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lunedì 28 gennaio 2013

"SVEGLIATEVI!" di Pierre LARROUTUROU


Stimolato dalla recensione/intervista su l’Unità, ho letto il breve pamphlet di Pierre Larrouturou “SVEGLiATEVI! (perché l’austerità non può essere la risposta alla crisi)” (editore PIEMME-ORA, 2012, pagg. 115, € 10,00).

Anche se in parte datato (inizio 2012, elezione di Hollande) e legato ad una specifica polemica da sinistra nella maggioranza presidenziale francese, da parte del gruppo “Roosvelt” (cui aderiscono anche Michel Rocard e Edgar Morin) mi sembra interessante per il respiro internazionale delle premesse e per la ricchezza delle proposte operative, per lo più a scala europea.

Riassumendo in breve, nella parte analitica, oltre a raccontare la crisi da sinistra nei termini che ormai conosciamo e condividiamo leggendo – ad esempio - Stigliitz e Gallino sul “finanz-capitalismo”, si sofferma in particolare sulla esplosività del debito americano e sulla (meno nota) bolla immobiliare cinese, paventandone anche una possibile via d’uscita militare/bellica.

Questi temi però non vengono ripresi nello svolgimento successivo del testo, che illustra  una serie di interventi praticabili in Europa, e che a me – come credo a gran parte dell’opinione pubblica di sinistra - appaiono ragionevoli e condivisibili (anche se mi piacerebbe una più scientifica dimostrazione sulla fattibilità ed efficacia), ma che purtroppo non mi sembrano divenuti effettivo patrimonio programmatico delle forze politiche della sinistra europea (a partire dal governo Hollande, come denuncia lo stesso Larrouturou, senza però domandarsi perché ciò avvenga: il Partito Socialista francese è ingenuamente ottimista sul rilancio del vecchio modello economico, oppure ci sono ragioni sociali di rappresentanza e consenso che incidono sul suo pensiero e sulla sua azione? Se fosse così, come influenzarlo? Con la sola forza polemica del pamphlet?):

-          Finanziamento del deficit pubblico pregresso a spese delle banche private (ipotizzando prestiti BCE attraverso la BEI a tassi prossimi allo Zero, come quelli concessi tra 2011 e 2012 al sistema bancario)

-          Istituzione di un imposta minima europea sui dividendi, per evitare il “dumping fiscale” da parte dei singoli Stati

-          Rivoluzione fiscale a danno dei più ricchi (agevolati negli ultimi decenni), con rimpinguamento delle casse statali

-          Guerra ai paradisi fiscali, con boicottaggio alle imprese che vi tengono filiali e obblighi di trasparenza dei bilanci

-          Tutela dai licenziamenti e lotta al precariato

-          Salario ai disoccupati (modello danese)

-          Separazione tra banche commerciali e banche d’affari

-          Vera Tobin Tax europea, con aut aut alla Gran Bretagna

-          Nuove norme ambientali e sociali nel commercio internazionale (e rispetto di quelle vigenti, violate da Cina ecc.), anche per frenare le de-localizzazioni

-          Investimenti massicci in edilizia residenziale

-          Green economy e Kioto 2 sul serio

-          Sviluppo della “Economia Sociale e Solidale” (3° settore?)

-          Ridistribuzione egualitaria dei tempi di lavoro e riduzione del ventaglio retributivo

-          Costruzione dell’Europa Democratica, con governo sovranazionale e poteri al Parlamento

-          Europa sociale (trattato specifico per dare contenuti ai diritti di cittadinanza).

Mi piacerebbe evidentemente vedere attuate queste direttive che potrebbero “ salvare” l’Europa. Ma  come si salva il mondo se incombono anche i mostri del disavanzo americano  e della bolla cinese?

