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domenica 28 gennaio 2024

UTOPIA21 - GENNAIO 2024: I LIVELLI ESSENZIALI DEI DIRITTI ABITATIVI

 


L’INU inserisce nella sua proposta di legge per il governo del territorio un decreto per definire nuovamente una quantità minima di spazi pubblici, in relazione alle imminenti autonomie regionali rafforzate e alla connessa definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali. Le mie perplessità, pensando alle priorità nel campo dei diritti abitativi, diritto alla casa e diritto alla città.

 

L’Istituto Nazionale di Urbanistica, nella stesura del testo della proposta di legge nazionale di principi per il Governo del Territorio (avviata con il Congresso di Bologna del novembre 2022, di cui ho parlato su Utopia21 del gennaio 2023 1), ha recentemente ritenuto opportuno2 introdurre un elemento di rigidità di carattere egualitario, relativo alla quantità minima di spazi pubblici per abitante, da definire con un successivo decreto, in qualche misura sulle tracce del Decreto Ministeriale n° 1444 del 1968 “sugli standard”, tuttora vigente anche se variamente tradotto dalle legislazioni delle singole Regioni.

Tale Decreto del 1968, in attuazione della cosiddetta “Legge Ponte” n° 765 del 1967, tra le altre disposizioni, fissava in 18 metri quadrati per abitante il fabbisogno minimo di spazi pubblici urbani (parcheggi e verde, scuole e altri servizi) nelle nuove zone residenziali “di espansione”, commisurandolo ai volumi edificabili (da 80 a 100 metri cubi per abitante): standard di 18 m2/abitante, che nelle zone già densamente costruite diveniva tendenziale e ridotto alla metà.  [1]

Questa novità nella proposta INU, che diverge dal contesto flessibilista e performativo, si configura soprattutto come un ‘paletto’ rispetto all’incombente disegno legislativo sulle autonomie regionali differenziate, caro alla componente leghista del governo Meloni (cui il partito della Presidente del Consiglio giustappone il progetto del ‘premierato’).

 

Sia la (flebile) proposta INU che la (robusta) iniziativa promossa dalla LegaNord [2] si muovono sul terreno del Titolo V della Costituzione, come modificata nel 2001 riguardo agli aspetti ”federali” della Repubblica, Titolo V ancora largamente non attuato e che prevede specificamente agli artt. 116 e 117, tra altre importanti disposizioni:

-       leggi nazionali di principi sulle materie “concorrenti” tra Stato e Regioni, materie tra le quali ricade il “governo del territorio”,

-       definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni” concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale: tale definizione è indispensabile per poter procedere al conferimento alle Regioni di ulteriori competenze sulle materie delegabili (tra cui ad esempio energia ed istruzione), al fine di garantire le risorse minime necessarie anche ai territori economicamente svantaggiati; problema che in altri termini (determinazione dei “fabbisogni standard”) ha anche finora impedito l’attuazione del “federalismo fiscale” anche sulle materie già di competenza regionale, come stabilito dalla specifica riforma del 2009, in applicazione dell’art. 119 della Costituzione (sempre nel Titolo V modificato nel 2001).

Mentre mancano totalmente le “leggi di principi”, sul fronte dei “livelli essenziali”, negli anni scorsi significative porzioni sono state tracciate – almeno sulla carta – per la sanità (con il nome di Livelli Essenziali di Assistenza) e per la disabilità; non c’è tuttora comunque un quadro generale.

Spinto dall’urgenza politica delle “autonomie differenziate” il Governo ha inserito nella legge di stabilità ­­­per il 2023 un percorso – che voleva essere accelerato – per la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS), avvalendosi di una Commissione Consultiva, presieduta da Sabino Cassese, e senza ripassare dal Parlamento (il che secondo molti commentatori è di dubbia costituzionalità): accelerazione che pare essersi impantanata dopo le dimissioni dalla Commissione dei membri più autorevoli non allineati politicamente al Governo (tra cui Giuliano Amato e Franco Bassanini), nel successivo generale disinteresse dei media.

