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sabato 20 luglio 2024

UTOPIA21, LUGLIO 2024: DAL RAPPORTO ISTAT 2024

Dai materiali del Rapporto, una mia selezione sulle principali tendenze in atto e sulle problematiche di fondo della società italiana.

                                                                                                                        

Sommario:

-       gli aspetti contraddittori delle tendenze recenti

-       le criticità profonde nel medio periodo

-       i divari che peggiorano o faticano a migliorare

-       il buco demografico

-       e molto altro…

(in corsivo le poche parole dell’Autore).

PER LE IMMAGINI VEDI IL SITO www.universauser.it/utopia21.html

 

Confermando in premessa tutte le considerazioni generali che ho esposto in precedenti analoghe occasioni 3,4, e considerando che parte delle valutazioni emergenti da questo “Rapporto annuale Istat 2024” 1 ricalcano quanto rilevato dal recente Rapporto Istat sugli indicatori per il Benessere Equo e Sostenibile 2, dalla lettura del testo (e delle sintesi grafiche e infografiche), nonché dall’ascolto della Relazione del Presidente pro tempore Francesco Maria Chelli presso la Camera dei Deputati in data 15 maggio 1, ritengo opportuno proporre una rielaborazione sintetica di quelli che a mio avviso risultano i principali contenuti del Rapporto articolata in quattro parti, come individuate nel precedente sommario.

 

 

GLI ASPETTI CONTRADDITTORI DELLE TENDENZE RECENTI

 

PIL: “Nel triennio l’economia italiana è cresciuta più della media dell’Ue27 e di Francia e Germania tra le maggiori economie dell’Unione.”

Gli incrementi del PIL, dicendola in breve (il Rapporto contiene raffinate analisi in proposito) si devono soprattutto all’esportazione e sul lato della domanda interna - depressa dal calo del potere d’acquisto delle famiglie (vedi oltre) – dagli effetti del Superbonus 110% nell’edilizia (pur vituperato dal Governo ora in carica).

 

OCCUPAZIONE: “Alla crescita si è associato il buon andamento del mercato del lavoro”

In particolare l’occupazione stabile cresce nelle fasce di età più elevate, mentre tra i giovani permane disoccupazione e maggior precariato.

“Tra il 2019 e il 2023 il tasso di occupazione in Italia (+2,4 punti percentuali) è cresciuto più che in Germania …, Francia … e Spagna … Tuttavia, rimane inferiore di ben 15,9 punti rispetto al tasso di occupazione in Germania, ma anche rispetto ai valori osservati per Francia e Spagna (-6,9 e -3,9 punti rispettivamente) ... Il divario con la Germania è particolarmente evidente in corrispondenza dei più giovani (-30,5 punti) e della classe di età 55-64 (-17,4 punti) …

Il divario nei tassi di occupazione dell’Italia rispetto alla media UE27 può essere integralmente ricondotto alla debolezza del mercato del lavoro delle regioni del Mezzogiorno (nel 2023 il 48,2 per cento di occupati rispetto al 70,4 della media UE27) e della componente femminile dell’occupazione (il 52,5 per cento a fronte del valore 65,8).”

 

INFLAZIONE: “Dalla seconda metà del 2021, come nelle altre maggiori economie avanzate, l’Italia si è confrontata con l’ascesa dei prezzi originata dalle materie prime importate, seguita a fine 2022 da un rapido processo di raffreddamento, rafforzatosi nel 2023. L’episodio inflazionistico ha avuto effetti differenziati sulle imprese e, in particolare, sulle famiglie – con le retribuzioni che non hanno tenuto il passo dell’inflazione – riducendo il potere di acquisto soprattutto delle fasce di popolazione meno abbienti.”

