domenica 24 luglio 2016

PANARARI E L'ISLAMO-FASCISMO

Su “La Stampa” del 20 luglio, Massimiliano Panerari, commentatore abitualmente acuto, ma forse con troppa ambizione di sembrare brillante, indossa i panni delle “scienze sociali” proponendo per l’ISIS la definizione di “islamo-fascismo”, fondata su un serie di analogie con il nazifascismo europeo tra le due guerre mondiali, analogie che così riassumo:
- rigetto della modernità illuminista, ma utilizzo del suo portato tecnologico
- totalitarismo ed aggressività geo-politica
- esaltazione della violenza, della morte e della “bella morte” degli eroi
- disprezzo per l’arte (degenerata)
- simbologia funerea (con predilezione per il colore nero).

Non so quanto aiuti questa definizione per comprendere e combattere lo Stato Islamico, ma non sono per nulla convinto della bontà di gran parte delle analogie proposte:
-          in società dove l’illuminismo era nato e si era sviluppato nel quadro di una più ampia secolarizzazione, il nazi-fascismo europeo è maturato come contrapposizione alla corrente laica (ma anche neo-religiosa) del social-comunismo, estrema incarnazione del giacobinismo: la reinvenzione di ascendenze religiose pre-cristiane da parte del solo nazismo tedesco fu una operazione piuttosto artificiosa, anche se non marginale; il fondamentalismo islamico invece affonda le sue radici nella continuità di una  religione tradizionale, che ha pure attraversato fasi di tolleranza, ma senza misurarsi con la moderna laicità se non nelle forme, non sempre gradevoli, importate dal colonialismo europeo: e questo purtroppo  è un suo specifico duplice punto di forza (la radicalità di una religione comune a popoli solo recentemente de-colonizzati)
-          la “bella morte” degli eroi di stampo dannunziano è una sorta di sfida, che il super-uomo spera di evitare, mentre per i fondamentalisti islamici il martirio suicida è proclamato in quanto tale, proprio per la sua natura religiosa ultraterrena (il paradiso per il  martire, con le numerose vergini a perenne sollazzo, ecc.);
-          il nazismo era contro l’arte “degenerata”, ma santificava il classicismo  ed il romanticismo rurale (il fascismo era assai più eclettico), mentre il fondamentalismo islamico mi pare che estenda all’arte unicamente criteri di intolleranza religiosa;
-          (le camicie hitleriane erano brune e non nere).
Resta in piedi la categoria del “totalitarismo aggressivo”: la vedrei bene come definizione comune al nazi-fascismo ed al fondamentalismo islamico (ma anche ad altri fenomeni storici, da Gengis Khan a Stalin, senza trascurare, ad esempio, Filippo II di Spagna), più utile di quella proposta da Panarari. 


   