TRENI IN ORARIO

"lui" ieri (Giorno della Memoria) ha detto, in sostanza, che "Quando c'era Lui i treni viaggiavano in orario".
Anche dal Binario 21.

sabato 26 gennaio 2013

IMU ED EQUITA'


Concordo con la proposta del PD circa l’aumento della fascia di esenzione dall’IMU per la prima casa (e non capisco perché qualcuno a sinistra voglia inseguire  Berlusconi verso l’esenzione completa: chi ha una casa bella e grande è giusto che contribuisca in modo solidale, anche per correggere le distorsioni delle imposte sul reddito).

La fascia esente (previa riforma del catasto) dovrebbe corrispondere all’individuazione di un “minimo vitale” (concetto da riprendere per l’intero welfare, dal reddito minimo alla sanità, fino alla elevazione del livello di istruzione obbligatoria).

Ma questo “minimo vitale” deve riguardare il “diritto alla casa” per TUTTI, e non solo per la maggioranza che abita in case di proprietà: come Obama intende farsi carico dei diritti di sorelle e fratelli gay, così la grande tribù maggioritaria dei proprietari di casa (cui appartengo) deve preoccuparsi anche delle sorelle e dei fratelli che vivono in affitto, subiscono sfratti (anche per mancato pagamento delle rate di mutuo), vivono per strada; una casa dignitosa è uno dei principali elementi di una vera cittadinanza (mi piacerebbe che a sancirlo fosse l’Europa, oltre a preoccuparsi della concorrenza tra le imprese).

Chi paga un affitto per la prima casa dovrebbe poterne detrarre la spesa dal reddito imponibile, fino al livello del “minimo vitale” (ciò servirebbe anche come contrasto all’evasione ed ai contratti in nero, che non mi pare siano emersi con la sola “patrimoniale secca” sui proventi delle locazioni.

E chi un affitto per una casa adeguata non riesce a pagarlo, dovrebbe essere aiutato dalla solidarietà pubblica, anche attingendo all’IMU; oppure vedersi assegnato un alloggio “popolare”, il cui reperimento (tra gli alloggi vuoti) e la cui costruzione (solo su aree urbane da recuperare) dovrebbero essere nuovamente finanziate dalla “fiscalità generale” o meglio dallo stesso gettito dell’IMU e delle altre imposte immobiliari, da riorganizzare opportunamente (smettendo di penalizzare i semplici cambi di proprietà, e tassando invece correttamente il plusvalore di fabbricati e terreni, nonché in modo incrementale il patrimonio edilizio sfitto ed inutilizzato).

Nella grande mobilità indotta dalla globalizzazione occorre rendere più stabile il lavoro, e più dinamica invece la proprietà immobiliare (penso anche alla lentezza e inefficacia delle procedure fallimentari e di divisione ereditaria, che comportano spesso l’abbandono e degrado degli immobili oggetto di vertenza, mentre si potrebbe spostarne gli esiti finali sui controvalori monetari, e re-immettere rapidamente i fabbricati nel “mercato”  o comunque in virtuosi circuiti di utilizzazione).

Sesto  Calende, 26-01-13

Aldo Vecchi

IL TEMA E' APPROFONDITO NELLE "PAGINE" DI QUESTO BLOG, PARTE QUARTA DEL SAGGIO "SULLA SOSTENIBIITA' URBANA (AL TEMPO DELLA CRISI)"

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martedì 22 gennaio 2013

PETIZIONE SUL CONTROLLO DELLE SPESE MILITARI


PETIZIONE DA ME PROPOSTA TRAMITE "AVAAZ" IL 20 DICEMBRE 2012; FINORA HA RACCOLTO 12 ADESIONI)
 "abolire la programmazione pluriennale delle spese militari e sottometterla al controllo complessivo sul bilancio dello Stato" 
Perché è importante:
per sottoporre al controllo pubblico le spese militari e per gli armamenti in particolare

 

mercoledì 9 gennaio 2013

SESTO CALENDE CITTA' ?

cosa dovrebbe essere Sesto se fosse una vera città, e non un paesotto mal governato da una maggioranza in preda a fumi xenofobi:

