giovedì 21 maggio 2020

UTOPIA21 - MAGGIO 2020: DOVE STA(VA) ANDANDO IL DIBATTITO TRA GLI URBANISTI ITALIANI



Con riferimento all’articolo dello scorso settembre, il tentativo di capire i termini del confronto tra gli urbanisti italiani, alla vigilia dell’irruzione della Pandemia; e le prime ipotesi sulla post-Pandemia  

Sommario:
-       il Congresso dell’INU a Riva del Garda, nell’aprile del 2019
-       i convegni annuali di UrbanPromo nel successivo autunno
-       lo spazio “CittàBeneComune” nella Casa della Cultura di Milano
-       si apre il confronto sull’epidemia Coronavirus?
-       qualche riflessione finale, ma provvisoria

     (per le figure, andare al sito www.universauser.it)

IL CONGRESSO DELL’INU A RIVA DEL GARDA, NELL’APRILE DEL 2019

Su Utopia21 di settembre1 accennavo al 30° Congresso Nazionale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica che si era svolto in aprile a Riva del Garda (con la 7^ Rassegna Urbanistica Nazionale), aspettandomi dalle riviste (“Urbanistica” e “Urbanistica Informazioni”) e dal sito


Figura 1 – una schermata della “RUN Gallery” sul sito dell’INU dedicato al 30° Congresso
dell’INU (rinnovato con aspetto molto interattivo) una documentazione utile per capire dove stava andando il dibattito tra gli urbanisti italiani.
Purtroppo (ripetendomi) il cronico ritardo nella pubblicazione delle suddette riviste e la sostanziale evanescenza del sito (pur accattivante di pulsanti multimediali) non consente ancora di attingere sostanzialmente a tale materiale.[A]

Pertanto, riguardo al XXX CONGRESSO e alla connessa e conclusiva ASSEMBLEA DEI SOCI, occorre riferirsi alla dichiarazione del nuovo Presidente Michele Talia (già riprodotta da me in settembre1) ed al suo articolo  sul n° 284-285 di Urbanistica-Informazioni, “marzo-giugno 2019”, diffuso nel gennaio 2020 2, che mi sembra imposti correttamente la necessità di una svolta nelle politiche urbane e territoriali, e nelle connesse strumentazioni disciplinari, a partire dalla realtà del Cambio Climatico (con un fondato pessimismo sui ritardi dei Governi ed un ottimismo a mio avviso meno fondato sui risvolti occupazionali positivi dell’auspicato Green New Deal), auspicando ricerche teoriche e sperimentazioni pratiche sul fronte della rigenerazione urbana, con attenzione ai beni comuni oltre che ai valori ambientali, prima ancora che specifiche riforme legislative[B].

A fianco di questa posizione, ho riscontrato invece, sempre nel n° 284-285 di UrbInf, nell’articolo di apertura del direttore della rivista, Francesco Sbetti 3, una maggior consapevolezza sulla mole degli investimenti pubblici che sarebbero necessari, in Italia, per coniugare una svolta ambientalista con la soddisfazione dei fabbisogni arretrati, relativi al territorio ed ai trasporti (una “discontinuità” che implica scelte macroeconomiche di cui oggi, a mio avviso, purtroppo non si ravvisano le premesse politiche).
Ed è di questa consapevolezza sulle dimensioni della svolta, per recuperare città, territori e paesaggi, che nel mio precedente articolo segnalavo la mancanza nei documenti più ufficiali dell’INU (mancanza che probabilmente persiste, ad eccezione di Francesco Sbetti e pochi altri).


I CONVEGNI ANNUALI DI URBANPROMO NEL SUCCESSIVO AUTUNNO

Ma è nel secolo scorso che il confronto sull’urbanistica italiana, – oltre che sulle riviste e nelle facoltà universitarie - avveniva soprattutto nelle Rassegne Urbanistiche, organizzate dall’Istituto Nazionale di Urbanistica, a scala nazionale e spesso anche a scala regionale, più o meno intrecciate ai Congressi dell’Istituto; con forte partecipazione (e sostegno finanziario) di Regioni ed Enti Locali, che d’altronde erano (e solo in parte continuano ad essere) tra i Soci influenti dello stesso I.N.U., mentre i Partiti della 1^ Repubblica (e le loro correnti) si misuravano anche sulla politica urbanistica[C].

Perché negli ultimi decenni, pur svolgendosi ancora diverse Rassegne (le ultime a livello nazionale nel 2004, 2010 e 2019), l’INU ha sopperito al calo di interesse e di partecipazione finanziaria da parte delle Pubbliche Amministrazioni istituendo, attraverso la propria Agenzia “Urbit”, gli appuntamenti annuali di “UrbanPromo”, sorretti in buona misura dagli sponsor privati (o semi-pubblici), che nelle fasi più galoppanti del rinnovamento urbano di inizio secolo (il 6° ciclo edilizio, dal 1995 al 2006, secondo il CRESME N) erano invitati ad esporre i loro progetti in questa vetrina: progetti spesso contrastanti con le direttive predicate da INU e urbanisti.

La crisi dal 2007-2008 ha ridimensionato le aspettative promozionali degli investitori immobiliari, ma non ha svuotato UrbanPromo, che – con una più ridotta schiera di sponsor (da ultimo soprattutto le società promananti dal gruppo Ferrovie dello Stato, per valorizzare le aree ferroviarie dismesse, e le Fondazioni Bancarie impegnate nell’edilizia sociale) – è arrivato alla sedicesima edizione, e si è addirittura moltiplicato (o diviso) per tre, con una sessione dedicata al “Social Housing” 6 ed una “Green” 7, affiancando o alternando alla tradizionale sede della Triennale di Milano (vocata alla sessione “Progetti” 8) altre sedi, come lo IUAV di Venezia o la “Nuvola Lavazza” di Torino. E raccogliendo sempre numerosi contributi teorici, soprattutto dai dottorandi dei vari Dipartimenti Universitari interessati.

Gran parte degli interventi ai convegni UrbanPromo (taluno però SOLO in inglese) divengono poi disponibili gratuitamente alla lettura (o all’ascolto) remoti, tramite il sito e la news-letter omonime, quest’ultima arricchita anche da comunicazioni aggiornate, successive ai convegni; tali materiali vengono in parte riprodotti, in una fase successiva, sula rivista on-line Urbanistica Informazioni.

Complessivamente quindi i materiali provenienti da UrbanPromo costituiscono a mio avviso un interessante panorama, in parte sull’urbanistica praticata nei territori, ma soprattutto sul dibattito in corso tra gli “addetti ai lavori”; dibattito su cui esprimo le seguenti valutazioni sintetiche, riferite alle 3 sessioni di UrbanPromo 2019 (segnalando inoltre alcuni temi  specifici, come le ricerche sulle costruzioni in legno e le esperienze di demolizione selettiva degli elementi detrattori del paesaggio):



Figura 2: una parte del programma di Urbanpromo Green, settembre 2019

-       su aree ex-ferroviarie (Milano, Torino, Firenze, Roma, Napoli, ma anche Bolzano, Bari, Reggio Calabria): anche se si tratta sempre  indubbiamente di suolo già consumato, e se si riscontra una diffusa attenzione per la qualità urbana, mi sorprende quanto siano ancora rilevanti le quantità in gioco (ad esempio a Torino, dopo le polemiche sulle prime “spine” già trasformate, ce ne sarebbe ancora per un multiplo di tali quantità ; per gli scali di Milano ho già brevemente riferito sulle ciclopiche dimensioni delle trasformazioni prospettate); e mi chiedo se una seria strategia di “risparmio del consumo di suolo” possa dare per scontata una rapida valorizzazione per usi urbani, oppure centellinarne il riuso nei decenni (come in 150 anni furono acquisite ed accumulate), tenendole come “scorte strategiche” (anche nei bilanci del gruppo FS), e riconvertendole a breve termine in aree verdi, anche non fruibili, a basso costo di manutenzione: scelta che dovrebbe maturare a livello nazionale, fintanto che il gruppo FS, pur privatizzato, è ancora saldamente controllato dall’azionista pubblico (Ministero Economia e Finanza), e considerato che “…La sostenibilità è il principio cui si ispira il Gruppo per perseguire gli impegni dichiarati nelle politiche aziendali e nel Codice Etico”, come si legge aprendo il sito del Gruppo FS.

-       Housing sociale: i pochi esperimenti di edilizia residenziale sociale in atto nel paese, per lo più a cura di organismi derivanti o partecipati dalle Fondazioni Bancarie, risultano accompagnati da un notevole l’apparato di ricerca e di riflessione, sia riguardo alla complessa articolazione della domanda (in funzione della precarietà del lavoro e degli stessi legami famigliari, e della differenziazione per età, per etnie, per località) ed ancor più della “domanda solvibile” (e quindi nuovi poveri o quasi poveri, ma che non siano così poveri da non poter pagare un canone di locazione), sia riguardo ai raffinati algoritmi per coniugare l’efficienza economica degli investimenti con l’efficacia (o “l’impatto”) sociale degli interventi (apprezzabile anche l’attenzione “alle persone” ed al contesto di relazioni e di servizi considerati necessari attorno a ciò che fisicamente sono gli edifici residenziali, in una ottica di “valorizzazione del capitale sociale”); nel complesso tutto ciò costituisce un prezioso contributo di studi sul problema della casa e sulla concreta sostenibilità urbana oggi, in Italia, che però finisce per essere marginale ed infertile, se riguarda solo qualche centinaia di alloggi in tutta Italia, a causa della mancanza di un poderoso programma pubblico di investimenti in materia di edilizia sociale (poco consola, a mio avviso, sapere che quel tanto che fanno le Fondazioni è saggio e ben curato, se tale “quel tanto” è di fatto pochissimo rispetto alla platea dei fabbisogni, solvibili o ”non solvibili”);

-       Eliminazione delle barriere architettoniche: l’insieme delle analisi e delle proposte che sono maturate in questi ultimi anni, tenacemente raccolte e sintetizzate dalla Commissione  guidata dall’arch. Iginio Rossi, attraversano e si compenetrano ormai con larga parte delle discipline architettoniche ed urbanistiche, ben oltre la sacrosanta e primigenia attenzione agli scalini ed ostacoli che imperversano (purtroppo tuttora, in molte realtà) su marciapiedi e percorsi pedonali, perché correttamente le valutazioni si sono estese alla molteplicità degli handicap soggettivi ed alla complessità dei fenomeni urbani; nell’ambito della sessione mi ha in particolare favorevolmente colpito l’impostazione “capovolta”, di partire – anziché dai “Piani” - dai bisogni concrete delle singole persone (nel caso concreto soggetti incorsi in infortuni oppure da avviare alla riabilitazione dopo un periodo di cure ospedaliere) presentata sia “dal centro” ad opera di esponenti dell’INAIL, sia “dalla periferia” a cura dei Servizi sociali e sanitari regionali a Reggio Emilia  (impostazione che mi auguro sia effettivamente applicata ed imitata);

-       Green: il versante “verde” del discorso urbanistico e territoriale si presenta sempre più sfaccettato in differenti filoni “specializzati”, talora un po’ variabili in funzione della “moda mediatica” oppure dei canali di finanziamento specifico, con approfondimento spesso apprezzabili e talvolta invece più convenzionali; nella sessione veneziana del settembre 2019 i temi emergenti mi sono sembrati:
o   gli itinerari ciclabili e pedonali di lungo respiro, da Vento lungo il Po alla costiera Adriatica, spesso associati a pratiche di narrazione collettiva sui miti ancestrali ed eno-gastronomici dei luoghi: ma anche la ciclabilità urbana nella concretezza delle attuazioni dei Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile
o   i contratti di fiume, quali tentativi di sintesi operativa tra soggetti diversi attorno ai vari temi, ambientali e non solo, che si intrecciano nei contesti fluviali e lacustri;
o   la gestione delle acque, anche oltre la contabilità amministrativa della cosiddetta “invarianza idraulica” (gli interventi di trasformazione insediativa non devono aggravare il deflusso delle acque piovane) ed invece verso una visione dinamica degli equilibri complessivi dei bacini idraulici;
o   i piani di adattamento climatico delle città, che coinvolgono sotto prospettive nuove tutto l’assetto fisico e sociale degli insediamenti, dai sotto-servizi alle alberature, dai fabbricati agli impianti tecnici, dai trasporti alle consuetudini di protezione civile;
o   la ricerca di un sistema organico di indicatori per le Valutazioni Ambientali per il territorio, che è un problema assai più complesso di quello (finora anch’esso irrisolto) degli indicatori per i fabbricati, e che richiederebbe che qualche amministrazione pubblica – di rango almeno regionale – assumesse con coraggio qualcuna delle ipotesi in campo per sperimentarla in modo consistente (invece di lasciare, come ora, che ogni autorità preposta alla VAS si regoli come crede); in assenza di una vasta sperimentazione, mi pare che il confronto puramente teorico tra le diverse proiezioni rischi di non produrre frutti;
o   (meno frequentati in questa stagione, altri aspetti delle tematiche ambientali, quali il consumo di suolo, l’impronta ecologica ed il ciclo del cibo).