domenica 10 luglio 2016

ERMANNO VITALE: UN ILLUMINISTA CONTRO IL BENE-COMUNISMO

Il volumetto “CONTRO I BENI COMUNI – UNA CRITICA ILUMINISTA” di Ermanno Vitale (filosofo/giurista allievo di Norberto Bobbio) – Editori Laterza 2013 pagg. 124 – costituisce una sorta di contro-proclama rispetto a “BENI COMUNI - UN MANIFESTO” di Ugo Mattei (Laterza 2011) e più in generale contro la pubblicistica e le posizioni dei “bene-comunisti”, la cui radice ideologica Vitale ravvisa soprattutto nel Toni Negri (con Michel Hardt) di “Impero” “Moltitudine” e soprattutto di “Comune. Oltre il privato e il pubblico” (Rizzoli 2010).
Se la polemica Vitale/Mattei risulta un po’ datata al 2011/2013, con il rilievo che il vittorioso referendum sull’acqua conferì al “bene-comunismo”, ed il tentativo politico di A.L.B.A. (Alleanza Lavoro BeniComuni Ambiente), poi confluito (con poco successo) nella lista “L’altra Europa con Tsipras”, la tematica mi sembra comunque attuale, perché la bandiera dei “BeniComuni” è talora sollevata da movimenti di lotta ed occupazione, più o meno antagonistici, e perché alcuni argomenti sopravvivono un po’ confusamente nella non-ideologia del Movimento5Stelle (di cui non a caso Mattei si è dichiarato sostenitore alle recenti elezioni comunali di Torino).
Il testo è molto chiaro e molto denso, per cui mi è difficile riassumerlo puntualmente e con altrettanta efficacia: comunque ci provo.
Il professor Vitale sottopone a stringente critica “Un Manifesto” di Mattei, pur imbattendosi in difficoltà linguistiche e concettuali, perché il pensiero “olistico” dei beni comuni tende strutturalmente a sfuggire alla logica giuridica e filosofica di stampo illuministico, rifiutando già la distinzione tra soggetto ed oggetto ed attribuendo priorità invece alle relazioni circolari: talché è difficile delimitare il campo degli stessi “beni comuni”, che possono essere materiali (come la famosa acqua, l’aria, il cibo), oppure immateriali, come la rete, il sapere, fino - immagino – alla “felicità”, anche se la loro qualità politica, da conquistare, è quella di differenziarsi sia dai “beni privati” che dai “beni pubblici”, gestiti dall’esecrato “Stato” (e dai partiti che lo hanno lottizzato).
Ancor più sfuggente risulta la prosa assai dialettica e letteraria di Negri&Hardt, dove, rileva Vitale, “comune” è ad un certo punto “la città” ed in altro punto “la natura”, per cui per proprietà transitiva città e natura sarebbero uguali, mentre l’insofferenza delle “moltitudini” può generare indifferentemente riforme o rivoluzioni.
Vitale preliminarmente cerca di smontare l’ascendenza del bene-comunismo nel pensiero di Elinor Ostrom, premio Nobel 2009 per l’economia (e in particolare per i suoi studi sui beni comuni), perché la Ostrom, secondo Vitale, ha ben evidenziato il carattere particolare (e non generalizzabile) delle esperienze di autogestione di beni comuni e soprattutto la non-universalità dei beneficiari e quindi la tendenziale presenza di fenomeni di esclusione (parimenti Vitale contesta la visione di Garret Hardin come effettivo nemico del bene-comunismo); inoltre approfondisce la questione storica delle “enclosures”, le recinzioni che misero fine ai pascoli e boschi comuni nell’Inghilterra tardo-medioevale, evidenziando come non vi fosse alcun egualitarismo tra i titolari dei precedenti diritti, bensì feroci differenze di potere e di reddito, in un quadro complessivo di bassa produttività agricola, e quindi di miseria per i più poveri. preoccupandosi soprattutto di evidenziare che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista non coincidono con la difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.



Contro la mitologia nostalgica delle comunanze medioevali, Vitale schiera anche Marx ed Engels, sia per le specifiche affermazioni sulle “enclosures”, sia per la visione complessiva della borghesia come classe emancipatrice e disvelatrice dello sfruttamento di classe (prima occultato dalle ideologie religiose e corporative dell’ancien regime) nonché Stefano Rodotà, giurista interessato all’evoluzione ed estensione dei diritti di accesso universale ai beni fondamentali della persona ed anche alla articolazione costituzionale tra beni pubblici e beni comuni (con sana diffidenza verso le nebulose descrizioni dei nuovi beni immateriali) , ma comunque preoccupato sia di prevenire tendenze alla esclusione di soggetti deboli nella fruizione di specifici beni (che anche a mio avviso è il limite delle pratiche di occupazione, se vanno oltre la fase di una lotta dimostrativa) sia di garantire la titolarità individuale dei diritti.
Vitale riporta anche, traendoli da articoli su “Il Manifesto” nel 2012, severi giudizi contro il bene-comunismo da posizioni marxiste o post-marxiste, quali quelle di Rossana Rossanda, Alberto Asor Rosa e dello stesso Guido Viale, che in sostanza vedono nella concezione comunitaria di Mattei&C.un sostanziale interclassismo, che nasconde nell’apoteosi della riappropriazione locale dei beni-comuni i conflitti tra i diversi soggetti sociali
Per parte sua Vitale (ricostruendo in breve la storia del pensiero giuridico, politico e filosofico dell’Occidente da Platone e Aristotele a Norberto Bobbio, attraverso Giustiniano, Hobbes, Locke e Rousseau ecc.) è soprattutto interessato a denunciare i pericoli di derive plebiscitarie e autoritarie che si nascondono dietro le pratiche di comunanza uomo-natura, di assemblearismo unanimista e di democrazia partecipata (sia in chiave riformista che in chiave rivoluzionaria), in danno alle prerogative inalienabili dell’individuo, che a suo avviso possono essere comunque la base per un solidarismo progressista, occupandosi soprattutto di evidenziare che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista (ad esempio come ridefiniti dal giurista Luigi Ferrajoli) non coincidono con la difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.
In tal senso sviluppa la seconda parte del volume, che qui non sto a riassumere né a commentare, perché costituisce – nei suoi termini descrittivi – una esplicita parafrasi di “Finanz-Capitalismo” di Luciano Gallino (Einaudi 2011 - già da me recensito e apprezzato), affiancata da alcune indicazioni operative sul “che fare”, cui mancano però, a mio avviso, le gambe su cui camminare, e cioè l’individuazione dei possibili soggetti sociali e politici – nel 2013 come nel 2016 - di una forma così avanzata di riformismo radicale.
Non molto corretto mi pare il tentativo di Vitale di isolare l’Illuminismo (ed il pensiero analitico/speculativo occidentale) della colpe coloniali dell’Occidente, mentre riserva agli avversari l’opposto trattamento di verificarne la prassi, sia riguardo alla persona di Mattei ed al bene-comunismo italiano, sia riguardo agli esiti di alcune esperienze sud-americane di democrazia partecipativa (Porto Alegre) e di costituzionalismo olistico-ambientalista (la Pacha-Mama e le costituzioni di Ecuador e Bolivia).
&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&

