mercoledì 10 luglio 2019

UTOPIA21 - LUGLIO 2019: INDOVINA CHI VERRA’ AVVANTAGGIATO DAL DECRETO “SBLOCCA-CANTIERI”




Una proposta di analisi tecnica e socio-politica sugli effetti delle principali innovazioni introdotte dal recente Decreto-Legge (anche sulla scorta di una esperienza specifica come “funzionario appaltante”)

Sommario:
-       Premessa
-       Innovazioni che si commentano da sé
-       incremento delle soglie per affidamenti senza gara o con gare semplificate
-       Sub-appalto
-       Gara al minor prezzo
-       Qualche considerazione politica (e sociale)
-       Dove sta il “Cambiamento”?


PREMESSA

Mi è sembrato che la vicenda del Decreto “sblocca-cantieri” sia stata seguita distrattamente dall’opinione pubblica, sia riguardo ai mezzi di comunicazione generalisti (quasi ignorata dai Telegiornali; il minimo sindacale di indignazione, ma piuttosto generica, sui quotidiani, compresi specialisti quali Sergio Rizzo), sia soprattutto riguardo agli intellettuali, in altri tempi molto impegnati contro il malaffare ed il mal-governare. Lo stesso Presidente dell’Anti-Corruzione, Raffaele Cantone, pur esprimendo giudizi severi [A], è sembrato accontentarsi di aver evitato mali peggiori negli sviluppi della formazione definitiva del testo.

Le modifiche e le sospensioni “temporanee sperimentali” di diverse norme del Codice degli Appalti, decise dal Governo-Del-Cambiamento e – tramite voto di fiducia - dalla sua maggioranza parlamentare, con la dichiarata finalità di accelerare i tempi di realizzazione delle opere pubbliche e quindi di aggiungere qualche decimale all’incremento del PIL, richiedono a mio avviso invece un esame approfondito (scusatemi se apparirà troppo “tecnico”), guardando non solo all’effetto diretto delle singole disposizioni, ma anche a quello indiretto di ciascuna di esse, ed a quello combinato tra disposizioni diverse.

(Trascurando quanto il continuo ritocco delle norme comporti comunque incertezza complessiva del diritto, con innesco di ulteriori contenziosi sulla transitorietà e/o sovrapposizione di singole disposizioni, e risultato finale di possibili lungaggini che vanificano le pretese accelerazioni).


INNOVAZIONI CHE SI COMMENTANO DA SE’

Infatti, mentre alcune innovazioni legislative sono trasparenti, e “si commentano da sé” (a mio avviso in termini negativi), come
-       il RITORNO ALL’APPALTO DIRETTO DA PARTE DI PICCOLI COMUNI ED ALTRI ENTI, IN PRECEDENZA OBBLIGATI A RICORRERE A STAZIONI APPALTANTI PIÙ QUALIFICATE (come ad esempio quel che resta delle Provincie), 1
-       il RINVIO/SOPPRESSIONE DELL’ALBO DEI COMMISSARI DI GARA, 2
-       il RIEMERGERE DELL’ “APPALTO INTEGRATO”, IN CUI LA GARA VIENE FATTA SU UN SOMMARIO “PROGETTO DEFINITIVO”, affidando alla ditta vincitrice (ed ai suoi tecnici di fiducia) la stesura di un successivo e dettagliato “progetto esecutivo”,3
altre innovazioni (o ritorni all’antico) possono nascondere anche ulteriori rischi, per come le vedo, filtrate dalla mia personale esperienza di funzionario-appaltante dagli anni Ottanta agli “Duemila”, cioè prima e dopo l’entrata in vigore della legge “Merloni”, che fu l’antesignana del Codice ora modificato [B].


INCREMENTO DELLE SOGLIE PER AFFIDAMENTI SENZA GARA O CON GARE SEMPLIFICATE 4:

Oltre al contenuto diretto di maggiore discrezionalità, attribuita formalmente a funzionari responsabili, dispersi in una miriade di Enti (vedi sopra), ma spesso di fatto ai politici locali (quando non direttamente ai Sindaci e Assessori dei piccoli Comuni, che possono assumere ruoli operativi)[C], l’estensione degli affidamenti diretti può alimentare una “palestra clientelare”, dove a farsi le ossa, accumulando curricula e fatturati da esibire poi nelle gare “sopra-soglia”, sono principalmente le imprese degli “amici degli assessori”, a danno dei concorrenti sprovvisti delle opportune amicizie.


SUB-APPALTO 5

La modifica più rilevante non è l’innalzamento della quota di lavori sub-appaltabili dal 30 al 40% dell’importo contrattuale (anche se occorre considerare che non si conteggiano come sub-appalti gran parte dei cosiddetti “noli a caldo” e le prestazioni super-specializzate [D]), bensì l’abolizione dell’obbligo di comunicare preliminarmente, con l’offerta di gara, i nominativi dei potenziali sub-appaltatori; viene soppresso anche il divieto di sub-appaltare ad una impresa concorrente, che abbia cioè partecipato, perdendo, alla medesima gara. Ciò a mio avviso apre la strada a possibili condizionamenti nell’effettivo affidamento del contratto, perché un soggetto “forte” può trovare il modo di assicurarsi, comunque, prima o dopo la gara, una rilevante quota di lavori, quanto meno in sub-appalto, sia che partecipi o meno alla gara, sia che la vinca oppure no.


GARA AL MINOR PREZZO 6


Per la maggior parte delle opere, escluse quelle molto grandi e quelle ad elevato contenuto tecnologico, viene liberalizzata la possibilità di affidare i contratti non più con il criterio dell’offerta “economicamente più vantaggiosa” (che comporta una valutazione complessa, con criteri anche qualitativi), bensì con gli automatismi aritmetici del “minor prezzo”: tale metodo, più raffinato della rudimentale gara al “massimo ribasso” (che espone ai rischi di iper-sfruttamento dei lavoratori,  di incursioni avventurose e fallimentari, oppure di elevato contenzioso, se la ditta ha più avvocati che operai, come talora avviene), prevede infatti la esclusione delle “offerte anomale”, troppo alte o troppo basse, mediante raffinati calcoli, fondati sulla media delle offerte pervenute, e la successiva selezione dell’offerta più bassa tra quelle rimanenti. A mio avviso, per quanto sottili siano tali meccanismi di calcolo, resta comunque possibile, anzi forse probabile, che un nutrito gruppo di “concorrenti” facciano cartello, annullando per l’appunto la concorrenza tra di loro, e condizionando gli esiti delle gare (da spartirsi nel tempo e nei luoghi, e con l’aiuto delle quote di sub-appalto), sia con offerte civetta sulle ali “anomale”, sia facendo gruppo per influenzare le medie matematiche. E in tali casi nulla può opporre il “funzionario appaltante” zelante ed occhiuto; tanto meno il funzionario meno zelante e meno occhiuto. E’ sufficiente un “oligopolio collusivo” (non necessariamente di stampo mafioso): come quello che ho visto all’opera per molti anni, nella nordica Insubria, per l’intero settore dei lavori stradali ed idraulici di media entità (analoghi cartelli non incontrai invece nel settore delle costruzioni di fabbricati).


COMBINATO DISPOSTO

Ora, unendo i punti sopra individuati da 1 a 6, con una linea spezzata continua, come nei gioghi enigmistici, che tipo di figura di Impresa e di Amministratore vi sembra che emerga?


QUALCHE CONSIDERAZIONE POLITICA (E SOCIALE)

Che simili espedienti “anti-congiunturali” vengano adottati per rinviare od affossare riforme avviate da precedenti governi non stupisce; si veda (nota A) lo svuotamento della “legge Merloni” da parte del primo governo Berlusconi; si veda anche il decreto “sblocca-Italia” escogitato nel 2014 dal governo Renzi-Alfano, che però sollevò ampli clamori di opinione pubblica ed intellettuali,1 che oggi mi paiono alquanto silenti.
Anche se l’Associazione Nazionale Costruttori Edili non si è totalmente identificata con lo “sblocca-cantieri” (come invece la stessa Confindustria), chiedendo nell’occasione altri provvedimenti più incisivi e strutturali nel funzionamento della Pubblica Amministrazione, ha però mostrato di non disdegnare anche questo tipo di ”semplificazioni”, in nome della “libertà di impresa”.
Esiste probabilmente una ampia base sociale, tra le imprese, gli amministratori locali e tutti i loro clienti (ed elettori), che preferisce un sistema di appalti per l’appunto “clientelare”, rispetto ad un altro più rigoroso e trasparente (magari faticoso in fase d’avvio), e che non trova molti sostenitori, tranne, ma formalmente e solo ai vertici, i sindacati di categoria e – forse – gli ordini professionali.
E questo assomiglia abbastanza ad un Paese, o almeno al suo elettorato attivo, che premia di fatto le forze politiche che offrono i condoni, fiscali ed edilizi, e trova impopolare chi fa pagare a tutti il canone TV tramite bolletta elettrica.

L’Utopia a quanto pare non abita qui: tanto meno l’Utopia che ad una acciaccata Sinistra si contrapponga in Italia una Destra liberale/borghese decente e non sbracatamente condonista, nonché populista e sovranista.
Ciò significa, a mio avviso, che la speranza di un riscatto di ispirazione sociale ed ambientale deve fare i conti – forse solo attraverso un ricambio generazionale – con una riforma anche morale delle coscienze, e che comunque su questi aspetti – legalità, trasparenza, rigore – è ancora necessaria una lunga battaglia culturale.

