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mercoledì 27 febbraio 2013

L'URBANISTICA RIFORMISTA


Giuseppe Campos Venuti, con l’articolo “Città sostenibili e austerità”, Campos Venuti 2011, tende a riallacciare il ciclo di esperienze dell’urbanistica riformista (da Bologna anni 60 al paradigma INU per il nuovo piano a metà anni ’90 alle successive verifiche e riflessioni) alla battaglia culturale di Enrico Berlinguer (rimasta minoritaria anche a sinistra)  per “l’austerità” in risposta alla crisi degli anni ’70, così sintetizzata: “non una generica riduzione dei consumi ma la limitazione di quelli improduttivi e parassitari, allargando quelli produttivi e sociali”.

Rivendicando di aver affiancato la posizione berlingueriana, in particolare  con il volume “Urbanistica e austerità”, Campos Venuti ripercorre la “lunga marcia della sostenibilità urbanistica in Italia”, dalla riduzione all’indispensabile delle espansioni private al contenimento delle densità eccessive, dalla conquista degli standards di spazi pubblici alla tutela delle aree agricole “per la produzione alimentare e la difesa ambientale”, dall’attenzione al paesaggio alla introduzione “del verde indispensabile ad assorbire l’anidride carbonica emessa dalle nuove auto nei percorsi urbani”, fino al recepimento delle norme europee per la qualità energetica degli edifici.

Affronta poi, in sintonia con il recente 27° congresso INU di Livorno, il tema della crisi urbana sullo sfondo della nuova socio-economica e finanziaria mondiale e nell’intreccio, specificamente italiano, con il peso del debito pubblico, la debolezza  dei bilanci comunali ed il ruolo delle rendite, finanziaria e fondiaria, proponendo interessanti elementi di riflessione (anche per il superamento di alcuni carenze e difetti applicativi delle leggi regionali ispirate dal modello INU), sui seguenti problemi, inerenti alle modalità attuali della pianificazione urbana e territoriale in Italia:
-          rafforzamento del carattere  non-conformativo delle previsioni di trasformazione dei piani strutturali e del carattere attuativo dei piani operativi (da non sovradimensionare e con scadenza della edificabilità non utilizzata nel quinquennio),
-          gestione attiva e non solo “regolativa” degli interventi sui tessuti esistenti,
-          “compensazione perequativa” e “contributi  di sostenibilità” finalizzati al contenimento della rendita ed al suo  recupero in favore della città pubblica e gli obiettivi ecologico-ambientali,
-          pianificazione di area vasta (integrati a tutti gli aspetti paesistici e ambientali) adeguata a fronteggiare e governare la “metropolizzazione”, sostituendo – ove necessario - i troppo angusti piani comunali, e connessa con piani regionali concentrati sulla localizzazione delle risorse di livello regionale/statale/comunitario.

In tal modo, secondo Campos Venuti,  l’urbanistica (e quindi, come soggetto, gli enti locali virtuosi e l’arco delle forze politiche e sociali connesse) può contribuire ad una uscita positiva dalla crisi, combattendo la rendita che (resta) “la causa di fondo della crisi urbana, strettamente integrata alla crisi  economica, entrambe legate alle scelte improduttive della finanza” “probabilmente la prima non si potrà risolvere separata dalla seconda”.


Le formulazioni più generali dell’Urbanistica Riformista (come sopra riassunte da Campos Venuti), senza assolutamente voler trascurare i meriti acquisiti per come concretamente continuano a sperimentare e teorizzare la possibilità di migliorare i piani urbanistici e tramite di essi la realtà urbana, mi sembra pongano la necessità di approfondire le seguenti riflessioni di fondo, che trascendono in parte la specificità disciplinare (in parte già lasciate aperte dallo stesso Campos Venuti):
-          la metropolizzazione può effettivamente essere governata ed “umanizzata” dalla pianificazione, in Italia ed altrove (sviluppando proposte tipiche dell’urbanistica riformista, come le nuove polarità ed il trasporto pubblico su rotaia)?
-          quali sono le forze, le alleanze e le modalità per suscitare il necessario consenso sociale nella battaglia per piegare la rendita a finalità urbane pubbliche ed ecologiche?
-          risulterà possibile, con queste battaglie locali, salvare il welfare urbano nello scontro economico e finanziario a livello “globale”?
la contrapposizione alle rendite può aprire la strada ad uno sviluppo veramente sostenibile, oppure i limiti ambientali comportano una più radicale revisione del concetto di sviluppo?

PER UN INQUADRAMENTO PIU' AMPIO, VEDI ANCHE, IN QUESTO BLOG, "PAGINE - PARTE  3^" E "BIBLIOGRAFIA"

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