Nell’insieme condivido la necessità di un approccio critico alle forme totalitarie che assumono le nuove proposizioni di democrazia diretta e partecipata, se contrapposte ai diritti costituzionali, ma rimango interessato (come Rodotà) alle possibili evoluzioni che possono indicare, nel costume e nel diritto, intendendole come sperimentazioni oltre i limiti oggi assai palesi della democrazia rappresentativa e della società capitalista post-fordista.   

sabato 9 luglio 2016

AGGIORNAMENTO 2016 DELLA RICERCA "TRA-I-LAGHI" - DEMOGRAFIA




AGGIORNAMENTO 2016 - DEMOGRAFIA
Con riferimento alla ricerca “tra-i-laghi”, abbiamo ritenuto sviluppare un piccolo aggiornamento sui dati demografici, aggiungendo il confronto tra la popolazione residente a fine 2015 (01 gennaio 2016) e quella di fine 2014, sempre applicato ai comuni di Agenda 21 Laghi e dei territori già assunti come riferimento, confermando tutti i criteri metodologici della più ampia ricerca pubblicata nello scorso autunno.
Il calo della popolazione a livello nazionale nel corso del 2015, già preannunciato in corso d’anno e recentemente confermato dall’ISTAT con i dati analitici ufficiali, ha suscitato un ampio dibattito, sia tra gli specialisti che nella pubblica opinione, per i suoi diversi aspetti, che qui brevemente rievochiamo:
-          la diminuzione del numero dei residenti di nazionalità italiana, non più compensato dagli stranieri, che sono aumentati in misura assai ridotta, in un quadro complessivo di aumento delle emigrazioni (sia di italiani che di stranieri)
-          i connessi fenomeni di calo delle nascite ed invecchiamento della popolazione, affiancato nel 2015 da un inedito aumento della mortalità (senile).  
Anche per la nostra area-studio di 23 comuni (di cui 16 allora inclusi in Agenda 21 laghi) il 2015 rappresenta un anno di svolta verso una tendenza alla diminuzione della popolazione, dopo il decennio 2001-2011 di generalizzato e vivace aumento (in media dell’1% annuo) ed un periodo di transizione (2012-2014) con dati alterni nei singoli comuni, ma comunque con esito finale positivo per l’area in esame (+ 0,8%).
La diminuzione complessiva nell’area è di circa 600 abitanti, su 86.000, pari allo 0,7%, (vedi tabella 1) superiore quindi alla diminuzione media nazionale, che è solo dello 0,2%, ed a fronte di una situazione ancora positiva per l’intera Lombardia (+0,06%) e soprattutto per il comune di Milano (+0,6%), e quasi stazionaria invece per la Provincia e per il comune di Varese (che perdono solo lo 0,02% e lo 0,07%); tra i Comuni esterni considerati, solo Somma Lombardo mantiene un saldo positivo (0,2%).
Di questi 600 abitanti perduti, circa 400 derivano dal saldo naturale negativo (numero dei morti superiore ai nati) e circa 200 dal saldo migratorio con l’estero negativo (emigrati e cancellati superiore al numero degli immigrati); raffrontando questi saldi con gli analoghi dati per l’anno 2013, il saldo naturale era già negativo, ma per sole 150 persone, mentre quello migratorio risultava positivo per oltre 850 unità.
Si delinea quindi uno specifico allarme sulla salute demografica (e socioeconomica?) dell’area, tornata alla popolazione totale del 2012, e variamente declinata tra i diversi comuni, con alcune residue punte positive (Comabbio con +3%, e poi Ranco, Ternate, Sangiano e Bardello) ed alcune zone di maggior cedimento, come Monvalle (-3%), ma anche Vergiate, Mercallo, Cadrezzate, Biandronno, Brebbia e Leggiuno, tutte diminuite di più dell’1%, come meglio specificato nella tabelle e nella tavolette che saranno pubblicate sul sito www.agenda21laghi.it
Sesto Calende, giugno 2016
Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi 

giovedì 7 luglio 2016

DOVE VA IL PD (a sbattere? come sostiene il gufo Bersani?)