In questi giorni la questione è tornata di attualità perché il disegno di legge sulle autonomie differenziate è arrivato all’aula del Senato, con l’ipotesi di una rapida approvazione anche alla Camera (prima delle elezioni europee di giugno), ma – pare – accantonando e differendo alla fase attuativa il nodo dei LEPS: una faccenda che, per garantire il minimo a tutti e lasciare più risorse ai più ricchi, comporta una maggior spesa, secondo i commentatori, dell’ordine di grandezza di 100 miliardi di € annui.

 

I ‘diritti abitativi’, ovvero il “diritto alla città”, e ad un territorio sano, e ancor prima il “diritto alla casa”, che non sono (ancora) esplicitati dalla Costituzione 3,4 (dove dal 2021 al Paesaggio si affianca l’Ambiente), anche se di fatto già tutelati da sentenze costituzionali, non figurano formalmente tra i “diritti civili e sociali” di cui all’art. 117 (2° comma, lettera m) della Costituzione.

Tuttavia mi pare opportuno da parte dell’INU, nel rivendicare una Legge di Principi per il Territorio, il tentativo di allargare anche in questa direzione il concetto dei “livelli essenziali”.

 

Dubito però che l’enunciazione di un rinnovato standard minimo nazionale di spazi pubblici per abitante aiuti ad una effettiva espansione ed universalizzazione dei diritti abitativi.

Si tratta infatti pur sempre e solo di inserire tali spazi nelle previsioni dei piani urbanistici comunali: previsioni che oltre 50 anni dopo la suddetta “Legge Ponte” probabilmente (nelle misure finora vigenti) sono state deliberate una o più volte in quasi tutti i Comuni, fatte salve sia la loro parziale non attuazione sia la decadenza dei vincoli ai fini espropriativi.

Il problema allora, ed invece, è quello – finalmente – di assicurare effettivamente a tutti i cittadini i “diritti abitativi”, al di là del disegno degli spazi pubblici nei piani urbanistici; nella consapevolezza che in buona parte dei Comuni i servizi minimi sono già conseguiti, almeno in termini quantitativi (con dotazioni medie di spazi anche ben superiori a 30 m2 per abitante) e che le criticità si distribuiscono soprattutto:

-       sotto il profilo spaziale

o   nei nuclei antichi e nelle periferie urbane più dense e/o più degradate,

o   nei paesi e borghi semi-abbandonati e dispersi delle cosiddette “aree interne”;

-       sotto il profilo tipologico – oltre ai deficit qualitativi, a partite dall’edilizia scolastica – nei servizi per l’infanzia (asili-nido), per gli anziani, per i disabili, per la salute di prossimità ed ancora, a monte, nelle carenze abitative per le famiglie povere (e molti salariati stanno diventando poveri), per gli immigrati, per le persone marginali oppure per categorie ‘temporanee’ come gli studenti fuori-sede (senza dimenticare le  barriere architettoniche che spesso impediscono l’accessibilità ai servizi esistenti).

Anche se manca un piano nazionale per il diritto alla casa, parte di questi bisogni sono stati individuati in provvedimenti specifici (come il PINQUA [3] oppure la Strategia Nazionale Aree Interne) e nella pianificazione locale, nonché in quel grande affresco dei desideri di riscatto costituito dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza 5,6.

 

Strumenti di sommaria programmazione che però dimostrano per lo più un notevole divario tra bisogni e risorse, motivo per cui queste vengono distribuite o viziosamente con criteri clientelari oppure virtuosamente tramite “bandi”, il che determina priorità di spese non dettate solo dalla gerarchia dei bisogni, ma anche dalla intraprendenza e abilità dei soggetti richiedenti.[4]

Una seria attenzione alle disuguaglianze territoriali dovrebbe invece comportare, oltre al reperimento di risorse notevolmente maggiori, una concentrazione di forze per colmare i divari dove risultano più acuti, con una vera programmazione territoriale, arrivando quando è il caso anche all’utilizzo di poteri commissariali sostitutivi per le amministrazioni locali inadempienti.