-          un posto dove possono pregare anche i fratelli islamici
-          un posto orgoglioso del suo “kilometro verde”, con vista del Monte Rosa, all’uscita dal casello autostradale
-          un posto ansioso di ricucire le separazioni storiche costituite da strade e ferrovie, con sottopassaggi pedonali, ciclabili e carrabili (invece di cancellarle dal progetto ex-AVIR)
-          un posto dove il PGT non si illustra solo in agosto e dove il passaggio da Media a Grande Distribuzione viene discusso con il rilievo che merita
-          un posto dove gli scuolabis non vengono privatizzati prima di capire se la cosa funziona
-          un posto dove l’area artigianale degli anni ’80, dopo 30 anni, si possa raggiungere con un comodo sovrappasso ferroviario
-          un posto in cui si può passeggiare su un lungo fiume senz’auto, almeno d’estate e alla domenica
-          un posto  che valorizza la collezione Cesare da Sesto e nomina Marisa Bausola e Gian Barbieri “senatori a vita” delle arti visive, invece di emarginarli
-          un posto dotato di un piattaforma ecologica di dimensioni adeguate…

MERCALLI SUPER PARTES

Nella puntata di "Che tempo che fa" del 5 gennaio 2013 Liuca Mercalli, solitamente utile e preciso, ha censurato nell'insieme tutte le "agende" politiche in pista per le prossime elezioni politiche, perché trascurano l'ambiente e rilanciano pedissequamente l'idea di ripresa dello sviluppo, ecc.
Se si guarda agli slogan  che emergono dai telegiornali può essere che Mercalli abbia ragione.
Ma, per fortuna, la futura azione di foverno si fonderà - almeno in parte - anche sui più o meno corposi "documenti programmatici" espressi dalle varie offerte politiche.
E allora perché dire, come spesso accade da  parte dei commentatori "super partes", che tali offerte sono tutte uguali?
La revisione dei modelli di sviluppo ed il ruolo strutturale della "green economy" sono infatti significativamente presenti (anche se mi piacerebbe fossero ancor più centrali), nei programmi del centro-sinistra (qualcosa era emerso anche nei pacati confronti televisivi per le primarie).
E tali tematiche figurano, anche con accentuazioni estreme e talune contraddizioni, negli enunciati del Movimento 5 Stelle e dell'area di sinsitra radicale ora guidata da Ingroia.
Non a caso invece si tratta di temi assenti nella "nuova" agenda di Monti e nelle vecchie rimasticature di Berlusconi e Maroni.