Dice Renzi alla minoranza: se volete cambiare linea e/o segretario chiedete e vincete un congresso.

L’ultimo congresso è dell’inverno 2013-2014, quando Renzi vinse le primarie con 3 milioni di votanti:

oggi il PD fatica a raccogliere 500 mila firme a sostegno del SI al referendum confermativo sulla riforma costituzionale;

nel 2014 il PD vinse le europee doppiando il M5S 40% contro 20%; oggi ha perso 19 ballottaggi su 20 contro il M5S, con percentuali spesso assai severe, comprese Torino e Roma;

i sondaggi danno PD e M5S appaiati attorno al 30% al primo turno e il M5S vincente al ballottaggio.



Praticamente Renzi dice al PD che tutte le riunioni della Direzione ed ogni altro dibattito interno sono inutili, perché – anche se la situazione è notevolmente cambiata -  non si corregge comunque la linea politica senza un congresso (e finché le componenti della maggioranza renziana votano compatte in suo sostegno: ma con le sconfitte si iniziano a sentire diversi scricchiolii).

I temi su cui non solo le correnti della sinistra interna al PD, ma anche esponenti della maggioranza ed autorevoli personalità (tra cui Prodi) e commentatori hanno invano chiesto o suggerito correzioni di rotta a Renzi sono essenzialmente 3:

-          La legge elettorale Italicum (che comunque andrà presto al vaglio della Corte Costituzionale per ricorsi pendenti su misura del premio alla lista vincente e su capilista bloccati, oltre che per previsione della legge Boschi, se questa verrà confermata dal referendum): per Renzi è difficile accogliere la richiesta (fatta propria anche da Franceschini) di tornare al premio alle coalizioni (che a Renzi non piace e che figura ora come “sottrazione di potenziale vittoria” ai danni del M5S), ma potrà esservi costretto da quel che resta del Centro Alfaniano (anello debole del sistema politico, ulteriormente indebolito dalle ultime inchieste giudiziarie, da cui per altro possono scaturire anche più rapide crisi di governo, foriere di governi tecnici o balneari);

-          L’asse delle politiche sociali su lavoro, fisco, pensioni, povertà, periferie, su cui Renzi insiste con le proprie “narrazioni” (tipo “il job act è la cosa più di sinistra, dopo Marchionne”), senza rendersi conto che – giusta o sbagliata che sia la linea del Governo (e a mio avviso è piuttosto sbagliata) – sono proprio le sue “narrazioni” che attualmente convincono assai poco (e non ritengo per colpa delle debolissime “correnti” della sinistra dem);

-          Il ruolo, gli assetti organizzativi e – in molti territori - l’immagine concreta del Partito: è comprensibile che Renzi non voglia mollare sul principio del cumulo di incarichi Premier/Segretario e neppure sul ritorno agli “uffici politici” (anche se il M5S nella sua ancor breve esperienza insegna che litigare in segrete stanze – non sappiamo nemmeno quali - senza l’ombra di “diretta in streaming”, può premiare di più che scannarsi pubblicamente nella Direzione o nella Assemblea Nazionale); ma va anche oltre il concetto di arroganza il non mutare nulla, nemmeno in quella Segreteria che una volta Renzi riuniva alacremente alle 6.30 del mattino, e che – dopo la conquista di Palazzo Chigi – ha cessato sia di produrre linea politica (dove sono finite le consultazioni di massa su scuola e lavoro promesse nella mozione Renzi?), sia di pensare una qualsivoglia forma di riorganizzazione del PD (solida, liquida, gassosa che possa essere: vedi dimissioni di Fabrizio Barca da una inutile commissione di pensatori), sia addirittura di proseguire la famosa “rottamazione”, ovvero promuovendo sul territorio giovani quadri, ancorché Renziani, invece di limitarsi a riciclare vecchi notabili, più o meno vincenti (Paita, DeLuca, Sala, ecc.).