LO SPAZIO “CITTÀ-BENE-COMUNE” NELLA CASA DELLA CULTURA DI MILANO
Un’altra importante finestra da cui osservare (e gratuitamente) il dibattito tra gli urbanisti, da una angolatura milanese, è “CittàBeneComune” 9, spazio nella Casa della Cultura di Milano (in collaborazione con il Dipartimento DATSU del Politecnico) diretto dal prof. Renzo Riboldazzi, che ha da un lato organizzato, dal 2013 al 2019 (con sessioni parallele, nei singoli anni e con altri curatori, per il paesaggio o l’ecologia; e con sospensione per Pandemia nel 2020), sessioni primaverili di presentazioni di testi con la presenza non solo degli Autori, ma anche quasi sempre di altri “discussant” per ogni testo, il tutto riportato o riassunto sul sito informatico, dove, d’altro lato, si susseguono frequenti recensioni su altri saggi pubblicati di recente (anche su temi non strettamente disciplinari), con una prevalenza, tra i commentatori, di autorevoli professori “emeriti” degli Atenei di Milano e Torino, e tra le tematiche ed i punti vista della commiserazione per la decadenza della prassi e della stessa disciplina urbanistica (presentazioni e recensioni da cui ho di frequente attinto come fonti bibliografiche per i miei interventi su Utopia21).
    

Figura 3 – testate dei siti della “Casa della Cultura” (di Milano) e di “Città Bene Comune”


Il tutto quindi molto orientato al confronto dialettico tra diversi soggetti (anche se talora prevale la “diplomazia accademica”), che mi risulta essere diventato costume abbastanza raro (ne accenno in questo numero nella “conversazione sul Festival e altro----“ [D].
Ogni “annata” di “CittàBeneComune” è inoltre riepilogata e analizzata dallo stesso Riboldazzi con un saggio sinottico finale, alla cui raccolta rimando (per le annate fino al 2018).

Nel 2019 gli ospiti chiamati a presentare i propri saggi sono stati Patrizia Gabellini (ritrovare un ruolo per l’urbanistica, pur nel venir meno di antiche certezze), Gabriele Pasqui (la crisi delle discipline architettoniche/urbanistiche nel contesto di una più generale messa in discussione del sapere scientifico e delle Università) e Carlo Olmo (la riscoperta dei fondamenti per una effettiva democrazia negli spazi urbani); tra i temi presenti negli altri contributi recensori (oltre ai commenti sui testi di Bertuglia&Vago e di Indovina, che ho già ripreso su Utopia21), mi sembra che emergano il confronto con l’antropologia nella rilettura dei luoghi urbani, a partire dalle periferie, dalle aree interne, dal terzo mondo, e l’attenzione analitica sugli elementi costitutivi del suolo e del paesaggio.


SI APRE IL CONFRONTO SULL’EPIDEMIA CORONAVIRUS?

Mentre Urbanpromo in aprile, ha ottimisticamente confermato il programma delle sue manifestazioni annuali per settembre e novembre, le riflessioni sulle ripercussioni che la Pandemia in corso avrà su tutti i fenomeni urbani e territoriali ha iniziato a percorrere anche il mondo degli architetti ed urbanisti, sia nelle riviste specializzate che sui media generalisti:

-       su Urbanistica Informazioni n° 286, uscita all’inizio di aprile, il Direttore Sbetti nell’articolo di Apertura “Transizioni” 10 affronta organicamente le problematiche delle conseguenze della pandemia, individuando, in uno scenario di incremento dell’indebitamento, pubblico e privato, e di aumento di povertà e disuguaglianze, sociali e territoriali, i seguenti nodi:
o   la difesa del territorio, già al centro dei suoi precedenti articoli (vedi sopra, pag. 2), si pone come obiettivo dell’urbanistica, anche come cornice della complessiva protezione civile oggi imperniata sul fronte sanitario;
o   gli spazi pubblici, al momento impoveriti dal distanziamento sociale, devono essere ripensati per assicurare una omogenea accessibilità ai servizi (sanitari, scolastici, culturali);
o   le infrastrutture (vedi ad esempio la banda larga per le telecomunicazioni) ed i trasporti pubblici, come anche la logistica delle merci, vanno resi più efficienti in tutti i tipi di territori;
o   il minor inquinamento temporaneo, registrato durante i periodi di blocco sanitario, può suggerire opportune strategie per migliorare l’offerta degli “eco-sistemi” nelle aree metropolitane e per valorizzare le “aree interne” che già ne dispongono.
-       (Il pezzo del direttore è affiancato da due approfondimenti di carattere storico-culturale di Elena Dorato e Marzio Favero, l’una sul rapporto tra scienze del corpo e scienze del territorio, l’altro sulla salute pubblica come componente delle discipline urbanistiche, con diversi esiti a fronte dei diversi pericoli).

-       Successivamente sul Sito dell’INU è stato pubblicato un invito al dibattito 12, che afferma tra l’altro : “L’Istituto Nazionale di Urbanistica, …, intende offrire il suo apporto tecnico e di proposta alla ricerca di soluzioni in grado di far ripartire le città italiane, contribuendo al superamento delle principali prove che l’Italia dovrà affrontare tanto nel breve, quanto nel lungo termine.--- si tratta di proporre innanzitutto soluzioni pragmatiche e convincenti per un tema che appare indiscutibilmente di nostra competenza, e cioè la messa in sicurezza degli insediamenti ad alta densità dai pericoli del contagio, con rimedi che affrontino le principali criticità manifestate dai trasporti urbani, dagli spazi di uso collettivo, dalle attrezzature culturali e dai luoghi della socializzazione.
In una prospettiva di più ampio respiro il ridisegno delle aree a più alta frequentazione dovrà partecipare attivamente ad una manovra integrata, che punti al tempo stesso ad aumentare la resilienza dei territori e delle reti urbane nei confronti di nuove, possibili calamità – associate non necessariamente al diffondersi di ulteriori epidemie, ma forse al riscaldamento del pianeta – e a varare ambiziosi programmi di sostegno di un sistema economico duramente provato da una crisi che si preannuncia particolarmente grave e prolungata.”
Ancora una volta le principali agglomerazioni e la stessa forma urbana saranno l’epicentro di questa duplice sfida, dimostrando che i pericoli dell’addensamento della popolazione e le opportunità offerte dalla prossimità – che in passato ha favorito i processi innovativi, lo scambio delle idee e le interazioni sociali – possono convivere efficacemente grazie al formidabile apporto della cultura della pianificazione, dimostrando che un altro modo di concepire le città e il loro governo è ancora possibile.”

-       Intervistati su “La Repubblica”, le “archistar” Massimiliano Fuksas13 e Stefano Boeri14, hanno espresso alcune idee sul futuro post-Pandemia, che contemplano anche una possibile fuga dalla città verso le attuali “seconde case” oppure verso i borghi semi-abbandonati delle “aree interne”, fuga sorretta dal “lavoro a distanza” (e in qualche modo annunciata, prima della Pandemia, dalla super-archi-star Rem Koolhass15, con la mostra ed il manifesto “Countryside”[E] :
-       - in particolare, Fuksas affianca a tale ipotesi un massiccio intervento pubblico sulla casa – a partire dalla manutenzione e riqualificazione dei quartieri popolari preesistenti – ed una riconsiderazione radicale delle abitazioni (studiata con un gruppo interdisciplinare), prevedendo uno standard minimo di 60 m2 per alloggio, con predisposizione di spazi per l’eventuale isolamento individuale e di presidi sanitari minimi[F]; nonché in ogni palazzo un piano comune per lo smart working (ma non è più razionale che ognuno provveda nel singolo alloggio?); ed ancora il superamento dei grandi ospedali e degli impianti centralizzati di aerazione, più bici e meno auto, ecc.
-       - Boeri auspica una sorta di gemellaggio tra aree metropolitane e “aree interne”, per incentivare i trasferimenti; per le città, a breve/medio termine ne ipotizza un uso più rarefatto, con ritorno alle piazze ed ai luoghi della cultura mantenendo i distanziamenti sanitari tra gli utenti, con i negozi che sfruttano gli spazi esterni sulle strade, con carreggiate veicolari ristrette, con più bici e meno auto (se non elettriche); ed un ripensamento degli spazi comuni dei “grattacieli”, con atri più ampli e più ascensori, spazio di atterraggio per i droni sul tetto, ecc.


QUALCHE RIFLESSIONE FINALE, MA PROVVISORIA

A mio avviso, poiché non si può prevedere ancora né la durata della Pandemia e le possibilità di conviverci in attesa dell’auspicato vaccino, né la profondità delle sue conseguente socio-economiche, è troppo presto per capire cosa prevarrà tra le tendenze contraddittorie che si stanno manifestando, non solo per le scelte socio-politiche più generali, ma anche per i complessi fenomeni urbani, dalla tendenza insediativa ai flussi di persone e merci, dal modo di lavorare e di consumare alla fruizione dei servizi e delle abitazioni, fino alla socialità e convivialità quotidiana.
Ad esempio a Milano, mentre i trasporti pubblici funzionano con capienza ridotta per garantire i distanziamenti tra le persone, si propone una accelerazione nell’offerta di percorsi ciclo-pedonali (e in prospettiva anche di “dehors” per negozi oltre che per bar e ristoranti), ma nel contempo si sospendono temporaneamente le restrizioni alle auto (zone B e C, nell’unica città italiana che ha sottoposto a pedaggio l’ingresso al centro); con il rischio che in caso di effettiva piena ripresa si determini una situazione di congestione fisica (ancor prima che di eccessive polluzioni), temperata forse dal tentativo di scaglionare gli orari di uffici, fabbriche (ce ne sono ancora!) e scuole, e dalla possibile persistenza delle attività  a distanza, mediate dalla rete telematica: una serie di equazioni impossibili da risolvere a-priori.

Per questo tutti i contributi teorici possono essere utili, soprattutto se – pur proiettandosi in scenari sconosciuti – fanno tesoro delle precedenti riflessioni ed esperienze e si accompagnano a concrete nuove sperimentazioni.
Nel concreto, perciò, riguardo all’ipotesi di “fuga dalla città”, ritengo che occorra misurarsi con le ricerche territoriali sugli assetti tendenziali dell’Italia di inizio secolo, che distinguono tra le aree metropolizzate (incluse a mio avviso ampi territori sub-urbani e semi-rurali, dove – pur “fuggendo” dalla densità dei nuclei urbani consolidati – è però facile tornarci entro un paio di ore, fruendo comunque, fuori dai grandi centri, e a “mezz’ora da casa” di una rete di molteplici servizi – scolastici, sanitari, sportivi, consumistici, ecc.) e le vere “aree interne”, (che ridefinirei “aree remote”), verso cui le distanze aumentano e dove i servizi sono rari e/o poco raggiungibili e/o poco qualificati (penso soprattutto al commercio al minuto, estinto nei piccoli centri, che divengono così repulsivi anziché attrattivi): non immagino che il post-Pandemia unito al tele-lavoro basti a rivitalizzare tali aree interne/remote, a meno di spingere il processo con massicci investimenti pubblici in infrastrutture, trasporti e servizi (forse comunque necessari ed opportuni), che Boeri forse evoca come “gemellaggi” con le metropoli.

Per ciò che concerne la rivisitazione delle tipologie edilizie residenziali, le “provocazioni” di Fuksas (che probabilmente alludono a ragionamenti più articolati) – e premesso che condivido in toto l’appello a rifondare una politica pubblica per le abitazioni -  andrebbero mediate con valutazioni sulla consistenza del patrimonio edilizio esistente e recuperabile (compresi gli “avanzi” cari a Luciano Crespi 18,19) e sulla articolazione della domanda (utilissime in proposito le elaborazioni sul campo del “social Housing di cui sopra a pag.4-5): in tal senso, più che ad uno standard minimo di superficie per alloggio, penso che si debba ragionare su moduli aggregabili e disaggregabili (come ad esempio i cosiddetti alloggi-canguro20), per adeguarli alla dimensione variabile di quello che oggi sono i “nuclei familiari”, accompagnata da una fluidificazione del mercato degli alloggi – in proprietà ed in affitto – studiata in favore della vita variabile di persone e famiglie (e non contro di essa).       