sabato 5 gennaio 2013

SE NON ORA, QUANDO

FEBBRAIO 2011
13 febbraio, dignità di tutti: Famili Day e (H)ar(d)core Nights

Sia per gli attacchi strumentali alla Giuliano Ferrara, sia per alcuni distinguo interni al femminismo, il confronto attorno alla manifestazione del 13 febbraio sembra essersi in parte spostato sul tema del “moralismo”, sul modo “puro o impuro” in cui viene vissuta la sessualità.
1.
A mio modesto e maschile punto di vista, invece, gli squarci di inchiesta sulle notti del Premier e le connessioni con il più ampio modello culturale di corruzione/prostituzione che promana dal potere berlusconiano e dai suoi avamposti televisivi, mettono in discussione, oltre alla dignità della donna e dell’uomo, soprattutto la dignità “della nazione” e di noi tutti cittadini, che non dovremmo più oltre sopportare al vertice del Governo un satrapo
-         che si pretende “legibus solutus” perché eletto “dal popolo”, comunque senza maggioranza assoluta tra gli aventi diritto al voto, e dopo 20 anni di impari bombardamento e rimbambimento televisivo e dopo la furbesca e dubbia sparizione delle “schede bianche” nelle elezioni del 2006 una tragica alterazione delle leggi elettorali, che ha azzoppato l’alternativa del ritorno di Prodi
-         che è variamente indagato, prescritto, sospettato o prosciolto su accuse di reati strettamente funzionali alla affermazione del suo sistema di potere, aziendale e politico
-         che – in materia di comportamenti sessuali – ha cercato di farci credere alternativamente:
o      che la Sua vita privata era un virtuoso esempio, tanto da inondarci le case con opuscoli con foto della sua Sacra Famiglia
o      che è il Defensor Fidei, protagonista del Family Day e  sollecito promotore di norme repressive sulle libertà sessuali dei normali cittadini (coppie di fatto, procreazione, ecc.)
o      che è un Gallo conquistatore, che giammai deve pagarsi la compagnia femminile e se ne vanta in pubblico (in Conferenza Stampa con il Capo del Governo spagnolo)
o      che “un fidanzato non può averlo fatto”
o      che ai festini con Lele Mora ed Emilio Fede vedevano film impegnati e bevevano perfino il caffè…
2.
Se è pur vero che i  reati (prostituzione minorile  e concussione) restano da dimostrare,   pare innegabile che il sistema delle feste del premier configura invece un vero e proprio “harem”, con al centro il Sultano, e la subordinazione di uno stuolo di giovani donne, poste brutalmente in concorrenza tra di loro, come in un gioco televisivo, e nel mezzo ambigui personaggi in ruolo di mezzane e prosseneti.
Nulla  a che vedere quindi con liberi scambi sessuali tra adulti in condizioni di parità.
Non si tratta infatti, a mio avviso di giudicare sulle scelte, più o meno libere o condizionate delle giovani donne che si rendono disponibili, ma della condizione subordinata di queste ragazze, molto peggio di una “semplice prostituzione”,  perché  coinvolte in un cerimoniale di comparazione e selezione di impronta schiavista, seppur modernizzato dal linguaggio televisivo.
In questo ritorno dell’Harem, come in parallelo nel sistema ricattatorio e corruttivo del potere berlusconiano (in cui molti intellettuali, soprattutto maschi, vendono la mente invece che il corpo), si può leggere una grave regressione a prima dell’Illuminismo e delle lotte operaie: in un mercato capitalista temperato dalle esperienze liberaldemocratiche e socialdemocratiche, i ceti sociali dipendenti hanno ottenuto il diritto di vendere SOLO le loro prestazioni lavorative, conservando la dignità di persone (scontro comunque sempre aperto, vedi FIAT); nel modello berlusconiano i rapporti sociali tendono a ridursi alla dialettica Padrone Servo.
Rifiutare questo modello (presente anche in altre sfere e clientele della società e della politica) significa riaffermare la nostra dignità di cittadini.

ITALIA BENE COMUNE:note sulla Carta di Intenti del PD

SETTEMBRE 2012

Mentre l’insieme del documento assume come orizzonte l’Italia e l’Europa (la salvezza dell’Italia solo tramite il rilancio della migliore Europa; il ruolo dell’Europa nel mondo per la pace e i diritti e contro lo strapotere della finanza; la ricerca di un ruolo produttivo per l’Italia in una prospettiva di sviluppo sostenibile), al punto 1 “VISIONE” si propone anche di riscoprire “la necessità di sentirci vicino a chi nel mondo si batte per la libertà e l’emancipazione di ogni essere umano”.

A mio avviso, se si  guarda seriamente al mondo intero, occorre apportare un mutamento di punto di vista e di accenti prioritari su tutti i contenuti della “Carta di intenti”.
.
Stare “vicino a chi si batte per la libertà e l’emancipazione di ogni essere umano”
- è difficile, perché, ad esempio, dal punto di vista loro, probabilmente anche i Talebani si battono per la libertà, anche se hanno idee discutibili sull’emancipazione, soprattutto se femminile
- è insufficiente, perché una grande parte degli esseri umani subisce oppressione e sfruttamento senza arrivare a “battersi”.
Occorre invece estendere agli ultimi nel mondo il pensiero solidaristico, espresso poco sopra nel capitolo “VISIONE”, “Nessuno può stare bene, se gli altri continuano a stare male”: è un principio distintivo della sinistra, ma solo se non è limitato a chi sta male dentro i confini italiani ed europei.  