L’aumento dei prezzi, fortemente differenziato tra i prodotti, ha avuto un impatto non uniforme tra le famiglie; sono state infatti colpite in misura maggiore le fasce di popolazione meno abbienti, sulla cui spesa hanno un peso maggiore i beni energetici e alimentari (entrambi caratterizzati da consumi difficilmente comprimibili), per i quali la crescita dei prezzi è stata più elevata ... Suddividendo le famiglie in cinque gruppi (classi) ordinati per livello di spesa crescente, e considerando la composizione della spesa di ciascuno di essi, l’aumento complessivo dei prezzi al consumo … osservato tra il 2019 e il 2023 è stato pari al 21,7 per cento per il primo gruppo e al 15,7 per cento per il quinto. Il divario tra classi ha cominciato ad ampliarsi negli ultimi mesi del 2021, e a novembre 2022, durante il picco dell’inflazione, ha raggiunto 9,7 punti percentuali rispetto al livello di inizio 2019. Nel corso del 2023 e nei primi mesi del 2024, invece, la discesa dei prezzi dei beni energetici e il progressivo aumento di quelli di alcune categorie di servizi hanno prodotto una riduzione del differenziale fino a 4,4 punti a marzo 2024.”

 

POVERTA’: Un forte aumento nell’incidenza della povertà assoluta si è verificato nel 2017 (al 7,2 per cento dal 6,5 del 2016 l’incidenza familiare; all’8,3 per cento dal 7,8 del 2016 l’incidenza individuale), in corrispondenza di un aumento medio delle spese per consumo che è stato appannaggio esclusivo delle fasce più abbienti di popolazione, a fronte di una riduzione delle spese delle fasce meno abbienti in termini correnti e, soprattutto, in termini reali. Gli indicatori si stabilizzano nel 2018 e decrescono nel 2019 (al 6,7 per cento l’incidenza familiare e al 7,6 per cento quella individuale), in corrispondenza dell’introduzione di alcune misure di sostegno al reddito (il REI nel 2018 e il RdC nel 2019). Nel 2020, primo anno della pandemia da COVID-19, la povertà assoluta ha un’accelerazione significativa, portando l’incidenza familiare al 7,8 per cento e quella individuale al 9,1 per cento, per poi stabilizzarsi nel 2021.

Tali valori, tuttavia, risentono – come abbiamo visto – delle misure restrittive introdotte nel corso dell’emergenza sanitaria e dei comportamenti prudenziali delle famiglie che hanno indotto un forte calo della spesa nel 2020, solo parzialmente recuperato nel 2021. Il potere di acquisto delle famiglie negli anni pandemici, infatti, non ha subito drastici cali, anche grazie all’introduzione di numerose misure di sostegno al reddito. Nel 2022, invece, l’incidenza familiare sale all’8,3 per cento e l’individuale al 9,7 per cento, in larga misura a causa della fortissima accelerazione dell’inflazione, che ha colpito in maniera più accentuata le famiglie meno abbienti. Le spese di queste ultime non sono riuscite, infatti, a tenere il passo dell’aumento dei prezzi. Nel 2023, anno ancora con inflazione elevata ma con minori differenziazioni per famiglie più e meno abbienti, gli indicatori di povertà sono sostanzialmente stabili rispetto al 2022: l’incidenza familiare raggiunge comunque l’8,5 per cento e quella individuale il 9,8 per cento. Per sostenere il livello di spesa a fronte della riduzione del potere di acquisto, il tasso di risparmio lordo delle famiglie consumatrici è sceso al 6,3 per cento, molto al di sotto dell’anno precedente e dei valori pre-pandemia. Nonostante le famiglie abbiano diminuito i propri risparmi, le spese sono comunque diminuite in termini reali, sia per le famiglie meno abbienti sia per quelle più abbienti, con conseguenze sui livelli di povertà assoluta.”