Una realistica riflessione su questi temi, anziché il sordo “Tiremm innanz”, avrebbe potuto aiutare il PD anche nella difficile contesa sul prossimo referendum costituzionale, la cui possibile vittoria non toglierebbe comunque il PD dalle secche su cui il Renzismo lo sta trascinando.

giovedì 23 giugno 2016

DOPO I BALLOTTAGGI

Che il M5Stelle vincesse 19 ballottaggi su 19 contro il PD, raccogliendo su larga scala anche consensi da destra, al di là degli inviti di Salvini (senza contraccambiare più di tanto), non lo avevo previsto.
(Pur avendo percorso, da turista, il tragitto tramviario del 4 dalla periferia di Torino al centro e ritorno, come ora fanno i giornalisti, ed essermi meravigliato non tanto delle variazioni multietniche e sociali, ma del degrado degli spazi pubblici presso il parcheggio di interscambio all’uscita dell’autostrada Milano-Torino, mancanza di biglietterie tramviarie, vandalizzazione del punto informativo della Fu-Sindone: ho solo pensato che avrei continuato a raggiungere il centro di Torino in auto, e non che Fassino stava per perdere le elezioni).
Per il resto ho l’impressione invece che si stiano avverando tutte le previsioni*, mie e di molti “Gufi” malcontenti del renzismo, ma  - in questo momento n cui cresce quasi universalmente il livore anti-renziano (anche da parte di molti che l’avevano omaggiato, e inutilmente da parte chi già lo esecrava) - mi sembra superfluo ripetermi, e preferisco limitarmi, come utile riepilogo dei temi principali, ad allegare integralmente – per chi non l’avesse letta – la chiarissima intervista di Repubblica a Romano Prodi (su cui dissento solo a proposito di una individuazione un po’ generica della “classe media”), che rappresenta anche – a ragion di crisi nel contempo maturata – una compiuta correzione di rotta rispetto a taluni aspetti della politica economica e sociale degli ormai lontani governi Prodiani.
Anche D ’Alema denuncia alcune verità sull’attuale condizione e conduzione del PD, ma dette da lui suonano meno vere, perché mai preceduta dalle necessarie autocritiche riguardo alla sua conduzione della sinistra e dalla condizione in cui il suo gruppo dirigente l’ha lasciata.
Non so se Prodi avrà ascolto e se sia ancora possibile a breve termine una ricostruzione di un decente polo di centro-sinistra (e più a lungo termine di una sinistra adeguata ai tempi), però non credo che si debbano dare per scontate né la sconfitta del referendum costituzionale, né la marcia trionfale del M5Stelle (che ora  deve cimentarsi non solo con il governo vero di vere metropoli, ma anche con qualcuna delle sue contraddizioni politico-culturali di fondo), né ancora il tramonto politico delle destre, perché molti voti per il M5S ai ballottaggi sono intrinsecamente volatili, e la situazione mondiale nient’affatto stabile.


NOTA: * ad esempio: sulla disaffezione degli elettori verso la linea politica del PD e verso l’arroganza del Leader, sulla latitanza del PD nei territori, sull’evanescenza delle alternative di sinistra interne ed interne al PD, sull’interdipendenza tra amministrative e referendum.