Questo allargamento universalistico non è da intendersi solo come un postulato morale (ineludibile sia per i credenti che per i laici di ispirazione socialista) né deve divenire un alibi per non approfondire le condizioni specifiche dell’azione politica italiana ed europea; è invece anche una necessità, perché in sua assenza ogni proposito di uscita dalla crisi e di sostenibilità dello sviluppo si infrangerebbe, prima o poi, nella resistenza degli ultimi e nello sgomitare dei penultimi (i paesi emergenti) a fronte della oggettiva limitatezza delle risorse naturali del sistema-Terra.

La sinistra europea, se non vuole essere solo una variabile interna al liberismo tuttora dominante (anche se indebolito), deve farsi carico di un programma per il superamento della crisi che miri alla salvezza dell’intero pianeta, e tuteli contemporaneamente sia gli interessi dei ceti subalterni europei, sia dei popoli oppressi e sfruttati nel resto del mondo.

E cambiare così di segno alle politiche europee, superando il paradosso per cui oggi gli aiuti europei sono temuti dai paesi più deboli, e dai loro popoli, perché associati alle “condizioni” della “Troika” EU+BCE+FMI che risultano a-priori anti-popolari: si può sperare che una prevalenza delle sinistre nei paesi europei comporti “democraticamente”  un diverso contenuto nel ricettario socio-economico dell’alta burocrazia europea?

Perché Europa, ad esempio, deve significare più facilità di licenziamento e non invece più garanzie per i lavoratori?

In questa ottica i capitoli della “Carta” su Lavoro, Uguaglianza, Diritti e Beni Comuni assumono una diversa e maggiore valenza, mentre il capitolo sullo “Sviluppo sostenibile” andrebbe approfondito, delineando meglio i capisaldi di una revisione radicale, anche se graduale, del ruolo produttivo dell’Italia e dell’Europa nel contesto di una equa ripartizione del consumo delle risorse (energia e materie prime, natura e paesaggio, sapere e salute) su scala mondiale.  

La tragicomica marcia indietro del Governo sulle “bibite gassate” non è un buon sintomo sulla disponibilità dell’opinione pubblica ad affrontare un serio dibattito su cosa, come e dove produrre (e pertanto su cosa incentivare e cosa tassare maggiormente), in attuazione dell’articolo 41 della Costituzione (che i liberisti vorrebbero abolire o comunque ignorare); ma questo dovrebbe essere a mio avviso compito del centro sinistra, innanzitutto come battaglia culturale e politica: anche se comportasse la imposizione di nuovi sacrifici, ma ben  motivati ad uscire davvero dalla crisi, e non finalizzati solo a  rilanciare in modo miope il vecchio modello di sviluppo ed i connessi privilegi di padroni locali e finanzieri internazionali.

Prima ancora di “usare il consenso per governare bene”, occorre far crescere il consenso su questa idea universale di “bene comune”, nella piena consapevolezza della dimensione globale della crisi e delle problematiche ambientali connesse; e rendere quanto più possibile protagonisti i cittadini-elettori, in modo tale che non si sentano “usati dai riformisti”, neanche a fin di bene, ma “utilizzatori” in proprio di una  buona politica.

Il Capitolo 2 “DEMOCRAZIA”, giustamente devoto alla legalità ed ai valori costituzionali, trascura un necessario approfondimento sul tema della “partecipazione”, che è appena accennato (e non può esaurirsi con la super-delega delle primarie); la possibilità di nuove forme di democrazia diretta, su scala locale oppure attraverso Internet, dove potrebbero svolgersi consultazioni tematiche (non con blog anonimi, ma con accessi individuali certificati), non è in contrasto con la difesa della democrazia rappresentativa, quale forma storicamente evoluta dello Stato, né con il ruolo dei corpi intermedi (partiti, sindacati, movimenti): perché regalarla a forze antagoniste e confonderla con il populismo (che è invece l’esaltazione della delega, temperata dal mugugno isterico)?