 

 

LE CRITICITÀ PROFONDE NEL MEDIO PERIODO

 

Per una efficace esposizione di queste problematiche, mi limito a riprodurre alcuni grafici comparativi con i principali paesi europei, tratte dai “Grafici interattivi”, allegati al Rapporto 2024

 

PIL: Andamento del PIL in volume, degli investimenti fissi lordi e della produzione industriale nelle maggiori economie dell’UE 27. Anni 2000-2023 (indice 2007=100, valori in percentuale del PIL)

 

 

 

 

 

 

OCCUPAZIONE: Tasso di occupazione 15-64 anni (a sinistra) e occupati 15-64 anni per classi di età (a destra) nelle maggiori economie dell’UE27 – Anni 2004-2023 (valori e composizioni percentuali)

 

 

 

 

RETRIBUZIONI: Retribuzioni lorde annue per dipendente nominali (a sinistra) e reali (a destra) nelle maggiori economie dell’UE27. Anni 2013-2023 (indice 2013=100)

 

 

 

 

ISTRUZIONE: Diplomati universitari in rapporto alla popolazione nelle maggiori economie dell’UE27, per livello di istruzione terziario. Anni 2013-2021(per mille giovani di 20-29anni)

            I livello (triennale)                 II livello (magistrale)               Dottorato/specializzazione

 

 

 

I DIVARI CHE PEGGIORANO O FATICANO A MIGLIORARE

 

DISOCCUPAZIONE: “Disoccupati e forze di lavoro potenziali rappresentano l’insieme della forza lavoro inutilizzata e potenzialmente utilizzabile nel processo produttivo: nel 2023, tale aggregato è pari a circa 4,2 milioni di individui (1,9 milioni di disoccupati e 2,3 milioni le forze di lavoro potenziali). Prendendo a riferimento la classe di età 15-64 anni, le donne costituiscono oltre la metà della forza lavoro inutilizzata (il 53,9 per cento, rispetto al 42,7 per cento tra gli occupati); è inoltre maggiore la presenza di giovani (il 39,3 contro il 23,7 tra gli occupati) e, soprattutto, di residenti nelle regioni del Mezzogiorno (59,8 contro 26,7 per cento) e di individui con basso titolo di studio (44,9 contro 11,7 per cento per gli individui con titolo di studio terziario).”

 

OCCUPAZIONE FEMMINILE: “È aumentata la partecipazione delle donne adulte al mercato del lavoro, in maniera crescente al crescere dell’età; l’incremento costante dell’occupazione femminile ha ridotto sensibilmente (di ben 6,2 punti percentuali) il divario di genere nei tassi di occupazione, che resta però molto elevato (17,9 punti nel 2023), anche a confronto con le altre principali economie europee.”

 

DIVARIO GENERAZIONALE: “Una delle tendenze più evidenti degli ultimi dieci anni è l’allargamento del divario tra le generazioni rispetto alle condizioni economiche. Più una persona è giovane, più è probabile che abbia difficoltà. La situazione si è invertita alla fine degli anni 2000: la grande recessione ha penalizzato di più le giovani generazioni.

La povertà assoluta è un fenomeno che interessa maggiormente le famiglie con età media

più giovane rispetto a quelle con componenti mediamente più anziani. Al crescere dell’età

dei componenti, infatti, è più probabile che aumentino le entrate reddituali della famiglia, per

la progressione di carriera e per l’eventuale acquisizione di eredità, e che si possa ricorrere

ai risparmi accumulati nel corso della vita. Questo aspetto si riflette sull’incidenza di povertà

assoluta individuale, che mediamente decresce al crescere dell’età. Nel 2023, l’incidenza di

povertà assoluta più elevata si registra per i minori di 18 anni (il 14,0 per cento dei minorenni

sono poveri, rispetto al 9,8 per cento della media della popolazione, per un totale di 1,3 milioni di minori). Valori più elevati della media nazionale si registrano anche per i 18-34enni e i 35-44enni (11,9 e 11,8 per cento, rispettivamente). L’incidenza individuale decresce fino al 5,4 per cento dei 65-74enni, il valore più basso, per poi risalire al 7,0 per cento nella fascia di popolazione più anziana, quella degli individui con 75 anni e più. ….