Oppure ancor meglio intervenire a monte e ripensare l’architettura delle autonomie locali, decentrando i poteri nelle metropoli e superando definitivamente la frammentazione dei piccoli Comuni (come ho già argomentato in altre occasioni 1).

 

Quanto sopra, salvo qualche differenza di accenti, è evidentemente ben noto nell’ambito dell’INU (da cui per altro traggo parte delle mie conoscenze [5]).

Per questo a maggior ragione trovo insoddisfacente l’ipotesi di un Decreto sulle quantità minime di spazi pubblici.

Standard significa “misura normale” ma anche “stendardo, bandiera”.

Se nell’ambito di una nuova legislazione per il territorio si intende sollevare uno stendardo, ed imporre delle garanzie minime di diritti per i cittadini a mio avviso bisogna andare oltre e cioè da un lato partire dal diritto ad una casa per tutti (e non solo generici impegni per un po’ di housing sociale) e dall’altro estendere il concetto di spazi minimi alla effettiva realizzazione dei servizi primari (e non solo alla previsione dei vincoli urbanistici a ciò finalizzati).

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Aldo Vecchi – RIFORMARE L’URBANISTICA? – su Utopia21, gennaio 2023 https://drive.google.com/file/d/1-hRvpegM2DZGt55SJpfIACeqUuX07z63/view?usp=share_link

2.    Carlo Alberto Barbieri e Paolo Galuzzi – FINALITA’ E PUNTI CARDINALI PER UNA LEGGE DI PRINCIPI FONDAMENTALI PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO E LA PIANIFICAZIONE – su Urbanistica Informazioni n° 311 – settembre-ottobre 2023, http://www.urbanisticainformazioni.it/_Barbieri_.html

nonché DIBATTITO PRESSO URBANPROMO 2023 https://www.youtube.com/watch?v=a_kUw8oNCH0

3.    Aldo Vecchi - L’UTOPIA (ITALIANA) DI UNA CASA, PER TUTTI – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing

4.    Aldo Vecchi - RILANCIARE LE POLITICHE PUBBLICHE PER L’ABITARE? – su Utopia21, novembre 2022 - https://drive.google.com/file/d/1rPQBG8MZLR2pbpmSzAr5e-nqnaXX436n/view?usp=share_link

5.    Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani – P.N.R.R.: CONSIDERAZIONI GENERALI – su Utopia21, gennaio 2021 https://drive.google.com/file/d/1NdnwcSjgfWo6u0W_sXvx_O7Y4311M5Gj/view?usp=sharing

6.    Aldo Vecchi – P.N.R.R.: L’EDILIZIA E IL TERRITORIO su Utopia21, gennaio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1rkd1VOGaaMCXdo2gfELzGzqnswIPKufD/view?usp=sharing

7.    Isaia Sales – PNRR, IL PARADOSSO DEL SUD – su La Repubblica del 7 dicembre 2023 - https://www.repubblica.it/commenti/2023/12/07/news/sud_pnrr_paradosso_risorse-421592109/



[1] Inoltre per le città determinava ulteriori 16,5 m2 per abitante per servizi superiori e parchi urbani, per le attività produttive un minimo di spazi pubblici pari al 10% delle superfici di tali zone e per le attività terziarie m2 80 ogni 100 m2 di fabbricato.

[2] Più precisamente “Lega Nord per Salvini Presidente”

[3] PINQUA: Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell'Abitare

[4] Come è rilevato, tra gli altri, da Isaia Sales su “La Repubblica” 7 e dall’ASviS, nell’ambito del Rapporto Territori 2023 (vedi mio articolo su questo numero di Utopia21), dove critica l’abbandono della metodologia place-based per l’allocazione dei fondi della Strategia Nazionale Aree Interne

[5] Non sto a citare specifiche fonti, tanto è vasta la pubblicistica INU sull’argomento, su cui addirittura su svolge a Roma da tempo la Biennale degli Spazi Pubblici, giunta nel 2023 all’ottava edizione.

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