Più in generale riscontro che – sia prima della Pandemia che nel suo attuale perdurare – le riflessioni su casa, città e territorio da parte degli “addetti ai lavori” continuano ad essere caratterizzate da una elevata frammentazione, che rispecchia in parte gli specialismi disciplinari ed in parte le divergenze tra scuole e correnti (divergenze raramente misurate in un diretto confronto dialettico).
Tale frammentazione rende in apparenza inadeguati alle grandi sfide dell’oggi e del domani anche i contributi di ricerca più seri riguardo al ruolo ed alla trasformazione delle città e degli spazi aperti.
Ma non esclude un paziente lavoro di ricucitura culturale.

Fonti:
1.    Aldo Vecchi - SUOLO, TERRITORIO, URBANISTICA: A CHE PUNTO È IL DIBATTITO – su UTOPIA21, settembre 2019 LINK
2.    Michele Talia – L’ECCEZIONE E LA REGOLA – su “Urbanistica Informazioni” n° 284-285, pubblicato nel gennaio 2020
3.    Francesco Sbetti – BUONI PROPOSITI - su “Urbanistica Informazioni” n° 284-285, pubblicato nel gennaio 2020
4.    I.N.U., 30° Congresso – CONVEGNO: IL GOVERNO DEL TERRITORIO MONTANO NELLO SPAZIO EUROPEO – 3 aprile 2019 https://25c7af31-9ab8-49ce-b3c9-4872a0a587f.filesusr.com/ugd/f7633c_4b7f8473844b41799d980ecca482a572.pdf
5.    I.N.U. - VII RASSEGNA URBANISTICA NAZIONALE – 4 aprile 2019 https://25c7af31-9ab8-49ce-b3c9-54872a0a587f.filesusr.com/ugd/f7633c_14a0ee773b194eccb34158ab51939720.pdf
10. Francesco Sbetti – TRANSIZIONI - su “Urbanistica Informazioni” n° 286, pubblicato nell’aprile 2020
11. Autori Vari, a cura di Marino Regini – FOCUS: IL CAPITALISMO EUROPEO CONTEMPORANEO - LEZIONI DI SOCIOLOGIA ECONOMICA – sul n° 12/2019 del magazine “Via Borgogna 3”, edito dalla Casa della Cultura di Milano https://www.casadellacultura.it/magazine-on-line-casa-della-cultura.php
12. Francesco Merlo - THE DAY AFTER - FUKSAS "RIDISEGNARE LO SPAZIO VITALE NELLA CASA POST COVID" – su “La Repubblica” del 19 aprile 2020
13. Brunella Giovara - THE DAY AFTER - BOERI "VIA DALLE CITTÀ NEI VECCHI BORGHI C’È IL NOSTRO FUTURO" – su “La Repubblica” del 21 aprile 2020
14. Cloe Piccoli – REM KOOLHAAS – LA CAMPAGNA CI SALVERA’ – su “La Repubblica/Robinson del 9 maggio 2020
16. Aldo Vecchi - PROBLEMATICHE DELLA SOSTENIBILITÀ DAL FABBRICATO AL TERRITORIO – QqQuaderno n° 5 di UTOPIA21, settembre 2018 https://www.universauser.it/i-quaderni/quaderno-5-sostenibilita-dal-fabbricato-al-territorio.html
17. Giovanni Alfredo Barbieri, Federico Benassi, Marianna Mantuano – LE TRAIETTORIE EVOLUTIVE DELLE CITTA’ ITALIANE: DINAMIHCE DEMOGRAFICHE E CARATTERISTICHE SOCIO-ECONOMICHE – su “Urbanistica n° 158, pubblicata nel novembre 2017
18. Luciano Crespi - MANIFESTO DEL DESIGN DEL NON-FINITO – Postmedia Books, Milano 2018
19. Aldo Vecchi - LUCIANO CRESPI ED IL MANIFESTO DEL DESIGN DEL NON-FINITO – su UTOPIA21 del luglio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1O3mfaTWoPW10LIo5ixipqZHcePTorMie/view



[A] Costringendo così ad accontentarsi:
-           per il convegno “IL GOVERNO DEL TERRITORIO MONTANO NELLO SPAZIO EUROPEO” 4, del programma dei lavori, attinenti tra l’altro a:
o          Le centralità urbane nei territori montani tra identità locale e accesso ai servizi
o          Fragilità e resilienza dell’ambiente di montagna.
o          La governance dei valori ambientali e paesaggistici
o          La montagna nelle reti globali. Prospettive di sviluppo locale integrato
o          La rigenerazione dei sistemi insediativi montani
-           per la 7^ RASSEGNA URBANISTICA NAZIONALE 5, del materiale preparatorio, che include brevi interventi audio-video dei probabili relatori ed una galleria di 58 “spot” di immagini con alcune frasi introduttive per altrettanti casi da illustrare e discutere nei seminari, sotto il cappello “Mosaico Italia: raccontare il futuro” (un futuro “caratterizzato da un'inarrestabile urbanesimo delle popolazioni”) e raggruppati in “Quattro strati narrativi che rappresentano pratiche innovative, sperimentazioni, inerzie. In una parola, piani che avanzano progetti di una società in profonda mutazione” :
o          ITALIA FRAGILE
o          ITALIA POLICENTRICA
o          ITALIA DELLE RETI
o           ITALIA CHE SI RIGENERA
[B] Tale indirizzo indicherebbe pertanto il superamento dell’affezione dell’INU verso la linea dello “sdoppiamento dei piani comunali tra strutturale ed operativo” e della “perequazione tra proprietari”, confermata dal disegno di legge Morassut (PD), che richiamavo nell’articolo di settembre 20191.
[C] tanto che – ad esempio – il 5° Presidente dell’INU, dal 1960 al 1969, dopo il decennio di Adriano Olivetti, fu l’ingegnere Camillo Ripamonti, democristiano di sinistra e sindaco di Gorgonzola per 34 anni, nonché parlamentare ed addirittura ministro contemporaneamente alla presidenza dell’INU.
[D] Nel contrastare queste tendenze al solipsismo accademico, la Casa della Cultura di Milano si rende benemerita anche sul fronte delle discipline socio-economiche, con la pubblicazione on-line – sempre gratuita – delle relazioni e dei file audio-video con i dibattiti, svolti nel 2017-2018 e concernenti 16 lezioni di “sociologia economica” 11 attorno al capitalismo europeo, che includono anche alcune ricerche originali, utili per confermare o smentire diversi luoghi comuni (di destra e di sinistra) su lavoro, occupazione, migrazioni, credito, ecc.
[E] Secondo Koolhaas sono errate le proiezioni dell’ONU sulla tendenza all’inurbamento, con il 68% della popolazione mondiale in città all’anno 2050, ed occorre invece esplorare tutte le risorse per insediamenti dispersi in quel 98% del territorio mondiale che ancora non è urbanizzato; rammentando le precedenti discutibili posizioni di Koolhaas sulla bellezza del sub-urbano, mi preoccupa ora la sua attenzione alla “campagna”; ma soprattutto ritengo che occorra fare preliminarmente, e per quanto possibile, chiarezza sui concetti di città e di campagna oggi (e domani), sennò spesso si rischia di non capirsi (Renzo Piano, ad esempio, sostiene al contrario che in Europa la campagna è già città 16); rimando in proposito al paragrafo 3.1 del mio Quaderno n° 5 di Utopia2117 e ad un articolo molto serio di fonte ISTAT su Urbanistica n° 158 18.

[F] (in parte elementari, come bilancia e termometro, in parte fattibili, come il saturimetro, altri a mio avviso un po’ meno , come “l’attacco per l’ossigeno”, se lo si intende alimentato con una rete capillare a pressione; mentre poco occorre predisporre in casa per una distribuzione organizzata di bombole all’occorrenza)

UTOPIA21 - MAGGIO 2020: COME COMBATTERE LE DISUGUAGLIANZE: LE 15 PROPOSTE DEL “FORUM”



Raccogliendo differenti stimoli e soggetti, il “Forum sulle disuguaglianze”, animato da Fabrizio Barca ed altri, è pervenuto nel 2019 alla formulazione, aperta ma molto dettagliata, di 15 proposte operative contro le disuguaglianze, per l’Italia e per l’Europa1 (sulla scia del pensiero di Antony Atkinson); recentemente aggiornate e arricchite a fronte della Pandemia Coronavirus2: un resoconto critico.

Sommario:
-       il contesto dei partiti “anchilosati”, delle fondazioni fantasma e dei “circoli di buona volontà”
-       il nucleo dell’analisi sociale del Forum e l’impostazione generale delle proposte
-       un riepilogo (asimmetrico) delle “15 proposte”: le prime sette sul controllo della conoscenza
-       le proposte da 8 a 11: riequilibrio sociale, ambientale e territoriale, attraverso il rinnovamento della pubblica amministrazione
-       le proposte 12-13-14 sulla dignità del lavoro e la gestione delle imprese
-       la proposta 15 sul passaggio generazionale
-       alcune valutazioni critiche di insieme (anche alla luce della Pandemia)
Appendice:
-       il Forum ed i percorsi di alcuni suoi componenti:
o   Fabrizio Barca tra esperienza ministeriale, catoblepismo3, rifondazione del PD e sperimentalismo cognitivo
o   Il manifesto del NENS4
 (per le figure, andare al sito www.universauser.it) 

IL CONTESTO DEI PARTITI “ANCHILOSATI”, DELLE FONDAZIONI FANTASMA E DEI “CIRCOLI DI BUONA VOLONTÀ”

Per una valutazione sul ruolo e sul peso di documenti seri ed impegnativi come quello in oggetto (e delle ricerche ad esso preordinate), occorre a mio avviso allargare lo sguardo al contesto del dibattito (piuttosto asfittico) nella parte progressista del Paese, che vede, almeno a mia impressione:
-       come protagonisti, che spesso avanzano analisi e proposte motivate ed articolate (ma ognuno in po’ isolato nel suo specifico “cartellone teatrale”), alcune organizzazioni “trasversali” e “tematiche” (spesso a loro volta comprendenti altre Associazioni, locali o nazionali, tipo FAI, Italia Nostra, ecc.) quali per l’appunto il “Forum delle diseguaglianze”, l’ASviS5,6, Salviamo il Paesaggio 7,8, la Costituente per la Terra 9,10, amici di “Laudato Sì 11,12 (tutti ambiti di cui abbiamo già riferito su Utopia21 e che mi sentirei di raccogliere nella definizione di “circoli di buona volontà”);
-       come mancati-protagonisti (cioè, almeno in apparenza, come “pugili suonati”) i partiti, tradizionali (PD) e nuovi (MoVimento 5Stelle), i loro frammenti (ItaliaViva e l’estrema sinistra) – perché raramente propongono elaborazioni concettuali articolate, che vadano oltre la sommatoria di promesse e rivendicazioni (vedi nostri commenti sui programmi elettorali) -, e parimenti le loro “Fondazioni”, che per lo più si limitano a fare da eco ai singoli leader di corrente, e di rado assurgono a dignità culturale (come invece nel modello tedesco) [1];
-       come comprimari, anche se talora con adeguati e apprezzabili contributi (più ad uso interno che esterno), le organizzazioni settoriali tradizionali, cioè sindacati e associazioni ambientaliste, del volontariato, ecc.
-       come spettatori, e quasi mai come soggetti attivi, i militanti ed i cittadini di orientamento progressista, perché in questi ultimi anni (o decenni) la partecipazione risulta estesa solo superficialmente, nei ‘like’ e nelle invettive sui social media (anche a sinistra), ed assai poco nel merito critico dei discorsi. 

Poiché anche i nuovi movimenti, che erano attivi primi della Pandemia, come i Fridays For Future, Extinction Rebellion e le ‘Sardine’, mi sembravano piuttosto autoreferenziali e poco dediti all’ascolto, ne risulta che gli apprezzabili “circoli di buona volontà” (poco inclini, come già accennato, anche a confrontarsi gli uni con gli altri) rischiano di predicare apparentemente al deserto, rivolgendosi di fatto soprattutto ai Partiti e alle Istituzioni, come se svolgessero una (pur rispettabile) funzione lobbistica, anziché una battaglia politico-culturale di massa (che invece a mio avviso sarebbe possibile e necessaria).
Questa impressione mi sembra rafforzata, in particolare per il Forum, dall’assetto espositivo del documento, che si dilunga spesso in dettagli operativi/legislativi, senza prima risolvere il problema fondamentale del come modificare gli assetti di potere, onde rendere maturi ed utili tali suggerimenti.


