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lunedì 17 novembre 2014

ITALICUM E SVILUPPI

Le ipotesi di modifica della nuova legge elettorale rischiano di essere valutate solo sul piano tattico (cosa conviene a chi, ora) oppure di  essere trascurate perché confinate nel “tecnicismo” (soglie, premi, collegi, ecc.).
Ritengo invece che implichino grandi questioni di principio, che dovrebbero interessare tutti i cittadini (non solo le poche migliaia di “Cittadini” auto-proclamati tali dal blog di Grillo), e con attenzione rivolta al futuro, perché una buona legge dovrebbe durare qualche legislatura (e anche se non è buona rischia di perdurare), e quindi funzionare anche in ipotetiche condizioni assai diverse da quelle attuali.
Di questo potrà occuparsi in seguito forse in futuro la stessa Corte Costituzionale, ma comunque è meglio che se ne preoccupi fin da ora la “pubblica opinione”, e comunque anch’io, nel mio piccolo, sono piuttosto preoccupato.

SOGLIA PREMIALE: il testo votato dalla Camera nella scorsa primavera fa scattare il secondo turno delle elezioni politiche (per la sola Camera dei Deputati, confidando nel “demansionamento” del Senato) alla soglia del 37%: la lista o coalizione che supera il 37% dei voti validi conquista più di metà dei seggi, assicurando una tendenziale stabilità di Governo; sotto tale soglia si va ad un secondo turno di ballottaggio.
Le proposte di modifica avanzate ora da Renzi e dal “vertice di maggioranza” sono:
- di elevare tale soglia al 40% (largamente condivisa)
- di applicare il premio non più alle coalizione bensì alle liste (il che evidentemente non può piacere al centro-destra né in generale ai partiti minori ed ai potenziali “satelliti”).
Personalmente (anche se non è all’ordine del giorno) mi piacerebbe innalzare al soglia premiale anche di più (45%?), generalizzando in pratica il ballottaggio (cioè escludendolo quando di fatto inutile).
La questione lista/coalizione mi sembra in parte nominale, perché se il premio andrà alla lista probabilmente fioriranno anche listoni eterogenei, con qualche minor fascino elettorale delle “articolate coalizioni”, ma con analoghi rischi di successive divergenze e frantumazioni.
Vorrei però richiamare l’attenzione su un problema che mi sembra trascurato dagli osservatori, al momento rassicurati dalla presenza di grossi schieramenti: se il premio va  alla lista e se nel contempo si ammorbidiscono le soglie minime di sbarramento (vedi sotto) diverrebbe possibile che al primo turno si affermino una pluralità di liste anche poco consistenti (esempio attorno al 10% dei consensi), il che renderebbe assai poco serio un ballottaggio che attribuisce il 55%  dei seggi.
La soluzione, assai complessa, potrebbe consistere in una soglia  minima da raggiungere per le prime 2 liste (sopra il 20%), facendo scattare altrimenti un obbligo o facoltà di coalizione, tra primo e secondo turno, per superare tale soglia minima.
Da valutare in tali casi anche l’ipotesi di un ballottaggio tra i primi 3 schieramenti, anziché tra i primi 2 (il premio del 55% dei seggi scatterebbe già sopra un terzo dei voti, ma dalla contesa finale non sarebbe esclusa la maggior parte dei contendenti, come avverrebbe invece con uno spareggio tra due gruppi al 21%, o ancor peggio se sotto il 20%).