Nel nostro Paese, il 13,5 per cento dei minori di 16 anni risulta in condizione di deprivazione

materiale e sociale (circa 1 milione 127 mila ragazzi e ragazze), 0,5 punti percentuali in più

della media dell’Unione europea (Figura 3.8). La diffusione della deprivazione è eterogenea

tra i paesi: da oltre il 40 per cento in Romania a meno del 4 in Slovenia, Svezia e Finlandia. In quasi tutti i paesi, e in particolare in Italia, Austria, Lussemburgo e Svezia, la quota di minori in condizione di deprivazione è minore rispetto a quella dei minori a rischio di povertà monetaria. Questa, in Italia, raggiunge il 25,6 per cento, al quarto posto dopo Romania, Spagna e Lussemburgo, e superiore alla media europea di 6,5 punti percentuali

 

POVERTA’ ASSOLUTA: L’incremento di povertà assoluta ha riguardato principalmente le fasce di popolazione in età lavorativa e i loro figli. Il reddito da lavoro, in particolare quello da lavoro dipendente, ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. …

Nell’arco del decennio considerato, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita dal 6,2 all’8,5 per cento, e quella individuale dal 6,9 al 9,8 per cento ….

La differenza e la leggera divaricazione tra i valori dell’incidenza individuale e familiare indicano che le famiglie numerose sono mediamente più povere e hanno, inoltre, avuto un andamento peggiore rispetto a quelle meno numerose. Complessivamente, rispetto al 2014 sono aumentate di 683 mila unità le famiglie in povertà (erano 1 milione e 552 mila) e di circa 1,6 milioni gli individui in povertà (erano 4 milioni e 149 mila).”

 

RICCHI/POVERI:Dal 2014 al 2023, nel complesso, la spesa media equivalente in termini reali è caduta del 5,8 per cento, denotando un impoverimento generalizzato; il calo è stato più forte per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione (-8,8 e -8,1 per cento rispettivamente). Anche le famiglie del ceto medio e medio-alto, appartenenti al terzo e quarto quinto, hanno diminuito le loro spese reali in maniera più significativa rispetto alla media nazionale (-6,3 per cento il terzo e -7,3 il quarto). Solamente le famiglie più abbienti, appartenenti all’ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite (-3,2 per cento).

 

IMPOVERIMENTO TRA I LAVORATORI DIPENDENTI: “Negli ultimi anni, il reddito da lavoro ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico, in particolare per alcune tipologie occupazionali. Complessivamente, l’incidenza di povertà individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9 per cento nel 2014, al 5,3 per cento nel 2019 fino al 7,6 per cento nel 2023 ... Si rilevano, però, andamenti molto differenziati a seconda del tipo di occupazione, se dipendente o indipendente.

Nel 2014, l’incidenza di povertà era su livelli simili per i lavoratori dipendenti (5,0 per cento)

e indipendenti (4,7 per cento); nel periodo tra il 2014 e il 2019 i dipendenti hanno peggiorato

la propria situazione, arrivando al 5,7 per cento, mentre gli indipendenti la hanno migliorata,

scendendo al 3,8 per cento; tra il 2019 e il 2023, al peggiorare della situazione generale, le

condizioni economiche si deteriorano per entrambi: +2,5 punti percentuali per i primi e +1,3

per i secondi, arrivando all’8,2 e al 5,1 per cento di incidenza rispettivamente.

Complessivamente, quindi, nonostante l’aumento del tasso di occupazione, il lavoro non è

stato in grado di tutelare da situazioni di grave difficoltà economica, specialmente nel caso

dei lavoratori dipendenti. Gli autonomi, che pur all’interno di un quadro molto eterogeneo hanno generalmente maggiore elasticità nell’aggiornare i propri tariffari e i propri prezzi in base all’andamento dell’inflazione, sono riusciti a limitare il peggioramento.

