lunedì 21 novembre 2022

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2022: IL RAPPORTO ASVIS 2022

 IL RAPPORTO ASVIS 2022


Mentre l’Italia – e anche l’Europa (ed il mondo) – si allontanano anziché avvicinarsi, nell’insieme, agli Obiettivi ONU 2030, l’ASviS (Associazione per lo Sviluppo Sostenibile) compie una (silenziosa) svolta verso una impostazione più “statalista” delle necessarie transizioni ambientali e socio-economiche: in controtendenza rispetto al quadro politico italiano.

 

Sommario:

-       Premessa: la questione degli indicatori

-       qualche passo avanti, ma molti all’indietro; in Europa…

-       … e peggio in Italia

-       le altre valutazioni del rapporto 2022

-       il cambio di paradigma: lo stato investitore

o   appendice I – l’andamento degli indicatori negli ultimi 5 anni e quanto necessario per raggiungere gli obiettivi 2030

o   appendice II: capitolo “1.2 nuovi modelli di sviluppo per la sostenibilità planetaria”

In corsivo i commenti più personali

In carattere Colibri 11, i brani riportati dal Rapporto ASviS.

Le parti evidenziate in grassetto sono scelte dallo scrivente

 

 

 

PREMESSA : LA QUESTIONE DEGLI INDICATORI

 

Mi sembra opportuno non ritornare 1 sugli aspetti metodologici dei Rapporti ASviS riguardo agli indicatori adottati per misurare distanze e avvicinamenti dei “Goals 2030”, segnalando in merito – come ricavo dalla lettura del Rapporto 2022 2 - che tale attività sarà assunta in proprio dalla stessa Unione Europea, per quanto riguarda il raffronto tra i dati dei 27 paesi dell’Unione, e che a scala nazionale le elaborazioni ASviS sui Goals si intrecciano sempre più con le statistiche ufficiali dell’ISTAT (a partire dal BES, Benessere Equo e Solidale), come è ben approfondito anche nell’apposito incontro pubblico ISTAT/ASviS del 13 ottobre 3 (nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2022).

 

 

QUALCHE PASSO AVANTI, MA MOLTI ALL’INDIETRO: IN EUROPA …

 

Il rapporto 2022 dell’ASviS 2, registrando a pieno gli effetti della pandemia Covid19 (già misurati in parte l’anno precedente) ed anche della successiva rapida ripresa economica, nonché le prime avvisaglie della ulteriore crisi indotta dalla guerra in Ucraina, segnala una situazione complessa, in cui però gli arretramenti (in aggiunta ai risultati “stazionari”) prevalgono sugli avanzamenti verso gli obiettivi per il 2030:

 

“Se si guardano i dati di lungo periodo (2010-2020), l’Unione europea mostra segni di miglioramento per undici Goal (2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 11, 12, 13, e 16), di peggioramento per tre (Goal 10, 15 e 17) e di sostanziale stabilità per due (Goal 1 e 6). Nel breve periodo (2019-2020) tuttavia, anche a causa della pandemia, si ha un complessivo rallentamento: i Goal che mantengono un andamento positivo tra il 2019 e il 2020 sono soltanto tre (7, 12 e 13), quelli con un andamento negativo sono quattro (Goal 1, 3, 10 e 17) e quelli con un andamento stazionario sono sei (Goal 2, 4, 5, 8, 9 e 16). In questo quadro, l’Italia è al di sotto della media UE per nove Goal (1, 4, 6, 8, 9, 10, 11, 16 e 17), uguale per cinque Goal (3, 5, 7, 13, 15) e al di sopra soltanto per due Goal (2 e 12).

Tra il 2010 e il 2021 si registrano miglioramenti per otto SDGs: alimentazione e agricoltura sostenibile (Goal 2), salute (Goal 3), educazione (Goal 4), uguaglianza di genere (Goal 5), sistema energetico (Goal 7), innovazione (Goal 9), consumo e produzione responsabili (Goal 12), lotta al cambiamento climatico (Goal 13). Si evidenzia un peggioramento complessivo per cinque SDGs: povertà (Goal 1), acqua (Goal 6), ecosistema terrestre (Goal 15), istituzioni solide (Goal 16) e cooperazione internazionale (Goal 17). Mentre rimane sostanzialmente invariata la situazione per quattro SDGs: condizione economica e occupazionale (Goal 8), disuguaglianze (Goal 10), città e comunità sostenibili (Goal 11) e tutela degli ecosistemi marini (Goal 14). Rispetto alla condizione pre-pandemia invece, nel 2021 l’Italia mostra miglioramenti soltanto per due Goal (Goal 7 e 8), mentre per altri due (Goal 2 e 13) viene confermato il livello del 2019. Per tutti i restanti SDGs (Goal 1, 3, 4, 5, 6, 9, 10, 15, 16 e 17) il livello registrato nel 2021 è ancora al di sotto di quello del 2019, a conferma che il Paese non ha ancora superato gli effetti negativi causati dalla crisi pandemica.”

 

 

 

… E PEGGIO IN ITALIA

 

La pesantezza della situazione italiana è riepilogata dal Rapporto 2 con i seguenti 4 grafici di nuova concezione, a forma di freccia e dedicati ognuno ad un raggruppamento di obiettivi (ambientali, economici, istituzionali, sociali), grafici che riproduco in APPENDICE I con le correlate avvertenze:

Tali grafici sono la risultante sintetica, riportata anche nell’”Executive Summary”, rispetto alle elaborazioni analitiche del Rapporto, che si sviluppano, per quanto riguarda l’Italia, nel capitolo finale (n° 5), da pag. 83 a pag. 220, ed a cui rimando integralmente, senza ulteriori estratti in questa sede.