SOGLIA DI INGRESSO O DI SBARRAMENTO: il testo votato dalla Camera introduce  2 diverse soglie minime, dell’8% per liste singole e del 4,5% per ogni singola lista coalizzata (con il 12% almeno per la coalizione), con evidente effetto dissuasivo verso i partiti minori e soprattutto contro l’ingresso di nuovi soggetti (che dovrebbero avere a priori, cioè nei sondaggi, una forza di attrazione ben superiore all’8%, per assicurare agli elettori di non disperdere i loro voti).
Le proposte di modifica della maggioranza governativa è di abbassare la soglia al 3%, unificandola (perché non c’è più spinta alle coalizioni forzose); ciò non sembra convenire a Forza Italia.
A mio avviso l’abbassamento ed unificazione delle soglie risponde ad evidenti ragioni di democrazia (non solo per la maggior rappresentatività plurale nel Parlamento, ma soprattutto per la maggio possibilità di nuovi ingressi e quindi di ricambio dei gruppi dirigenti), essendo la potenziale governabilità affidata al meccanismo del premio di maggioranza (con o senza ballottaggio).
Dalla tendenziale maggior frammentazione dei gruppi parlamentari nascono però le preoccupazioni che ho espresso sopra circa  le soglie di ammissione al secondo turno.

COLLEGI E PREFERENZE: l’Italicum di primavera prevede le liste bloccate, come nel vigente Porcellum; la nuova proposta invece reintroduce in parte le preferenze da parte degli elettori, restando bloccati i capilista, distribuiti in 100 collegi (dunque abbastanza piccoli, con una media di 6,3 seggi per ogni collegio).
La dimensione limitata dei collegi mi sembra positiva, perché riduce i difetti denunciati nei decenni passati circa le preferenze, aumentando le possibilità di conoscenza diretta dei candidati (ma anche i fenomeni di clientelarismo locale) e limitando i costi di propaganda.
I capilista bloccati sarebbero positivi se tra di loro valesse la sfida diretta per esclusione (cioè ognuno di essi si può candidare in un solo collegio, e viene eletto solo se vince in quel collegio); ma l’accordo della Maggioranza Governativa prevede invece le candidature plurime (fino a 10 collegi), e l’assegnazione proporzionale dei seggi, con recupero quindi dei “perdenti migliori” (se le loro liste raggiungono le necessarie percentuali a scala nazionale), il che mi sembra costituisca una precisa volontà di autoconservazione del ceto politico (capilista scelti dall’alto) ed una diminuzione del potere di scelta e di interdizione da parte del corpo elettorale.
E così, più diminuisce la dimensione dei collegi, e si “umanizzano” le preferenze, più cresce il numero dei capilista cooptati (e diminuisce il numero dei deputati da scegliere con le preferenze.

Resto perciò assai perplesso in materia.

martedì 4 novembre 2014

IPER-DEMOCRAZIA SECONDO STEFANO RODOTA'