INTERVISTA DI “REPUBBLICA” A PRODI – 21 GIUGNO 2016

"Cambiare politiche, non solo politici. Se non cambiano le politiche, il politico cambiato si logora anche in due anni". Quasi uno scioglilingua, ma condito con un sorriso ammiccante. Dal suo ufficio di Bologna Romano Prodi, padre fondatore del Pd in ritiro politico, osserva le elezioni di domenica, le maggiori città del paese governate da partiti che non esistevano fino a pochi anni fa, e manda un messaggio a Palazzo Chigi.
Esplode il mappamondo politico. Cosa sta succedendo?
"Non basta guardare il voto di questa o di quella città. C'è un'ondata mondiale, partita in Francia, ora in America. Lo chiamano populismo perché pur nell'indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l'insicurezza economica, la paura sociale e identitaria".
I populismi sono figli solamente di una crisi di paura?
"La paura di non farcela è tremenda ma non immaginaria. La chiami iniqua distribuzione del reddito, ma per capirci è ingiustizia crescente. Quando chiedo ai direttori di banca: quanti dipendenti avrete fra dieci anni?, mi rispondono: meno della metà. L'iniquità post-Thatcher e post-Reagan si è sommata alla dissoluzione della classe media, terribile tendenza di tutte le economie sviluppate e di mercato, e sotto tutti i regimi".
Cos'è classe media?
"Nel senso più ampio possibile, chiunque avesse una sicurezza anche modesta sulla propria vecchiaia e sul futuro dei figli. Ma il pensionato che diceva orgoglioso "io non ce l'ho fatta, ma mio figlio è laureato", ora non lo dice più. L'ascensore sociale si è bloccato a metà piano e dentro si soffoca".
I Cinquestelle gridano "onestà- onestà", sembra soprattutto una rivolta morale...
"La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga... Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale".
La rabbia poteva avere altri sbocchi politici, non crede?
"Quando il socialismo era all'opposizione appariva come la grande alternativa. Ma cos'è successo poi? Una fortissima omologazione delle politiche, da Clinton alle grandi coalizioni tedesche all'Italia... Non mi faccia dire del "partito della nazione", ma è chiaro che qualcosa del genere è accaduto anche qui".
Una politica uniformata fa nascere i populismi?
"No, lo fa una politica uniformata quando occupa tutto il campo, ma non sa dare soluzioni. Allora la rabbia della gente crea un altro campo. Se il voto diventa liquido, è per questo. Quando tu vedi che solo il centro storico delle città è rimasto ai partiti della sinistra... Vogliamo chiederci perché Trump è odiato a Wall Street e osannato dai metalmeccanici del Michigan? È un leader più europeo di quel che pensiamo, non è semplicemente reazionario ma tocca, certo in modo sbagliato, le paure reali del ceto medo".
Ma anche quando la politica tradizionale dà soluzioni, perde. Piero Fassino amareggiato dice che non basta più governare bene.
"Fassino ha governato bene, nessuno ne dubita, ma chiunque governi oggi viene identificato col potere costituito, ed è un bersaglio. Il gioco è molto più grande di un municipio, il problema è che alle grandi forze politiche nazionali manca un'interpretazione della storia e del presente".
Un problema di questa classe politica di governo?
"Non si tratta di cambiare i politici ma di cambiare politiche. Cambiare i politici è condizione necessaria ma non sufficiente".
Be', i politici di governo li abbiamo cambiati da poco.
"Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d'anni... C'è sempre un'usura, e corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure".
È un Pd de-ideologizzato chenon ha queste risposte?
"Rifiutare le strettoie delle ideologie è diverso dal non avere radici e risposte fortemente orientate. Non abbiamo un Keynes, un progetto per uscire in modo collettivo dalla crisi. Quando governi, devi dare operativamente il messaggio che sai affrontare i problemi, e questo non lo puoi fare senza il coinvolgimento di una forte base popolare nel cambiamento delle politiche. Devi dimostrare di capire e di andare incontro ai problemi. Il rinnovamento per il rinnovamento non è una risposta sufficiente".
C'entra anche la personalizzazione della politica? Paradossalmente, quando Grillo si eclissa i Cinquestelle vincono, mentre il Pd, dove Renzi "pone la fiducia", soffre...
"Di fronte alla crisi la prima risposta è sempre quella della forte personalizzazione, sia da parte dei governi che dei populismi. Ma dura poco, perché la realtà la mette alla prova dei fatti. La gente vota i politici perché spera che cambino le cose, la personalizzazione è un riflesso. Infatti in queste elezioni hanno vinto dei volti sconosciuti. La personalizzazione non regge se non cambia le cose, o non dà almeno la speranza concreta di poterle cambiare".
I trionfatori di queste elezioni vincono perché danno questa speranza?
"Hanno risposte emotive e confuse, semplici motti specifici su angosce specifiche, via gli immigrati, punire le banche, ma neanche una riga che spieghi come potrebbero fare. Ma il loro vantaggio è un altro: sanno adattarsi alle paure. Questi movimenti nascono in genere molto di parte, orientati, partigiani. Hanno un certo successo poi si fermano, perché le loro soluzioni mostrano un limite ideologico. E allora si allargano da destra a sinistra e da sinistra a destra. Marine Le Pen è stata la prima a capire i limiti di un populismo di parte, e ha "ucciso il padre". In quel momento è diventata una potenziale presidente della Repubblica francese. In Italia sta succedendo la stessa cosa".
È il limite che ha cercato di superare Salvini?
"Ma prima di lui è arrivato il Movimento Cinquestelle. Hanno capito per primi che bisogna cavalcare la protesta, non una protesta. Guardi il loro atteggiamento sull'immigrazione: prese di posizione così inafferrabili da poter essere interpretate sia in senso di destra che di sinistra. E dalle analisi che leggo, ha funzionato: prendono voti anche fra gli anziani delle periferie metropolitane, i ceti deboli tra i quali la paura dell'immigrato è più forte".
Professore, lei si tiene lontano dalla politica italiana, ma qui c'è una morale, no?
"Progetto e radicamento popolare. Il cambiamento possibile, fatto entrare nel cuore della gente. Il solo ad averlo capito è papa Francesco"