Ancor più specifica, e difficilissima, dovrebbe essere la battaglia per la formazione e strutturazione di un corpo di funzionari autorevole e competente, sganciato dalle cordate partitiche; ma se il modello potrebbe essere la Magistratura, con la sua formale indipendenza, il recente sputtanamento di cospicua parte del Consiglio Superiore della Magistratura mostra quanto lontano sia un simile orizzonte.


DOV’E IL “CAMBIAMENTO”?

In tale panorama mi sembra del tutto estinto il “Cambiamento” di cui voleva farsi paladino il MoVimento-5-Stelle: il Contratto-Di-Governo non menzionava evidentemente né gli appalti né i sub-appalti e non annunciava manovre anti-congiunturali per rincorrere lo 0,2% in più di PIL.

Il punto 15 “Lotta alla Corruzione” del dimenticato contratto, recitava anzi:
“È improrogabile una severa ed incisiva legislazione anticorruzione tale da consentire un rilevante recupero di risorse indebitamente sottratte allo Stato e, nel contempo, rilanciare la competitività del Paese, favorendo una reale concorrenza nel settore privato a vantaggio delle piccole e medie imprese.”
Ma il MoVimento, convinto che la corruzione si annidi sempre e sono nelle Grandi Opere, pare preoccuparsi solo di qualche inasprimento di pena – o cancellazione di prescrizioni -  per i corrotti accertati, senza accorgersi di quanto i suoi Decreti alimentino – ad esempio – il clientelismo nelle Piccole Opere e favoriscano di fatto comportamenti corruttivi, ma già de-penalizzati all’origine, perché dichiarati legittimi ex-ante (del tipo affidamento appalti senza gara o con trattative private incontrollabili).
Un comportamento che forse ha a che fare con la base sociale del consenso residuo al MoVimento, non così distante da quella piccola-borghesia clientelare che tutto sommato non disdegna condoni ed elusione fiscale, salvo evocare il giustizialismo verso i “politici corrotti” ed i “grandi evasori”.


Fonti:
1.    Aldo Vecchi “ROTTAMA-ITALIA”, su questo blog “Relativamente, sì” – novembre 2014



[A] Da “Il fatto quotidiano – 6 giugno 2019:
Secondo Cantone, tuttavia, “alcune opzioni” come il ritorno dell’appalto integrato, l’aumento della soglia dei subappalti al 40%, la possibilità di valutare i requisiti per la qualificazione delle imprese degli ultimi 15 anni, le “amplissime” deroghe al codice concesse ai commissari straordinari, “paiono troppo attente all’idea del ‘fare’ piuttosto che a quella del ‘far bene’“. E una critica è riservata anche alle procedure semplificate: “Seppure opportunamente ridimensionata rispetto ai 200mila euro del testo originario, la previsione di una soglia abbastanza alta (150mila euro) entro la quale adottare una procedura molto semplificata (richiesta di soli tre preventivi) aumenta certamente il rischio di scelte arbitrarie, se non di fatti corruttivi”.
[B] La legge Merloni di riforma degli appalti pubblici entrò in vigore il 6 marzo 1994 e fu sospesa dal governo Berlusconi meno di due mesi dopo, il 31 maggio, con il cosiddetto "decreto Radice".
Il codice degli appalti (noto come «codice De Lise»), che subentrò alla Merloni dopo tre tentativi organici di riforma di quella legge in 12 anni, fu approvato con decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ed è stato poi modificato nelle singole norme, in dieci anni, 597 volte, con l'intervento di 73 diversi provvedimenti legislativi (comprese le leggi di conversione di decreti legge).
Il nuovo Codice degli Appalti – ispirato in gran parte dall’Autorità contro la Corruzione  presieduta da Raffaele Cantone - è stato approvato nel 2016  ed è entrato in vigore progressivamente, con alcune clausole transitorie; già modificato dal Decreto Legislativo n. 56 del 2017, ora viene alterato profondamente senza che abbia fatto in tempo a dispiegare compiutamente i suoi effetti.
[C] Secondo quanto disposto dall'articolo 53, comma 23 della legge 388/2000 gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi e il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
[D] Nella normativa precedente al Codice degli Appalti del 2016, non si consideravano sub-appalti anche tutte le prestazioni nelle categorie diverse dalla principale (ad esempio, per un fabbricato, gli impianti elettrici, idraulici, ecc.). Dal 2016 sono esentate dalla soglia del subappalto solo alcune categorie super-specializzate, come ad esempio la “OS 2-A Superfici decorate di beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico”. Ciò obbligava le imprese appaltatrici di lavori “generali” (ad esempio strade, oppure fabbricati) ad associarsi preventivamente, nella fase di formulazione dell’offerta, – ad esempio – con imprese impiantistiche di fiducia, trasferendo la concorrenza tra queste alla fase di gara (a beneficio probabilmente degli enti appaltanti), anziché al successivo mercato dei sub-appalti (che avvantaggia con ogni probabilità invece le imprese “generali” intermediarie).

domenica 2 giugno 2019

UTOPIA21 - MAGGIO 2019: LA COMUNICAZIONE ETICA, INDAGATA DA CLAUDIO CASIRAGHI

Un manuale di formazione aziendale che si allarga ad indagare, con respiro storico e riferimenti filosofici, le principali problematiche della comunicazione nella odierna “società digitale”.

Riassunto:
- perché la comunicazione deve essere etica
- la retorica nel mondo classico
- le moderne teorie della comunicazione
- carattere bilaterale e relazionale della comunicazione
- critica della pubblicità e dei social media; rischi di alienazione
- criteri per una educazione all’etica della comunicazione