Post Scriptum sui costi della politica: limitare gli emolumenti alla “media europea” andrà bene quando salari e pensioni si avvicineranno alla media europea.


PENSIONI ED EQUITA'

GENNAIO 2012
In riferimento alla manovra Monti, si parla molto di equità, ed in particolare di equità tra generazioni, riguardo alla problematica delle pensioni.
Premetto che ogni equità parziale va sempre rapportata all’equità generale: ad esempio, nel mondo antico poteva essere rilevante anche l’equità di trattamento tra i singoli schiavi, ma la prima iniquità rimaneva quella tra schiavi e padroni;  ed anche oggi permangono immense iniquità generali, tra sfruttati e sfruttatori, sia a livello globale che a livello locale; nel concreto del contesto italiano si sono pertanto giustamente richiamate in questi giorni le iniquità della casta politica, delle pensioni e liquidazioni d’oro, dei mega stipendi dei manager: meno quelle più generali tra i lavoratori dipendenti ed i percettori di profitti e rendite.
Premetto inoltre che nel confronto in corso, in particolare nell’arrogante, ancorché educata, ripulsa della concertazione con i sindacati da parte del governo Monti in materia di pensioni e di fisco, risulta perduto il concetto di salario complessivo e di salario differito: i sindacati dovrebbero essere limitati a contrattare le condizioni di lavoro ed il salario diretto, e subire le decisioni politiche riguardo a tutti gli altri aspetti della loro vita economica e sociale (casa trasporti salute ecc.), che ricadono invece in realtà pur sempre nei rapporti tra lavoro salariato e capitale, quindi stanno strutturalmente al centro della vita economica del paese.
In questa visione mi sembrano del tutto inaccettabili gli interventi del governo sulle pensioni:
-         Il taglio delle indicizzazioni (e quindi una tassa diretta sui redditi più bassi, proporzionale all’inflazione, nel frattempo sovralimentata dalle imposte sui carburanti e dall’aumento dell’IVA), perché incide a posteriori sul salario differito, acquisito o conquistato dalle generazioni in precedenza attive (le cui scelte in materia di lavoro ed età di pensionamento sono state anche notevolmente influenzate dai rapporti contrattuali e dalle garanzie previdenziali al tempo ottenute);
-         Il nuovo scalone sulle età di pensionamento ed il passaggio retroattivo (rispetto alla riforma Dini) al sistema contributivo perché mirano ad una eguaglianza esclusivamente verso il basso tra gli attuali pensionandi e le fasce demografiche successive:
-         1 - approfondendo la differenza e forse il risentimento rispetto ai “privilegiati” già in pensione con il sistema retributivo (ma i percettori delle pensioni retributive non possono tornare indietro ora a lavorare di più oppure a rivendicare o versare maggiori contributi)
-         2 - evitando di affrontare invece il problema principale dell’oggi e del futuro, e cioè l’impoverimento progressivo dei giovani lavoratori/precari/disoccupati, che la pensione contributiva faticheranno a vederla, per carenza di lavoro e di contributi, e che risulteranno inoltre beffati dalla promessa posta alla base della riforma Dini, e cioè la contemporanea crescita delle forme di previdenza complementari di tipo capitalistico (impossibili senza reddito e comunque falciate dalla crisi finanziaria)
-         (nota: ma la flessibilità del lavoro e la previdenza complementare non dovevano essere i pilastri del nuovo sviluppo neo-liberista?)
-         3 -   approfondendo nel breve/medio periodo la mancanza di posti di lavoro per i giovani, perché la permanenza dei sessantenni al lavoro per  altri  5 o 6 anni (chi il lavoro lo ha), chiude ogni possibilità di turn over nei posti stessi (ciò avviene meno con un allungamento progressivo dell’età pensionabile, cui potrebbero affiancarsi forme di part time abbinato tra lavoratore uscente elaboratore entrante).
I giovani avranno senz’altro vantaggio da una virtuosa uscita dal circuito deficit/debito, ma questo obiettivo, pur comportando un graduale aumento dell’età di pensione, in rapporto all’allungamento delle speranze di vita, non può dipendere solo dal saldo del bilancio INPS (tuttora positivo, per altro, per i lavoratori dipendenti), bensì dall’insieme delle grandezze macro-economiche (costo del lavoro, produttività, precariato, fisco, evasione, ecc.) e quindi dai rapporti di forza complessivi tra lavoro e capitale, tra profitti e rendite, con la ovvia complicazione della scala internazionale (e sempre più energetica/ambientale) di queste problematiche.
In tale contesto non sarebbe ingiustificato che una parte della spesa pensionistica sia pagata dalla fiscalità generale (ad esempio in favore di chi non riesca  percorrere un adeguato percorso contributivo); mi pare invece che si stia andando nella direzione opposta, con i risparmi sulle pensioni usati per finanziare genericamente la spesa pubblica, compresi sprechi e spese militari.  