 

 

LE ALTRE VALUTAZIONI DEL RAPPORTO 2022

 

Il Rapporto 2 comprende anche, ai capitoli 2, 3 e 4, un puntuale e articolato racconto (e rendiconto):

-       delle crisi internazionali e delle defatiganti trattative comunque in corso nell’ambito dell’ONU, dalle specifiche COP (clima – desertificazione – biodiversità) all’HLPF (il forum politico di alto livello sullo sviluppo sostenibile),

-       delle laboriose attività dell’Unione Europea (soprattutto al livello della Commissione ed a quello del Parlamento) per monitorare i ritardi verso gli obiettivi ONU 2030 (tenendo anche conto del ‘combinato disposto’ degli effetti cumulativi intersettoriali) e per tentare di accelerare in molti campi la risposta istituzionale,

-       del riassetto istituzionale avviato in Italia (anche su impulso dell’ASviS e comunque intrecciandosi con le sue iniziative, in parte in collaborazione con il CNEL), dalla modifica costituzionale sull’ambiente alla implementazione del PNRR, dagli inizi del Piano di Transizione Ecologica all’entrata in funzione del CIPESS (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile);

-       delle conseguenti proposte dell’ASviS, condensate nel decalogo pre-elettorale (che ho riportato nel mio articolo sui programmi elettorali per il 25 settembre).

 

 

IL CAMBIO DI PARADIGMA: LO STATO INVESTITORE

 

Ma il cuore del documento, in sintonia con il riepilogo dei contributi dell’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) ed anche dell’HLAB dell’ONU (Comitato consultivo dell’ONU sul multilateralismo, che nelle su riflessioni si proietta anche oltre l’orizzonte del 2030) in materia di confini planetari delle risorse, crisi climatico-ambientale e suoi possibili salti di qualità (“tipping point”) – tutti temi ben noti ai lettori di Utopia21 attraverso gli articoli di Fulvio Fagiani 4 è la valutazione che i ritardi verso gli obiettivi (a partire dal culmine termico di +1,5°) non devono portare ad un rinvio del traguardo temporale, bensì ad una intensificazione ed accelerazione degli strumenti per conseguirli.

In questo ambito il Rapporto ASviS, nel delineare in efficace sintesi l’evoluzione geo-politica in relazione al modello di sviluppo capitalistico negli ultimi decenni ed i nodi attualmente irrisolti (citando Piketty), propone un cambio di paradigma, passando dal tradizionale auspicio di una evoluzione di mercato verso governance aziendali più sensibili all’ambiente ed alla società, ad una ipotesi di forte intervento degli Stati come “investitori di prima istanza” e registi di missioni strategiche, in cui indirizzare e coinvolgere i soggetti privati (orientamento più vicino a Thomas Piketty, Fabrizio Barca e Mariana Mazzucato, che non all’intero arco dei programmi politici dei partiti italiani rappresentati in Parlamento, con l’eccezione forse di Sinistra Italiana); forse però sopravvalutando il PNRR come esempio in tale direzione.

 

Ritengo opportuno pertanto, in APPENDICE 2, riprodurre per intero dal Rapporto ASviS 2022 il capitolo “1.2 Nuovi modelli di sviluppo per la sostenibilità planetaria”, limitandomi in esso ad evidenziare in grassetto i passaggi che mi sembrano più significativi (e che l’ASviS in realtà non sta ancora sbandierando nelle sue ordinarie comunicazioni).

 

aldovecchi@hotmail.it

 

da pag.5 - . APPENDICE I – L’ANDAMENTO DEGLI INDICATORI NEGLI ULTIMI 5 ANNI E QUANTO NECESSARIO PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI 2030

 

da pag. 9 - APPENDICE II: CAPITOLO “1.2 NUOVI MODELLI DI SVILUPPO PER LA SOSTENIBILITÀ PLANETARIA”

 

Fonti:

1.    Aldo Vecchi - I RAPPORTI ASVIS 2020 E I TERRITORI – su Utopia21, maggio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1ah-wVbDE_u-1DBMIet-ouSfLvoZnCB6-/view?usp=sharing

2.    https://asvis.it/rapporto-asvis-2022/

3.    https://www.youtube.com/watch?v=5UotqqQOwr8

4.    Fulvio Fagiani - IL SESTO RAPPORTO DELL’IPCC – Quaderno n° 34 di UTOPIA21, settembre 2022

 


 

APPENDICE I – L’ANDAMENTO DEGLI INDICATORI NEGLI ULTIMI 5 ANNI E QUANTO NECESSARIO PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI 2030

 

Nei grafici riportati si analizza il rapporto tra l’andamento degli ultimi cinque anni e quello necessario per raggiungere l’obiettivo, in particolare:

1. Progresso significativo: il suo trend, se mantenuto nel futuro, garantisce il raggiungimento (in 6 casi su 30); 2. Progresso moderato: si sta andando nella giusta direzione ma con una velocità insufficiente (in 2 casi su 30);

3. Progresso insufficiente: di fatto la situazione risulta statica (in 14 casi su 30);

4. Peggioramento: ci si sta allontanando (in 8 casi su 30).

In 3 casi su 33 non è disponibile il trend di breve periodo.

                                                                                                                          

 

 

Relativamente agli obiettivi quantitativi a prevalente dimensione ambientale, negli ultimi cinque anni si segnalano andamenti poco rassicuranti. Solamente l’obiettivo relativo alle coltivazioni biologiche mostra progressi significativi. Sette obiettivi sperimentano progressi ancora insufficienti, mentre per tre obiettivi si assiste a un peggioramento.

(A causa della mancanza di dati, i Goal 11 e 12 sono analizzati fino al 2020 e il Goal 14 fino al 2019).

 

 

 

 

Differente la situazione relativa agli obiettivi quantitativi a prevalente dimensione economica. Su sei obiettivi, due mostrano progressi significativi nel breve periodo, due progressi insufficienti e due un significativo peggioramento.