IL NUCLEO DELL’ANALISI SOCIALE DEL FORUM E L’IMPOSTAZIONE GENERALE DELLE PROPOSTE

Il nocciolo del pensiero del Forum, dichiaratamente sulla scia dell’economista inglese Antony Atkinson (1944-2017) è che l’ingiustizia non sia ineluttabile e che la diffusa frustrazione possa essere trasformata in una nuova stagione di emancipazione sociale, con pieno sviluppo delle potenzialità individuali e nel rispetto delle aspettative delle generazioni future.
L’ingiustizia sociale, nel mondo ed in Italia, è rilevata soprattutto come conseguenza della svolta neo-liberista degli anni ’80 del secolo scorso, sia in termini di distribuzione del reddito e della ricchezza, sia riguardo all’accesso all’istruzione ed ai servizi, sia ancora riguardo alle condizioni di lavoro, oggettive e soggettive, ed alla esposizione agli effetti sociali ed ambientali della globalizzazione, dell’automazione e del cambio climatico (tra cui le migrazioni): il tutto differenziato per genere (uomo/donna), per luoghi e per fasce di età.
Questa parte del testo, che descrive le (nuove?) disuguaglianze in 13 punti, ricca di tabelle nell’allegato 1 (e forse un po’ farraginosa), da atto della complessità dei fenomeni di divaricazione socio-economica a scala mondiale, con le nuove potenze in ascesa (Cina e India, e non solo) ed i loro nuovi ceti ricchi e medi, ma focalizza l’attenzione soprattutto sulla pesante riapertura della forbice tra i più ricchi ed i più poveri all’interno dell’Occidente, con lo sprofondamento di una parte dei ceti medi, in particolare in alcuni territori, l’arretramento dei livelli di welfare e di accessibilità ai servizi, già “universali”,  e si conclude sottolineando gli aspetti soggettivi di “senso di abbandono da parte delle istituzioni”, che – nella generale convinzione che “non vi siano alternative” – apre la strada al populismo delle ‘piccole patrie’ e della delega a nuovi autoritarismi, purché si contrappongano apparentemente alla “casta” dei sapienti e dei potenti.   


Figura 1 – la %di ricchezza posseduta dal10% più ricco, in Italia, dal 1995

Si tratta di un quadro conoscitivo ampiamente condiviso e condivisibile, su cui in Utopia21 già abbiamo scritto (e ci riserviamo di tornare, ad esempio riguardo ai rapporti dell’Oxfam); però mi sorge un dubbio quando vedo l’attenzione anti-disuguaglianze concentrata sugli ultimi 40 anni, a partire dalla svolta neo-liberista di Reagan e Thatcher[2]: se è vero che i tre precedenti decenni in Occidente erano contrassegnati dalla progressiva apertura di nuovi spazi democratici e di concreto maggior benessere dei ceti subalterni, in danno di una serie di antichi privilegi, occorre stare attenti a non confondere tale periodo  con una specie di età dell’oro socialdemocratica, in cui non esistevano le disuguaglianze (o tanto meno il dominio capitalista).
Ciò soprattutto in Italia, dove prima degli anni 80 non mancavano certo povertà e sfruttamento, divaricazioni territoriali (non solo tra Nord e Sud), barriere classiste nell’istruzione e nella sanità, difficoltà di applicazione dei (nuovi) diritti sindacali, oltre ad una forte arretratezza nella disparità di genere e nei diritti civili.

Dall’analisi suddetta, il documento del Forum procede a delineare la necessità e possibilità di una ALTERNATIVA, che non si limiti a qualche riaggiustamento del Welfare, ma comporti una RI-ALLOCAZIONE DEL POTERE, agendo, con strumenti vecchi e nuovi, non solo sulla cosiddetta “uguaglianza delle opportunità”, ma anche e direttamente su “risultati di uguaglianza”.
L’alternativa prospettata dal Forum tende a riappropriarsi del “futuro” e della “modernità”, ipotizzando la possibilità di ribaltare di segno, nella direzione dell’uguaglianza e di uno scenario di emancipazione sociale, sia gli strumenti tecnologici della comunicazione e dell’automazione (una sorta di “democratizzazione degli algoritmi”), sia le incombenze attinenti al cambio climatico ed alla transizione energetica (anziché scaricarne costi e svantaggi sui soli ceti subalterni).
Pertanto, puntando non sulla ‘nostalgia’ (che invece è molto diffusa, salvo degenerare nel populismo), bensì su un recupero di valori solidali, calati nelle nuove possibilità tecnologiche (un umanesimo con strumenti moderni), il Forum auspica un positivo intreccio della sua prospettiva con le esperienze (locali) di cittadinanza attiva sui beni comuni e con le ricerche di innovazione ‘aperte’ che maturano nella stessa rete (immagino che esempi possano essere Wikipedia oppure Linux).

Le ragioni per cui tali proposte dovrebbero acquistare credibilità risiedono essenzialmente nelle considerazioni (sempre sulla scia di Atkinson) che:
-       in passato si sono verificate svolte ed aperture nel quadro del dominio capitalistico, che si è dimostrato essere flessibile anche a fronte delle pressioni popolari,
-       l’assetto neo-liberista in vigore è nato da scelte consapevoli e ben individuate (sulla moneta e sul commercio, sui movimenti di capitale e sui brevetti, sui rapporti di lavoro e sulla privatizzazione dei servizi, ecc.), che però sono anche decisioni reversibili.
-       (Inoltre, in Italia, una svolta può essere propiziata anche dalla opportunità di recuperare specifiche arretratezze, come nella Pubblica Amministrazione oppure nelle ridotte dimensioni aziendali).
L’obiettivo di fondo è quello di AGIRE SUI MECCANISMI DI FORMAZIONE DELLA RICCHEZZA E DELLE CONNESSE DISUGUAGLIANZE (senza limitarsi a rincorrerle con correttivi redistributivi), e cioè:
-       controllo sui progressi tecnologici
-       rapporti di potere nell’impresa, tra capitale e lavoro
-       passaggio patrimoniale tra generazioni.
La dichiarata radicalità delle riforme avanzate dal Forum trova motivazione – secondo gli Autori (ma assai labile a mio avviso, ai generici occhi della pubblica opinione) - anche perché il neo-liberismo non si mostra efficiente nei tentativi di superare la crisi di inizio secolo e perché la deriva monopolista sugli algoritmi comunicativi (con la dilagante ‘profilazione’ privata dei cittadini) minaccia le stesse libertà personali.

L’orizzonte di un riformismo così radicale (in realtà talora interpuntato a timidezze programmatiche, come argomenterò più avanti) e però comunque non eversivo (non solo in senso politico, perché legalitario, ma in senso sociale, perché non postula un superamento del capitalismo, bensì una sorta di sublimazione democratica), mi sembra interessante (sarebbe imbarazzante teorizzare invece – ad esempio - una più classica rivoluzione socialista).
Però al tempo stesso mi appare alquanto fragile, perché, pur parlando di cose fattibili anche domattina, non prefigura il contestuale campo di forze necessario al successo (leadership, organizzazione, strumenti, alleanze, consenso di massa) né si azzarda a stimare la probabile forza dei campi avversi, locali ed esteri, a partire da un’opinione pubblica drogata da decenni di populismo filo-capitalista (in Italia, da Berlusconi a Salvini, dalle TV commerciali alle fake news in rete).
Non penso che a convincere basti la parola di Atkinson, un brillante intellettuale che pertanto non ha mai guidato un partito, né ha ispirato tangibili trasformazioni socio-politiche in alcun paese  (pur senza volergli attribuire in toto gli insuccessi del Labour Party di Jeremy Corbyn, che di sicuro ci ha aggiunto del suo, soprattutto in materia di mancato coraggio europeista).
Per intendersi, anche i salti qualitativi immaginati, ad esempio, dal Direttore di Utopia21, per arrivare ad una auspicabile “transizione alla sostenibilità” si scontrano con bassi tassi attuali di fattibilità, ma postulano una “biochimica sociale” che renda necessaria una svolta, un “cambio di paradigma”, fondandosi sulla teoria della complessità e non sulla proiezione lineare dello “stato di cose presenti”15,16.

Le 15 proposte operative includono e mischiano diversi tipi e scale di azioni, dalle politiche pubbliche (ovvero rivendicazione di nuove leggi e provvedimenti) alle azioni collettive, organizzabili “dal basso”, dall’ambito europeo a quello nazionale (che più degli altri è focalizzato, anche specificando in molti casi i possibili costi e benefici in termini economici), fino a quello locale, dove si auspicano iniziative sperimentali, utili – assieme al dibattito teorico sul documento – per affinare e correggere la stessa piattaforma del Forum: che si presenta quindi aperta a modifiche sui singoli temi, pur rivendicandone gli Autori la validità complessiva dell’insieme.

Se il contrasto alle disuguaglianze sociali (quasi si direbbe  “disuguaglianze di classe”: ma non lo si dice) è l’asse portante delle 15 proposte, due temi collaterali sono esplicitati spesso nel documento: il superamento del divario di genere, tra uomini e donne, e la questione ambientale (che però viene talora dimenticata, a mio avviso proprio perché non assunta come matrice culturale complessiva dal Forum); mentre mi pare spesso dimenticata sullo sfondo (o richiamata solo in puntuali occasioni) la problematica del riequilibrio socio-economico a livello internazionale, cioè la povertà dei paesi poveri.

La parte introduttiva del Documento si conclude esplicitando “A CHI DIAMO LE PROPOSTE”, ovvero:
-       Le diamo a chi è interessato a svolgere un ruolo, di spinta, di analisi, di indirizzo, di mobilitazione, di normazione o di attuazione per raggiungere” … [TALI] … obiettivi.
-       E dunque le diamo a chi rappresenta l’unità nazionale.
-       Le diamo ai partiti, che la Costituzione individua come luogo primario “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49).
-       Le diamo a tutti i soggetti che nel mondo della cultura e del lavoro, della produzione e della cittadinanza attiva, della scuola e della salute, dell’ospitalità e della rete digitale, organizzano gli interessi e le aspirazioni che sono toccati dalle nostre proposte. Con essi contiamo di lavorare assieme e di costruire Alleanze.”

Traducendo con parole mie, il Forum si rivolge, oltre “a chi rappresenta l’unità nazionale” (cioè al presidente Mattarella? Indirizzo doveroso, per conoscenza, ma mi sembra necessariamente “non operativo”), ai Partiti, ai Movimenti e agli Intellettuali di buona volontà: se però tali interlocutori devono divenire le gambe su cui far camminare le 15 proposte,  mi sembra molto debole la carenza, nelle 167 pagine del Documento, di qualsivoglia analisi su tali soggetti, ovvero concretamente su cosa è oggi in Italia il campo progressista (tranne qualche cenno sull’indebolimento strutturale dei sindacati) e su come eventualmente riorganizzarlo, magari anche a partire da contenuti come le 15 proposte stesse.
Tanto meno è presente una analisi sugli “altri” partiti, cioè sul Centro-Destra, cui è difficile che il documento del Forum si rivolga come interlocutori, ma la cui drammatica deriva sovranista, xenofoba ed anti-ugualitaria (“flat-tax” e dintorni), associata ad una loro potenziale consistenza maggioritaria (almeno nei sondaggi), costituisce a mio avviso un enorme problema per qualunque prospettiva di riformismo radicale fondato sul consenso.