Ho letto il breve saggio di Stefano Rodotà “Iperdemocrazia – come cambiala sovranità democratica con il web””, pag. 33, e-book gratuito dell’editore Laterza, e vi ho trovato considerazioni sagge e condivisibili, soprattutto nella prima parte, molto critica verso le scorciatoie tecnologiche, che Rodotà analizza nel loro ruolo sociale, comparando Internet all’uso della TV e dei sondaggi, e mettendo in guardia da ogni fenomeno plebiscitario, in cui i cittadini, singolarmente isolati (ed in un contesto storico di logoramento dei vecchi tessuti sociali, a partire dalle fabbriche), non possono partecipare né alla formulazione delle domande né al controllo sulle risposte.
Rodotà mette in evidenza
-       come alla frantumazione sociale del cittadino-sovrano corrisponda una rincorsa settoriale da parte dei politici, con i metodi del marketing e della pubblicità, che mira ad una raccolta spregiudicata dei vari segmenti del consenso, mentre viene meno ogni coscienza dell’interesse generale,
-       che l’affiancamento dei continui sondaggi alle normali cadenze elettorali finisce con il far prevalere questi su quelle, sia per l’influenza che i sondaggi stessi esercitano sull’elettorato, sia per l’artificiosa suddivisione del corpo elettorale in “sommatoria di campioni statistici”, e come in tal modo gli interessi e le emozioni a breve termine sormontino ogni capacità di programmazione e decisione strategica sui tempi lunghi (analogamente a quanto accade nel mondo finanziario e spesso anche aziendale);
(parte di questi temi sono ben presenti in “Finale di partito” di Marco revelli, da me recensito, non presente però nella bibliografia del testo di Rodotà).
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Nella seconda parte invece Rodotà illustra alcuni casi, specifici e circoscritti ad ambiti locali ed a singoli temi (in Olanda e negli USA), di positiva evoluzione verso forme di democrazia più diretta e partecipata, anche attraverso l’uso, meditato e controllato, di moderni strumenti di comunicazione informatica, ed analizza le potenzialità di Internet soprattutto riguardo alla trasparenza della pubblica amministrazione ed all’accesso alle informazioni (premessa per una effettiva partecipazione popolare alle decisioni), segnalando però le distorsioni che possono derivare
-       dalle resistenze degli apparati burocratici e dei centri di potere politici ed extra-politico
-       dalla esclusione degli strati sociali non alfabetizzati digitalmente
-       dii rischi comunque incombenti di accesso diseguale alle informazioni e quindi di rafforzamento di alcune èlites anziché effettiva ridistribuzione del potere.
Con cautela comunque Rodotà apre alle speranze di una “ricomposizione del sovrano”, non derivante  però automaticamente dall’adozione delle nuove tecnologie (senza abbarbicarsi all’attuale democrazia rappresentativa, di cui sono evidenti le distorsioni, come invece fa ad esempio  sempre sotto il titolo “Iper-democrazia”, Luca Ricolfi in un intervento da me già negativamente commentato).

Mi sembra che manchi una terza parte, dove Rodotà esprima qualche giudizio – così come fa ad esempio sulla meteora Ross Perot (elezioni presidenziali USA 1992 e 1996)  - sul peculiare e più recente fenomeno italiano del MoVimento 5 Stelle (di consistenza rilevante  anche a scala internazionale), che ha rapidamente esaltato ed anche dissipato le potenzialità di una comunicazione ed organizzazione di massa “in rete”, bruciando sul cammino anche una candidatura, forse improvvidamente accettata, dello stesso prof. Rodotà  alla Presidenza della Repubblica..   


ROTTAMA ITALIA

Segnalato da Salviamo-Il-Paesaggio, ho scaricato e letto il libro istantaneo di diversi ed autorevoli autori “Rottama Italia - perchè il decreto Sblocca-Italia è una minaccia per il nostro futuro"  (e-book a 2 €, edito da Altraeconomia, pagg.. 86), per approfondire i guasti minacciati dal Decreto Legge “Sblocca Italia”, e che si stanno pur troppo in gran parte confermando a causa della forzosa conversione in legge del decreto stesso, con poche modifiche, tramite l’abituale voto di fiducia.

Il volume tradisce un poco l’impostazione improvvisata e risulta costituito da una miscellanea di interventi non omogenei, né sotto il profilo della “scala” di approccio al testo legislativo (che alcuni autori colgono come pretesto per ribadire proprie teorie generali), né sotto quello dell’ispirazione politica, perché alcuni partono da una opposizione pregiudiziale a questo Governo ed altri più laicamente dalla realtà del Decreto: realtà che comunque emerge nell’insieme come un clamoroso marcia indietro per molti valori della sinistra (seppure già stemperati dai precedenti governi di centro-sinistra che hanno interpuntato il ventennio berlusconiano).
Per inciso, è sfuggita agli autori la gravità dell’art. 16, dove sottopone a oneri di urbanizzazione anche gli interventi di manutenzione straordinaria, finora gratuiti (invece di penalizzare le nuove costruzioni su suolo libero).