 

 

 

 

Per quanto riguarda la sfera istituzionale due obiettivi quantitativi mostrano progressi insufficienti nel breve periodo, mentre l’eliminazione del sovraffollamento nelle carceri mostra progressi moderati, in parte dovuti alle iniziative prese in relazione alla crisi pandemica.

 

 

 

Gli obiettivi a prevalente dimensione sociale mostrano una situazione eterogenea. Su dieci obiettivi, tre presentano progressi significativi, uno sperimenta progressi moderati, tre progressi insufficienti e altri tre registrano un peggioramento complessivo. Tra questi si segnala la disuguaglianza di reddito, aumentata negli ultimi anni.

 

 

 


 

APPENDICE II: CAPITOLO “1.2 NUOVI MODELLI DI SVILUPPO PER LA SOSTENIBILITÀ PLANETARIA”

 

“Uno sviluppo ineguale delle economie e delle società ha segnato il cammino del mondo dopo l’Earth Summit di Rio del 1992. Era allora appena crollata l’Unione Sovietica, lasciando libero il campo al modello di sviluppo occidentale, basato sull’economia di mercato e su reti multilaterali di sicurezza degli scambi e dei commerci (WTO, etc.). La guerra fredda si era conclusa non perché i problemi del capitalismo fossero stati risolti, ma perché il “socialismo reale” aveva fallito. Le differenze di reddito delle persone nei Paesi ricchi si sono ridotte a cavallo delle due guerre e i sistemi di welfare sono diventati sempre più generosi. Ma già da prima della fine dell’Unione Sovietica le aliquote fiscali per gli alti redditi sono state ridotte, i sindacati sono stati indeboliti e i divari dei redditi sono esplosi all’interno dei Paesi e tra di essi. A Rio si dava per scontato che la ricchezza occidentale sarebbe stata condivisa con il gruppo di Paesi in via di sviluppo (PVS), tanto che alcuni principi e le stesse Convenzioni, tra cui quella climatica, esentarono i PVS da ogni obbligo ambientale nel nome delle responsabilità condivise ma differenziate. Aumentò poi la globalizzazione dei mercati che apportò benefici, ma fece crescere ancora le diseguaglianze, con i prezzi delle materie prime dei PVS imposti dai mercati a vantaggio dei più forti e soprattutto con la mercificazione del lavoro e la delocalizzazione delle imprese.

 

Sono impressionanti le cifre delle disuguaglianze di reddito, cui vanno aggiunte le diseguaglianze di genere, dei diritti e dell’accesso alle risorse. Dal 1995, all’1% più ricco delle persone è andata una quota dell’aumento della ricchezza globale 20 volte superiore alla metà più povera della popolazione umana. Otto uomini ora possiedono la stessa quantità di ricchezza dei 3,6 miliardi di persone più povere del mondo. Per giunta, questo sistema non sa evitare gravi crisi ricorrenti né prevenire le crisi sanitarie o difendere la pace.

 

Il quadro geopolitico mondiale è in evoluzione continua. L’occidente ha di nuovo competitori sul terreno, per effetto del deficit delle politiche globali che anziché integrazione hanno generato competizione e conflitti armati. Nuove realtà multinazionali sono cresciute autorevolmente. La Cina, anzitutto, guida indiscussa e interessata di molti PVS, è ora alla pari degli occidentali su molti indicatori, emissioni e inquinamento compresi. L’Africa, l’America Latina e il Medio Oriente non sembrano più disposti a cedere le loro materie prime a prezzi favorevoli alle economie avanzate. Per ultima, la Russia tra i maggiori esportatori di gas e del petrolio al mondo, cerca di riaffermarsi come potenza imperialista e di ottenere una rivincita con metodi quantomeno premoderni, nonostante le dimensioni esigue del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL). In queste nuove realtà emergenti la democrazia è costantemente erosa, anche per il fallimento disastroso dei tentativi di esportare la democrazia con le armi.

 

La trasformazione del quadro mondiale si legge nei passaggi del negoziato mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Nel 2012, a Rio+20, Europa e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) avanzarono il modello della green economy. Per interessi speculari bloccarono il tentativo la Cina, indisponibile a modelli di sviluppo alloctoni, e gli Stati Uniti, sostanzialmente nemici di quel tipo di istanze green. Lo sviluppo sostenibile fu portato ai livelli più alti delle Nazioni Unite, investendo l’Assemblea Generale e il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e in tre anni di faticosi negoziati si pervenne con l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi (2015) a una nuova modalità di governance, non più basata sul “Command and Control”, top-down, ma sull’adesione volontaria e proattiva, bottom-up, dei diversi Paesi agli Obiettivi degli SDG e di Parigi, al cui storico Accordo i Paesi accedono attraverso degli NDCs, Contributi Determinati a Livello Nazionale.

 

Anche l’Europa è passata dalle affermazioni di principio di una green economy universale al Green Deal, un patto interno stringente per obiettivi, che mette al centro la decarbonizzazione dell’economia entro il 2050 con un severo milestone al 2030, l’economia circolare e la protezione della natura, in un quadro sociale dichiaratamente inclusivo. Tuttavia, nonostante l’economia di mercato vada verso il green, le istanze di abbattimento delle diseguaglianze non sono adeguatamente ascoltate e la forbice con la sostenibilità si allarga.