Claudio Casiraghi è consulente e formatore aziendale, nonché docente di “Business Ethics” presso la LIUC di Castellanza.
Nel testo “Comunicazione etica”, partendo dalla sua esperienza specifica, affronta a tutto campo le problematiche della comunicazione nella odierna ”società digitale”, in un “manuale” ricco di implicazioni teoriche (talune da approfondire) e di indicazioni pratiche.
Il punto di vista è esplicitamente “etico” (e quindi utopistico?), critico verso la situazione e le tendenze in atto (individualismo, aggressività, insufficiente controllo dei nuovi media), e motivato laicamente (pur trattando anche di religione e spiritualità), in nome della naturale socialità dell’uomo e della stessa inefficienza e dannosità (sociale, ma anche soggettiva) di una comunicazione non-etica.
Qui mi pare manchi un orizzonte più ampio sul “perché essere etici”, dagli imperativi categorici di Kant alla contemplazione della finitezza del mondo e dell’accalcarsi dell’umanità, espressa ad esempio da Marc Augé2: ma il manuale resta comunque valido, per chi – comunque motivato - non sceglie di schierarsi con l’edonismo e con l’egoismo sociale.
E mi sembra utile soprattutto perché esplora nell’insieme i principali aspetti della comunicazione; argomenti che invece nella mia esperienza ho incontrato isolatamente e che erano assenti o marginali nel tipico corso di studi di un liceale pre-68, ma temo – malgrado Umberto Eco - anche per le generazioni successive (a parte gli specialisti).
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: COMUNICAZIONE ETICA, DI C. CASIRAGHI 2
Ad esempio dovevamo scrivere i temi, ma nessuno ci insegnava in termini teorici come scriverli; imparavamo ad esporre oralmente nelle interrogazioni, ma anche qui senza alcuna impostazione comunicativa; dovevamo sapere tutto delle sfumature del linguaggio letterario di Manzoni, ma nulla sulla interazione tra parole/suoni/immagini; e ancora non c’erano le TV commerciali, Internet, i “social”.
Casiraghi utilizza e riassume contributi teorici di diversa origine dalla filosofia classica alla moderna linguistica e semiotica, dalla teoria dell’informazione alla psicologia (trascurando forse il versante psicanalitico e con riferimenti non sistematici alle neuroscienze contemporanee), contemplando l’evoluzione dell’umanità dalla formazione del linguaggio simbolico alle grandi svolte della scrittura, della stampa e poi delle telecomunicazioni, del digitale, della rete.
In particolare recupera Aristotele sulle finalità del discorso, nella dialettica tra utile e nocivo, tra giusto e ingiusto, tra bello e brutto, e della retorica, che in età classica insegnava ad articolare “inventio” (ricerca degli argomenti), “dispositio” (scelta della sequenza degli argomenti nello schema esordio/proposizione/digressione/conferma/epilogo), “elocutio” (chiarezza/fluidità/eleganza), “actio” (“messa in scena” con mimica, gesti, controllo dell’uditorio), “memoria” (attenzione alla ricezione e acquisizione altrui); un certo Marco Fabio Quintiliano riguardo alla “actio” formulava nel I secolo dopo Cristo importanti suggerimenti su come e quando prendere il fiato, nella sua “Institutio oratoria”.
Regole e consigli che restano validi in particolari contesti, come le aule giudiziarie e la didattica universitaria, mentre si sono perse – dopo l’avvento della televisione – nella comunicazione politica e sindacale, dove ancora si tengono comizi, ma soprattutto per rifornire i telegiornali di slogan e battute in 30 secondi.
La “retorica” a mio avviso aveva perso prestigio già prima, con il declino delle patrie e delle ideologie e con la prevalenza di linguaggi più asciutti e ”tecnici”, perché comunque troppo esplicitamente finalizzata alla convinzione unilaterale, ma Casiraghi tende a rivalutarla, rispetto alla brutalità dei linguaggi pubblicitari, alle sguaiatezze dei talk show ed alla banalità dei tweet, per i suoi aspetti di progettualità ed anche di trasparenza.
Tra gli sviluppi recenti delle teorie della comunicazione (da metà Novecento in poi), Casiraghi riferisce:
- della scuola “meccanicista” (ad esempio i matematici Shannon e Wiener), che non consente una comprensione complessiva dei fenomeni, ma offre utili contributi ad esempio sulla natura dei “rumori”, di natura fisica, fisiologica e psicologica, che interferiscono con ogni comunicazione;
- delle diverse scuole “umanistiche”, da Walter Scrhramm (sul contesto sociale e sull’universo linguistico dei diversi soggetti) al linguista Roman Jakobson (sulle funzioni della comunicazione, tra cui quella emotiva, quella referenziale, quella metalinguisitica, quella “conativa” ovvero finalizzata ad ottenere e convincere), da Bateson alla scuola di psicologia di Palo Alto – Beavin&Jackson&Watzlawick – che qui sarebbe gravoso riassumere (rimando al testo di Casiraghi): in sostanza indagano sperimentalmente sui rapporti tra i contenuti della comunicazione e gli aspetti relazionali tra le persone coinvolte, che travalicano i contenuti stessi (meta-comunicazione), costituendo altri livelli, forme e modalità di messaggio (anche
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: COMUNICAZIONE ETICA, DI C. CASIRAGHI 3
involontario, anche da parte di chi tace e non comunica), differenziati in funzione dei ruoli sociali dei soggetti e dei reciproci rapporti, più o meno gerarchizzati.
Nell’insieme, l’Autore mette in evidenza soprattutto il carattere bilaterale e relazionale della comunicazione (e però anche il contesto sociale), e come il suo svolgimento avviene contemporaneamente a più livelli: parola/tonalità/gesti/linguaggio-corporeo, una parte dei quali può risultare soppressa o differita o alterata o sostituita nelle modalità artificiali di comunicazione, dal telefono alle e-mail, dagli sms ai messaggi sui social (ed in tele-visione).
Anche se alcuni di questi strumenti possono includere audio/video ed “effetti speciali”, solo la comunicazione diretta consente di sviluppare appieno la possibile empatia tra gli interlocutori e di riscontrare immediatamente la qualità della ricezione (“feed-back”).
Partendo anche dalla critica di tutte le forme di comunicazione pubblicitaria (sia commerciale che politica), caratterizzate dall’uso di falsi sillogismi, dalla bulimia delle immagini, dalla iterazione di messaggi espliciti e/o subliminali (tema abbastanza noto, ma tutt’altro che controllabile da gran parte delle persone, cui non vengono dati gli strumenti necessari per decodificare e difendersi), l’Autore pone l’accento sulla responsabilità che deve assumere ogni soggetto che diffonde messaggi (distinguendo tra “narrazione, “discorso”, “conversazione”) rispetto ai potenziali o concreti ricettori, diffida dall’abuso della comunicazione indiretta – tramite e-mail. Sms, ecc. - (soprattutto in ambito aziendale), e quando questa costituisce rinuncia a esercitare l’esperienza della comunicazione personale, esperienza la cui acquisizione è un processo faticoso, ma gratificante.
Sulla preferenza per la comunicazione indiretta, devo confessare che – essendo i miei interlocutori abituali persone attempate, per lo più non ammalate di iper-connessione e notifico-dipendenza – preferisco spesso usare e-mail o sms piuttosto che telefonare, perché mi sembra più discreto e meno invasivo lasciare loro la scelta del tempo e del modo con cui rispondermi (oppure non rispondermi). NOTA PERSONALE*
Di fronte alla diffusione degli smartphone e dei social media, Casiraghi rifiuta l’alternativa tra “apocalittici e integrati” (come posta da Umberto Eco nel 1964 nei confronti della “cultura di massa”3), perché giudica strumenti utilissimi i nuovi mezzi di comunicazione, ma ritiene pericoloso che vengano utilizzati senza una adeguata formazione, come se si affidasse un bolide di Formula 1 ad un neo-patentato.
Contro gli apocalittici, ci aggiungerei di mio che non molti decenni addietro (prima del mitico ’68, che però ha aperto la strada all’aggressività verbale diffusa e all’uso strumentale della trasgressività) ci trovavamo esposti ed indifesi ad un flusso complessivo di comunicazioni di tipo autoritario, non solo nella scuola, dove la parola del professore era pressoché indiscutibile (e spesso idem in famiglia), ma anche dei primi mass-media, come i cinegiornali LUCE (che mantenevano la baldanza del deposto fascismo) oppure i più felpati giornali-radio e telegiornali della RAI democristiana.
In particolare Casiraghi esamina le tendenze negative connesse con l’uso massiccio e/o distorto della comunicazione digitale (iper-connessione), dalla perdita di abilità, manuali e mentali, delegate agli strumenti informatici e alle loro “app”, alla incapacità di concentrazione
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: COMUNICAZIONE ETICA, DI C. CASIRAGHI 4
e di riflessione, dalla alterazione dei rapporti con tempo&spazio all’isolamento dagli effettivi sistemi di relazione inter-personale, con effetti di angoscia soggettiva, per la perenne sensazione di inadeguatezza rispetto ai modelli proposti ed alla spasmodica ricerca di consenso, e di diffusione – a danno degli interlocutori – di fenomeni di mistificazione dell’identità, dal voluto anonimato dei falsi profili, alla costante edulcorazione narcisistica della propria “immagine pubblica”; evidenziando (come già accennavo all’inizio) i danni non solo per la società, ma anche per la salute ed il benessere dello stesso soggetto comunicante (oltre che per l’efficacia della comunicazione).
In questa descrizione del “mondo digitale” in cui ormai siamo immersi, Casiraghi accenna, senza svilupparla, alla subordinazione degli utenti ai “padroni delle piattaforme”, già affrontata su Utopia21 da Fulvio Fagiani nel Quaderno n° 7 e nell’intervista a Lelio Demichelis4,5,6, ma è interessante osservare come questi diversi punti di vista convergano nel delineare una visione attualizzata della “alienazione”, individuata da Marx innanzitutto riguardo al lavoro salariato, ma estesa all’intera condizione umana nel Novecento tra gli altri dalla scuola di Francoforte e in particolare da Herbert Marcuse7.
Per contrastare queste tendenze, Casiraghi espone alcuni criteri metodologici per una comunicazione “etica”, da applicare nei processi educativi e di formazione, che spaziano dalla riflessione all’ascolto (recuperando anche esperienze spirituali, come la regola di Benedetto), dalla responsabilizzazione alla ricerca dell’empatia, dalla demistificazione dei messaggi al controllo degli strumenti comunicativi.
Mi sembrano proposte ragionevoli, fondate sull’ottimismo della volontà.
Però, così come l’Autore non giustifica in termini generali la necessità sociale dell’etica, anche le sue proposte non assumono un respiro più ampio rispetto ad una buona didattica (in coerenza d’altronde con l’orizzonte del “manuale”, finalizzato alla formazione aziendale).
Di fronte ad una simile problematica di sconvolgimento complessivo del vivere sociale, a me invece viene da pensare che occorra anche articolare obiettivi più ampi: ad esempio ipotizzare che una siffatta “buona didattica” (filosofica, semiotica, psicologica) debba diventare l’asse di una battaglia politica per l’estensione obbligatoria della scolarità, sia per i giovani almeno fino alla maggiore età (mentre in Italia non si arriva ancora ad assicurare effettivamente a tutti una istruzione primaria), sia per gli adulti, alternandola e connettendola con il lavoro e con periodi di servizio civile.
Una possibile utopia (una nuova scuola per tutti) contro la incombente distopia dell’atomizzazione digitale.
*NOTA PERSONALE: altri tempi ed altre età: quando avevo 10 anni, negli anni ’50, mi veniva spontaneo suonare il campanello di qualunque compagno di scuola, a qualunque ora (del pomeriggio) per chiedergli “scendi a giocare?” E qualche anno più tardi non era così facile usare il telefono di casa, per ”comunicazioni personali”: l’apparecchio era nero con rotella analogica, appeso al muro del corridoio, senza privacy, e ben presto si veniva sollecitati a troncare le conversazioni, perché qualcun altro potrebbe avere bisogno di
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: COMUNICAZIONE ETICA, DI C. CASIRAGHI 5
chiamarci (e in molte famiglie c’era anche il “duplex”, linea più economica in comune con altro utente...). Era difficile corteggiare ragazze con queste limitazioni (idem all’altro capo del telefono). Molto peggio se la telefonata era “intercomunale”. Un redattore-poeta del giornalino “Il Coccodrillo” scrisse questi indimenticabili versi:
"Quindici lire ogni venti secondi
mi costa
telefonarti.
Neppure se avessi
tutto l'oro del mondo
potrei dirti
tutto il mio amore".
Si comprende quindi anche per questo la propensione degli adolescenti di allora in favore della “comunicazione diretta”; anche se con le ragazze non era così facile.
Fonti:
1. Claudio Casiraghi “COMUNICAZIONE ETICA. MANUALE DI RIFLESSIONE PER LA SOCIETA’ DIGITALE” – Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2018
2. Aldo Vecchi - “UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE”, PER MARC AUGE’”, https://drive.google.com/file/d/1vr7mq5TK3GWgcxJqeMYVuqmKL6vxiVNn/view - Pubblicato nel 2018.
3. Umberto Eco “APOCALITTICI E INTEGRATI” – Bompiani, Milano 1964
4. Quaderno n° 7 “La società digitale e il futuro del lavoro” - https://drive.google.com/file/d/18zfF-qmqR75xXxNgI3gqyEfAGzeSbw_6/view - Articoli pubblicati nel 2018.
5. Lelio Demichelis “LA GRANDE ALIENAZIONE” - Jaca Book, Milano 2018
6. Fulvio Fagiani “CONVERSAZIONE/INTERVISTA A LELIO DEMICHELIS SULL’ALIENAZIONE” su UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1YDHb0asJXGgCNsWV2p5EmwASOmYTvFfg/view - Pubblicato nel 2019
7. Antonio G. Balistreri - MARCUSE, L’EROS E IL ’68 - https://drive.google.com/file/d/1UDm_IYdygjiAvMBsRpiTaKexgT9eXlzL/view - Pubblicato nel 2019.