Dopo una introduzione di Tomaso Montanari ed una introduzione sull’aspetto comunicativo del giornalista di Altraeconomia Pietro Reitano, Giovanni Losavio (ex magistrato) interviene con puntualità a verificare se esistano i presupposti di omogeneità e di urgenza per la promulgazione del Decreto, che prosegue una pratica di dubbia costituzionalità perdurante da alcuni decenni (da quando sono emersi i concetti di “congiuntura avversa” e di crisi economica); tema ripreso più avanti, con diversa angolazione dal parlamentare PD ed ex-ministro della cultura Massimo Bray, che conviene con il Governo sulla necessita di aggiornare le procedure, ma in un insieme organico e non caso per caso con un provvedimento di urgenza abborracciato e privo della dovuta relazione di impatto della nuova normativa.

L’ex-vice presidente della Corte Costituzionale magistrato Paolo Maddalena contesta l’identificazione tra “ripresa delle attività produttive” e bene pubblico, a scapito di altri veri “beni pubblici”, quali la tutela del territorio e del paesaggio, ed estende le sue valutazioni esponendo – oltre ad una critica radicale al concetto di cartolarizzazione dei debiti - la sua tesi di interpretazione avanzata sull’art. 42 della Costituzione, sulla funzione sociale della proprietà, quando privata, fino a prevederne l’esproprio senza indennizzo quando inutilizzata: ipotesi molto interessante, ma che a mio avviso potrebbe camminare nel diritto solo se procedesse con forza nella società.


Più ideologico l’urbanista Edoardo Salzano, che tende a ricostruire una continuità ideologica, per l’appunto, da Craxi a Berlusconi fino a Renzi in materia di privatizzazioni, grandi opere  e de-regulation, con l’occhio attento più al disegno di legge Lupi sul governo del territorio che non alle concrete contingenze del decreto Sblocca-Italia.

Paolo Berdini, urbanista, analizza i guasti di alcune deroghe alle norme urbanistiche e soprattutto la tendenziale degenerazione del “Financing project” per le grandi opere (tipo Brebemi o quadrangolo Marche-Umbria) dove a partire dalla de-fiscalizzazione e per finire con il subentro dello Stato a garanzia, è concreto il rischio di trasferire a carico del bilancio pubblico interventi vantati all’origine come prive di oneri per lo stato.
(Analogo lo specifico commento di Luca Martinelli sul progetto di autostrada Orte-Mestre).

Vezio De Lucia, ancora urbanista, ripercorre la complessa vicenda del recupero dell’area ex-industriale di Bagnoli e relative (mancate) bonifiche e denuncia il tentativo di ripartire da zero, accentrando le decisioni in capo a Commissari governativi e scavalcando il Comune e la vigente specifica pianificazione locale, aventi prevalenti contenuti di interesse pubblico.

Salvatore Settis, archeologo, riepilogando i tentativi finora falliti di estendere il principio del silenzio-assenso alle procedure relative ai beni culturali ed l paesaggio, evidenzia la forzatura prevista dallo Sblocca-Italia per alcune grandi opere, che trasferiscono di fatto le decisioni finali dalle Sovrintendenze ad altri organi governativi o loro emanazioni imprenditoriali.

Tomaso Montanari, storico dell’arte, affronta l’accelerazione e generalizzazione delle procedure di vendita o ”valorizzazione” (con cessione del solo diritto di superficie temporaneo) dei beni demaniali, con il coinvolgimento dei Comuni, e rivendica per contro una sacralità degli stessi immobili in quanto “beni comuni”: non mi convince, perché non è detto che tutte le ex-caserme, ad esempio, possano trovare immediata e valida utilità pubblica, in relazione ai bisogni, alle risorse e dalla capacità di intervento e di gestione degli enti locali; se non sempre “privato è bello”, anche il “pubblico a-priori” rischia di generare abbandono e degrado.
Anna Donati, ambientalista, esamina la politica dei trasporti nello Sblocca-Italia, avara verso il trasporto pubblico locale e prodiga verso alcune grandi opere, in modo diretto per la TAV e in modo indiretto per le autostrade, attraverso l’ipotesi di ampi rinnovi, senza gara, delle concessioni autostradali in scadenza, a fronte di vari progetti di potenziamento ed estensione della rete.