 

Come trovare un modello di sviluppo sostenibile? Il quadro del negoziato multilaterale deve essere salvaguardato e rafforzato. In occidente il riconoscimento delle attuali insufficienze è ormai largamente condiviso e da molte parti si parla di nuovo capitalismo. Nessuna teoria sembra però capace di superare il muro di Thomas Piketty espresso dalla famosa formula “r>g”, dove il tasso di rendimento del capitale “r” supera anche più di cinque volte i tassi di crescita economica “g” da cui dipendono i redditi della maggior parte delle persone. I dati storici inducono a pensare che tale è la condizione definitiva del capitalismo, salvo che nei periodi delle ricostruzioni postbelliche del secolo scorso, quando il capitale finanziario fu giocoforza al minimo e la rendita con esso. Le disuguaglianze creano una gerarchia e determinano le distanze sociali. Invece di incoraggiare lo spirito pubblico, la coesione e la fiducia che possono fiorire in una comunità di quasi uguali, grandi differenze materiali esacerbano le discriminazioni all’interno dei Paesi e tra Paesi poveri e ricchi. La struttura sociale si ossifica e la mobilità sociale diminuisce. In breve, le disuguaglianze creano una condizione di blocco dello sviluppo e, perfino, dei processi democratici, come ad esempio osserviamo da anni con affluenze elettorali in calo.

Vediamo aumentare nel mondo l’ostilità politica verso i Paesi ad alto reddito, responsabili maggiori delle crisi economiche e ambientali. Quello che sta avvenendo è uno spostamento di prestigio e influenza tra le comunità maggiori, dagli Stati Uniti, da trent’anni egemone indiscusso ma indebolito da crisi economiche, guerre avventate e dissidi politici interni, alla Cina, che non cessa di ricordare al mondo le proprie limitate responsabilità storiche per le emissioni di anidride carbonica, la schiavitù e il colonialismo. La aspirazione egemonica cinese incontra però ostacoli causati da un sistema autocratico di governo, crimini umani perpetrati contro parti della propria popolazione, una politica estera sempre più aggressiva e un continuo aumento del proprio contributo al cambiamento climatico.

Per limitare la crescente influenza del socialismo autoritario della Cina, il mondo occidentale deve profondamente innovare il proprio modello capitalista, evolvendolo verso un sistema di mercato partecipativo, postcoloniale e solidale verso i Paesi a reddito medio e basso, in grado di rispondere efficacemente alla crisi ambientale. I due poli sociali e geopolitici dominanti devono cioè avvicinarsi, non arroccandosi invece su contrapposizioni economiche e militari, come sembra si stiano apprestando a fare. L’Agenda 2030 può essere la guida di questo avvicinamento. Essa indica Obiettivi che si devono tradurre a livello dei governi in altrettante missioni. Una missione deve essere ambiziosa, chiara nel proposito di migliorare la qualità della vita delle persone e avere un’ampia risonanza sociale. I suoi obiettivi devono essere concreti, misurabili e delimitati nel tempo, come la decarbonizzazione del Green Deal europeo.

Qui viene al punto il nuovo ruolo per le amministrazioni pubbliche, che non deve più essere solo quello di ridurre i rischi per il capitale privato, ma essere l’investitore di prima istanza e non di ultima, capace di attirare investimenti privati aumentando l’effetto moltiplicatore e orientando le istituzioni finanziarie. Come stiamo sperimentando in Italia in queste prime fasi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), perché ciò sia possibile abbiamo bisogno di potenziare di molto la capacitazione del settore pubblico, superando l’esternalizzazione della guida e del monitoraggio dei progetti a società private o a consulenti professionali. Qui sta la chiave del nuovo rapporto tra pubblico e privato. Il pubblico definisce le missioni in nome del bene comune, le struttura e le finanzia per la sua parte, il privato co-investe e coopera al raggiungimento degli obiettivi, oltre la responsabilità sociale d’impresa, la beneficenza o l’allargamento della platea degli stakeholder, ma come ramo determinante della catena del valore della missione dove si produce ricchezza in maniera più equa, perseguendo allo stesso tempo gli obiettivi della società. Non si tratta di far entrare i governi tra gli azionisti delle società, e quindi nelle loro logiche privatistiche. Si tratta invece di arruolare il sistema industriale nelle missioni pubbliche, finanziare, usare le leve fiscali e sistemi di monitoraggio severi e capaci di valutare le performance di ogni attore e quindi anche di sostituire i manager che non hanno raggiunto gli obiettivi assegnati.”

 

 

 

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2022: DOPO LE ELEZIONI POLITICHE - DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE?



Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi:

DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE?

Per commentare l’esito del confronto elettorale dello scorso 25 settembre (pur nella consapevolezza di ricadere su argomenti già molto battuti), premettiamo di non demonizzare la legge elettorale vigente, cosiddetto Rosatellum, che ha indubbiamente molti difetti (liste bloccate, pluricandidature, impossibilità di voti disgiunti, ecc.), però a nostro avviso distorce ma non troppo la rappresentanza, in favore delle maggioranze relative, consentendo loro la conquista della maggioranza dei seggi, e quindi la possibilità di formare governi potenzialmente stabili.

Non abbiamo nessuna nostalgia verso il “proporzionale puro” (e conseguenti coalizioni eterogenee ed occasionali). Preferiremmo una forma di maggioritario a doppio turno (vedi elezioni comunali, vedi Francia), che responsabilizzerebbe più chiaramente gli elettori sulla scelta finale del governo, ma con il rischio di abbassare ulteriormente, nel secondo turno, la partecipazione al voto: il problema della scarsa partecipazione già si è rivelato grave nelle ultime tornate elettorali, scendendo al 60% (e anche meno per alcune regionali e comunali).

Il che tra l’altro, ferma restante la legittimità formale dell’attuale maggioranza di destra, ne limita alquanto la rappresentatività “degli italiani” ovvero “della nazione”, perché solo il 27% degli aventi diritto al voto si è espresso per la coalizione di destra (e solo il 17% per il suo maggiore partito, Fratelli d’Italia): pertanto il 73% degli elettori NON ha votato per questa coalizione (che in qualche misura si troverà costretta a farci conto, anche in termini di tenuta sociale).

 

Per ragionare sul chiaro esito elettorale e sulle fratture nello spazio politico esterno alla destra, riteniamo che occorra risalire agli anni ’90, con la fine della cosiddetta “Prima Repubblica”.