UTOPIA21 -MAGGIO 2019: L’UTOPIA DEL ’68 E L’UTOPIA DEGLI ECONOMISTI LIBERALI, NELL’INTERVENTO DI GIANCARLO BERTOCCO

Il “Festival dell’Utopia” di Varese, giunto nell’autunno 2018 alla 3^ edizione, si è sviluppato in parallelo con la vita di “UTOPIA21”, nella reciproca autonomia, pur avendo in comune la guida di Fulvio Fagiani, la promanazione da Auser/Universauser ed il medesimo sito informatico. Pur essendo già radicata una sostanziale transumanza di temi e proposte tra Festival e “rivista”, con questa rubrica intendiamo rendere maggiormente presenti ai lettori di “Utopia21” alcuni dibattiti svolti nei mesi precedenti nell’ambito del Festival, che nel 2018 si è articolato sui seguenti filoni:
- Utopia tra ecologia ed economia
- Utopia del ’68, utopia del XXI secolo
- Dialoghi sull’Utopia, tra Varese e Ticino.
Sommario:
- Utopie del ‘68
- L’utopia del mercato che si autoregola
- Economisti insensibili alla realtà delle crisi: 1929, anni ’70, questo inizio di secolo
- La rettifica Keynesiana ed i suoi limiti storici
- Il ritorno al Fondamentalismo Mercatista ed il neoliberismo
- La realtà del capitalismo come instabilità e trasformazione
Il presente rendiconto costituisce una ricostruzione personale e parziale, omettendo gli interventi degli altri partecipanti, per i quali si rimanda alla documentazione vocale disponibile sul sito di Universauser (vedi Fonti1), assieme alle slides di presentazione2 e ad alcune “letture” tratte da diversi autori a cura dello stesso professor Bertocco. 3
In corsivo i commenti più personali.
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 2
Giancarlo Bertocco è professore associato di Economia Monetaria presso l’Università dell’Insubria, ed è presso la sede universitaria del Campus Bizzozzero che si è svolto il suo intervento per il Festival 2018, in data 30 ottobre.
Anche per un riflesso generazionale, il professor Bertocco si è richiamato ai movimenti del ’68 per introdurre l’esperienza dell’utopia come desiderio di cambiamento, vissuto collettivamente nel contrasto tra generazioni, dalla dimensione religiosa a quella politico-sindacale: l’utopia come speranza di un mondo migliore e diverso da quello presente (quale ad esempio, riferita alla problematiche attuali, la prospettiva illustrata da Enrico Giovannini nell’evento di apertura del Festival4,5, ed altre “Letture” segnalate da Bertocco, vedi Fonti 3 : una concezione “sostenibile” dello sviluppo deve incorporare come premesse necessarie nuovi criteri di giustizia sociale, rivolte all’insieme degli uomini di oggi ed a quelli del futuro).
Ma il fulcro dell’esposizione di Bertocco è invece rivolto alla categoria degli economisti, quelli “classici” e tuttora dominanti nella formazione della pubblica opinione e delle decisioni di governi ed aziende, per evidenziarne la opposta e pervicace dimensione “utopica”, e cioè la convinzione che “il sistema economico attuale sia il migliore possibile”: si tratta infatti di una “realtà che non esiste”, e quindi “utopistica”, nel cui nome si condizionano gli effettivi rapporti economici e sociali del mondo reale.
Le caratteristiche del mondo utopistico degli economisti (ancorati tuttora alla Mano Invisibile di Adam Smith3, che fa coincidere l’interesse del privato con l’interesse pubblico; vedi anche Luigi Einaudi3 : ambedue semplificano l’economia proiettando sul mondo la visione di un villaggio limitato ed omogeneo, dove è scontato che la produzione sia orientata a soddisfare i bisogni locali) contemplano un Mercato governato dalla legge della domanda e dell'offerta, il cui Sistema dei Prezzi si mantiene in un Equilibrio Naturale, e riesce a determinare:
1. Piena Occupazione
2. Impiego efficiente delle risorse
3. Distribuzione equa delle risorse.
Poco importa a questi economisti se tali previsioni risultano più volte smentite dalla Storia, da ultimo con la Grande Recessione innescata nel 2007: la teoria dominante prevede che non si possono verificare crisi, i lavoratori che desiderano lavorare al salario di mercato trovano occupazione. La realtà – che possiamo constatare - invece è che le imprese riducono comunque fortemente la domanda di lavoro (anche se è offerto al salario che in precedenza garantiva la piena occupazione).
Anche nelle precedenti fasi di crisi si verificarono atteggiamenti simili, ma con importanti differenze. La Grande Depressione iniziata nel 1929 sollevò pesanti dubbi sull’utopia economica classica basata sui concetti di mercato ed equilibrio naturali ("Utopia Fondamentalista di Mercato", UFM) ed emerse nel 1936 la Teoria Keynesiana, poi sviluppata ed articolata nel secondo Dopoguerra, costituita su:
− riconoscimento dell'esistenza nei mercati di disomogeneità, ostacoli ed imperfezioni, che impediscono al sistema dei prezzi di portare l'economia all'equilibrio naturale,
− Politica Fiscale e Monetaria come strumenti utili ai Governi per raggiungere l'equilibrio naturale.
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 3
Negli anni ’30 in parte, e soprattutto dal 1945 al 1975, l’Utopia Keynesiana ha influenzato le scelte economiche dei Governi occidentali, portando al Capitalismo Regolato, basato su 3 pilastri:
− estensione del Welfare sociale
− regolamentazione dei mercati finanziari e dei movimenti di capitale
− patto sociale tra sindacati e imprese.
Ma anche il modello di Keynes, in quanto inteso come teoria dell’equilibrio (e quindi anch’esso utopico), si è dimostrato inefficace con la cosiddetta “Stagflazione”, che negli anni ’70 ha coniugato alta inflazione con bassa crescita (in presenza, aggiungerei, del primo palese conflitto con la scarsità relativa delle materie prime – crisi petrolifera – ed anche in relazione alla conseguente contesa su chi dovesse pagare i costi della crisi, contesa tra le classi sociali e contesa tra gli stati, non più solo del mondo industrializzato).
Dalle difficoltà del “Capitalismo Regolato” è emerso un ritorno al Fondamentalismo Mercatista (UFM): reddito e occupazione dipendono soltanto dalle forze di mercato (sistema dei prezzi), obiettivo di politica economica è liberare le forze di mercato da ostacoli limitanti, quali la eccessiva presenza dello Stato in economia e l’eccessiva regolamentazione dei mercati del lavoro e dei mercati finanziari.
E’ il ritorno al Fondamentalismo “UFM” che guida l’approccio economico dei Governi Reagan & Thatcher negli anni ‘80:
− Riduzione del peso economico dello stato e privatizzazioni
− Deregolamentazione del mercato del lavoro e dei mercati finanziari
− Liberalizzazione dei movimenti di capitali
Nasce così il moderno Capitalismo Neoliberista di fine ‘900, le cui caratteristiche fondamentali sono:
− Finanziarizzazione (peso crescente delle attività finanziarie – e relativi profitti –rispetto ai cicli produttivi)
− Iperglobalizzazione (non solo incremento degli scambi, ma uso sistematico delle de-localizzazioni produttive per abbassare i costi del lavoro ed abbattere le resistenze sindacali)
− Precarizzazione del lavoro (e relativa svalutazione)
− Forte crescita delle disuguaglianze.
La successiva “Grande Recessione” di questo inizio di secolo non sembra aver intaccato le convinzioni degli economisti e rischia di rivelarsi come la “Terza Crisi Inutile”, malgrado i contributi critici di Marx, Keynes, Schumpeter, Kalecky, Kaldor, Minsky: le tre crisi analizzate non sono servite ad indurre gli economisti a riconoscere che il sistema economico in cui viviamo non è il mondo utopistico da loro teorizzato.
Il nodo centrale del dibattito riguarda le finalità del sistema economico, che nella visione liberista sono raccontate come produzione delle merci e dei servizi richiesti dai consumatori (essendo il denaro un mero strumento di intermediazione), mentre da parte dei critici sono disvelate come funzionali alla accumulazione di denaro e potere.
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 4
Figura 1 – schema comparativo delle attività economiche per “UFM” e per gli “eretici”
A questo punto il professor Bertocco ha introdotto qualche elemento per una visione alternativa della crisi, fondata su una visione realistica del sistema economico capitalistico (in cui ritrovo anche altre letture su Utopia21 6,7,8,9): il Capitalismo è un processo di continuo cambiamento provocato da: • Innovazioni introdotte da Imprenditori • Politiche economiche dei Governi: i) Politica monetaria e politica fiscale, ii) Regole/istituzioni
Il processo di cambiamento capitalistico non converge verso una condizione di equilibrio naturale, ma è soggetto a crisi economiche globali, che sono fenomeni endogeni, strutturali, provocate dagli stessi meccanismi che generano il processo di cambiamento.
Le crisi rendono il capitalismo fragile e soggetto a ulteriori crisi causati da possibili shock esogeni (ad esempio eventi imprevedibili e inevitabili come i terremoti).
La Grande Depressione, la Stagflazione e la Grande Recessione sono conseguenza della fragilità di una forma di capitalismo e segnano il passaggio da una forma di capitalismo all’altra.
Lezione utile dalle precedenti crisi è capire che la forma del nuovo capitalismo dipenderà dalle politiche che verranno adottate; le politiche, a loro volta, dipendono dalla teoria economica prevalente; ma se ancora una volta il Fondamentalismo Mercatista prevarrà, non vi sarà nessuna discontinuità rispetto alle attuali tendenze del capitalismo neo-liberista.
Ed i segnali osservabili indicano che gli economisti dominanti si stanno dimostrando fedeli all’UMF: si veda nelle “letture” segnalate da Bertocco3, tra cui Bernanke – che legge le crisi come momentanei “avvallamenti” della tendenza di fondo ad una crescita dell’economia U.S.A.del 3% annuo, proiettabile quindi nel futuro - e Cottarelli – che ripropone di fatto le ricette neo-liberiste di taglio alla spesa pubblica e sostegno alle esportazioni - .
In contro-tendenza Padoa-Schioppa, che afferma, tra l’altro: “Ritengo che il modello di crescita che ho tratteggiato … sia quello verso cui si deve muovere e che la cosiddetta
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 5
economia di mercato vada non soppressa, ma indirizzata verso un funzionamento che aiuti a realizzare quel modello. Di una cosa sono certo: l’economia mondiale non muoverà spontaneamente verso quel modello, nessuna mano invisibile ci piloterà in quella direzione, senza un governo gran parte dell’umanità andrà incontro a inenarrabili sofferenze.”
Le riflessioni di Padoa Schioppa riportate da Bertocco3 richiamano anche alla necessità di decisioni a scala sovra-nazionale, il che ci rimanda alla lezione di Giovannini4,5, da cui il festival 2018 era partito.
Fonti:
1. Giancarlo Bertocco – REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 30-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1XLf_BZ3Mr5iUSFku7wRef__8EzLBEO65/view?usp=sharing
2. Giancarlo Bertocco – SLIDES DI PRESENTAZIONE (SLIDES DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 30-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1FXhhIKtTChQ1FTmzciX1xVr-UiBXP4tN/view?usp=sharing
3. Giancarlo Bertocco – NOTE DI APPROFONDIMENTO SULL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 30-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1_5E87EGti_2b1y7nGCMoeTdafyzBj6oA/view?usp=sharing
4. Enrico Giovannini - SLIDE DI PRESENTAZIONE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 01-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1x8RnF2wIGLpQd6Cw85zLFs1UlvLcHB80/view?usp=sharing
5. Enrico Giovannini REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 01-10-2018 E DEL SEGUENTE DIBATTITO
a. https://drive.google.com/file/d/1_8T0tOUbACvNyLa15K_7B_mtP-e-WYKd/view?usp=sharing
b. https://drive.google.com/file/d/1pM9-sof9RQ1JfybueKo-pIgqnzO5wwUG/view?usp=sharing
6. Aldo Vecchi - IL ‘TESTAMENTO’ DI PAOLO LEON SUL CAPITALISMO E LO STATO - https://drive.google.com/file/d/1zdl_LpHWUrk-NXC7CtS5-zeMSK87koCP/view - Pubblicato nel 2019.
7. Aldo Vecchi - IL LUNGO XX SECOLO DI GIOVANNI ARRIGHI - https://drive.google.com/file/d/18ZwQ9iRH2IOfuDRTcfRqaM6D5AjFASU_/view - Pubblicato nel 2018.
8. Aldo Vecchi - IL TERZO SPIRITO DEL CAPITALISMO, INDAGATO DA BOLTANSKI E CHIAPELLO - https://drive.google.com/file/d/18rOwVEv0Uv-uYPjmBw7OdeXY4aKczbyg/view - Pubblicato nel 2018.
9. Quaderno n.8 - ORDOLIBERALISMO ED ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO -
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 6
https://drive.google.com/file/d/1BtPjnn70LX2Xn0AR4OjcAhrYO5MWW1Wl/view - Articoli pubblicati nel 2018