Maria Pia Guermandi, archeologa, illustra lo stato comatoso dell’archeologia in Italia (e dentro di esso il precariato povero dei giovani archeologi), la mancata ratifica italiana della Convenzione di Malta del 1992, che prevede il coinvolgimento preventivo dell’archeologia nella progettazione delle principali opere, al fine di monitorare e prevenire i conflitti tra lavori pubblici e tutela del patrimonio archeologico, mentre il decreto Sblocca Italia, a coronamento di una prassi incalzante in tal senso, asserisce di fatto a priori la compatibilità archeologica di qualunque progetto, costringendo le Sovrintendenza a organizzare in fretta e furia gli scavi “in emergenza” per rimuovere i reperti rinvenuti.

Pietro Donmarco, giornalista, espone la resa del Governo alle pretese delle compagine petrolifere per avere mani libere nelle prospezioni e trivellazioni per la ricerca ed estrazione di gas e petrolio, quali che siano i vincoli ambientali, anche se le quantità in gioco non saranno risolutive per il fabbisogno nazionale e comunque indirizzate ad aumentare enon a diminuire le emissioni di CO2).

Domenico Finiguerra, già Sindaco di Cassinetta di Lugagnano, segnala le forzature procedurali in favore degli inceneritori, sia ai fini della costruzione di nuovi impianti, sia per il mantenimento dell’utilizzo – ma in favore di altri territori - di alcuni impianti in via di  superamento grazie al progresso della raccolta differenziata in numerose province.

Anna Maria Bianchi, documentarista, evidenzia il progressivo slittamento delle procedure contro l’autonomia delle amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli, in favore dei privati che “auto-certificano” e contro la effettiva partecipazione popolare nelle decisioni sulle opere pubbliche, costretta nei tempi e surrogata da caricature di nuove forme di partecipazione, limitate alla manutenzione delle aree verdi con l’incentivo di sgravi fiscali.

Antonello Caporale, giornalista, se la prende in generale con la mania delle grandi opere urgenti, con la consueta scia di extra-costi e corruzione.

In conclusione Carlo Petrini, presidente di Slow Food, riepiloga le vicende del disegno di legge contro il consumo di suolo, proposto dal ministro Catania durante il governo Monti, in contrasto con il clima emergenziale di quella fase ed invece in sintonia con la lunga marcia culturale promossa dei movimenti per la valorizzazione della terra e del cibo, disegno di legge ancor vivo con i governi Letta e  Renzi, rispetto al quale lo Sblocca-Italia ha rappresentato una brusca svolta, rilanciando cemento, autostrade e trivellazioni, e troncando le speranze riposte dai movimenti e dallo stesso Petrini. che conclude con un accorato e motivato appello alla ragione e alla coerenza per il nuovo corso renziano (verso il quale si dichiara non pregiudizialmente ostile), in nome della bellezza del paesaggio italiano e della peculiare creatività delle attività più legate al territorio, negate e frustrate dalle scelte dello Sblocca-Italia,.

QUALE STABILITA?

Nei giorni in cui lo stesso Renzi va a cercare l’applauso degli industriali bresciani, scegliendo la sede provocatoria di un imprenditore notoriamente “falco” (e che ha messo in ferie forzate i dipendenti per garantire il silenzioso successo all’iniziativa) e attribuendo ad artificiose contrapposizioni politiche il dissenso che suscita tra i lavoratori (e tra gli elettori tradizionalmente di sinistra) il suo assalto alla giusta causa per i licenziamenti individuali, verrebbe facile un commento globalmente negativo sul suo governo.