 

DIVARI TERRITORIALI – MERIDIONE, AREE INTERNE:

Il Pil pro capite è un riferimento primario per la disamina delle differenze economiche territoriali. In Italia, per effetto della grande recessione, nel 2023 esso era ancora lievemente inferiore rispetto al livello raggiunto nel 2007, e circa 3 punti percentuali più basso rispetto a quello del 2000 (sulla crescita economica italiana).

In un quadro comune difficile, caratterizzato prima dalla più lunga crisi dall’Unità, e poi da un episodio breve, ma profondo nel 2020, che ha colpito selettivamente le attività, penalizzando in particolare il settore turistico, gli andamenti sul territorio mostrano come nel periodo considerato si sia prodotto un lieve rafforzamento delle disparità già molto ampie esistenti tra Nord e Sud, e uno scivolamento del Centro; queste differenze, con poche eccezioni, sono presenti anche a un livello territoriale più fine.

Nelle ripartizioni, per le quali i dati sono disponibili fino al 2022, il livello del 2007 è pienamente recuperato solo nel Nord, mentre resta inferiore per 8,7 punti percentuali nel Centro, 7,3 nelle Isole e 3,4 a Sud. Nel Centro e nelle Isole, inoltre, nel 2022 il Pil pro capite rimane sensibilmente più basso rispetto a inizio millennio. Il Mezzogiorno nel suo insieme ha quindi perso leggermente terreno sia in termini relativi sia assoluti, e oggi come ieri presenta livelli di Pil pari a poco più della metà rispetto al Nord; un andamento ancora peggiore è quello del Centro, partendo però da una condizione decisamente più avanzata.

…. L’incidenza di povertà assoluta familiare è più bassa nel Centro (6,8 per cento) e nel Nord (8,0 per cento sia il Nord-ovest sia il Nord-est), e più alta nel Sud (10,2 per cento) e nelle Isole (10,3 per cento). Lo stesso accade per l’incidenza individuale: 8,0 per cento nel Centro, 8,7 nel Nord-est, 9,2 nel Nord-ovest e 12,1 per cento sia nel Sud sia nelle Isole. …

… risulta scarsamente accessibile circa il 10 per cento dei comuni (786).

Si tratta per lo più di Aree Interne, in particolare Periferiche e Ultra periferiche, in cui risiede

il 2,2 per cento circa della popolazione, localizzate nell’entroterra della Sardegna e lungo tutta la dorsale appenninica da Nord a Sud, e nelle zone di confine a ridosso delle catene montuose alpine.

La quasi totalità della popolazione (98,7 per cento) risiede, … in comuni dai quali è possibile raggiungere una struttura ospedaliera entro mezz’ora. Tuttavia, sussistono notevoli differenze sul territorio: dista al più 15 minuti da un ospedale il 75,5 per cento dei comuni lombardi, contro il 14,5 per cento dei comuni della Basilicata (93,4 e 41,6 per cento le quote

in termini di popolazione, rispettivamente).

… Data l’intensità del decremento, la riduzione dei giovani nelle Aree Interne e Zone rurali si configura come una sorta di moltiplicatore dell’indebolimento demografico. Dal 2003 al 2023, nelle Aree Interne si è registrata una perdita di oltre 804 mila giovani (da poco più di 3,1 milioni a circa 2,3 milioni), più di un quarto rispetto alla consistenza iniziale. Questa contrazione sale a un terzo circa (-31,6 per cento) nelle aree Ultra periferiche (da poco più