UTOPIA21 - MAGGIO 2019: LA NATURA SPEZZATA ALLA XXII TRIENNALE DI MILANO: MA E’ QUESTO IL DESIGN PER RIPARARLA? ,


Alcune valutazioni sulla ventiduesima Triennale di Milano, a partire dalla lettura del catalogo, con riserva di capire di più (o di meno?) visitando l’esposizione: in sintesi, testi ambiziosi ed anche rigorosi, ma che sembrano non governare le divergenti e spesso peregrine proposte degli Autori raccolti nel Palazzo dell’Arte
Sommario:
- premessa personale
- i saluti iniziali, tra consapevolezza della crisi planetaria e patriottismo dell’export lombardo
- il saggio introduttivo di Paola Antonelli: ambizioni e contraddizioni
- gli altri saggi del catalogo, taluni un po’ scontati, talaltri stimolanti
- l’esposizione generale, grande accozzaglia, con pochi esempi virtuosi (non valorizzati da un confronto nel merito) e moltissime opere autoreferenziali, se non paradossali
- qualche cenno sui “padiglioni nazionali”, troppo schematicamente riassunti nel catalogo
- questioni emergenti (oltre al disastro ambientale e alla scarsità di ricette per affrontarlo): Esistono ancora confini disciplinari? Libertà di espressione versus priorità socio-ambientali. Autoreferenzialità e potere accademico/lobbistico.
- APPENDICE: una nota sulla XXI Triennale del 2016
In corsivo i commenti più personali.
PREMESSA PERSONALE
Anche se le nostre lauree degli anni ’70 (malgrado i “voti politici”…) ci sono in seguito valse ‘ad ampio spettro’ per l’iscrizione all’Albo degli “Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori”, ed anche se in effetti la formazione pre- e post- ’68, per opposti criteri, alla Facoltà di Architettura era tutt’altro che racchiusa negli ambiti specialistici (prima per ambizione progettuale “dal cucchiaio alla città”, dopo per ambizione critica ‘tuttologica’ anti-disciplinare), in cui si è invece frantumata verso la fine del Novecento, devo confessare che personalmente non mi sono mai incuriosito troppo, né informato approfonditamente, su
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 2
quella che una volta si chiamava “architettura degli interni” e poi più genericamente si è chiamato “design”, indirizzato alla progettazione di oggetti, ed in seguito esteso alla comunicazione grafica, informatica, digitale, ecc.
Di questa mia carenza, e propensione piuttosto agli attigui temi, dalla casa al territorio, sono testimoni anche i testi più disciplinari che ho pubblicato su queste pagine1.
Occupandomi, da spettatore, di questa 22^ Triennale (ma anche della precedente), mi rendo conto però che alla mia lontananza dal “design”, malgrado la disciplina riguardi oggetti concreti, potenzialmente utili e quotidiani, progettabili e modellabili direttamente in scala 1:1,
concorre poderosamente anche il linguaggio, l’atteggiamento, la “narrazione” che contraddistinguono i “designers” e che mi sembrano spesso quanto mai astratti, assertivi, inconfutabili, modaioli: una sorta di progressione inversa della progettazione, che vede aumentare la “fuffologia” quanto più ci si avvicina agli oggetti. (Anche se i pianificatori territoriali, talvolta, non sono proprio raccomandabili quanto a concretezza….)
I SALUTI INIZIALI, TRA CONSAPEVOLEZZA DELLA CRISI PLANETARIA E PATRIOTTISMO DELL’EXPORT LOMBARDO
Aprendo il catalogo2, mi ha colpito la disomogeneità tra i messaggi iniziali di saluto:
- Il Presidente della Triennale, architetto Stefano Boeri (assai noto peril “verde verticale” dei grattacieli in zona Garibaldi/Isola a Milano), segnalando che le città occupano per ora “solo” il 3% delle terre emerse, mentre però la “tecnosfera” (termine coniato nel 2014 da Peter Haff, studioso dell’ “antropocene”) pervade l’intero globo ed ingabbia le residue isole di naturalità, introduce sostanziosamente il tema dell’ “antropocentrismo arrogante”, che danneggia la natura e con essa però lo stesso uomo, non solo per i rischi climatici al suo habitat, ma anche perché estromette la natura dalla sua vita quotidiana; sulla sua scia si snoda il testo di Gonzalo Loscertales, Presidente del Bureau Internation des Expositiones (B.I.E.), che assegnerebbe alla Triennale un ruolo educativo per riparare i collegamenti tra Uomo e Natura, spaziando oltre design, arte ed architettura, con il coinvolgimento delle scienze naturali e sociali, della comunicazione digitale e delle strategie comportamentali;
- al polo opposto il Ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che - pur con i dovuti omaggi alla sostenibilità, e gli auspici per un industria che rimedi ai danni socio-ambientali - evidenzia soprattutto l’elevata incidenza dell’export italiano nei prodotti di design di alta gamma (e se tali prodotti ed il loro export fossero invece rilevante parte del problema ambientale e non delle soluzioni?); a margine, l’improbabile accostamento proposto dal Ministro tra il Palazzo dell’Arte di Muzio e la Farnesina - nata come “Palazzo del Littorio”, ovvero sede nazionale del Partito Nazionale Fascista, progettata da Del Debbio-Foschini-Ballio-Morpurgo - sotto un comune ombrello “razionalista”.
- nel mezzo il ministro dei Beni Culturali Bonisoli (innocuo) ed il Sindaco Sala, un po’ troppo certo della validità ambientale delle scelte in atto per Milano, come la rigenerazione degli scali ferroviari (sui dubbi in proposito all’operazione ex-scali, rimando al mio testo sopra citato1, paragrafo 3.19).
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 3
Figura 1 e 2: il Palazzo dell’Arte di Milano e la Farnesina di Roma
IL SAGGIO INTRODUTTIVO DI PAOLA ANTONELLI: AMBIZIONI E CONTRADDIZIONI
Il corposo saggio della direttrice del team curatoriale dell’esposizione, Paola Antonelli (da molti anni responsabile per il design al MoMA di New York), affronta pienamente il tema del ”design alla prova della sopravvivenza umana”, rammentando come l’”Earth Overshoot Day” (giorno dell’anno in cui l’uomo ha già consumato tutte le risorse rigenerabili) sia ormai arrivato al 1° agosto (cioè con un consumo annuo superiore di 5/12 rispetto alla disponibilità) e chiedendosi se sia in gioco solo la sopravvivenza della specie umana oppure di tutte le specie viventi: alla luce del pessimo stato di salute di indicatori fondamentali, quali la biodiversità e la sovrappopolazione umana, la produzione alimentare e il depauperamento delle risorse, la temperatura del globo e le emissioni di CO2.
A fronte dei danni profondi apportati dalla specie umana negli ultimi due secoli, verso la biosfera (devastazione di foreste, suolo e sottosuolo; inquinamento chimico, batterico e radio-attivo) e verso la stessa umanità (omologazione culturale ed infine anche compressione dei diritti civili), per Antonelli (e per la Triennale) urgono interventi di riparazione o “risarcimento”.
Qui si dovrebbe collocare il design, che già storicamente si è posto come strumento di soluzione dei problemi, progettando oggetti e comportamenti, ma finora in una prospettiva antropocentrica, che dà per scontata la subordinazione delle altre specie viventi, a partire dal periodo paleo-litico.
L’Autrice ripercorre, con alcuni squarci in profondità (che per brevità non riassumo in modo puntuale), il tracciato storico sulla evoluzione del design negli ultimi decenni, da quando si è affacciata qualche consapevolezza sui limiti ecologici (ed anche sociali e psicologici) degli assetti produttivi incentrati sulla ottimizzazione dei consumi e sul narcisismo, a partire dal 1968 e poi verso questo inizio di secolo, con le riflessioni sull’etica del progetto, sul design sostenibile, sull’economia circolare, in sintonia con i movimenti internazionali sanciti dalle conferenze di Rio e poi dagli obiettivi dell’ONU e delle conferenze sul clima.
Puntualizzando il confronto con l’affacciarsi del design al Moma nel 1940, i capisaldi di valutazione erano allora Utilità, Eleganza, Fattura, Prezzo, mentre oggi – per Antonelli - si rende necessario assumere:
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 4
- una responsabilità etica, sia verso la società umana (condizioni di lavoro, distribuzione dei redditi) sia verso l’ambiente (le altre specie ed anche il mondo inanimato),
