lunedì 27 aprile 2015

ESAGERUMA NENTA 5: ABOLIRE IL CARCERE

ABOLIRE IL CARCERE
E’ il titolo di un libro di Luigi Manconi ed altri, con prefazione di Zagrebelski, di cui ho letto ed apprezzato recensioni e riassunti e di cui condivido le “ragionevoli proposte per la sicurezza dei cittadini”, in realtà molto articolate e “riformiste”, non fondamentaliste ed utopistiche.
Non capisco perché intitolarlo così, senza un punto interrogativo.
L’iperbole giova alle vendite del libro?
Giova ad un sereno confronto ed alla convinzione degli incerti?

Oppure no? 

ESAGERUMA NENTA 4: SCAFISTI-SCHIAVISTI

SCAFISTI-SCHIAVISTI (Matteo Renzi e coro).
L’identificazione degli scafisti come moderni schiavisti, utile per propagandare limitate iniziative dissuasive contro il contrabbando di profughi e migranti (in concorrenza ai più sbrigativi xenofobi che bombarderebbero i barconi carichi di umani), senza impegnarsi per affrontare a fondo le emergenze umanitarie (anzi aggravandole, nel breve termine, sulle sponde libiche) mi sembra profondamente sbagliata, come già rilevato da numerosi  osservatori (tra cui Romano Prodi, Mario Deaglio, e – mi pare – anche il Papa e Ban Ki Moon).
Infatti i soggetti criminali che – con vari livelli di organizzazione – sfruttano il desiderio di fuga di migliaia di persone da situazioni di guerra, oppressione o anche solo miseria, non li comprano né li vendono, ma “si limitano” a privarli temporaneamente della libertà promettendogli l’auspicato sbarco sulle coste o sulle navi europee: l’antico e sporco lavoro del “passatore”, raramente cortese.
Mentre, purtroppo, esistono veramente i “moderni schiavisti”, talvolta nelle pieghe dell’immigrazione (ad esempio nello sfruttamento della prostituzione), ma non solo, sia ai margini delle nostre fiorenti metropoli, sia nei mercati del lavoro del terzo mondo, urbani e rurali, con la sottrazione permanente della libertà di donne, bambini ed altri soggetti deboli, in parte con la odiosa copertura ideologica della religione (vedi le fondate ipotesi sulle studentesse nigeriane rapite da Boko Haram ed altre intraprese dei Califfati) ed in altri casi con ramificate complicità fin dentro i consigli di amministrazione di rispettabili compagnie multinazionali (vedi operaie del Bangladesh)
Aggredendo i veri schiavisti si potrebbe affrontare la schiavitù; aggredendo scafi e scafisti si riuscirà solo a deviare la corrente migratoria su altri percorsi (speriamo con meno rischi di morte per mare).

CONTRO I TOTALITARISMI: POSSIBILMENTE NESSUNO ESCLUSO

Nell’ambito della trasmissione televisiva condotta da Fabio Fazio per il 25 Aprile, Roberto Saviano ha raccontato la epica storia dell’armata polacca a fianco degli anglo-americani, decisiva a Montecassino, e ne ha descritto le tragiche origini nello stritolamento della Polonia tra i totalitarismi (e gli stermini) di Hitler e Stalin a partire dal 1939.
Tutto vero, però mi sembra doveroso rammentare che quanto a totalitarismo si era distinto anche il regime polacco di Pilduski e dei suoi successori, tra il 1926 ed il 1939, espliciti imitatori di Mussolini.
Anni difficili, e colpe che non ricadono sui singoli militari ed ufficiali polacchi, generosamente impegnati contro il comune nemico tedesco; però l’orizzonte politico-culturale dell’armata polacca era quello del nazionalismo polacco (schiacciato da Terzo Reich ed URSS, ma a sua volta non troppo tenero con le minoranze ucraine e lituane) e non certo quello dell’”anti-totalitarismo”. 


sabato 4 aprile 2015

ESAGERUMA NENTA

ESAGERUMA NENTA* 1 - LANDINI

Su molte cose potrei essere d’accordo con Landini, ma non quando dimentica il principio di realtà.

– “Il governo Renzi non ha il consenso di chi lavora”; se fosse vero, sarebbe interessante capire verso chi si esprime allora il consenso dei lavoratori: poiché per fortuna i posti di lavoro in Italia sono ancora svariati milioni, molto più degli elettori effettivi e potenziali di SEL e altri partitini di estrema sinistra, e pur considerando che il raggruppamento elettorale più consistente è ormai quello degli astenuti, si deve ipotizzare che i lavoratori che  apprezzano Grillo, Berlusconi o Salvini, certamente numerosi, siano ormai maggioranza, mentre a sostenere il PD dovrebbero affollarsi masse di persone che “non lavorano”.
C’è qualcosa che non mi torna.   

