bella”, che punta sull’attrazione, rendendosi leggibile con la “narrazione”;

-       la “città sicura”, che rischia però di frantumarsi in isole sorvegliate, che espellono fuori dai confini ogni variabile indesiderata.

 

Nella fatica di comporre spinte divaricanti, Amendola accomuna un poco tutti i tentativi di pianificazione, dalla città industriale in poi (mettendo in un uno cesto, ad esempio, Haussman e Cerda, Geddes e Munford, Le Corbusier e tutto il CIAM), in quanto visioni “dall’alto” della città come sistema od organismo, contrapponendo loro l’esperienza soggettiva della “città dei cittadini”, vista “dal basso”, da scrittori e pensatori, attraverso una lunga linea che va da Poe/Baudelaire/Benjamin….   a Jane Jakobs, Debord e De Certau.

In questo ambito, addebitando agli urbanisti demiurghi gli insuccessi delle mega-strutture (emblematica la definitiva demolizione delle torri di Pruitt Igoe presso St.Louis, progettate da Minoru Yamasaki), l’Autore sembra attribuire una maggior saggezza alla nascente sociologia (superata la fase più determinista della scuola di Chicago): “Chi governa deve rispondere non solo ai bisogni, come nel passato, ma anche ai desideri. Richard Sennett, proclamandosi urban anarchist, contrappone nell’opera ‘La coscienza dell’occhio” la città di Apollo, regolata e perfetta, a quella di Dioniso, che rifiuta la routine e il banale come principio guida della progettazione” [1].

E, per inciso, Amendola incrina anche il mito della “progettazione partecipata” sperimentata dall’architetto Giancarlo De Carlo a Terni, villaggio Matteotti (1969), rivelando che “i rapporti dei sociologi vennero consegnati solo quando i cantieri erano già in piena attività, e i giochi, quindi, già fatti.”

 

 

 

 

 

 

CARRELLATA STORICA SULLE UTOPIE (URBANE)

 

La carrellata storica[2] sulle Utopie (e Distopie, che in parte assomiglia ai riassunti già da me commentati dei filosofi Carlo Altini e Franco Mordacci), si sofferma in particolare sulle proiezioni architettoniche ed urbanistiche dei vari autori, a partire da Tommaso Moro (anno 1516: strade curvilinee larghe venti piedi, case di 3 piani con giardino fronte e retro, facciate da completare a cura degli utenti) attraverso Louis Sebastian Mercier (nel 1771 per l’anno 2440: strade ampie e illuminate, fontane, tetti verdi, veicoli solo per anziani e malati) fino a Giulio Verne (nel 1889 per l’anno 2890: strade larghe 100 metri con grattacieli alti 300, temperatura costante, aerei omnibus locali e intercontinentali a 1500 km/h), ed inoltre evidenzia (illustrando anche alcune parziali realizzazioni di progetti utopici):

-       il passaggio dalle città utopiche rinascimentali poste in “altri luoghi” ad “ucronie” proiettate in tempi futuri (anche perché nel frattempo l’intera Terra era stata esplorata);

-       nel percorso dal Settecento proto-industriale all’Ottocento pienamente industrializzato (nei paesi a capitalismo più sviluppato), una progressiva presa di distanza dagli entusiasmi per il progresso fino ad esplicite scelte anti-industriali ed “anti-urbane”, come le Garden Cities;

-       una specie di fuoco d’artificio finale nelle teorie di Lefebvre sul “diritto alla città”, che si intrecciano con gli slogan del ’68 parigino, quali “sotto l’asfalto, la sabbia”[3], liberando in qualche misura i sogni e i desideri dal confronto concreto con i bisogni e con le risorse (con il rischio a mio avviso di perdersi in vicoli ciechi di soggettivismo autoreferenziale, come accaduto per parte dei movimenti giovanili degli ultimi anni 70; come slogan rappresentativo suggerirei “vogliamo tutto”).

 

 

RECEPIRE L’IMMAGINARIO, COSTRUIRE IL FUTURO

 

Nei capitoli finali, mentre dà atto ad architetti ed urbanisti della loro intrinseca propensione a immaginare il futuro, in quanto professionisti del “progetto”, Amendola rivendica alle scienze sociali (superate le oscillazioni iniziali della sociologia verso una pura registrazione di leggi permanenti) una capacità di lettura critica della società, foriera di cambiamenti, ed intrecciata con l’inespresso, i sogni e l’immaginario.