- una “consapevolezza di rete” (o “consilienza”) sulla interdipendenza universale (cioè di essere parte di sistemi complessi – città, aziende, governi – con effetti non sempre controllabili di ogni azione sui diversi eco-sistemi).
Da questa consapevolezza dei cambiamenti in atto e dalla proiezione sui futuri possibili, si innesta la proposta della XXII Triennale per un “design ricostituente”, che studia i legami e le contraddizioni sociali e ambientali, e progetta i possibili rimedi, ad ogni scala, nel tentativo di superare l’ottica puramente antropocentrica, ponendo in discussione “qual è il posto dell’uomo” e mettendo in campo:
- nuove strategie per il design tradizionale: trasparenza, circolarità, equità nel lavoro, emissioni-zero, responsabilità a lungo termine (dal “consumo” alla “adozione” degli oggetti);
- superamento del “design organico”, che imitava le forme della natura (dall’Art Nouveau in poi), per mutuare dal rapporto con le altre specie funzioni, processi, sistemi, alleanze, “co-creazione”;
- nuovi campi di ricerca, quali il bio-design, l’auto-assemblaggio, e nuovi linguaggi, che superino la razionalità modernista per comprendere l’empatia ed i valori spirituali soggettivi;
- rapporti di interdisciplinarità con artisti, scienziati, decisori politici.
Con alcune gravi stonature, però, almeno a mio avviso, come nell’auspicio (non si capisce con quali fondamenti), che il design assuma l’autorevolezza della scienza, e soprattutto nel finale, dove Paola Antonelli ipotizza:
- che i designer possano supplire alla “distrazione” dei politici (come misurabile nelle incertezze sul contrasto al cambio climatico) divenendo gli “alfieri del cambiamento” (mi chiedo: con quale linguaggio, quali strumenti, quali capacità di sormontare le immense difficoltà antropologiche in cui affondano politici e scienziati e comunicatori?)
- che – se l’umanità è avviata all’estinzione – almeno, grazie al design, possa “estinguersi con eleganza” (mi sembra un pensierino fatto apposta per spiegare come si crea il divario tra élites e masse; una cosina simpatica da raccontare alle popolazioni i cui atolli saranno sommersi dagli oceani, ai migranti racchiusi nei campi di “accoglienza”, ed anche ai gilet gialli preoccupati per il prezzo del gasolio…)
GLI ALTRI SAGGI DEL CATALOGO, TALUNI UN PO’ SCONTATI, TALALTRI STIMOLANTI
Il Catalogo della XXII Triennale è disseminato da una quindicina di altri brevi saggi, raggruppati all’inizio di ognuna delle cinque sezioni della mostra (oltre alle Partecipazioni Internazionali), che si intitolano “Il clima è cambiato”, “Ambienti complessi”, Fatto e disfatto”, “O tempora, o mores”, “Ponti”.
Tali saggi sono molto diversi come taglio, linguaggio, spessore, ed anche interesse.
(Mi limiterò a commentarne alcuni).
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 5
Per esempio, il testo di Ala Tannir (designer libanese) sul disastro provocato dalla diga del Vajont, ripercorrendo il punto di vista della nota performance teatrale di Marco Paolini, pur essendo corretto ed esaustivo, mi sembra che non aggiunga molto a quanto già si è detto e dibattuto, sia sul caso specifico, sia più in generale sulla presunzione scientista asservita agli interessi aziendali.
Più problematico invece il testo di Emily Eliza Scott (storica e critica statunitense), che tende a mettere a fuoco alcun contraddizioni, come “la retorica green che talvolta non è altro che un lupo travestito da pecora”, citando ad esempio una biennale di architettura di Chicago sponsorizzata dalla British Petroleum e spaziando dall’aria condizionata di casa nostra al Muro di Trump tra Messico e U.S.A.: in questo percorso a zig-zag si permette anche una garbata critica al condominio “Bosco Verticale” progettato dal suddetto Presidente della medesima Triennale, Stefano Boeri, ed alle acritiche riproduzioni di tale modello, in Cina ed altrove, chiedendo: “chi può permettersi di affittare uno di quei lussuosi appartamenti, elevandosi rispetto ai dintorni sottostanti, assai meno abbienti e lussureggianti? Quanto lavoro, capitale e risorse sono necessari per mantenere le facciate verdeggianti dell’edificio? Quali sono i benefici e i limiti ecologici, persino le trappole, di un’opera come questa? La sua rapida celebrazione e adozione come modello non dovrebbero essere un motivo di preoccupazione, più che un indicatore di successo del progetto?” (Domande che condivido in toto).
Sulla stessa linea di una critica radicale, ma che aiuti ad orientarsi nella complessità delle contraddizioni, si sviluppa l’intervento di Alexandra Daisy Ginsberg (artista e designer inglese), muovendo dal successo delle bottiglie di plastica: “Anche di fronte a un’esigenza ben definita, risolvere un problema ne fa sorgere altri. … Il design opera in un intrico di contesti, sistemi e reti che includono esseri umani e non, il presente e il futuro. Per immaginare mondi migliori e renderli più possibili, dobbiamo prima definire quale mondo migliore vogliamo. Progettare in questa complessità significa riconoscere che non esiste un futuro migliore adatto a chiunque, ed è quindi necessario trovare un compromesso tra le varie idee di ‘migliore’ …. Quale idea di migliore si sta perseguendo? Chi la stabilisce?...”
(Mi sembrano buoni consigli per utopisti/riformisti, anche fuori dai confini del design, ed in particolare per noi di Utopia21).
L’ESPOSIZIONE GENERALE, GRANDE ACCOZZAGLIA, CON POCHI ESEMPI VIRTUOSI (NON VALORIZZATI DA UN CONFRONTO NEL MERITO) E MOLTISSIME OPERE AUTOREFERENZIALI, SE NON PARADOSSALI
Pur mancandomi il contatto diretto con le istallazioni e quindi la suggestione comunicativa delle opere e dei messaggi, dalla lettura del catalogo ho ricavato la netta impressione di un significativo divario tra le intenzioni dichiarate dal saggio introduttivo e la effettiva rassegna espositiva, sia in termini di connessioni lungo le varie sezioni tematiche, sia in termini di qualità e comprensibilità delle singole proposte.
Poiché i ragionamenti complessivi, desumibili dai testi dei saggi, li ho riassunti nei precedenti paragrafi, ritengo opportuno limitarmi a commentare singoli elementi, che ho scelto tra i più virtuosi ed i meno virtuosi, secondo le mie personali valutazioni.
(ALCUNI) ESEMPI VIRTUOSI:
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 6
FAIRPHONE 2, prodotto dall’omonima ditta olandese, è uno smartphone progettato affrontando nell’insieme i problemi del ciclo di produzione e di vita dell’apparecchio, puntando sulla sostituibilità dei singoli componenti, sul riciclo dei materiali e sulla riduzione dei danni nel reperimento delle risorse e nelle modalità di lavorazione.
GEOLANA, proposto da Edizero Architecture for Peace in collaborazione con dipartimenti universitari di Cagliari, prevede il riutilizzo di lana di pecora a pelo corto, rifiutata dal mercato tessile, per realizzare dei galleggianti oblunghi, utili – in simbiosi con colonie di animaletti marini - per depurare le acque dei porti e per affrontare sversamenti di inquinanti in mare.
TIALOQUE 200 LITER (Isla Urbana, Messico) e AGUA CARIOCA (collettivo operante a Rio de Janeiro) affrontano il primo la raccolta sistematica ed il riuso dell’acqua piovana in insediamenti poveri preesistenti ed il secondo un più ambizioso sistema di gestione delle acque, dalla pioggia alla fito-depurazione, adeguato (in termini “ecologici sociali e spaziali”) agli insediamenti informali della metropoli, endemicamente privi di fognature.
SEATED DESIGN, di Lucy Jones (GB), studia abbigliamento idoneo a persone costrette a lungo su sedie a rotelle.
PERIOD-PROOF UNDERWEAR, RUBY CUP, WOMEN&HEART DISEASE, JANMA e LIA PREGNANCY TEST, proposte avanzate da designers femmine, singole o associate, suggeriscono soluzioni adeguate per questioni rilevanti nella condizione femminile, dal ciclo mestruale ai test di gravidanza, dalle condizioni del parto “a casa loro” per donne prive di un sistema di assistenza medico alla peculiare attenzione che richiede(rebbe) la diagnosi dell’infarto (che ha nelle donne sintomi meno acuti rispetto ai maschi).