PER UN' I.V.A. ECOLOGICA

Mi sembra che finora l’orizzonte delle alternative al neo-liberismo si limiti alla ricerca di ricette per il rilancio dello sviluppo – contro le politiche monetariste e di austerità finanziaria oltranzista – e per una umanizzazione della crisi, senza aggredire la problematica dell’esaurimento delle risorse e dei limiti di sostenibilità ambientale del pianeta Terra, che impone una revisione profonda del modello di sviluppo (e imporrebbe forse altri criteri e livelli di austerità, almeno per i consumatori più opulenti, non solo occidentali).
I temi ambientali ed il cambiamento climatico non sembrano essere tra le priorità del governo Monti.
Governo, partiti e parti sociali si affannano soprattutto sulla ripresa della crescita, cercando di superare i colpi che il tradizionale modello di sviluppo subisce, sia per la crisi più generale, sia per gli effetti recessivi specifici delle manovre finanziarie correttive approvate dal Parlamento.
Tra queste incombe tuttora, per il 2° semestre del 2013, anche un ulteriore pesante aumento di 2 punti percentuali dell’IVA, su gran parte dei prodotti, esclusi quelli con la tariffa agevolata del 4% (articoli di prima necessità), che avrebbe avuto evidenti effetti inflazionistici sui prezzi e depressivi sui volumi complessivi di consumo.
Inoltre la spending review, come per ora decretata, comporta tagli con ulteriori iniquità sociali ed effetti recessivi.
Mi chiedo se non sia il caso di utilizzare questo dibattito per lanciare e approfondire una seria proposta alternativa (preferibilmente a scala europea), finalizzata ad un superamento della spirale oscillatoria tra recessione e tentativi di rilancio (sempre più difficoltosi) del vecchio modello di sviluppo, ed orientata, invece che a contenere o rilanciare  i consumi, a riqualificare produzione e consumi, a partire per l’appunto dalla leva fiscale (fiscal review) ed in particolare dalla differenziazione “ecologica” delle aliquote IVA (e degli incnetivi alle industrie), generalizzando una logica da “carbon tax”.
Si tratterebbe ad esempio di introdurre una quarta aliquota, nettamente superiore, verso il 30% o 33% (e rivedendo nel contempo con i medesimi criteri la ripartizione degli altri prodotti nelle 3 aliquote inferiori, magari riportando al 20% l’aliquota ordinaria) per i prodotti di lusso e/o particolarmente superflui (od inutilmente esotici), e per tutti quelli che presentino negativi risvolti ambientali, sia nelle fasi di produzione e commercializzazione, sia nelle fasi di utilizzo e smaltimento finale, riguardo a:
-         Consumo di suolo agricolo (fabbricati, impianti produttivi ed energetici)
-         Consumo di energia (veicoli ed elettrodomestici, ed anche fabbricati, con consumi elevati; merci con eccessivi consumi energetici per i trasporti)
-         Emissioni di inquinanti (liquidi, aeriformi, acustici, luminosi)
-         Produzione di imballaggi e di rifiuti residuali.
Una incentivazione e disincentivazione fiscale decisa (volendo anche con gradualità) ed esplicitamente orientata potrebbe innescare virtuosi processi di selezione dei consumi (limitando il peso inflazionisitico per i redditi più bassi e per i consumatori più saggi) e di riorganizzazione produttiva.