Ritengo più utile invece  sforzarmi di valutare nell’insieme la Legge di Stabilità proposta dal Governo, pur senza l’ambizione di esprimere un giudizio definitivo, né  tanto meno di predirne gli effetti (il che sarebbe materia degli economisti, ma ormai nemmeno loro ci provano), limitandomi ad avanzare alcune valutazioni sui nodi salienti:

-          DEFICIT: con un po’ di pantomima nella trattativa con le Commissioni Europee, uscente ed entrante, il Governo colloca il deficit per il 2015 sotto il 3% e rinvia nel tempo il pareggio strutturale, che ai tempi di Tremonti era stato sventatamente sottoscritto a breve scadenza: uno slalom che lascia all’Italia un po’ di respiro rispetto alla linea dura dell’austerità (comunque a nostre spese, perché il debito continuerà ad aumentare, con i derivanti interessi, sia pure mitigati per ora da un contenuto “spread”), ma non mette in gioco le scelte strategiche dell’intera Europa e quindi non può far sperare in una uscita dalla crisi, nemmeno tattica in “stile Obama”;

-          TAGLI: la pretesa di scientificità della “spending review”, dal compianto Padoa Schioppa al poco rimpianto Cottarelli, pare aver ceduto il posto ad una gestione tutta “politica”, dove dai “tagli lineari” (spesso poco applicabili ed applicati) di Tremonti si passa ad una “dettatura dei compiti a casa”, assegnati con decisionismo da Renzi (“lì o là c’è del grasso che cola”) e contrattati debolmente da Governatori e Sindaci ormai in prevalenza renziani; tutti concordano sulla eliminazioni degli sprechi e nessuno vuole il peggioramento dei servizi (e tanto meno delle proprie peculiari posizioni di relativo vantaggio); occorre però a mio avviso rammentare che a breve termine i tagli, anche degli sprechi, hanno un effetto depressivo sull’insieme della domanda interna, e solo a lungo termine incrementano l’efficienza del sistema;

-          RIDUZIONI FISCALI: la conferma (e parziale estensione) dello sconto fiscale degli 80 € mensili sui salari medio-bassi ed con il “colpo di teatro” della eliminazione della componente lavoro dell’IRAP (affiancata da una parziale de-fiscalizzazione degli oneri sociali per nuove assunzioni), rappresentano il cuore della manovra di Renzi, invero piuttosto audace, ma non si sa ancora quanto efficace (temo anzi che nessuno lo sappia: già dicono “poco” i gufi, pur istituzionali, dell’ISTAT); la complessiva riduzione del “cuneo fiscale” sui salari, a breve termine dovrebbe favorire (ma non determinare!)  un maggior impiego di lavoro, mentre a lungo termine potrebbe anche scoraggiare una ricerca di maggior produttività del lavoro stesso (salvo aumento dei salari reali, oggi improbabile);

-          STANZIAMENTI: senza rincorrere i mille rivoli in cui si diparte ogni Legge Finanziaria, già nella partenza governativa e poi peggio dopo le mediazioni parlamentari (spesso senza alcun disegno programmatico complessivo), mi pare che i segnali forti della manovra siano:
o   Scuola, con assunzione dei 150.000 precari (che ho già commentato alcuni giorni addietro),
o   Famiglia, con il “bonus bebé” di 1000 € annui, assurdamente esteso a redditi medio alti (90.000 € annui) anziché concentrare le risorse sulle fasce meno ricche e rafforzare gli assegni familiari ben oltre la prima infanzia,
o   Ammortizzatori sociali, con risorse troppo scarse – finora – per rendere credibile un sistema organico di sostegno al reddito oltre le tradizionali forme di Cassa Integrazione e Mobilità.