- “Il governo Renzi è peggio di quello di Berlusconi”: è vero che sui licenziamenti Renzi è riuscito dove Berlusconi era stato invece fermato, ma il giudizio su un governo non può che essere complessivo, e personalmente, pur essendo di frequente critico del Renzismo, non riesco a dimenticare ciò che i governi di Berlusconi hanno tentato ed attuato su tutti i fronti dell’azione politica, e non sto ad enumerare.
Non vorrei scomodare la teoria del “social-fascismo” ai tempi della 3^ Internazionale (che così dipingeva la socialdemocrazia in una fase cupa della storia d’Europa), ma qualcosa dovrebbe aver insegnato almeno la brillante caduta del primo governo Prodi a cura di Bertinotti (e Vendola ecc. - e D’Alema, seppur non ancora viticultore?).

Sconfiggere il Renzismo da sinistra, sulla scorta di un potenziale lavoro capillare e duraturo di una “coalizione sociale” mi sembra un eccellente proposito; agitare esagerazioni propagandistiche invece no (in compenso può giovare indirettamente a Grillo, a Salvini, o addirittura a Berlusconi, riabilitato dalle stesse esagerazioni propagandistiche di Landini&C.).

*espressione dialettale piemontese che si traduce “non esageriamo”, ma è molto più plastica del corrispondente italiano (così come le analoghe espressioni lombardo-novaresi, che non so bene come si scrivano); legittimata letterariamente da padre Enzo Bianchi, che la rammenta usata dal padre suo (“il pane di ieri”, Einaudi 2008, pag. 10).


ESAGERUMA NENTA 2 - POLETTI

Anche nel ministro Poletti, pur nel suo eloquio padano-tranquillizzante, ho riscontrato di recente una fastidiosa esagerazione, nell’attribuire alle “ricette della CGIL” tutto il mancato sviluppo dell’occupazione negli ultimi decenni.
Mi sembra corretto attribuire soprattutto alla CGIL (cui mi onoro di essere iscritto dal 1975, non se nza manifestare qualche mia critica) il merito o demerito di avere fin qui difeso in qualche misura il principio del divieto di licenziamento senza giusta causa.
Ma tutto il resto della politica economica italiana di questo secolo, tranne in parte il biennio 2006-2008 (con al governo Prodi, Damiano e Padoa Schioppa), è stato deciso da ben altri soggetti, da Tremonti a Monti (oppure dettato da Europa BCE e FMI), e senza neppure troppa formale concertazione (almeno non con la CGIL).


ESAGERUMA NENTA 3 - MONTANARI

Il professor Tomaso Montanari, storico dell’arte e difensore del paesaggio, ha aperto una vincente campagna di stampa contro la recente legge regionale dell’Umbria sul territorio (approvazione del piano strategico territoriale), che ha forse influito sulla decisione del governo, attraverso il ministro Franceschini, di impugnare tale normativa regionale davanti alla Corte Costituzionale, perché l’art. 1 subordina la pianificazione paesaggistica alla pianificazione territoriale.

Non conosco il piano regionale umbro: suppongo che si occupi anche del paesaggio, forse da un punto di vista forse alquanto “sviluppista” e comunque localista, in contrapposizione a vincoli amministrati dalle Sovrintendenze.

La Corte dovrà pronunciarsi in termini giuridici, verificando la delimitazione tra competenze statali e competenze regionali su una problematica complessa, perché talvolta “territorio” vuol dire “democrazia” e invece “paesaggio” può equivalere a “burocrazia” (anche se la Convenzione Europea spinge verso un paesaggismo meno vincolistico ed il più possibile partecipato dalla popolazione), e l’equilibrio tra le diverse istanze richiede ponderazione. 

In questo confronto molto importante sulle fonti della pianificazione  e sulla difficile evoluzione verso una consapevole tutela delle risorse naturali, non capisco la titolazione strillata da Montanari su Repubblica: “no ad un condono preventivo”.
Che c’entra il concetto di “condono”?
Il  conflitto sulla legge umbra riguarda diversi principi della pianificazione (tutela/sviluppo; territorio/paesaggio; federalismo/centralismo), un terreno di scontro dove comunque la pianificazione rimane tale: piano-a-priori (può essere un piano giusto o sbagliato, ma è sempre la definizione preventiva di possibili trasformazioni del suolo decisa dai pubblici poteri)  e non condono-a-posteriori (ovvero la rincorsa alla legalizzazione postuma di scelte privatistiche in contrasto con le normative).