Constatando, innanzitutto, che – pur nel succedersi di tre diverse leggi elettorali: Mattarellum, Porcellum, Rosatellum, tutte con rilevanti componenti maggioritarie – la destra e il centro-destra, quando uniti, non hanno quasi mai perso il confronto elettorale per il Parlamento, fino all’esplosione del fenomeno 5Stelle (2013 e 2018), ora assai sgonfiato. Infatti con la guida di Berlusconi hanno vinto nel 1994, 2001, 2008 ed ora con Meloni nel 2022 (mai comunque superando il 50% dei voti validi): l’unica quasi-eccezione è il 2006, quando Prodi vinse di stretta misura, con la coalizione di centro-sinistra più estesa possibile, ed anzi impossibile, da Bertinotti a Mastella (più figure come il senatore Sergio De Gregorio[A]); coalizione che infatti nel giro di due anni perse i pezzi, dai vari De Gregorio agli stessi Mastella e Bertinotti. (Nel 1996 Prodi e Bertinotti, uniti solo con la “desistenza” nei collegi, sconfissero Berlusconi solo perché quest’ultimo era separato dalla Lega Nord di Bossi).

 

Il problema costante negli ultimi 30 anni, quindi, è la frammentazione del potenziale “campo largo” del centro e della sinistra, con la variabile, inizialmente indipendente, del MoVimento 5Stelle: frammentazione che è sociale, ancor prima che politica.

Iniziando dalla politica, ci sembra che la matrice prima delle divisioni stesse nella contrapposizione tra il raggruppamento prodiano dell’Ulivo e Rifondazione Comunista, già latente nel suddetto accordo di desistenza del 1996 e precipitata con la sfiducia di Bertinotti a Prodi nel 1998: da una parte il riformismo dell’Ulivo, exPCI+exDC+exVari+intellettuali&managerProdiani, immerso nell’ottimismo interclassista della “terza via” di Clinton e Blair, culturalmente subalterno all’onda neo-liberista e alla connessa globalizzazione seguita alla caduta dell’URSS ed allo scongelamento della Cina: molto “ceto politico” e però una chiara contrapposizione verso l’affarismo plutocratico-televisivo e populista di Berlusconi;

-       dall’altra parte la lucida visione di Bertinotti sulle trasformazioni neo-monopoliste e finanziarie del capitalismo multinazionale e del suo impatto distruttivo sulle condizioni dei lavoratori e del pianeta; e però l’incapacità di cogliere sia le nuove contraddizioni “in seno al popolo” (a partire dalla reazione xenofoba verso gli immigrati) sia le forme specifiche della nuova destra nascente, localista/sovranista e “monarco-populista”, che dall’archetipo italiano di Berlusconi si è poi manifestata in Trump, Bolsonaro (ed in modi diversi in Boris Johnson e Viktor Orban); non senza somiglianze con Erdogan e lo stesso Putin...

 

Se il PD è l’erede diretto della stagione Ulivista, con l’aggravante di essersi fondato rilanciando quei contenuti ecumenici ed interclassisti (il “ma anche” di Walter Veltroni) nel 2007, proprio alla vigilia della crisi finanziaria del 2008, cui sono seguite altre e diverse crisi (debiti sovrani dal 2011, pandemia Covid 19 dal 2019, guerra in Ucraina dal 2022), tutte inconciliabili con quella visione conciliatoria (forse servirebbe finalmente una “teoria dei conflitti”), l’eredità di Bertinotti si è invece dispersa (in parte per esplicita volontà testamentaria…) in diversi rivoli improduttivi e vani tentativi di rinascita (lista Tsipras, lista Arcobaleno, Unione Popolare), per lo più accomunati dall’ossessione del PD come “nuova destra”, interna al sistema di potere capitalistico e sostanzialmente non distinguibile dalla restante destra: una involuzione dell’iniziale teoria delle “due sinistre” verso il “social-fascismo” di staliniana memoria.

 

Come misura dell’esito attuale di tale atteggiamento, riproduciamo in nota [B] un “post” di Domenico Finiguerra – ambientalista proveniente alle origini dai Democratici di Sinistra ed approdato infine in Unione Popolare – che snocciolando critiche (anche meritate) al PD giunge alla conclusione (a nostro avviso aberrante), che non vi sia differenza tra il PD e la ‘vera’ destra, i cui effettivi caratteri stiamo invece tutti cominciando a misurare contemplando il governo Meloni: a partire, come assaggio, limitato all’economia, dall’innalzamento dei limiti al contante, dalla promessa di condoni fiscali e dalla estensione della flat tax per le partite IVA fino a 100.000 €

Mentre secondo noi è fondamentale capire la differenza tra chi, come il PD, nel bene e nel male, ricerca le soluzioni dei problemi nel collettivo inteso come corpi intermedi (sindacati e associazioni) e come istituzioni, tendenzialmente universali (Stato italiano, Unione Europea, ONU…), e chi invece – la vera destra, seppur ancora sfaccettata in diverse sfumature (che andrebbero meglio studiate) - si racconta come “Nazione”, ovvero leader e popolo (famiglie, imprese), ben saldi nei rispettivi interessi privati, ma uniti contro “gli altri” (in un immaginario torneo tra “Nazioni”, etnie, religioni).

 

La questione non sta nei (pochi) voti raccolti da UP, ma nella diffusione di questo comune sentire in una vasta area di elettori, tra gli astenuti e tra gli elettori confluiti da sinistra verso i 5stelle (e presente anche nei nuovi movimenti, come in parte dei Fridays For Future) e nella separazione tra il PD e tale area sentimentale, frattura che sta prima e sopra ai mancati accordi tra Letta e Conte e – indebolendo il perno riformista - incoraggia le schegge opportuniste del “Terzo Polo” di Renzi e Calenda.