di 179 mila a circa 123 mila). Nel medesimo periodo, le Zone rurali perdono oltre 615 mila giovani (da 2.288 mila a 1.672 mila, -26,9 per cento). Si può rilevare che in qualsiasi tipologia territoriale la collocazione nelle regioni del Mezzogiorno costituisce sempre un fattore specifico di penalizzazione. …In altri termini, nei Centri o nelle Aree Interne – ovvero nei contesti più urbanizzati o rurali – del Mezzogiorno si osservano sistematicamente perdite di giovani ben più significative che altrove. Su base ventennale, tali sottrazioni oscillano tra un quarto e un terzo della dotazione iniziale, con una quota generalmente prossima o inferiore a un quarto nel Centro e ancora più contenuta nel Nord. In assoluto, i territori che negli ultimi venti anni hanno sofferto maggiori perdite di giovani di 18-34 anni sono le Zone rurali del Mezzogiorno (-32,2 per cento, poco più di 277 mila unità), con uno scarto di circa 9 punti rispetto a quelle del Nord e di circa 7 dal Centro Italia. Un andamento analogo, sebbene meno intenso, si manifesta nelle Aree Interne.

… L’analisi condotta sulle Città metropolitane mette ancora più in risalto le disuguaglianze

di salute tra i territori, che risultano distribuite secondo un asse geografico a criticità crescente da Nord a Sud. Nel 2021 l’incidenza standardizzata di morti evitabili in queste aree è superiore alla media nazionale (20,4 contro 19,2 ogni 10 mila abitanti); a eccezione

di quella di Cagliari, tutte le altre Città metropolitane del Sud e delle Isole fanno registrare valori della mortalità evitabile superiori all’insieme in esame. Il fenomeno è particolarmente elevato a Napoli, sia con riferimento alla Città metropolitana (27,1 decessi evitabili ogni 10 mila abitanti, di cui 18 prevenibili) sia al solo capoluogo (29,3 decessi evitabili ogni 10 mila abitanti, di cui 19,9 prevenibili).”

 

 

IL BUCO DEMOGRAFICO

 

“Al 1° gennaio 2023, in Italia i giovani di 18-34 anni sono poco più di 10,3 milioni …

Il peso sulla popolazione (17,5 per cento) è in forte decremento (-22,9 per cento sul 2002) e inferiore alla media UE27 (19,3 per cento). La crisi demografica della società italiana deriva dal progressivo calo di natalità e dalla conseguente riduzione dei giovani … Il fenomeno è parte di un processo più ampio che coinvolge quasi per intero l’Unione europea, dove negli ultimi due decenni (2001-2023) si è registrata una perdita netta di circa 17,5 milioni di giovani. L’Italia, però, presenta una tendenza negativa particolarmente accentuata e nel 2021 è il Paese con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione (17,5 per cento; 19,6 per cento media Ue27).

Attualmente, nell’Ue27 solo la Bulgaria ha una consistenza relativa inferiore (16,3 per cento). …

La diminuzione dei giovani in Italia comincia nella seconda metà degli anni Novanta. Dopo il picco del 1994 (15.183.990), esito conclusivo del secondo baby boom, il calo è costante: nel 2023 è di circa 5 milioni sul 1994 (-32,3 per cento). A esso fa da contrappunto un incremento speculare delle persone di 65 anni e più (da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023, +54,4 per cento), da cui deriva la modesta tendenza incrementale in atto nella popolazione.

Il calo prende avvio dalla generazione di 18-34enni dei primi anni Ottanta, componente che nel 1982 costituiva il 24,4 per cento della popolazione italiana e che dopo due decenni scende al 23,5 per cento. La riduzione più consistente, però, si verifica negli anni successivi e assume una portata più ampia nell’ultima fase storica (17,5 per cento nel 2023) …

Nel 2023, a fronte di un incremento della popolazione di cittadinanza straniera (5.307.598

unità, +3,2 per cento rispetto al 2022), si assiste a una riduzione del numero dei nati (50 mila bambini, pari al 13,3 per cento del totale, 3 mila in meno rispetto all’anno precedente).

La ripresa dei movimenti migratori internazionali, già avviatasi nel 2022, è proseguita nel 2023, compensando quasi totalmente il deficit dovuto alla dinamica naturale: le iscrizioni per trasferimento di residenza dall’estero ammontano a 416 mila, in lieve aumento (+1,1 per cento) rispetto al 2022, ma in decisa crescita nei confronti della media dell’ultimo decennio (circa 314 mila l’anno). Anche il rallentamento dei flussi in uscita è proseguito nel 2023: le cancellazioni per l’estero scendono a 142 mila, -5,6 per cento rispetto all’anno precedente e -21,0 per cento sul 2019, anno di picco in cui se ne contarono 180 mila (Figura 1.17, destra).