Gridare al “condono” aiuta a tutelare effettivamente il paesaggio?

Oppure solo a candidare Montanari ad un ruolo da Sgarbi-di-sinistra?

mercoledì 25 marzo 2015

ARROGANZA

I giudizi di D’Alema sull’arroganza (quanto meno politica) di Renzi, non mi sembrano sbagliati, e penso che sia sufficiente a tal fine rammentare la liquidazione di Enrico Letta e la indifferenza ai ragionevoli emendamenti promossi da Damiano sul tema dei licenziamenti, benché approvati dalla stessa direzione del PD e dalla Commissione Parlamentare consultiva sul “job act”.
A moltissimi (me compreso) invece è apparso incongruo che ad esprimerli fosse proprio D’Alema, maestro di equivalente, sebbene diversa, supponenza politica (bicamerale, Kossovo, abbandono di Prodi) e soprattutto umana: anche se l’intervento di D’Alema forse non era inutile al suo uditorio, perché tra le correnti non-Renziane del PD una adeguata consapevolezza dei pericoli della real-politik renziana è alquanto flebile, e certamente è mancata all’ultimo congresso, quando a contrapporsi (per così dire) furono separatamente Cuperlo e Civati (più Pittella) e non un serio ed unico fronte alternativo.

Tra i più avversi a D’Alema, pur condividendone le valutazioni su Renzi, sono risultati Fassina (che promuove ora una tardiva rottamazione/bis per i vertici storici della sinistra PD) e lo stesso Cuperlo, che ha alzato il tiro sulla necessità di una più ampia auto-critica sulle carenze strategiche del socialismo europeo.
Su tale auto-critica concordo largamente da tempo, ma se fossi in Cuperlo abbasserei anche il tiro dell’auto-critica alla sostanza sociale e antropologica della cosiddetta “ditta”, cioè alla praticaccia largamente opportunista (quando non lesiva del codice penale, come solo le inchieste giudiziarie e i processi potranno verificare per i vari Penati, Bargone. Lorenzetti, Mussari, Consorte) di consistenti quote del vecchio partito (non solo di origine PCI, ma di certo molto PCI), misurabile anche nelle scorrettezze alle primarie di parte degli stessi candidati “cuperliani”, rimasti tali o divenuti renziani di complemento.
Controprova di questa pochezza è la perdurante assenza di iniziativa politica e sociale della sinistra PD, al di fuori delle aule parlamentari e delle riunioni di corrente: ad esempio nessuno ha tentato di coinvolgere i non-iscritti su battaglie fattibili, come quella sul fu art. 18 o sulle riforme di legge elettorale e Costituzione; il che rende spuntata (per mancanza di consenso) anche l’arma letale di un potenziale voto contrario al Senato su tali riforme.
L’impressione, da tempo, è quella di un ceto politico auto-referenziale, staccato dai bisogni e dal linguaggio delle persone comuni, ed incapace anche di inchiesta verso la stessa “base” del partito: a parte Fabrizio Barca, chi si occupa anche di una elementare “sociologia del partito”?


NON VIOLENZA 1975-2015

Mi sembra interessante la posizione pacifista di Guido Viale (su Huffington Post, in replica ad un articolo di Gad Lerner su Repubblica, considerato un po’ guerrafondaio verso il Califfato Islamico), e condivido gran parte del suo testo (cui rimando per una comprensione di insieme), tra cui la seguente conclusione: Gli interventi militari possono anche giustificarsi: le popolazioni esposte alle guerre spesso li invocano. Ma senza lotta contro discriminazioni e cultura patriarcale, senza fermare il traffico di armi, senza vie di uscita diplomatiche, non si fa altro che avvitarsi in un gorgo senza fondo.”, nonché le sue valutazioni sulla centralità della risposta delle donne all’oppressione fondamentalista, e la sua centrale convinzione  che “Ciò da cui siamo minacciati non è l’invasione delle armate dell’Isis, la moltiplicazione dei giovani indotti o costretti a farsi in bombe umane, che possono agire ovunque senza che se ne possano prevenire le mosse, soprattutto perché crescono sempre più spesso proprio tra di noi, nelle situazioni di emarginazione o umiliazione, sia in Europa che nei paesi arabi in quelli islamici dell’ex impero sovietico. ---- Dovremo abituarci a conviverci per molto tempo”.