Riproducendo anche  - senza commenti e quindi, suppongo, condividendola – la seguente citazione da Edgar Morin (che a mio avviso esprime un “caso limite” di una realtà più complessa in materia di libertà individuale e condizionamenti sociali): “Questo complesso di immaginari … costituisce una secrezione placentare che ci avvolge e ci nutre. Anche allo stato di veglia e anche fuori dallo spettacolo, l’uomo cammina, solitario, circondato da una nuvola di immagini, dalle sue ‘fantasie’. E non soltanto questi sogni da desto: gli amori che egli crede di carne e di lacrime sono cartoline postali animate, rappresentazioni deliranti. Le immagini scivolano fra la sua percezione e lui stesso, gli fanno vedere ciò che egli crede di vedere. La sostanza immaginaria si confonde con la nostra vita d’anima, la nostra realtà affettiva”.[4]

L’Autore constata che nel mondo contemporaneo, salvo alcuni tecnologi molto presi dalla propria specializzazione, scarseggiano proiezioni/previsioni compiute sul futuro e tanto meno su “città ideali”,

-       per la consapevolezza della complessità di tutti i fenomeni sociali ed a maggior ragione delle dinamiche urbane,

-       per la velocità di accavallamento di tecnologie sempre nuove,

mentre è diffusa una tensione critica sul presente che porta comunque a “costruire il futuro”.

 

Nella sua conclusione, piuttosto ottimistica, l’Autore postula che nel dialogo interdisciplinare e nel concreto ascolto delle frammentate domande sociali, anche inespresse, siano possibili percorsi inclusivi per progettare la trasformazione delle città, ma a mio avviso lascia aperte (anche utilmente) le contraddizioni tra

-       città e non città

-       bisogni oggettivi e desideri soggettivi

-       partecipazione democratica e strategie globali.

 

In particolare a mio parere oggi (nei paesi occidentali) le forme di partecipazione democratica sono sì molto compresse – dai condizionamenti sociali, pubblicitari e mediatici, ancor prima che dalla stratificazione dei poteri tecno-capitalisti e statuali –, ma la liberazione dei ceti e soggetti subordinati è un orizzonte insufficiente per fronteggiare i problemi strategici comuni all’intera umanità, che si possono compendiare nel concetto di crisi ambientale.

Il problema non è solo che oltre al pane vogliamo le rose: vogliamo un mondo che sia ancora in grado di offrire pane e rose, per tutti.

Rammentando anche le preoccupazioni di Hans Jonas circa la difficoltà delle democrazie nel perseguire finalità ecologiche: difficoltà aumentate dai fenomeni populisti e sovranisti, in cui le rappresentanze popolari sono inquinate da tonnellate di propaganda di varia origine.

 

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Giandomenico Amendola – DESIDERI DI CITTA’. UTOPIE SPERANZE ILLUSIONI – Progedit, Bari 2022

2.    Francesco Indovina - ORDINE E DISORDINE NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA – Franco Angeli, Milano 2017



[1] La contrapposizione Ordine/Disordine come chiave di reinterpretazione delle problematiche della pianificazione è anche al centro del testo di Francesco Indovina “Ordine e disordine nella città contemporanea” 2, da me recensito su Utopia21 ; Francesco Indovina è anche autore di una recensione 4 sul presente testo di Amendola.

[2] Non mi hanno convinto, in termini storici, né la sbrigativa affermazione che solo dal Rinascimento il futuro scende dal cielo/divino alla terra/umanità (smentita dallo stesso Amendola richiamando Platone prima e gli affreschi senesi del Lorenzetti poi), né l’audace accostamento delle costituzioni nate dalle rivoluzioni americana e francese con il pensiero di Adam Smith e con quello di Charles Darwin, per l’evidente anacronismo di quest’ultimo

[3] Secondo Amendola, slogan situazionista: “Nel dato c’è il possibile…. Nella città esistente c’è il possibile dei diritti”

[4] Tale rappresentazione a mio avviso corrisponde, ad esempio, al personaggio interpretato da Monica Vitti in “Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca”, film di Ettore Scola del 1970, o ad altri film, come “La rosa purpurea del Cairo” di Woody Allen (1985), che non alla realtà media dell’uomo medio.

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