21^ TRIENNALE

Ho visitato due tra le principali mostre che caratterizzano questa 21^ Triennale, dopo 20 anni di sospensione, e sono rimasto abbastanza perplesso.
W. Women in Italian Design - Design Museum Nona Edizione“ a cura di Silvana Annichiarico, dopo una affascinante ma ambigua sala/gineceo di “pizzi e merletti” (le abilità tessili ovvero il  confino in cui a lungo è stata relegata la donna, non si capisce se rivendicato o da vendicare) espone, meritoriamente, oggetti di design realizzati in Italia da donne negli ultimi 100 anni (e cioè: quasi nulla e per lo più bambole e ninnoli fino agli anni ’50; poco dai ‘50 agli ’80, e spesso esibendo un paio di cognomi, di cui uno maschile; molto solo dopo il 2000), ma senza un raffronto (neanche numerico o riassuntivo) con l’altra (e finora preponderante) metà maschile del cielo, per cui risulta difficile capire il vero peso quantitativo e qualitativo della componente femminile nella storia nazionale del disegno industriale (ad esempio: quante donne  laureate nel settore nei vari anni e quante di loro affermate nella professione?; oppure quali evoluzioni grazie alle donne/progettiste sono emerse nelle tipologie dei prodotti, nelle soluzioni progettuali, nel modo di progettare e di produrre?).
Guardando gli oggetti esposti relativi agli ultimi decenni, e ripensando all’insieme del Museo del Design attualmente collocato alla Villa Reale di Monza (e sempre diretto da Annichiarico), mi sembra di capire che i designers di ambedue i sessi si stiano perdendo nella progettazione di cose inutili, intercambiabili con moda&arte, per clienti ricchi e annoiati, mentre il popolo – me compreso - va all’IKEA (e ci trova cosa in prevalenza utili e spesso ben disegnate, ma all’estero) oppure a Conforama (eccetera) e ci trova cose, sempre abbastanza utili, meno ben disegnate, che costano un po’ meno, e di cui la Triennale comunque non si interessa, anche se riempiono le case degli italiane e delle italiane, e ne condizionano gli stili di vita.
Allettanti, ma di dubbia scientificità, i temi dell’ultima sala, con schemi e test su cervello e percezione maschile/femminile e su e gli embrioni di analisi statistiche su pochi dati numerici relativi alla facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano.
STANZE. Altre filosofie dell’abitare a cura di Beppe Finessi, si compone di due parti:
-          La prima è una ampia ma superficiale carrellata, con una sola foto di una porzione di casa arredata (talora porzioni non significative) per ogni autore, riferita ai progettisti di interni italiani degli ultimi 80 anni   
-          La seconda è una rassegna alquanto delirante di “soluzioni abitative” realizzate specificamente in sito da autori contemporanei, accompagnate da testi ancora più autoreferenziali e deliranti (le “filosofie”), con la sola eccezione di una sorta di “bungalow per studenti”  proposto da Umberto Riva, un vecchio maestro che mostra ancora un ancoraggio con la realtà;
-          vecchio maestro è ormai anche Alessandro Mendini, che ha avuto il merito di svecchiare il clima negli anni ‘70/’80 con spiritose e simpatiche provocazioni, ma non capisco che senso abbia oggi – mentre 70.000 persone vagano senza-casa per le città italiane (e mentre la situazione carceraria continua ad essere più penosa che semplicemente penale) -  annunciare che lui si sente un po’ imprigionato e quindi impiega il suo stand per rappresentare una condizione di invivibilità in stile optical/ossessivo (una stanza a violente bande bianco-nere con feroce illuminazione): abbiamo ancora bisogno di simili provocazioni?
-          mentre Carlo Ratti(e Associati), giovane maestro di smart-city, presenta un mobile assemblaggio di sgabelli imbottiti, comandabile però da remoto smartphone (che utilità può avere, al di là di un single, che a metà serata, programmi di aver piacere al suo rientro di un divano ad una piazza piuttosto che a 2 o più piazze?);
-          l’unica istallazione con un cenno di attenzione alla tematica del cambio climatico e del risparmio energetico, --, si limita a recepire l’esistenza di moderni film fotovoltaici, e li spalma in fasce parallele su pareti esterne totalmente vetrate (che a mio avviso rendono invivibile lo spazio per usi residenziali, mancando ogni controllo su luce esterna e visioni dall’esterno), con dentro un arredo del tutto indifferente a clima/risorse/rinnovabilità.
Capisco e rispetto la libertà di ricerca e di espressione, l’impossibilità di definire confini tra architettura ed altri arti, ecc. ecc. (e anche il peso della progettazione e progettazione di oggetti di lusso nel PIL di Milano, Monza e Brianza) ecc. ecc., ma mi chiedo anche se questa rassegna rappresenta la progettazione di interni in Italia oggi: perché in tal caso significa che nessuno si preoccupa di cosa sta progettando, per chi sta progettando, di quali sono i problemi delle persone comuni, tanto in Italia quanto peggio nei paesi emergenti ed in quelli in via di sommersione, e di come cambieranno nei prossimi decenni, tra crisi economica e crisi ecologica.