UN RIEPILOGO (ASIMMETRICO) DELLE “15 PROPOSTE”:
LE PRIME SETTE SUL CONTROLLO DELLA CONOSCENZA

Riproduco di seguito l’elenco dei titoli delle 15 proposte, per poi riprenderle e illustrarle e commentarle, anche a gruppi ed in misura disuguale, rinviando ad una lettura integrale del Documento i lettori che cerchino una informazione più completa:

LE 15 PROPOSTE
1. La conoscenza come bene pubblico globale: modificare gli accordi internazionali e intanto farmaci più accessibili
2. Il modello Ginevra per un’Europa più giusta
3. Missioni di medio-lungo termine per le imprese pubbliche italiane
4. Promuovere la giustizia sociale nelle missioni delle Università italiane
5. Promuovere la giustizia sociale nella ricerca privata
6. Collaborazione fra Università, centri di competenze e piccole e medie imprese per generare conoscenza
7. Costruire una sovranità collettiva su dati personali e algoritmi
8. Strategie di sviluppo rivolte ai luoghi
9. Gli appalti innovativi per servizi a misura delle persone      
10. Orientare gli strumenti per la sostenibilità ambientale a favore dei ceti deboli
11. Reclutamento, cura e discrezionalità del personale delle Pubbliche Amministrazioni
12. Minimi contrattuali, minimi legali e contrasto delle irregolarità
13. I Consigli del lavoro e di cittadinanza nell’impresa
14. Quando il lavoro controlla le imprese: più forza ai Workers Buyout
15. L’imposta sui vantaggi ricevuti e la misura di eredità universale

Le prime 7 proposte si fondano su una (molto interessante) integrazione delle analisi iniziali, focalizzate sul divario di potere che si esplica – in senso lato – nel controllo della conoscenza, così schematizzabile:
-       Il carattere pubblico di gran parte della ricerca di base, sia come fonte di finanziamento (Università, fondazioni e istituti statali), sia come disponibilità dei risultati (vedi “progetto Genoma”);
-       Il carattere privato, invece, delle conoscenze tecnologiche sviluppate dalle imprese (a valle della ricerca pubblica di base), che divengono brevetti, eccessivamente protetti dall’accordo internazionale “TRIPS” del 1995 sulla “proprietà intellettuale”, con pesanti conseguenze, tra l’altro:
o   sulla accumulazione di tale sapere tecnologico da parte dei grandi gruppi multinazionali (il valore dei brevetti costituisce l’84% del capitale delle prime 500 imprese);
o   sull’accessibilità a beni fondamentali, quali i farmaci, con effetti drammatici nei paesi poveri;
o   sulla disincentivazione degli stessi Stati a perseguire la ricerca di base, vedendone i frutti saccheggiati dalla compagnie private, spesso straniere;
o   sulle possibilità di crescita delle piccole e medie imprese (e quindi, per l’Italia, di gran parte del tessuto produttivo), escluse da tali livelli di ricerca o costrette ad applicare a caro prezzo i brevetti altrui; il che comporta una compressione della concorrenza, in favore delle grandi imprese;
-       l’accentramento monopolistico sul controllo delle piattaforme comunicative e dei relativi algoritmi e la connessa appropriazione (e manipolazione) della massa dei dati personali dei consumatori;
-       il controllo esclusivamente padronale sui processi di automazione del lavoro e sulla connessa riorganizzazione delle filiere produttive, a partire dalle discriminazioni nel reclutamento e nella gestione dei lavoratori dipendenti e dei collaboratori esterni.
-       (gli ultimi due, temi ben noti ai lettori di Utopia21)17,18.

Le proposte da 1 a 6 comportano per lo più modifiche di politiche e/o normative nazionali europee o addirittura di trattati internazionali, e quindi si presentano nell’insieme come obiettivi rivendicativi, su cui raccogliere forze e alleanze mediante una preliminare battaglia culturale.

Obiettivi talora assai difficili da raggiungere, come le modifiche complessive all’accordo TRIPS, perché – lo rileva lo stesso Documento – anche qualora l‘Europa prendesse l’iniziativa, oggi,  con la presidenza USA in mano a Trump, che delegittima di fatto ovunque gli approcci multilaterali, non esiste nemmeno un possibile tavolo di trattativa: se è condivisibile l’auspicio per un nuovo multi-lateralismo, che superi i difetti del passato (difetti sui quali fa leva anche il Trumpismo); purtroppo una via d’uscita mi sembra subordinata ad un mutamento di indirizzi dell’elettorato del Michigan o del Texas, che poco dipende dalle nostre azioni od agitazioni.

Più conseguibili sono, forse, perché mirati a risultati specifici, su cui sono rilevanti gli interessi di intere popolazioni, le richieste di superamento dei brevetti in materia farmaceutica e di mutamento delle priorità su parte della ricerca sanitaria.

Le proposte relative alla ricerca europea (generalizzare il “modello CERN”, già in atto anche per numerose altre agenzie europee, ma non assunto come asse portante dell’Unione), alla possibile “missione” umanistica delle aziende a partecipazione statale (investimenti a lungo termine non solo per la competitività, ma anche per la giustizia sociale ed ambientale) e della ricerca universitaria (anche nei suoi rapporti con il tessuto delle piccole e medie imprese), nonché nella finalizzazione degli incentivi alla stessa ricerca privata, cercano  di concretizzare l’idea di uno Stato (nazionale od europeo) che vada oltre i compiti di regolazione del mercato e di ridistribuzione sociale, per entrare attivamente nella fase di “formazione del valore”, in particolare riguardo alla “valorizzazione” della conoscenza scientifica e tecnologica.

Se a scala europea una simile visione deve confrontarsi con quella opposta, cioè con quella particolare versione del neo-liberismo che è il tuttora egemone “ordo-liberalismo” di matrice tedesca19, a scala nazionale occorre anche misurarsi con i fondati pregiudizi “anti-inciucisti” che hanno accompagnato le privatizzazioni dopo il (meritato) declino del regime democristiano (con “Tangentopoli”); mostra di preoccuparsene lo stesso Documento del Forum, perché intesse le sue proposte di indirizzamento delle aziende con capitale pubblico e delle università con accorgimenti finalizzati  a tutelare in termini meritocratici l’autonomia della dirigenza  e la libertà di ricerca (equilibrio a mio avviso difficile da trovare, ma soprattutto e ancor prima, difficile da raccontare alla pubblica opinione).

Su questa strada complessa, il Forum intende valorizzare quanto di buono già esiste, soprattutto a livello europeo (come i lettori di Fulvio Fagiani già sanno20, i famigerati tecnocrati di Bruxelles riescono a porre all’attenzione degli organi politici dell’Unione analisi e proposte fondate su visioni di sostenibilità a lungo termine, basate su una struttura di ricerca che include il CCR di Ispra)  ed anche nazionale, come nei seguenti esempi (che mi sembrano utili anche per immaginare concretamente gli sviluppi suggeriti dal Forum):
-       i protocolli etico-ambientali che già sono obbligatori in Europa per le grandi società (anche private), ma sono vissuti finora molto “pro-forma” (come d’altronde l’indice di Benessere nazionale BES, che da qualche tempo affianca il PIL, ma non riceve altrettanta attenzione politica e mediatica);
-       la “3^ missione” delle Università, a fianco di didattica e ricerca, che implica il rapporto con i bisogni dei territori, ma fino ad oggi non è strutturata su obiettivi generali e non è gestita con monitoraggi sistematici sugli effetti delle iniziative;
-       i bandi europei per la ricerca privata (es. Horizon 2020), che però assumono come indicatore solo gli effetti occupazionali lordi stimati, e non anche aspetti qualitativi dentro la forza-lavoro, né gli impatti esterni;
-       la collaborazione tra le università e gli ex-distretti dell’imprenditoria locale, che è già valida, ma solo qua e là in alcune regioni italiane.

La proposta 7, relativa ad algoritmi, piattaforme e profilazione degli utenti, esclude come “fughe erronee” l’ipotesi di vertenze per la retribuzione degli utenti in quanto “produttori dei dati”21,22,23 (considerandola non solo poco realistica, ma soprattutto inefficace riguardo al divario di potere tra i giganti del web e la massa degli utenti, che rimarrebbe immutato) ed anche quella di catene alternative egualitarie fondate sulla tecnologia “blockchain” (quella applicata dalla moneta-fantasma BitCoin), in quanto essenzialmente non-inclusive (e forse da evitare – aggiungo - anche per il considerevole consumo energetico).
Il Forum auspica invece un processo di democratizzazione delle reti attraverso un complesso insieme di iniziative, non solo di mobilitazione politica, ma anche giudiziarie (class actions, appoggiandosi al recente Regolamento Europeo) e di costruzione di alternative di controllo e de-costruzione degli algoritmi vigenti e di formazione di piattaforme aperte e trasparenti; la meta dovrebbe essere una sorta di “sovranità collettiva” sul mondo dei dati, da contrapporre alla “sovranità dei monopoli” (U.S.A.) ed alla “sovranità statalista” (Cina).


LE PROPOSTE DA 8 A 11: RIEQUILIBRIO SOCIALE, AMBIENTALE E TERRITORIALE,
ATTRAVERSO IL RINNOVAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Le proposte 8 (divari territoriali), 9 (appalti pubblici) e 10 (energia e ambiente), pur evocando la necessità della partecipazione dei cittadini interessati, mirano soprattutto ad una maggior efficienza della spesa pubblica (di cui si propongono moderati incrementi), attraverso una riforma sperimentale della Pubblica Amministrazione (proposta 11), nella direzione di una “de-giuridicizzazione” e responsabilizzazione discrezionale (oltre che ricambio generazionale), che però il Documento – per dichiarato pessimismo – non si sente di proporre per l’intero comparto, ma solo per i segmenti da coinvolgere nel dinamismo di quei progetti mirati, che rientrano nelle suddette proposte 8-9-10, tra cui:
-       riequilibrio territoriale, in favore delle “aree interne”, delle situazioni di crisi  e delle periferie svantaggiate, soprattutto riguardo alla offerta di servizi pubblici, superando la logica dei “bandi” (o peggio il privilegiare il pronto effetto dei “progetti cantierabili”) verso una cultura del “progetto di luogo”, in cui coordinare le risorse, locali nazionali ed europee, a cura di una nuova ed adeguata tecno-struttura (sia centrale che periferica), capace di monitorare i risultati confrontandosi con i bisogni della popolazione;
-       riqualificazione dei flussi della spesa pubblica, rendendola sensibile ad obiettivi sociali ed ambientali, con nuove forme di appalti, più aperti alle innovazioni, e premianti per le imprese più attente alla qualità del lavoro (reclutamento, formazione, sicurezza);
-       attenzione ai divari sociali nella transizione verso una economia “decarbonizzata”, sia riguardo al lavoro (crisi occupazionale nei settori obsoleti), sia riguardo ai consumi (vedi l’esperienza francese della “carbon tax” e dei “gilet gialli”), perché i ceti subalterni già ora subiscono di più i disagi ambientali, e una transizione “neutra” potrebbe aggravarne le condizioni.

Figura 2 – invecchiamento del personale della Pubblica Amministrazione

La proposta 10 è preceduta da una breve (e condivisibile) rassegna sul problema complessivo del cambio climatico a scala mondiale (con richiamo anche qui al maggior onere gravante sui paesi poveri), con un cenno ai movimenti religiosi e laici (e alle forze politiche europee) schierati in favore di un Green New Deal, e con una apprezzabile presa di distanza da quell’ambientalismo (interclassista) che vede come un tutto indistinto il “popolo inquinato”.
Per quanto riguarda l’Italia, la proposta si articola su diversi piani:
-       recuperare risorse finanziarie non solo tramite una sorta di “carbon tax”, progressiva nel tempo, applicata ai settori economici fondati sui combustibili fossili (con il contestuale azzeramento dei sussidi di cui attualmente godono, a partire dall’autotrasporto), ma anche l’introduzione di nuovi tributi (una sopratassa sui super-ricchi, la “Tobin tax” sui movimenti rapidi di capitale), una cospicua rivalutazione di tutti i canoni demaniali (spiagge, acque minerali, cave) e delle royalties per l’estrazione di gas e petrolio, nonché un mirato indebitamento a lungo termine;
-       approfittare delle tecnologie “smart” per un decentramento della produzione energetica rinnovabile (auto-produzione, reti locali, nuovi incentivi anche per gli “incapienti”) che favorisca i poveri, capovolgendo sia la vecchia logica centralista dei grandi impianti, sia i meccanismi perversi degli incentivi per le nuove energie, che finora hanno avvantaggiato il Nord, le imprese e le famiglie ricche[3]  (con un accenno alle problematiche specifiche dei condomini, ma non allo strumento delle ESCO[4]);
-       inquadrare la riqualificazione energetica ed ecologica dei fabbricati in vasti piani di rigenerazione urbana e territoriale, rivedendo i pieni e i vuoti, il recuperabile  e l’irrecuperabile, e riprogettando gli spazi pubblici (in una logica di “cittadinanza attiva”) ed il sistema della mobilità (da riorganizzare in termini ecologici): il tutto anche come occasione di sviluppo di una filiera produttiva adeguata, con positivi risvolti occupazionali. Quanto qui riassunto assomiglia a diversi ragionamenti già svolti su Utopia21 24,25; mi pare però che nel Documento manchino le seguenti importanti valutazioni:
-       - sul peso che il problema dell’abitazione implica in materia di disuguaglianze, dagli ormai numerosi senza-casa a chi è costretto a convivere in spazi inadeguati, dalla indeducibilità fiscale degli affitti (mentre sono deducibili i mutui) alla irrazionalità storica delle imposte su base catastale, dalle speculazioni sugli affitti brevi a quelle sulle case per studenti,
-       - sulla vastità degli investimenti necessari per affrontare – insieme al bisogno di casa a alla rigenerazione urbana – il recupero sistematico del patrimonio edilizio a rischio sismico e/o idrogeologico (che è poi l’ossatura insediativa delle suddette “aree interne”), fino ad oggi affidato invece – fuori dalle zone già devastate da terremoti, frane ed alluvioni - solo ai “bonus” sulle iniziative individuali,
-       - sul fabbisogno finanziario per programmare seri interventi in tali direzioni, comparabile probabilmente al gettito della soppressa ICI (imposta sulla casa, estesa alle abitazioni usate dai proprietari, quando eccedenti un ragionevole plafond di rendita immobiliare) ed a quello auspicabile dalla “congelata” riforma del catasto (riforma cui il Documento accenna alla proposta 15, senza il coraggio di rivendicarla pienamente),
-       sulla riorganizzazione dei poteri locali 26  (e non solo del personale pubblico) che sarebbe necessaria per gestire adeguatamente la pianificazione degli interventi fisici e sociali nei territori (dall’energia alla mobilità), ad una scala vasta, prossima a quella delle ex-Province.