 

Tra l’inizio e la provvisoria fine di questa vicenda sono passati tre decenni, con un sostanziale ricambio generazionale, gli anziani degli anni ’90 ci hanno lasciato, i lavoratori sono divenuti pensionati, i loro figli sono rimasti a mezz’aria nel guasto degli “ascensori sociali” (e faticheranno a divenire pensionati), i nuovi giovani non sanno più molto degli antichi cicli di lotte; mentre finanziarizzazione, globalizzazione (ed ora nuove guerre e de-globalizzazione), digitalizzazione, comunicazione “social” e crisi ambientali (e sanitarie) hanno cambiato l’Italia ed il mondo, aumentando le disuguaglianze all’interno dei paesi industrializzati (e con più complessi effetti a scala internazionale), ma nel contempo frammentando le condizioni sociali dei ceti subalterni, difficilmente riconducibili a omogenei “interessi di classe”.

 

Tuttavia ci pare significativo che i perimetri fondamentali del consenso politico assomiglino ancora a quelli iniziali, sia in termini geografici (tra regioni, tra centri e periferie), sia in termini sociali (il centro-destra aveva sfondato tra i ceti subalterni fin da subito negli anni ’90, andando anche oltre le tradizionali basi popolari della DC, ed anzi pescando pure tra operai già comunisti e socialisti), con il risultato di un sostanziale interclassismo nell’elettorato di quasi tutti i partiti.

 

Il che però costituisce un problema più rilevante per quelli di sinistra, che nel re-insediamento tra le vittime delle crescenti disuguaglianze dovrebbero trovare ragione di vita e di identità.

Ciò vale per il PD, che con segretari Veltroni e poi Renzi ha deliberatamente scelto invece di proporsi come sede di negazione/superamento dei conflitti di classe, e con gli altri segretari ha corretto debolmente tale impostazione in direzione più laburista: come rilevano diversi esponenti dello stesso PD, in questa fase non conta per nulla scrivere un programma avanzato su lavoro, fisco e ambiente, perché gli elettori ti rinfacciano comunque le scelte fatte o avallate negli anni precedenti su articolo 18, pensioni, trivelle.

Ma vale a maggior ragione per chi ha cercato di organizzare una presenza alla sinistra del PD, acquisendo finora una credibilità trascurabile, salvo scaricarne le colpe sul PD stesso (più seriamente forse la scarsa attrazione di proposte variamente socialiste e comuniste risiede ancora nello storico fallimento novecentesco del ‘socialismo reale’, mentre anche la socialdemocrazia non si è più sentita molto bene).

 

Verdi: sostanzialmente non pervenuti all’appuntamento storico con la crisi ambientale, climatica ed energetica (che li vede invece ben piazzati in Germania, Austria ed altrove).

Regalando così anche un enorme spazio all’ambientalismo superficiale e incolto del MoVimento 5Stelle.

La cui meteora, costruita sul populismo anti-casta ed anti-partiti, ha dissipato energie quanto un esperimento di fusione nucleare, mancando in pieno i conclamati obiettivi di superamento della democrazia rappresentativa, e finendo, partito tra i partiti, fortemente invischiato nelle tattiche del Palazzo, salvo ora tentare di riscattarsi con alcune parole d’ordine di largo consenso (pace, reddito di cittadinanza, salario minimo) prive però di un chiaro progetto socio-economico progressista (quale progressione del fisco? quale governance per le imprese? quale accoglienza per i migranti? Ed anche: quale seria transizione ecologica?).

 

Che fare? Impegnativa domanda cui ci sembra superficiale e difficile rispondere ora “unire in un campo largo tutte le opposizioni al governo della destra”, anche se la pratica dell’opposizione, in Parlamento e fuori (ed anche nelle elezioni locali), offrirà terreno di crescita per possibili e necessarie convergenze (o chiarificatrici divergenze: pensiamo a Matteo Renzi, che al momento sembra orientato ad opporsi soprattutto allo stesso PD; ma – almeno lui – chiaramente da destra).

Un tempo si sarebbe parlato di “politica delle alleanze”: a partire da partiti di sinistra ben piantati tra i lavoratori sindacalizzati, riguardava la necessità – per raggiungere maggioranze elettorali e limitare l’acutezza dei conflitti sociali – di contemperare gli interessi dei lavoratori con quelli di parte dei ceti medi, ecc.

Oggi invece si tratta di districare, nella “società liquida”, gli interessi e i sentimenti dei segmenti subalterni nella società capitalistica con l’interesse generale e trasversale alla “salvezza del pianeta” (cioè di una biosfera abitabile per la specie umana): compito che riguarda movimenti, sindacati, associazioni (pensiamo soprattutto a luoghi di elaborazione come ASviS, Forum DD, Legambiente, Oxfam) e infine i partiti: non ne escluderemmo il PD ed il suo faticoso congresso (come il contemporaneo congresso della CGIL), che ci sembrano comunque luoghi collettivi e frequentati (o almeno non così mal-frequentati da divenire infrequentabili…).

Immaginiamo che una futura ed auspicabile unità nel campo della sinistra e del centro possa nascere, forse, solo da una egemonia conquistata sul campo dell’opposizione, da chi meglio capirà come ricostruire una nuova identità ed un adeguato linguaggio: innanzitutto cercando di dialogare con chi non ha votato oppure ha smesso di votare.

E questo è soprattutto un invito alle presunte avanguardie a misurarsi sul terreno delle iniziative di massa – ad esempio mirati scioperi dei consumi – anziché isterilirsi in isteriche manifestazioni tipo “imbrattare le tele in favor di telecamera” oppure inveire contro la perfidia del PD, auspicandone la scomparsa.

 



[A] Scelto da Di Pietro per “Italia dei Valori” è passato al Centro-destra perché corrotto, come da sentenza del 2013 conseguente al patteggiamento della pena

[B] Domenico Finiguerra, 23 ottobre alle ore 09:33

#OPPOSIZIONE ALLA TERZA

Letta twitta con convinzione: "opposizione opposizione opposizione al governo Meloni". Un'opposizione al cubo.