Mi pare però che – a fronte di simili casi di proposte apparentemente serie, ben motivate ed articolate – manchi nell’esposizione sia una attenzione di insieme (solo i progetti “femminili” e quelli “idraulici” sono almeno accostati tra di loro), sia un apparato comunicativo (del genere “scheda tipo”) che spieghi se si tratta di pure idee, di prototipi oppure di soluzioni sperimentate e/o applicate, sia ancora un raffronto critico che – avvalendosi per esempio della saggezza distribuita nei saggi dispersi nel catalogo – le sottoponga ad una verifica di fattibilità, di coerenza, di “sostenibilità ambientale”: con tali carenze, anche i progetti più seri rischiano di diventare mera suggestione, puro spettacolo (altro che avvicinarsi alla scienza…).
(ALCUNI, SOLO POCHI TRA I TANTI) ESEMPI MENO VIRTUOSI (tacendone gli autori):
GENERATIONS: un video-gioco per cellulari talmente complesso che con certezza una sola vita umana non basta per concluderlo, obbligando l’utente, verso fine-vita, a optare se abbandonarlo o affidarlo ad un erede (sarebbe una specie di moderno “memento mori”, finalizzato a far comprendere la relativa brevità della vita umana).
CASKIA/GROWING A MARS-BOOT: una struttura per stivali stampata in 3D ed una colonia di spore di micelio, da alimentare per sette mesi con il sudore dell’astronauta diretto dalla terra a Marte, per divenire un paio di stivali completo, pronto per passeggiare sul pianeta rosso.
NATURE SELF-PORTRAIT: sorta di “selfie” (o meglio vecchi “autoscatti”) a campo lungo, con il corpo dell’autrice (purtroppo nel frattempo deceduta) a confronto con forme della natura, più o meno estrema (e anch’essa nuda o brulla).
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 7
Figura 3 – Nature Self-portrait #10
HUMAN X SHARK: ricerca di feromoni idonei a rendere seducente l’autrice, in muta da sub, per i maschi di una specie particolare di squali copulatori.
QUALCHE CENNO SUI “PADIGLIONI NAZIONALI”, TROPPO SCHEMATICAMENTE RIASSUNTI NEL CATALOGO
L’ecclettismo che pervade l’intera mostra, anche dove aleggia la pretesa di percorsi tematici, per le 23 partecipazioni internazionali è invece dichiarato come tale nel saggio introduttivo a tale sezione, ed è probabilmente inevitabile, come in tutte le consimili rassegne.
Inoltre il Catalogo, che già supera le 350 pagine, non può dar conto in 2-3-4 facciate della articolazione delle proposte, quando queste non sono monografiche: come è il caso dell’Italia, che raggruppa diverse suggestioni sotto il nome dei 4 elementi (acqua-aria-fuoco-terra) oppure degli Stati Uniti, che affronta scientificamente la sostenibilità di materiali ed oggetti secondo diversi criteri.
Tra le partecipazioni nazionali con proposte monografiche (e quindi ben comprensibili già dal catalogo), mi ha incuriosito la proposta austriaca CIRCULAR FLOWS (studio EOOS con istituto svizzero EAWAG, ricerca finanziata dalla Cancelleria Federale austriaca), che ipotizza, con dettagli tecnici assai precisi, una riorganizzazione radicale dei servizi igienici e dei sistemi fognari, separando dall’origine le urine, al fine di escluderne l’impatto negativo nel ciclo di depurazione e valorizzarne invece il riutilizzo come fertilizzanti: si tratterebbe di una riforma con intenso impatto attuativo, casa per casa e strada per strada, da paragonare con quella, ancora più radicale, ma divergente, pubblicata da Bertaglia del CCR di Ispra su Utopia213, in favore di servizi igienici a secco e digestione aerobica delle deiezioni. (Dove e quando una verifica approfondita su simili alternative?).
All’estremo opposto, come scelta espositiva, sempre tra le partecipazioni nazionali a carattere monografico, lo stand del Regno Unito, MAPS OF DEFIANCE, curato dal Victoria&Albert Museum in collaborazione con Art Jameel e con la ONG Yadza, centrato sulle attività investigative in atto nel nord dell’Irak per documentare – coniugando raffinati
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 8
strumenti cartografici digitali ed attrezzature elementari di facile impiego - le pratiche genocide del Califfato Islamico ai danni della enclave etnica Yazida.
Concludono la rassegna internazionale uno spot del Comune di Milano sulla propria politica urbanistica e la NAZIONE DELLE PIANTE, proposta curata da Stefano Mancuso ed altri, che ha avuto grande rilievo nella presentazione della 22^ Triennale sui mass media, mentre non ha altrettanto rilievo sul catalogo: si tratta di una suggestiva rappresentazione delle ragioni del mondo vegetale, contrapposte alle tendenze predatorie del mondo animale (che vive saccheggiando le piante), e ne esalta le caratteristiche modulari-decentrate come modello reticolare di resilienza programmatica, terminando con lo slogan “Se [le piante] fossero una nazione, sarebbe di gran lunga la più importante, da cui tutti dipendiamo”.
Figura 4 – un’immagine della “Nazione delle Piante”
QUESTIONI EMERGENTI (OLTRE AL DISASTRO AMBIENTALE E ALLA SCARSITÀ DI RICETTE PER AFFRONTARLO): ESISTONO CONFINI DISCIPLINARI? LIBERTÀ DI ESPRESSIONE VERSUS PRIORITÀ SOCIO-AMBIENTALI. AUTOREFERENZIALITÀ E POTERE ACCADEMICO/LOBBISTICO.
Al termine di questa carrellata sul Catalogo della 22^ Triennale di Milano, mi permetto di esporre queste riflessioni:
- sul disastro ambientale a mio avviso dopo la 22^ Triennale non ne sappiamo molto più di prima, cioè di quanto verificato e diffuso dalle discipline scientifiche, e ormai sancito da documenti internazionali ufficiali ed ufficiosi, ben noti ai lettori di Utopia21 e del suo Direttore Fulvio Fagiani 4; nuova invece è la percezione della consapevolezza di tali problematiche ambientali che finalmente pervade ambienti come quello del design e delle esposizioni internazionali (vedi anche EXPO 2015 di Milano sul cibo), senza però che ne consegua un livello adeguato
o né di capacità di comunicazione rivolta alla massa dei consumatori, per muoverli a migliori comportamenti operativi come utenti e come cittadini (ed elettori), perché secondo me sul terreno comunicativo queste manifestazioni in sintesi trasmettono piuttosto confusione, allarmismo e sensazione di impotenza,
o né di organizzazione scientifica delle potenziali proposte di soluzioni dei problemi, perché tali proposte, quando presenti, rimangono sommerse dal
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 9
chiacchericcio espositivo/emotivo e non sottoposte a serrati confronti dialettici e verifiche di fattibilità.
- Molte installazioni potrebbero indifferentemente stare qui oppure alla Biennale di Venezia, inaugurata in questi giorni; oppure in qualche sfilata di moda-fashion-week. Personalmente sarei favorevole al superamento degli steccati disciplinari e dei settarismi specialistici, in tutti i campi del sapere (e del fare), scientifico, umanistico ed artistico: però in direzione di una contaminazione fertile, in cui ognuno conosce il proprio linguaggio e si sforza di confrontarsi con quello altrui. Mentre mi sembra di assistere a gare di esibizioni solipsistiche, di invasioni di campo senza che vi sia alcun campo.
- Ritengo che siano valori positivi la libertà di ricerca e di espressione. E si può spesso constatare quanto la ricerca scientifica (ma anche la sperimentazione artistica) abbia spesso ricadute indirette imprevedibili: molte innovazioni che investono la vita quotidiana (e talora indiscutibilmente migliorative) derivano da ricerche che ci sembrano in sé deprecabili perché orientate alla guerra oppure a futili attività per privilegiati, come le corse di Formula 1 oppure l’alta moda. Tuttavia, senza cadere in ridicole censure “zdanoviane” (Andrej Zdanov, teorico del “realismo socialista” nell’Unione Sovietica in epoca staliniana) oppure populiste, mi parrebbe opportuno che un qualche trasparente ragionamento di carattere sociale ed ambientale debba guidare le priorità nella assegnazione delle risorse pubbliche, sia nella ricerca, sia nella comunicazione culturale, riguardo alle erogazioni dirette ed anche indirette, come le agevolazioni fiscali e come l’utilizzo degli spazi espositivi pubblici di eccellenza. Tendenza che potrebbe trasparire nei testi del Catalogo, ma certo non emerge dalla rassegna espositiva di questa Triennale.