LE PROPOSTE 12-13-14 SULLA DIGNITÀ DEL LAVORO E LA GESTIONE DELLE IMPRESE

Questo gruppo di proposte, che costituisce la “parte 2^” del documento, è introdotto da un supplemento di analisi sul processo generale di peggioramento del rapporto di potere tra capitale e lavoro, in atto dalla fine del XX secolo, e che vede:
-       la caduta della quota % di reddito che va ai lavoratori dipendenti
-       gli incrementi salariali medi inferiori al crescere della produttività
-       l’estensione del ventaglio salariale tra paghe minime e massime
-       il diffondersi del sotto-salario e della precarietà tra le fasce più deboli (donne, giovani, immigrati, anziani espulsi)
-       il persistere del divario stipendiale tra maschi e femmine:
il tutto presentato come “conseguenza naturale” del progresso tecnologico (digitalizzazione e  automazione), della globalizzazione e del connesso decentramento produttivo, tradotto in sistematico indebolimento sindacale.
Il Forum, sempre sulle orme di Atkinson, sostiene invece che la tecnologia e l’internazionalizzazione potrebbero portare a esiti diversi, rimuovendo le decisioni storiche del potere politico neo-liberista in favore della libertà di movimento dei capitali, del profitto a breve termine e dell’indebolimento programmato dei poteri sindacali.
Per reagire a queste tendenze, il Forum propone essenzialmente 2 linee di azione, ambedue passanti attraverso rilevanti modifiche legislative, in applicazione degli art. 3 (dignità del lavoro) e 37 (partecipazione dei lavoratori) della Costituzione[5]:
-       l’introduzione (proposta 12) di un “salario minimo” e la cogenza “erga omnes” dei contratti nazionali di lavoro (combattendo però il fenomeno dei contratti di comodo tra aziende e sindacati/fantasma), mirando a tutelare le condizioni salariali e normative di tutti i lavoratori dipendenti (o sostanzialmente dipendenti) ed a contrastare il divario tra salari minimi e massimi e quello di genere; secondo il Forum, sulla base delle esperienze straniere il salario minimo non indebolisce, bensì rafforza la contrattazione collettiva; richiede però un rafforzamento degli apparati statali di ispezione e controllo
-       la formazione - graduale ma obbligatoria (proposta 13) – di “Consigli del lavoro e di
cittadinanza”, con diritti di consultazione e qualche potere di veto nella gestione delle imprese (rafforzando le timide tendenze già in atto ad una “responsabilità sociale di impresa”), che siano espressione non solo dei lavoratori dipendenti direttamente dalle aziende, ma anche indirettamente, lungo la filiera dell’indotto, dei sub-appalti e delle “collaborazioni continuative”, nonché degli interessi sociali diffusi sul territorio, da quelli dei consumatori/utenti a quelli dell’ambiente; il Documento si sporge parecchio in avanti nei dettagli delle modalità di elezione e funzionamento di tali auspicati (e complessi) organismi, senza invece approfondire con quali mutamenti dei rapporti di forza sociali e politici si possa conseguirli (a mio avviso con più difficoltà del già difficile salario minimo); e senza nel contempo affrontare frontalmente la questione dei diritti e delle retribuzioni della galassia del precariato che si estende lungo le filiere produttive, e che necessita di ben altro rispetto ad una labile rappresentanza nei nuovi “Consigli” (vedi in merito le rivendicazioni della “Carta del lavoro” elaborata dalla CGIL)27.

Complementare a questa visione sul ruolo sociale delle imprese è la proposta 14, che riguarda l’esperienza, finora limitata a qualche centinaio di casi, del subentro dei lavoratori nella autogestione cooperativa delle imprese (che ora si preferisce chiamare “workers buyout”), a partire da crisi aziendali o da mancate successioni al vertice di aziende familiari; per tali tentativi, già sorretti da agevolazioni normative, fiscali e finanziarie, il Documento  prevede un rafforzamento dei meccanismi di sostegno e tende ad esaltarne il ruolo anche simbolico (a mio avviso sottovalutando le difficoltà di sopravvivenza di queste cooperative nei mercati, e quindi l’affanno nel rivestire anche i panni della “responsabilità sociale”, e mancando l’occasione per approfondire le ragioni dell’offuscamento della peculiarità sociale dell’insieme del settore cooperativo in Italia, malgrado la rilevanza quantitativa, bene o male sopravvissuta alla crisi del 2008-2011)28.






LA PROPOSTA 15 SUL PASSAGGIO GENERAZIONALE

La proposta 15, che poi si articola in due distinte azioni, ovvero A) il ritorno ad una seria tassazione sui passaggi ereditari e B) l’assegnazione di una piccola dote a tutti i diciottenni, si configura come la parte 3^ del Documento e si fregia anch’essa di un supplemento di analisi, sia sui divari di ricchezza e di carriere in funzione dell’età e delle origini familiari (e patrimoniali) – per cui, si sottolinea, non è sufficiente offrire un buon livello di istruzione a chi proviene da famiglie socialmente modeste per colmare le differenze nelle possibilità di successo - , sia sulla diversità dei trattamenti fiscali delle eredità tra i paesi sviluppati, che vede l’Italia (con aliquote massime del 4% e vastissime esenzioni) ai livelli più bassi in ambito OCSE, a fronte delle legislazioni ben più severe di Germania, Francia e persino Gran Bretagna e U.S.A, dove le aliquote possono raggiungere il 40%.

La proposta 15/A si concretizza in una modifica della tassazione sulle eredità, che – fissando in 500.000 € la soglia di non tassabilità (per singolo erede, nell’insieme della sua “carriera da erede”), e quindi restringendo la platea delle eredità tassabili ad una minoranza del 2,5% delle famiglie, introduca aliquote progressive a scaglioni, dal 5 al 50%, con un stima di gettito che però il Forum lascia variabile, tra 3 e 7 miliardi di €, perché non scioglie il nodo della “riforma del catasto” (i valori catastali risulterebbero pari a solo il 30% del valore di mercato degli immobili). Altri dubbi e dettagli restano aperti sulla questione del passaggio in eredità dei capitali aziendali (in questo caso si introdurrebbe una lunga rateizzazione), delle donazioni, dei trust e più in generale di alcuni correttivi opportuni, che rischiano però di divenire meccanismi di elusione, da contrastare con le moderne tecnologie.

La proposta 15/B prevedrebbe la ridistribuzione del gettito della nuova tassa sulle eredità (nella versione 7 miliardi, anzi un po’ di più) come dote di maggiore età a tutti i diciottenni, nella misura di 15.000 €, in forma monetaria (conto corrente bancario esentasse e indicizzato) e senza condizioni di utilizzo, estesa sia ai poveri che ai ricchi (compresi cioè quelli candidati ad eredità esentasse fino a 500.000 €): con la motivazione di stimolare i giovani ad una responsabilizzazione su propri progetti di vita, anche in direzioni diverse da quelle auspicate dai genitori.

Il Documento confessa che tale proposta va “contro il senso comune prevalente; che solleva… critiche, anche accese”, ma il Forum ne pare ben convinto, tanto da impiegare le pagine del testo in una tenace difesa che a mio avviso assume talvolta contenuti assai discutibili (ancor più della proposta stessa), che sostiene tra l’altro:
-       l’universalità della erogazione costituirebbe una sorta di “cemento morale” per al generazione dei percettori, e quindi un incentivo a divenire buoni cittadini e fedeli contribuenti (in proposito avrei un’idea alternativa: il servizio civile obbligatorio);
-       la dote di 15.000 € amplierebbe la libertà di scelta (ma a mio avviso non in misura risolutiva: se applicata nella frequenza ad un corso di studi, pur supponendone la gratuità, non consentirebbe allo studente di mantenersi, con vitto e alloggio, per più di 2 anni: tranne Matilde, del riquadro F a pag. 166, che impiega 12.000 € per 3 anni di affitto, spende 1440 € di tasse universitarie, si tiene 1560 € per la palestra di roccia, mentre per mangiare, vestirsi, acquistare libri  ecc. deve ricorrere a  “lavoretti saltuari nel fine settimana” – ed indicherei come controprova la misura del vigente “reddito di cittadinanza”, che per un singolo senza abitazione in proprietà ammonta a 7.200 € annui)
-       introdurre una soglia creerebbe comunque ingiustizia, per chi è appena al di sopra (ma non è per questo che sono stati inventati gli scaglioni progressivi?)
-       la mancanza di condizionamenti spingerebbe alla responsabilizzazione (però, nel dubbio di rischi di scialo, la pagina 167 prevede cicli formativi e forme di tutoraggio).

Figura 3  - l’illustrazione a pag.143 del Documento del Forum Disuguaglianze


Non escludo che in astratto, in un altro Paese che non abbia i problemi arretrati che ha l’Italia, in particolare proprio di disuguaglianza sociale, misure universali di emancipazione dei giovani possano avere un senso: ma qui mi pare che il Forum abbia perso la percezione delle priorità, ponendo in pessima luce, attraverso la proposta 15/B, tutto l’insieme del discorso.
Rilevo in particolare che il Documento, pur assumendo le carenze ed i divari di istruzione tra i principali indicatori nel contesto delle disuguaglianze sociali, e pur auspicando qua e là una maggior offerta formativa (vedi ad esempio nella proposta 9, sul riequilibrio territoriale, e nella 12 sulla dignità del lavoro, ed anche altrove): ma – con il debole alibi di voler approfondire il tema nel successivo biennio di attività del Forum – non esplicita mai come proposta forte
-       né la effettività ed estensione dell’obbligo scolastico fino ai 18 anni, con apertura delle scuole a tempo pieno (idea forse vecchia, ma sempre buona, perché mai finora attuata),
-       né la gratuità degli studi universitari per i meno abbienti, con dignitosi posti-letto e congrui presalari, che potrebbero correttamente costare ben più di 15.000 € per studente, se non si vogliono precludere ai meno ricchi le lauree magistrali – o, perché no, il dottorato - oppure ancora lunghi percorsi come quelli di accesso alle professioni mediche (in ottemperanza al disapplicato art. 34 della Costituzione, dove i “capaci e  meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”).
D’altronde la semplice e chiara espressione “diritto allo studio” non figura in tutte le 167 pagine del testo [6].
(In un simile quadro, ma offrendo servizi connessi ad un progetto formativo, e non bonus monetari una tantum, potrebbe essere più seriamente rivalutata l’estensione di provvidenze come il pre-salario anche a figli “dissenzienti” di famiglie ricche, che rinunciassero al loro status ed a tutte le possibili future eredità).


ALCUNE VALUTAZIONI CRITICHE DI INSIEME

Se venissi interpellato in un sondaggio, valuterei come positiva, nella direzione egualitaria, ogni singola proposta, esclusa la 15/B.
Ma l’asse politico e culturale del Documento del Forum mi sembra insoddisfacente, oltre che per singole considerazioni che ho già svolto sopra in corsivo (tra cui le più evidenti riguardano il diritto alla casa, il risanamento del patrimonio edilizio ed il diritto allo studio; ma si potrebbero aggiungere le discriminazioni sulla cittadinanza contro gli immigrati, regolari ed irregolari29, oppure la ridistribuzione degli orari di lavoro30, od ancora l’opportunità di una tassazione sui consumi di lusso31), per i seguenti motivi:
-       l’insieme delle proposte, ancorché costituito da moderati passi in avanti (in certi casi assai timidi, come ho già evidenziato riguardo alla pubblica amministrazione ed alla riforma del catasto), si presenta come un programma rivendicativo, in quanto tale addirittura ‘massimalista’ rispetto allo schieramento delle forze in campo (di cui non si descrive la composizione, né si prevede una riorganizzazione, se non “tematica”), un programma in cui quasi tutto si vorrebbe ottenere dal legislatore (nazionale od europeo) e molto poco si immagina di poter acquisire lungo un cammino di crescita soggettiva dei movimenti (penso a “nicchie di contropotere”: ad esempio nella comunicazione oppure nel welfare prodotto autonomamente dal volontariato);
-       il dettaglio tecnocratico delle rivendicazioni non le rende per questo più realisticamente conseguibili, mentre le pur valide demistificazioni rispetto all’ideologia del sistema dominante non vengono sviluppate con un linguaggio capace di suscitare un “senso comune alternativo”, una antropologia per una diversa uguaglianza, una prospettiva di mobilitazione popolare (anzi, gli esempi in favore della proposta 15/B, con il diciottenne che si compra l’automobilina, mi sembrano muoversi in direzione opposta); 
-       la cornice europea, pur presente attivamente in diverse proposte, sbiadisce però  su fronti fondamentali, quali dì quello di una politica industriale adeguata alla transizione tecnologica digitale ed energetico/climatica e a quello di una equità fiscale interazionale, necessaria per reperire le risorse per un nuovo welfare, universale, duraturo e sostenibile;
-       la questione ambientale non è considerata come nodo centrale per capire le problematiche del mondo odierno, ma solo come necessità di mitigazione dei danni (climatici, energetici, ecc.): non si pongono quindi i problemi dei limiti della crescita, a partire dalla estrazione delle materie prime, e di una corretta austerità dei consumi da far assumere non solo ai ceti ricchi, ma anche ai ceti medi dei paesi storicamente industrializzati del ricco occidente, con tutte le connesse difficoltà di gestione dei conflitti (temi su cui rimando all’intera raccolta di Utopia21 e soprattutto agli articoli di Fulvio Fagiani32,33, non per autoreferenzialità, bensì proprio perché raccolgono le fonti più documentate, in un contesto più ampio di quello italiano).