Mi sembrano infondate invece alcune sue altre asserzioni, complementari, ma assai categoriche, e decisive riguardo alla discussione sul “che fare”:
“Contro quest’arma letale non c’è esercito, né intelligence, né guerra, né “missione umanitaria”, né “repulisti etnico” che abbia possibilità di successo.”
Per parte mia, invece, vorrei sperare che almeno l’intelligence possa servire a qualcosa, e anche la guerra, nel senso, almeno, che se in Africa e Medio Oriente il Califfato si dimostrasse invincibile, anche la baldanza degli attentatori oltre le linee del fronte aumenterebbe alquanto.
“Interventi di polizia internazionale ne abbiamo visti tanti e ogni volta hanno lasciato una situazione peggiore di quella precedente, sia per l’ordine internazionale, sia per le popolazioni che ne sono state vittime.”
Anche di questo non sono convinto, dal confine Libano/Israele a parte dei faticosi e contradditori interventi dell’ONU in ex-Jugoslavia, dove ad esempio Srebrenica fu un disastro per mancato intervento e non per eccesso di intervento.


Ancora sulle divergenze tra il compagno Viale ed il modesto scrivente: circa quarant’anni or sono, Guido Viale stroncò un mio emendamento “non-violento” alle “Tesi” del 1° Congresso di “Lotta Continua” …

mercoledì 18 marzo 2015

URBANISTICA 152

Con il n° 152 inizia una “nuova serie” della rivista “Urbanistica”, ora diretta da Federico Oliva (già presidente dell’INU), con una nuova redazione, concentrata nel Politecnico di Milano (8 redattori su 11, più i 2 vice-direttori, targati “polimi”) ed un nuovo Comitato Scientifico, di respiro nazionale ed internazionale, non più coincidente con il direttivo nazionale dell’INU. 

La linea dichiarata da Oliva, in discontinuità solo parziale rispetto alle precedenti serie, è orientata a studiare, più che i piani urbanistici, la realtà della città italiana ed europea, con accento in particolare:
-          al territorio “metropolizzato”, “una città porosa e discontinua”, i cui vuoti non sono da candidare ad automatico riempimento,
-          alla condizione sociale frammentata ed alle connesse “nuove forme di ingiustizia spaziale”,
-          alla insostenibilità della “erosione delle risorse ambientali fondamentali”.

I contenuti del n° 152 spaziano dalle riflessioni sulla specificità europea e sulle fatiche e debolezze della pianificazione urbana a scala europea (interessante il saggio di Fabrizio Barca sul riformismo possibile in alternativa alla rassegnazione e rincorsa del mercato) alla attenzione prioritaria ai “tessuti ordinari” della città, con un focus su Milano (e una inedita rivalutazione del “Piano Beruto” di fine ‘800), le grandi trasformazioni in sospeso e l’aggiustamento del PGT a cura della Giunta Pisapia; in appendice utili considerazioni sui risultati dei censimenti ISTAT 2011 da parte di Giuseppe Roma (CENSIS – sui nuovi bisogni sociali), Giuseppe Campos Venuti (INU – sul patrimonio edilizio residenziale obsoleto) e Claudio De Albertis (ANCE – sulla crisi del settore produttivo edilizio).

Mi sono riconosciuto molto nelle tematiche della “città ordinaria” e della manutenzione (già cara a Bernardo Secchi), in alternativa ai grandi interventi ed alle architetture strillate, ed in particolare nella “finestra” dell’Assessora del Comune di Trieste, Elena Marchigiani, “Goccia dopo goccia: da Trieste cronache di manutenzione della città” ho scoperto quanto siano oggi all’avanguardia esperienze simili a cui ebbi occasione di contribuire, ma già negli anni ’80, come la formazione di orti urbani e l’autogestione degli spazi pubblici da parte di organismi di quartiere; mentre invidio a Trieste la fortuna di convincere i commercianti di aree attigue alle isole pedonali a chiederne l’estensione (tuttavia nemmeno la attuale Giunta di destra del mio paese si sognerebbe di ridurre quel poco che si riuscì a strappare pezzo dopo pezzo).

Ho trovato condivisibili anche i servizi sulle correzioni di Pisapia&C. al PGT di Milano (e soprattutto sullo sforzo di ricucitura delle grandi e piccole trasformazioni in sospeso): mi pare però che gli articoli sul PGT eludano un giudizio su quel che resta – e non è poco – della impostazione originaria del PGT stesso, e cioè:
-          il carattere “liquido” della perequazione fondiaria, con i diritti di edificabilità che – almeno in teoria – decollano senza atterrare immediatamente in nessun luogo di “atterraggio”, bensì aleggiano nella “borsa” (inflazionistica?) dei diritti vaganti;
-          la mixitè funzionale tra le diverse destinazioni d’uso ancora largamente indefinita ed affidata al mercato;

aspetti che forse potrebbero essere già misurati nei loro concreti effetti.