Ma ciò che si oppone dovrebbe essere appunto di segno opposto e l'opposizione è reale solo se è fatta a partire da posizioni alternative. E il PD su quali basi farà opposizione?

Opposizione sulla politica internazionale del nuovo governo?

Impossibile, perché pensano le stesse cose, perché saranno d'accordo su invio delle armi e sulla collocazione azzerbinata agli USA.

Opposizione alla politica economica liberista?

Impossibile, perché Letta e Meloni sono alunn* e compagn* dell'Aspen Institute. Perché la cancellazione dell'art. 18, il job's act, le privatizzazioni o meglio la svendita dei beni comuni ai privati, tutte politiche di destra, sono state portate avanti dal PD.

Opposizione alla politica ambientale? Impossibile, perché il PD e il centrosinistra guidato dai dem è stato per vent'anni l'esecutore fedele di tutti i sogni d'asfalto racchiusi nella bibbia del partito del cemento, nella "legge obiettivo" di Berlusconi/Lunardi. 

Resta il tema dei diritti. Ma sarà solo un teatrino. Perché in decenni al governo il PD ha dato prova di che pasta è fatto sotto le passerelle alle manifestazioni: slogan tanti e risultati pressoché zero.

Sull'accoglienza ai disperati: vedere alla voce Minniti.”

lunedì 26 settembre 2022

UTOPIA21 - SETTEMBRE 2022: L’AGGIORNAMENTO 2022 DELLA RICERCA “TRA-I-LAGHI”

L’AGGIORNAMENTO 2022 DELLA RICERCA “TRA-I-LAGHI”

 

Gli scriventi hanno condotto nel 2015 una ricerca estesa ad un territorio (che include i 16 comuni allora aderenti ad “Agenda21Laghi”) compreso tra Verbano e lago di Varese, da Vergiate a Laveno, lavorando principalmente sui dati dei censimenti ISTAT 2010-2011 e del rapporto ISPRA 2015 sul consumo di suolo.

La ricerca denominata “tra-i-laghi” 1 si compone di tabelle, grafici, cartine tematiche e commenti ed elabora i principali dati statistici successivi al 2000 per tale territorio in raffronto a Provincia di Varese, Lombardia ed Italia, riguardo a demografia, lavoro, pendolarità, istruzione, abitazioni, suolo.

Dal 2016 gli Autori hanno prodotto aggiornamenti annuali parziali.

In attesa dei risultati per il 2021 dell’insieme dei nuovi “Censimenti permanenti” dell’ISTAT, questo aggiornamento si limita ai dati della popolazione locale (e straniera), con un cenno al consumo di suolo.

 

Sommario:

- commento sintetico

- tabella 1 – popolazione 2020-2021

- tavoletta A – popolazione 2020-2021

- tabella 2 – popolazione 2011-2021

- tavoletta B – popolazione 2011-2021

- tabella 3 – popolazione 2021: incidenza stranieri

- tabella 4 – dinamica stranieri su residenti 2020-2021

- tabella 5 – dinamica stranieri su residenti 2011-2021

- tavoletta C - dinamica stranieri su residenti 2011-2020

 

                         come si vive tra-i-laghi di Varese e Maggiore

ricerca statistica 2000/15 per Agenda21laghi

AGGIORNAMENTO 2022

 

 

 

COMMENTO SINTETICO ALL’AGGIORNAMENTO 2022

Indice:

-       premessa

-       dati demografici

-       stranieri

 

PREMESSA

L’aggiornamento “2022” della nostra ricerca “tra-i-laghi”, riferito ai dati disponibili relativi al 2021, non può ancora avvalersi della complessa transizione dei censimenti Istat dal consueto intervallo decennale (per l’appunto ricadente al 2021) alla nuova formula dei “censimenti permanenti”, che offrono già un buon pacchetto di dati disaggregati a livello comunale, sia per popolazione/famiglie/abitazioni, sia per imprese/lavoro/istituzioni, ma variamente aggiornati al 2019 oppure al 2020.

Pur avendo esplorato tali tabelle per nostra curiosità scientifica, riteniamo opportuno rinviare all’anno prossimo una ri-edizione più completa della nostra ricerca, impostata sul confronto decennale 2011-2021; raffronto decennale che però possiamo anticipare, assieme alla dinamica dell’ultimo anno, per i dati più elementari quali la popolazione residente e la sua componente “straniera”; in proposito precisiamo, come ricorda frequentemente lo stesso Istat nei suoi commenti, che non è qui quantificato il fenomeno della acquisizione della cittadinanza italiana da parte di una quota di immigrati (acquisizione di cittadinanza probabilmente non ambita e non richiesta dai numerosi immigrati comunitari che gravitano attorno al Centro Comunitario di Ricerca di Ispra, così come dalla comunità romena).

Come già per la passata edizione dei nostri elaborati, la trasformazione dei censimenti ISTAT  comporta altresì una sospensione come ‘provvisori’ di alcuni elementi statistici, quali il bilancio demografico nati/morti e immigrati/emigrati per i singoli comuni: anche su tale fronte ci vediamo pertanto costretti a rinviare gli approfondimenti, anche sugli effetti della Pandemia, che però a scala nazionale e delle grandi aggregazioni geografiche sono già stati ben rappresentati dall’Istat nel “Rapporto BES” e nell’annuale “Rapporto Istat 2022”.