Quest’ultimo aspetto, che è a mio avviso il tallone di Achille di tutte le riproposizioni di politiche neo-keynesiane (in quanto presuppongono una tendenza all’infinito della crescita, più equa ma non meno dissennata della ipotesi neo-liberista), si presenterà probabilmente aggravato nei tentativi di uscire dalla crisi economica accelerata dalla Pandemia del Coronavirus: perché se a breve termine si renderà indispensabile il ricorso ad un massiccio indebitamento pubblico (con una vittoria apparente sui dogmi ordo-liberisti), le risorse dovranno essere impegnate in gran parte per il sostentamento di famiglie ed imprese (e non per i virtuosi investimenti auspicati), rendendo dubbia la capacità del sistema di recuperare l’assetto della tendenziale piena occupazione.
Con il rischio che l’emergere di nuove povertà non solo tra i lavoratori precari o già dipendenti, ma anche tra gli autonomi ed i piccoli imprenditori, alimenti ulteriori simpatie alle forze populiste e/o autoritarie, secondo me è necessario che maturino prospettive di ricostruzione compatibili con i limiti delle risorse naturali e molto attente alla distribuzione e retribuzione dei lavori effettivamente utili per soddisfare i bisogni primari della società (cibo, casa, istruzione, salute, socialità urbana) [7]: in un quadro di forte progressività delle imposte sul reddito, sui patrimoni, ed anche sulla qualità dei consumi, con un occhio alla utilità/futilità e l’altro all’impatto ambientale di ogni singolo prodotto.

Sulla crisi connessa alla Pandemia in queste settimane sta ragionando anche il Forum Disuguaglianze, che ha emanato un nuovo documento di 22 pagine, confermando – con qualche significativa correzione di accenti [8]– il ruolo strategico delle sue 15 proposte, mentre a breve termine sollecita provvedimenti di sostegno articolati a famiglie ed imprese (non radicalmente dissimili da quelli che Governo e Parlamento stanno in effetti varando[9]), con il pregio – ai miei occhi – di concordare con l’ASviS tali rivendicazioni.
Comunque non vedo fino ad ora, sul sito del Forum, la consapevolezza che il maggior indebitamento pubblico (in particolare in Italia, con sulle spalle il debito pregresso già accumulato) può essere una tattica ineludibile, ma comporta un piano di rientro a medio termine: in alternativa, con o senza Euro a mio avviso si andrà incontro a pericolosi rischi di svalutazione o ristrutturazione disordinata, in cui a pagare saranno probabilmente di più i poveri e l’ex-ceto medio e non i più ricchi.


APPENDICE: IL FORUM NEI PERCORSI DI ALCUNI SUOI COMPONENTI:

o   FABRIZIO BARCA TRA ESPERIENZA MINISTERIALE, CATOBLEPISMO, RIFONDAZIONE DEL PD E SPERIMENTALISMO COGNITIVO

Fabrizio Barca, economista specializzato sui temi territoriali, ha intrecciato una brillante carriera accademica, ed in Banca d’Italia, con ruoli tecnocratici a livello ministeriale ed internazionale (OCSE), da dove era stato chiamato al Ministero per la Coesione Territoriale nel governo “tecnico” presieduto da Mario Monti nel 2011-2012.
Al termine di tale esperienza, e riflettendo su di essa (con un atteggiamento un po’ distaccato, da “marziano a Roma”), aveva proposto all’opinione pubblica – ma essenzialmente al congresso del Partito Democratico del 2013 – una ipotesi di riforma dello stato attraverso la rifondazione dei partiti 3, individuando tra i problemi principali del paese il “catoblepismo” (vedi figura 4, a pag. 18 - nel manifesto di Barca il concetto era spiegato in nota a pag. 15, nota che anch’io riproduco in nota [10], insieme ad un mio commento dell’epoca sull’intero “Manifesto”[11]).
(Con un commento attuale e più sintetico, richiamerei il personaggio dello “zio” in Johnny Stecchino, quando spiega che il problema di Palermo è “il traffico”).

Successivamente Fabrizio Barca ha cercato di sperimentare una riforma dal basso del PD, sia proponendo ragionevoli regole di trasparenza e riorganizzazione, sia impegnandosi localmente con alcuni circoli.
Il limitato successo di tali tentativi, quanto meno a livello nazionale, ha portato Barca a dimettersi dalla Commissione per l’autoriforma del PD (in contrapposizione a Matteo Renzi, nel 2016) e probabilmente a considerare a breve termine non riformabile il PD.
Dopo di che, incontrandosi con altri soggetti di provenienza accademica, sindacale e caritativa nella fondazione del Forum (in cui ha visibilmente portato – tra l’altro - la sua visione sul recupero delle “aree interne”) Barca ha mostrato di spostare la sua attenzione dal ”metodo” (l’inefficienza della ‘casta’ “catoblepica” oppure lo “sperimentalismo cognitivo”) al merito delle distanze sociali e delle disuguaglianze (che – mi permetterei di rilevare, o ribadire -  c’erano già anche prima del 2013).


Figura 4 – “Catoblepa”, secondo Wikipedia: “creatura leggendaria descritta da Plinio il Vecchio e da Claudio Eliano. Nell'antica mitologia greca e romana era un «quadrupede africano, raffigurato col capo pesante sempre abbassato verso terra».


o   IL MANIFESTO DEL NENS
35
Più lineare appare il percorso di altri esponenti del Forum, come i professori Maurizio Franzini ed Elena Granaglia, che già nel 2017 avevano formulato, con altri, a nome del NENS guidato da Vincenzo Visco, un interessante documento di 28 pagine4 in cui, sia nelle analisi che nelle proposte, si anticipavano alcuni contenuti dell’attuale linea del Forum, un po’ più sul versante laburista e fiscalista; documento che a mio avviso merita una lettura (soprattutto riguardo alla analisi della finanza internazionale, che richiama l’insegnamento di Luciano Gallino sul “finanz-capitalismo” 35 ed alle conseguenti proposte di iniziative legislative internazionali contro i paradisi fiscali, ecc., temi non ripresi nel testo del Forum).

Con riferimento alla figura di Vincenzo Visco (che non mi pare rientri ora tra gli artefici del Forum), e che tra il 2016 ed il 2017 ha partecipato alla scissione a sinistra del PD che ha originato ART 1/MDP, queste posizioni rappresentano una accentuazione e condensazione di una linea alternativa a quella espressa di fatto dalla maggioranza dello stesso PD e dai governi di centro-sinistra (su globalizzazione, privatizzazioni, deregulation dei rapporti di lavoro, patrimoniale, ecc.), non solo nella stagione di Renzi, ma anche nelle precedenti fasi con partiti e governi guidati – tra gli altri - da Prodi, D’Alema, Veltroni e Bersani (in cui lo stesso Visco aveva ricoperto importanti ruoli politici).
Una alternativa, non solo neo-keynesiana, ma anche ugualitaria, che nelle correnti di sinistra del PDS/DS e poi del PD si era manifestata a tratti (finendo spesso in fuori-uscite singole o di gruppo) e più chiaramente, ma senza esiti strategici apprezzabili, nelle formazioni immediatamente a sinistra (talora alleate e talora antagoniste), da Bertinotti a Vendola.




Fonti: 1. Forum Disuguaglianze Diversità – 15 PROPOSTE PER LA GIUSTIZIA SOCIALE – 2019 -  https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/proposte-per-la-giustiziasociale/ 2. Forum Disuguaglianze Diversità - DURANTE E DOPO LA CRISI: PER UN MONDO DIVERSO – 2020 - https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/durante-e-dopo-lacrisi-per-un-mondo-diverso/ 3. Fabrizio Barca - UN PARTITO NUOVO PER UN BUON GOVERNO – 2013 - https://www.publicpolicy.it/ecco-il-partito-nuovo-di-fabrizio-barca-10164.html 4. N.E.N.S. – CONTRO LA DISUGUAGLIANZA: COME E PERCHE’. UN MANIFESTO – 2017 - https://www.nens.it/archivio/documenti/manifesto-contro-la-disuguaglianza 5. A.Svi.S. - L’ITALIA E GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE. RAPPORTO ASVIS 2017 (E SUCCESSIVE EDIZIONI) - http://asvis.it/public/asvis/files/Rapporto_ASviS_2017/REPORT_ASviS_2017_WEB. pdf. 6. Fulvio Fagiani – ECONOMIE DELLA SOSTENIBILITA’ – su UTOPIA 21 maggio 2018 – https://drive.google.com/file/d/1t5erWxW9M5mPuQZeoYvQ4vaoyClRrAcW/view?us p=sharing. 7. www.salviamoilpaesaggio.it 8. Aldo Vecchi - LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO – Quaderno n° 3 di UTOPIA 21 – settembre 2018 – https://drive.google.com/file/d/1GEBa35GB05i8ZklTqkW4BpyUkzjDwBZ/view?usp=sharing. 9. APPELLO “PERCHE’ LA STORIA CONTINUI” – su “il Manifesto” del 27-12-2019 - https://ilmanifesto.it/perche-la-storia-continui-proposta-per-una-costituzione-dellaterra 10. Aldo Vecchi - L’APPELLO PER LA COSTITUENTE DELLA TERRA – su UTOPIA21 marzo 2020 – https://drive.google.com/file/d/1HlGgk980BRDnYLN7z3mwEk35AxDlIKxK/view?usp =sharing. 11. https://www.laudatosi-alleanza-clima-terra-giustizia-sociale.it/wpcontent/uploads/2019/07/30giugno-Documento-programmatico-Laudato-si-al-16giugno-2019.pdf 12. Aldo Vecchi - COMMENTO AL DOCUMENTO PROGRAMMATICO ‘LAUDATO SI' – su Utopia21, settembre 2019 – https://drive.google.com/file/d/1OANrD8xmTE8qsVnmJvuOAzb5aYr1b6Oc/view?us p=sharing.