Diminuisce la fecondità: il numero medio di figli per donna scende da 1,24 nel 2022 a 1,20

nel 2023, avvicinandosi al minimo storico di 1,19 figli registrato nel 1995. La fecondità delle

italiane è pari a 1,18 figli in media per donna (2022), stesso valore dell’anno precedente; quello delle straniere arriva a 1,86 (era 1,87 nel 2021).

Il calo delle nascite è infatti in larga parte determinato dai mutamenti strutturali della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (15-49 anni). In questa fascia di popolazione le donne sono sempre meno numerose e hanno una struttura per età “più invecchiata”. La popolazione femminile tra 15 e 49 anni al 1° gennaio 2024 è infatti scesa a 11,5 milioni, dai 13,4 nel 2014 e 13,8 nel 2004 (2,2 milioni di donne in meno in vent’anni). Meno donne in età feconda comportano inevitabilmente meno figli. Anche la popolazione maschile di pari età è diminuita da 13,9 milioni di individui nel 2004 a 13,5 nel 2014, fino agli odierni 12 milioni.”

 

 

E MOLTO ALTRO…

 

Concentrando la mia attenzione sugli aspetti che mi sembrano fondamentali, ho deliberatamente trascurato tutte le altre analisi contenute nel “Rapporto ISTAT 2024”, dagli approfondimenti specifici a lato dei “suddetti fondamentali” (cui già ho accennato, ad esempio riguardo alla ripresa del PIL, anche nel contesto internazionale), a fenomeni in controtendenza, come la maggior istruzione femminile tra i nuovi diplomati e laureati, dagli aspetti soggettivi (in materia di salute, di soddisfazione sul lavoro) ai focus dedicati alle competitività delle imprese, all’occupazione effettiva dei giovani qualificati, alle transizioni energetica e digitale, alla povertà energetica, alla povertà educativa, ed altri ancora.

 

Una gamma notevole di strumenti di lettura delle problematiche sociali e della efficacia/inefficacia della scelte politiche, che la Vice-Presidente della Camera dei Deputati Anna Ascani (Partito Democratico), nel rivolgere i saluti istituzionali al Presidente Chelli, ospite di Montecitorio per la presentazione del Rapporto, ha indicato come preziosi ausili nello svolgimento dell’attività legislativa del Parlamento: il che probabilmente è anche vero a livello ‘tecnico’, nel funzionamento quotidiano delle Commissioni Parlamentari, ma appare poco credibile misurando invece da una parte i contenuti e la qualità del ‘dibattito politico’, come emerge sui media generalisti, e dall’altro i risultati sostanziali della legislazione in atto, come il Rapporto stesso ampliamente dimostra.

 

aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

1.       ISTAT – RAPPORTO ANNUALE 2024 -  https://www.istat.it/it/archivio/295863

2.    Aldo Vecchi - ATTORNO AL RAPPORTO B.E.S. 2023 – su UTOPIA21 – maggio 2024 - https://drive.google.com/file/d/1mba4N2esfhHSVTpgLFlwP0ggwLdCDSwi/view?usp=drive_link

3.    Aldo Vecchi - IL B.E.S. COMPIE 10 ANNI (MA PASSA INOSSERVATO) - su Utopia21, maggio 2022 https://drive.google.com/file/d/1BBIzX56j7zfpCfH_W6aYVJFLUPrvFjGK/view?usp=sharing

4.    Aldo Vecchi – RAPPORTO ISTAT 2023 – su UTOPIA21 – settembre 2023 - https://drive.google.com/file/d/1XjphhU6J7_Ngh3rEf56doFTW1AGpxfWB/view?usp=drive_link 

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