Nel mio piccolo non mi sono mai occupato di interni in quanto tali, se non per arredare sobriamente edifici pubblici (oppure casa nostra), ma sono abbastanza fiero, come architetto e funzionario, di avere speso il mio tempo per fognature, semafori, marciapiedi, cimiteri, case popolari, centri sociali ed altre cose più utili alla comune umanità.

mercoledì 15 giugno 2016

ASPETTANDO I BALLOTTAGGI


L’andamento del primo turno delle elezioni amministrative è stato ampiamente analizzato, e poco mi pare di poter aggiungere, aspettando i ballottaggi per vedere se prevale qualche linea di tendenza nazionale, oltre alla crescita dell’astensionismo ed alle non-vittorie finora collezionate da tutte le forze in campo:

-          ha non-vinto il PD, pur mantenendo numerosi sindaci e molte poll-position per i ballottaggi, ma non a Roma (e Napoli) e nemmeno in diverse città dove ripresentava il sindaco uscente (non solo Trieste: ad esempio qua attorno a Gallarate, Novara, Domodossola, Trecate);

-          anche se oggi Renzi intende festeggiare la soppressione della tassa sulla prima casa, non ha guadagnato al centro (dove abitano tra l’altro anche i cattolici contrari alle “unioni civili”) i voti persi a sinistra (innanzitutto per la linea su pensioni e lavoro, dal governo Monti in poi), e finiti innanzitutto nell’astensione (anche per la fine di ogni prospettive di centro-sinistra, al di fuori di Cagliari),

-          ha non-vinto la “sinistra di testimonianza” di fu-SEL e Fassina, che ora si candidano, in alcune città, come “testimoni” delle nozze elettorali tra Grillo e Salvini;

-          ha non-vinto il M5S, malgrado i successi di Roma e Torino, perché essere assenti in gran parte dei Comuni ed in calo quasi ovunque una loro lista era presente, non indica al momento alcuna consistenza di prospettiva nazionale;

-          hanno non-vinto pure i duellanti della destra, Salvini&C e Forza Italia, anche perché nessuna delle due versioni ha perso abbastanza da lasciare il campo libero all’altra, e nessuna ha vinto qualcosa di importante da sola, rinviando quindi ancora il difficile problema della ristrutturazione complessiva dello schieramento di centro-destra (se intende unirsi, come l’Italicum di fatto imporrebbe).

Diversi osservatori si sono esercitati in analisi socio-territoriali del voto, rilevando l’ulteriore indebolimento del PD nelle periferie e tra i ceti subalterni, e ricavandone anche qualche conferma alle teorie del superamento della polarizzazione destra/sinistra in favore di più moderne topologie, tipo sopra-sotto, dentro-fuori, cui si avvicina abbastanza la retorica del M5Stelle sul conflitto “Casta/Cittadini”.

A mio avviso la profonda crisi dell’offerta politica delle tradizionali sinistre europee può suggerire utilmente nuovi criteri di lettura delle contraddizioni sociali, ma non escluderei che la domanda di giustizia e di uguaglianza possa trovare nuove risposte ancorate a sinistra, come in parte appare in Spagna, Portogallo, Grecia (Francia?).

Comunque vadano i ballottaggi, dopo il primo turno delle comunali e dopo le regionali del 2015, almeno in Italia si potrà discuterne senza la fastidiosa cantilena sul successo renziano del 40% alle elezioni europee dell’ormai lontano 2014; e forse torneranno a ragionarne anche i sostenitori di Renzi, finora monolitici.