Utopia21 – maggio 2020   A.Vecchi: LE 15 PROPOSTE DEL FORUM DISUGUAGLIANZE      21


13. Thomas Piketty  - IL CAPITALE NEL XXI SECOLO – Bompiani, Milano 2014 14. Aldo Vecchi - PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI)- su UTOPIA21, novembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/1WZmz9PbHh5jhkCufdzqQM05Ud4MNDalq/view?us p=sharing. 15. Fulvio Fagiani - LA TRANSIZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ – Quaderno n° 4 di UTOPIA21, settembre 2018 – https://drive.google.com/file/d/1kaUpZxxkB2mlRnaMkIzgfnoAhkcd4gv/view?usp=sharing. 16. Fulvio Fagiani – LA TRANSIZIONE ALLA SOSTENIBILITA’ – Su UTOPIA21 gennaio 2017 - https://drive.google.com/file/d/1LVXA4LZMIFOxWMfHeOHK9zAj_tDJwO7c/view?us p=sharing. 17. Fulvio Fagiani - LA SOCIETÀ DIGITALE - – Quaderno n° 7 di UTOPIA21, settembre 2018 - https://drive.google.com/file/d/1SLqDBV7Vsw6Wz4qPfFyYv_2frJQScMk/view?usp=sharing. 18. Fulvio Fagiani – IL LAVORO TRA DIGITALIZZAZIONE E TRANSIZIONE ECOLOGICA – su UTOPIA21 gennaio 2020 - https://drive.google.com/file/d/1yEYhHff3ABmdSlbmsGfgxwwhgtncgBBA/view?usp= sharing. 19. Andrea Kalajzic - ORDOLIBERALISMO ED ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO –  20. Fulvio Fagiani -  GREEN DEAL EUROPEO – su UTOPIA21 gennaio 2020 -  21. Aldo Vecchi - DIBATTITO SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su UTOPIA21, marzo 2019 – https://drive.google.com/file/d/1wZnE3IHHPY_rAv0mNUPUw2hkvrqKwi0/view?usp=sharing. 22. Maurizio Ferraris - RISPOSTA SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su UTOPIA21, maggio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1edXfpkFAHf7699Vl18jHrem1L8VBaOp/view?usp=sharing. 23. Fulvio Fagiani e Aldo Vecchi - IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E UMANITÀ – su UTOPIA21, novembre 2019 – https://drive.google.com/file/d/1piUV1BaaiW5qcyiSecmY9MsdBPyJGE8E/view?usp =sharing. 24. Aldo Vecchi - CASA ITALIA? – su UTOPIA21, ottobre 2016 https://drive.google.com/file/d/1LvMOxLcXJ9mnV3AsEkVjSYG5OBTbA8H/view?usp=sharing e AGGIORNAMENTO SU CASA ITALIA – su UTOPIA21, novembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/17KnWw2FfzlUqJ5usm6HKnK1045PnYhdF/view?usp =sharing 25. Aldo Vecchi - L’UTOPIA (ITALIANA) DELLA CASA, PER TUTTI – su UTOPIA21, luglio 2018 https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=s haring. 26. Aldo Vecchi - TRE RIFLESSIONI POLITICHE: ’68, POPULISMO, NONVIOLENZA – Quaderno n° 9 di UTOPIA 21, settembre 2019 -




Utopia21 – maggio 2020   A.Vecchi: LE 15 PROPOSTE DEL FORUM DISUGUAGLIANZE      22

https://drive.google.com/file/d/1dg_AbDh33gSf4k4xme4bXpax6r7aoyOT/view?usp= sharing. 27. CGIL, 2016 - http://www.cgil.it/admin_nv47t8g34/wpcontent/uploads/2016/03/Carta_dei_diritti_Testo_Definitivo.pdf. 28. Aldo Vecchi - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON FRANCO PARACCHINI SULLE VICENDE DELLA TEMATEX E DELLA COMECOR DI VERGIATE – su UTOPIA21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1ZJSxgkG1v8siAj9DydOMjszw3iGrzXc3/view?usp=s haring. 29. Aldo Vecchi - PROFUGHI, MIGRANTI ED EUROPA – su UTOPIA21, novembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/14iZyztjvcsGhBgKxU7z2o4emLFTw8TrE/view?usp=s haring. 30. Aldo Vecchi - LAVORO PER TUTTI? – su UTOPIA21, marzo 2018 - https://drive.google.com/file/d/1ELg_AIlUgM_ilyG0eT9XpGal3k4fI_M/view?usp=sharing. 31. Aldo Vecchi - VERITA’, EQUITA’, PARTECIPAZIONE- su UTOPIA21, gennaio 2019 – https://drive.google.com/file/d/1f0_9ohXmvwLdZP_6_XpKqMNHqycGHlV7/view?us p=sharing. 32. Fulvio Fagiani – COLMARE IL DIVARIO TRA CONSAPEVOLEZZA E AZIONE – su UTOPIA21 – su UTOPIA21 novenbre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1nlyaUR9yXOjpmDtxnIvrKpXdVj_rhZv/view?usp=sharing. 33. Marco Revelli – FINALE DI PARTITO – Einaudi, Torino 2013 34. Luciano Gallino – FINANZCAPITALISMO – Einaudi, Torino 2011


[1] Avrei voluto escludere da questo giudizio la nuova Fondazione ufficiale del Partito Democratico, affidata a Gianni Cuperlo, che aveva manifestato le migliori intenzioni, con l’esordio a Bologna nello scorso novembre (allorché, tra l’altro, Fabrizio Barca era stato invitato come relatore, illustrando ivi i temi del Forum Disuguaglianze): ma da allora non mi pare che siano emersi altri indizi di esistenza in vita, il che vale anche per la connessa proposta organizzativa di un “partito aperto”, in rete e sul territorio 
[2] Il che non avviene invece, ad esempio, per il fondamentale testo di Piketty “Il capitalismo nel XXI secolo” 13,14, il quale inquadra gli ultimi decenni in uno scenario di quasi 3 secoli
[3] Il Documento stigmatizza specificamente le deduzioni IRPEF tipo bonus-casa, bonus-energetico, perché escludono le fasce sociali a basso reddito, che non hanno imposte da cui dedurre; ma non focalizza la perversione sistematica di tali provvedimenti, che premiano sempre chi ha aliquote fiscali più alte da pagare, rispetto a chi le ha più basse (un bonus del 50% sull’IRPEF, in uno stesso condominio in cui 10 condomini investono 10.000 € a testa, conferisce uno sconto di 1.900 € a chi ha un aliquota marginale del 38% e di 1.350 € a chi ce l’ha al 27%. 
[4] Le ESCO sono imprese finalizzate ad anticipare gli investimenti per la riqualificazione energetica dei fabbricati e relativi impianti, trasformando i loro crediti verso gli utenti in canoni pluriennali da compensare anche con i risparmi nei consumi energetici
[5] Il Documento accenna solo brevemente ad un passaggio strumentale e mio avviso decisivo per simili obiettivi, e cioè una seria applicazione dell’art, 39 della stessa Costituzione, in merito alla verifica della rappresentatività (e quindi democraticità) dei Sindacati e di tutte le organizzazioni di categoria (tema su cui Confindustria e CGIL-CISL-UIL hanno anche elaborato positivi accordi, finora non attuati, né tradotti in legge).
[6] Devo però dare atto che in un recente documento mirato al dopo-pandemia, alcuni esponenti del Forum invocano, tra l’altro, “un forte contrasto alla povertà educativa”
[7] In questa prospettiva, a mio avviso, la questione giovanile consiste soprattutto nel saper offrire a tutti una vera formazione e occasioni di lavoro, anche nella forma dl “lavoro socialmente utile”, retribuito dalla mano pubblica (che mi pare meglio della mera assistenza con il “reddito di cittadinanza”); ma su questa strada (di un “roosveltismo laburista” e non di un “neo-Keynesianesimo consumista”) vedrei bene anche il coronamento della fase formativa al diciottesimo anno di età con un periodo di servizio civile (meglio se anche con scambi in ambito europeo),in quanto apprendimento di compiti di protezione civile, in connessione diretta con i bisogni di cura delle persone e dei territori.
[8] Nelle premesse il nuovo documento affronta gli scenari di possibile evoluzione nell’auspicabile uscita dalla Pandemia, evidenziando il rischio di un tentativo di un mero ritorno agli assetti precedenti, con limitate correzioni, e quello ancor peggiore di un rafforzamento dei sovranismi identitari: per far avanzare la diversa ipotesi di una maggior giustizia sociale, il Forum si pone finalmente il problema di costruire una “Visione” che intercetti il “sentimento” delle persone e di arrivare ad una “mobilitazione organizzata”, con vaghi accenni alla ricostruzione di uno schieramento sociale plurale e di un adeguato soggetto politico, citando Pierre Rosanavallon e Chantal Mouffe, ma non analizzando ancora la concreta situazione della sinistra italiana.
Nel ritessere la trama delle 15 proposte, emergono elementi nuovi, come la formazione di 3 grandi aziende pubbliche europee per Santà, Energia e Digitale, una miglior attenzione al bisogno di casa (contrapposto alle giacenze immobiliari sottoutilizzate), alla questione urbanistica, al contrasto alla povertà educativa, al diritto del lavoro (forse una riedizione del famoso “art. 18”), ai lavori socialmente utili (come esito dei progetti locali di sviluppo delle “aree interne”), nonché al rinnovamento dei Partiti (in parallelo a quello della Pubblica Amministrazione, qui enunciato in termini più coraggiosi).
[9] Le caratteristiche più peculiari delle rivendicazioni a breve termine del Forum, oltre all’indicazione di una platea di alcuni milioni di perosone come percettori del “reddito di emergenza”, mi sembrano essere:
-          La richiesta di un serio monitoraggio campionario dei contagi
-          Il sostegno finanziario alla “cittadinanza attiva” per raggiungere capillarmente i bisogni locali della popolazione
-          Un accenno alla riduzione dell’orario di lavoro per distretti  omogenei
-          Il rilancio anche a breve termine del rilevamento delle imprese in  crisi da parte di cooperative di lavoratori (WBO)
-          Un ruolo della cassa DDPP nel capitale delle aziende private anche per rinnovarne il management,
nonché, in caso di ritorno dell’epidemie, una proposta “radical-socialista” (ma non meglio precisata) di meccanismi automatici di perequazione dei redditi, senza gravare sul bilancio pubblico (che andrebbe ad attenuare la critica finale del mio articolo).
[10] “ Si tratta dell’espressione e del neologismo usati nel 1962 da Raffaele Mattioli per indicare il legame perverso prodottosi in Italia alla vigilia della crisi del 1930-31 fra grandi banche italiane di credito ordinario e industria: la fratellanza siamese consistendo nella circostanza che le banche controllavano le imprese e la sopravvivenza di queste ultime era essenziale alle banche; il catoblepismo, nel fatto che le banche avevano finito per controllare se stesse. Nel nostro caso, i partiti, anziché essere controllati dai cittadini che ne fanno parte, finiscono per controllare se stessi, esercitando un controllo sullo Stato che a sua volta è a loro essenziale.”

[11] Ho letto con diligenza, malgrado lo scoglio del “catoblepismo”, il lungo documento di Fabrizio Barca – aprile 2013 “UN PARTITO NUOVO PER UN BUON GOVERNO”, che ritengo sia un valido stimolo alla riflessione, soprattutto per chi è dentro alla vita del partito e si trova a doversi confrontare con un punto di vista un po’ esterno.
Questo punto di vista, però, pur assumendo come sfondo la crisi economica, sociale  e culturale, sembra di fatto spaziare solo tra i diversi modelli di gestione dello Stato (socialdemocratico, arcaico-clientelare e minimo-liberista), individuando da qui la necessità di nuovi partiti e soprattutto, a sinistra, di un “partito nuovo”, non abbarbicato alla gestione dello Stato ed alle relative carriere, e invece capace di sviluppare democraticamente lo “sperimentalismo cognitivo” necessario per una effettiva governabilità “dal basso”, in un epoca in cui non possono esistere modelli universali.
Le riforme postulate da Barca per una evoluzione positiva della forma-partito sono in generale molto condivisibili: astinenza da incarichi pubblici, finanziamento diretto volontario, partecipazione politica disinteressata, ruolo dei giovani e degli operai, dialogo con interlocutori e associazioni indipendenti, rispettandone l’autonomia, ecc.
Quello che non convince di tutto il discorso non è se un siffatto partito sia necessario, bensì se sia possibile, alla luce della natura sociale della crisi (società liquida, atomizzazione individuale dai contratti di lavoro alle esperienze di vita e cultura, ecc., ben oltre la specifica questione dello “Stato” ) e delle ragioni storiche della attuale “degenerazione” degli stessi partiti.
Anche perché Barca cita ampiamente “Finale di partito” di Marco Revelli 34  nelle note bibliografiche, ma in realtà non fa i conti con le “scientifiche” dimostrazioni di Revelli sulla sostanziale impossibilità di ricostruire in questa società  i partiti di massa.
Non so se Revelli ha ragione ….., ma certo Barca non si scomoda  a smentirlo, e si impegna invece a descrivere come dovrà essere il “partito nuovo”, senza spiegare come sarà possibile costruirlo in tal modo (con quali soggetti, quali strategie, quali alleanze, oltre alla sua buona volontà di girare per i vari circoli del PD).
L’affermazione di ciò che “deve essere” non è sufficiente a dimostrare che “potrà essere”.
Inoltre Barca pare manifestare una identità esplicitamente di sinistra solo con “l’addendum” finale, ancorato alla Costituzione, ma ristretto ad una visione euro-centrica e “sviluppista”, perché privo a mio avviso di una sensibilità planetaria dei problemi, sotto i seguenti profili strategici:
-           la dimensione extra-nazionale del “finanz-capitalismo” 37,38
-           i bisogni di tutti gli umani (e anche degli altri esseri viventi) 
-           la limitatezza delle risorse naturali.
Concordo con la necessità di costruire il nuovo sapere dialogando senza modelli pre-costituiti, ma occorre a mio avviso porre nel dialogo tutte le domande importanti, sennò rimarranno obbligatoriamente senza risposta.