Se completiamo questo scenario con il Decreto SBLOCCA ITALIA (che conferma od esaspera molte nefandezze ambientali purché il PIL riprenda: trivellazioni, autostrade, inceneritori, ecc. – vedi in altro post la recensione di “Rottama Italia”), la perdurante mancanza di una politica industriale e la constatazione che delle molte riforme messe in cantiere dal governo Renzi è giunta in porto finora la sola (e probabilmente errata) soppressione dei Consigli Provinciali, ritengo che – ben che vada – per i restanti potenziali 900 giorni del 1° governo Renzi si potrà verificare forse un qualche rilancio del vecchio modello di sviluppo, ma nessuna seria correzione, né riguardo al ruolo dell’Italia nel mercato internazionale, né riguardo alle storiche storture (evasione fiscale e lavoro nero, corruzione, degrado ambientale).

Per inquadrare meglio la questione, aggiungo qualche cenno ai commenti e/o alle alternative dei principali soggetti in campo:

-          CONFINDUSTRIA: dichiara di veder realizzati molti suoi sogni (licenziamenti e IRAP); si dimentica di spiegare perché nei venti anni precedenti gli industriali si sono spellati le mani ad applaudire Berlusconi che – quando non era intento a curare gli affari suoi con leggi ad personam –ha tentato di ridurre le tasse in direzioni che si sono dimostrate palesemente inutili, oltre che inique: investimenti fissi “a prescindere”, IRPEF spalmata su tutte le fasce di reddito, ICI/IMU anche per i ricchi (anche Alfano esulta ed esalta le nuove riduzioni fiscali come “scelte di destra”: per fortuna almeno abbiamo cambiato destra…);

-          CGIL e FIOM: oltre alla sacrosanta battaglia contro i licenziamenti-senza-giusta-causa, criticano molti tagli alla spesa e giudicano fin d’ora inefficace lo sgravio dell’IRAP e di parte dei contributi ai fini delle nuove assunzioni, “perché così non si crea lavoro”. ma si alleggeriscono solo i costi aziendali; ciò è probabile, ma le alternative avanzate (in parte anche da CISL e UIL) e che consistono in un mix “roosveltiano” di patrimoniale e improvvisa efficienza del fisco, investimenti pubblici diretti ed indiretti, stabilizzazione di tutti i precari (ma senza l’audacia di una riduzione degli orari di lavoro) mi sembra oggi poco credibili e prive di alleanze sociali e politiche;

-          all’estrema sinistra Marco Revelli, redigendo un documento per trasformare la lista Tsipras in “soggetto politico”, muovendo da una pregiudiziale anti-Renzi ed anti PD-mutato-geneticamente,
-          E giudicando le politiche di Renzi come un mero inganno mediatico (senza analizzarne le novità, riguardo ad esempio ai suddetti sgravi fiscali) ri-propone di restare nell’Euro ma “consolidando” il debito, cioè non restituirlo in tutto o in parte, e di fondare su questa scelta - invero di difficile gestione in un solo paese – una uscita dalla crisi, che comunque mi sembra assomigli ad un rilancio del vigente modello di produzione e non ad una versione eco-compatibile e mondialista dell’austerità: molto rumore rivoluzionario per nulla?;

-          RENZI STESSO, oltre a proclamare che il rancio è ottimo ed eccellente, e gli altri sono gufi, sostiene che la sua manovra è di sinistra (licenziamenti-senza-giusta-causa compresi) perché è di sinistra innovare e creare posti di lavoro: su tale  sinistrismo ovviamente ho molti dubbi, ma non credo che il Renzismo possa vivere di sole promesse  (diversamente dal berlusconismo, che aveva uno zoccolo duro di elettori fideisti, anti-comunisti ed anche razzisti); se non ci sarà una inversione di tendenza sul fronte dell’occupazione, il consenso non potrà che incrinarsi, e non solo lungo la linea di frattura che lui stesso sta delineando contro la sinistra “sindacale”, con la pericolosa presunzione di tenersi i voti di sinistra mentre smantella le residue tutele dei lavoratori (ma nessuno tra i Renziani della 1^e della 2^ ora, riesce ad avvertirlo che così rischia di andare a sbattere?).
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