Con questa ipotesi di rimodulazione ecologica dell’IVA, se nel frattempo le promesse di revisione della spesa pubblica improduttiva e di lotta all’evasione fiscale dessero buoni risultati, se ne potrebbero utilizzare i benefici non sul fronte IVA, bensì su quelli più strategici del “cuneo fiscale”, sia agendo sull’IRAP (anche qui con discriminanti qualitative, legate anche all’innovazione) sia soprattutto sull’IRPEF a carico degli scaglioni di reddito più bassi, restituendo in permanenza il “fiscal drag”, che raddoppia in beffa il prelievo improprio costituito dall’inflazione, e rappresenta un costante insulto al concetto di “equità”.
Non so se il risultato sarebbe una “decrescita felice”, ma mi accontenterei che si cercasse di evitare una recessione stupida oppure un rilancio miope.
Credo che si debba  coglie positivamente l’occasione di una crisi evidentemente strutturale (connessa anche alla saturazione di  alcuni settori merceologici nei paesi avanzati, ed all’orizzonte di scarsità di alcune materie prime a fronte della crescente domanda mondiale) per mettere in discussione (sfidando le lobbies di settore ad un confronto esplicito sui costi e benefici sociali e ambientali di ogni prodotto) i contenuti della realtà economica italiana ed europea; all’opposto di chi voleva modificare l’art. 41 della Costituzione per consentire tutto ciò che non è vietato: è più che mai necessario verificare socialmente cosa, come e dove produrre (e trasportare) merci.
Altrimenti parlare di ambiente, ecologia e “green economy” continuerà a rimanere un orpello decorativo per i programmi dei governi e dei grandi partiti, ed una mera nicchia di rendita propagandistica per i piccoli partiti, più o meno verdi, e per i movimenti di opposizione radicale.


SALARIO DI PRODUTTIVITA'

In una fase  di crisi, ed in cui i salari sono bassi, anche perché erosi da anni di scarso recupero della (pur contenuta) inflazione e dal connesso ed iniquo “fiscal drag” (le aliquote IRPEF rimangono fisse mentre la moneta si svaluta, e quindi aumentano di incidenza relativa), il de-potenziamento dei contratti nazionali (che in qualche misura avevano sostituito la “scala mobile” per compensare la svalutazione) comporterà una ulteriore diminuzione dei salari effettivi per larghe face di lavoratori, non coperti da ulteriori contratti azinedali o “territoriali”.

A questa ingiustizia si affianca l’aggravante della agevolazione fiscale per il “salario di produttività”, che favorisce i dipendenti contrattualmente più forti, senza una intrinseca connessione con i “meriti” (un lavoratore molto “produttivo” può trovarsi, non per sua scelta, in una azienda o zona priva di contratti integrativi) e tanto meno con i “bisogni” (solo il lavoratore classificato “produttivo” potrà difendere il potere di acquisto del salario).

A mio avviso tale discriminazione contrasta anche con i principi costituzionali di equità distributiva e fiscale, e mi piacerebbe conoscere il parere in proposito di giuristi e fiscalisti esperti in materia.