Un’altra direzione verso cui abbiamo indirizzato la nostra attenzione, come in precedenti edizioni, è il rapporto I.S.P.R.A. sul consumo di suolo nel 2021; abbiamo scelto però di non produrre nuove tabelle e tavolette, perché nella nostra area studio il maggior consumo di suolo risulta limitato a soli 8 ettari (distribuiti in 7 comuni, mentre i restanti 15 restano invariati), pari al 2 per mille dell’insieme del suolo precedentemente consumato, a fronte di dinamiche assai maggiori a scala nazionale e regionale (5 per mille e 6 per mille: provincia di Varese al 3 per mille). Ci è difficile valutare se il risultato locale sia frutto di virtuosa gestione del territorio oppure solo di debolezza del mercato immobiliare.

 

DATI DEMOGRAFICI

Con riferimento alla ricerca “tra-i-laghi” del 2015, come già nei sei anni precedenti, abbiamo ritenuto di sviluppare un nuovo aggiornamento sui dati demografici, comprendente il confronto tra la popolazione residente a fine 2021 (01 gennaio 2022) e quella di fine 2020, nonché con quella del censimento 2011; parimenti abbiano aggiornato l’approfondimento sul numero degli stranieri residenti a fine 2020 ed in raffronto all’anno precedente.

Il tutto applicato ai Comuni che nel 2015 erano in Agenda21Laghi ed ai territori già assunti come riferimento, confermando tutti i criteri metodologici della più ampia ricerca pubblicata nel 2015.

 

L’ulteriore calo complessivo della popolazione nell’Area-Studio nel 2021 è di oltre 800 persone, oltre le 1200 perdute nel precedente anno, con una incidenza dell’1%, che spicca in un contesto di minori perdite a scala provinciale (-0,2%) e nazionale (0,5%), mentre a livello dell’intera regione Lombardia il decremento è quasi impercettibile (e Milano accumula un incremento decennale del 10%).

La dinamica è piuttosto diversa tra i singoli comuni, 3 dei quali presentano un calo superiore al 2%, mentre al polo opposto 4 dei restanti 12 risultano in aumento demografico; analogo divario, ma più spostato verso i valori positivi, si riscontra anche tra gli altri comuni assunti come riferimento: rimandiamo alla tabella 1 ed alla tavoletta A.

 

Considerando l’intervallo decennale 2011-2021 (tabella 2), il calo complessivo della popolazione nell’Area Studio è circa di un migliaio di persone, pari all’1,3%, in controtendenza con Provincia e Regione, che presentano saldi positivi pari rispettivamente allo 1% e al 3% (mentre a livello nazionale il calo è dello 0,8%).

Nel decennio il divario tra i singoli comuni è molto più accentuato, dal calo oltre il 6% di Laveno Mombello, Sangiano, Brebbia, Malgesso e Ranco, all’incremento superiore all’1% di Leggiuno, Bardello, Ispra, Cadrezzate/Osmate, Comabbio, Varano Borghi e Sesto Calende: la rappresentazione geografica sulla tavoletta B, pur evidenziando alcune affinità di comportamento tra comuni contermini, non ci pare si presti ad una lettura di sintesi.

In attesa dei dati definitivi sui movimenti demografici si può comunque valutare che le tendenze negative sono da attribuire in prevalenza allo sbilancio del saldo naturale nati-morti, affiancato da un indebolimento dei flussi di immigrazione, sia di origine straniera che nazionale.

 

 

STRANIERI

 

I dati sugli stranieri residenti figurano tra i pochi dati disponibili ogni anno che siano omogenei ed attendibili e quindi monitorabili costantemente nel tempo: come facciamo in questo testo con le tabelle 4 e 5 e con la tavoletta C..

 

Rammentiamo che le maggiori presenze di stranieri nell’area studio riguardano Besozzo e tutta l’area a Sud-Ovest, tra il lago di Monate e Sesto Calende, con vertici ad Ispra e Ranco e alcuni comuni limitrofi, dove prevalgono le origini comunitarie dei dipendenti del Centro Comunitario di Ricerca (e famiglie): con valori superiori al 9-10%, che si riscontrano solo in parte dei Comuni esterni prossimi di riferimento (Arona, Castelletto, Somma Lombardo) e Varese (Milano invece si muove poco oltre il 20%, su uno sfondo regionale attorno al’12% e nazionale – ed anche provinciale – di poco inferiore al 9%).

 

Tale situazione non è sostanzialmente alterata dalle modificazioni intercorse nel 2021, con un calo diffuso, ma contenuto, della presenza dei cittadini stranieri (calo dello 0,1% che continua, rallentando, la tendenza degli anni precedenti); all’opposto di quanto avvenuto, con una debole ripresa, a livello nazionale (0,3%). regionale (0,4%) e provinciale (0,1%); a Milano +2%.

Il dato medio dell’area studio nasconde un discreto ventaglio, con 8 comuni che hanno un maggior calo, tra -2,8% (Ranco) e -0,4%, 3 comuni sostanzialmente e i restanti 11 con valori positivi, fino ad un massimo del 2,2% a Bregano.

 

Guardando invece (tabella 5 e tavoletta C) il raffronto decennale 2011-2021, l’incidenza media degli stranieri sui residenti nell’intera Area Studio permane circa costante (cala solo da 8,8% a 8,7%) con una polarizzazione tra l’incremento massimo di Ispra (3,4%) e lo speculare decremento del confinante comune di Ranco (-3,3%): divario locale che ci riesce difficile interpretare, forse legato alle dinamiche dei valori immobiliari.

Anche l’insieme della tavoletta non sembra suggerire un’immagine geografica significativa.

Nel contempo l’incidenza degli stranieri sui residenti è invece cresciuta a livello provinciale (0,9, avvicinandosi con 8,5 al valore dell’Area Studio), regionale (2,2%) e nazionale (2%); Milano registra un incremento del 6,2%.

PER TAVOLE E TABELLE ANDARE AI SITI DI UTOPIA21 OPPURE DI AGENDA 21LAGHI

annavailati@tiscali.it

aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

1.            Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi – TRA-I-LAGHI – 2015 e aggiornamenti annuali - http://www.agenda21laghi.it/vivere_tra_laghi.asp