- L’autoreferenzialità che caratterizza numerose istallazioni della 22^ triennale (così come della precedente, vedi APPENDICE) non è a mio avviso un semplice vezzo d’artista del singolo Autore, ma uno stile, un “pezzo” organico ad un sistema di potere, di carattere accademico, che trascende gli ambiti strettamente universitari e li connette nella rete dei critici/curatori/”influencer”, dei galleristi&collezionisti, degli editori e dei padroni delle “griffe” (ed in ultima analisi ai potentati finanziari). Un mondo costituito e presidiato da un linguaggio esclusivo ed elitario, dove la forma (“elegante” oppure “provocatoria”), l’emozione (che è sempre “ineffabile”) e soprattutto l’appartenenza alle cordate lobbistiche, prevalgono quasi sempre rispetto a contenuti razionali, verificabili e comunicabili al di fuori della ristretta cerchia degli iniziati. Se ciò accomuna in qualche misura tutte le accademie (anche scientifiche, filosofiche, ecc.) e tutti i sistemi di potere (tra cui lo stesso mondo politico), nei campi dell’arte e della moda si possono ovviamente toccare vertici altrove inattingibili.
Il meccanismo dell’interscambio elitario mira in sostanza ad alimentare e gonfiare valori di mercato artificiosi, per idee ed oggetti, analogamente a quanto avviene in Borsa e nel Calcio. Poiché tali speculazioni si fondano in ultima analisi sul consenso degli spettatori/consumatori, è forse il caso di iniziare a dire in giro, come nella fiaba “i vestiti nuovi dell’imperatore”, che in realtà “Il Re è Nudo”.
Spiace però che tali tendenze sconvolgano il design (e l’architettura, ecc.), che dovrebbe invece confrontarsi con i bisogni primari dell’uomo, quali sopravvivere ai
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 10
disastri ambientali dall’uomo stesso creati, ed inoltre mangiare, vivere, abitare, studiare, lavorare (e solo verso la fine “estinguersi con eleganza”).
APPENDICE SULLA 21^ TRIENNALE DI MILANO, 2016 (testo pubblicato sul mio blog “relativamente sì” http://aldomarcovecchi.blogspot.com nel giugno 2016)
Ho visitato due tra le principali mostre che caratterizzano questa 21^ Triennale, dopo 20 anni di sospensione, e sono rimasto abbastanza perplesso. “W. Women in Italian Design - Design Museum Nona Edizione“ a cura di Silvana Annichiarico, dopo una affascinante ma ambigua sala/gineceo di “pizzi e merletti” (le abilità tessili ovvero il confino in cui a lungo è stata relegata la donna, non si capisce se rivendicato o da vendicare) espone, meritoriamente, oggetti di design realizzati in Italia da donne negli ultimi 100 anni (e cioè: quasi nulla e per lo più bambole e ninnoli fino agli anni ’50; poco dai ‘50 agli ’80, e spesso esibendo un paio di cognomi, di cui uno maschile; molto solo dopo il 2000), ma senza un raffronto (neanche numerico o riassuntivo) con l’altra (e finora preponderante) metà maschile del cielo, per cui risulta difficile capire il vero peso quantitativo e qualitativo della componente femminile nella storia nazionale del disegno industriale (ad esempio: quante donne laureate nel settore nei vari anni e quante di loro affermate nella professione?; oppure quali evoluzioni grazie alle donne/progettiste sono emerse nelle tipologie dei prodotti, nelle soluzioni progettuali, nel modo di progettare e di produrre?).
Guardando gli oggetti esposti relativi agli ultimi decenni, e ripensando all’insieme del Museo del Design attualmente collocato alla Villa Reale di Monza (e sempre diretto da Annichiarico), mi sembra di capire che i designers di ambedue i sessi si stiano perdendo nella progettazione di cose inutili, intercambiabili con moda&arte, per clienti ricchi e annoiati, mentre il popolo – me compreso - va all’IKEA (e ci trova cosa in prevalenza utili e spesso ben disegnate, ma all’estero) oppure a Conforama (eccetera) e ci trova cose, sempre abbastanza utili, meno ben disegnate, che costano un po’ meno, e di cui la Triennale comunque non si interessa, anche se riempiono le case degli italiane e delle italiane, e ne condizionano gli stili di vita.
Allettanti, ma di dubbia scientificità, i temi dell’ultima sala, con schemi e test su cervello e percezione maschile/femminile e su e gli embrioni di analisi statistiche su pochi dati numerici relativi alla facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano. “STANZE. Altre filosofie dell’abitare” a cura di Beppe Finessi, si compone di due parti:
- La prima è una ampia ma superficiale carrellata, con una sola foto di una porzione di casa arredata (talora porzioni non significative) per ogni autore, riferita ai progettisti di interni italiani degli ultimi 80 anni;
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 11
- La seconda è una rassegna alquanto delirante di “soluzioni abitative” realizzate specificamente in sito da autori contemporanei, accompagnate da testi ancora più autoreferenziali e deliranti (le “filosofie”), con la sola eccezione di una sorta di “bungalow per studenti” proposto da Umberto Riva, un vecchio maestro che mostra ancora un ancoraggio con la realtà;
- vecchio maestro è ormai anche Alessandro Mendini, che ha avuto il merito di svecchiare il clima negli anni ‘70/’80 con spiritose e simpatiche provocazioni, ma non capisco che senso abbia oggi – mentre 70.000 persone vagano senza-casa per le città italiane (e mentre la situazione carceraria continua ad essere più penosa che semplicemente penale) - annunciare che lui si sente un po’ imprigionato e quindi impiega il suo stand per rappresentare una condizione di invivibilità in stile optical/ossessivo (una stanza a violente bande bianco-nere con feroce illuminazione): abbiamo ancora bisogno di simili provocazioni?
- mentre Carlo Ratti (e Associati), giovane maestro di smart-city, presenta un mobile assemblaggio di sgabelli imbottiti, comandabile però da remoto smartphone (che utilità può avere, al di là di un single, che a metà serata, programmi di aver piacere al suo rientro di un divano ad una piazza piuttosto che a 2 o più piazze?);
- l’unica istallazione con un cenno di attenzione alla tematica del cambio climatico e del risparmio energetico si limita a recepire l’esistenza di moderni film fotovoltaici, e li spalma in fasce parallele su pareti esterne totalmente vetrate (che a mio avviso rendono invivibile lo spazio per usi residenziali, mancando ogni controllo su luce esterna e visioni dall’esterno), con dentro un arredo del tutto indifferente a clima/risorse/rinnovabilità.
Capisco e rispetto la libertà di ricerca e di espressione, l’impossibilità di definire confini tra architettura ed altre arti, ecc. ecc. (e anche il peso della progettazione e progettazione di oggetti di lusso nel PIL di Milano, Monza e Brianza) ecc. ecc., ma mi chiedo anche se questa rassegna rappresenta la progettazione di interni in Italia oggi: perché in tal caso significa che nessuno si preoccupa di cosa sta progettando, per chi sta progettando, di quali sono i problemi delle persone comuni, tanto in Italia quanto peggio nei paesi emergenti ed in quelli in via di sommersione, e di come cambieranno nei prossimi decenni, tra crisi economica e crisi ecologica.
Nel mio piccolo non mi sono mai occupato di interni in quanto tali, se non per arredare sobriamente edifici pubblici (oppure casa nostra), ma sono abbastanza fiero, come architetto e funzionario, di avere speso il mio tempo per fognature, semafori, marciapiedi, cimiteri, case popolari, centri sociali ed altre cose più utili alla comune umanità.
Fonti:
1. Aldo Vecchi “LA SOSTENIBILITÀ DAL FABBRICATO AL TERRITORIO” – Quaderno 5 di UTOPIA21, settembre 2018
https://drive.google.com/file/d/1dSTEb7DtGK9dYDMwxry3IJzQAHIY-FcA/view?usp=sharing
2. AAVV, a cura di Paola Antonelli e Ala Tannir “BROKEN NATURE” – Catalogo della XXII Triennale di Milano – Electa, Milano 2019
3. Marco Bertaglia - PIANETA IN PERICOLO: NUOVO ALLARME DEGLI SCIENZIATI” su UTOPIA21, marzo 2018 https://drive.google.com/file/d/19OCltQhkLZmTBbQ-x-EzLR37efPh_/view