L’Enciclica “Laudato sì”, emanata
nel maggio 2015 da Papa Francesco, è stata trattata a mio avviso in modo
alquanto superficiale dalla stampa generalista,
come uno dei vari aspetti innovativi della comunicazione di questo
papato, senza coglierne le implicazioni profonde ed a suo modo rivoluzionarie;
parimenti mi pare sia scivolata addosso senza conseguenze al mondo politico
ed al mondo cattolico (e quindi in
particolare al mondo politico cattolico), che infatti non mostrano di dare
avvio ad alcuna “rivoluzione”, nemmeno culturale.
Ed il limite principale della
predicazione di papa Bergoglio è probabilmente proprio quello di non
sviluppare, finora, gli strumenti per tradurre le sue parole in opere, né in
gran parte della sua Chiesa (a partire dalla Curia romana), né attorno ad essa.
Tuttavia, stimolato anche dal
riassunto pubblicato da Fulvio Fagiani sul sito www.agenda21laghi.it (riassunto
che allego IN APPENDICE, risparmiandomi la fatica di elaborarne uno mio), ho letto
integralmente il testo dell’enciclica e l’ho trovato di grande interesse (anche
per chi come me si colloca tra i laici-non-credenti) per i seguenti motivi:
1 – recepisce dalla scienza, con
una apprezzabile umiltà, e con utile sintesi divulgativa, i termini attuali
della crisi ambientale complessiva (e non solo climatica) del pianeta Terra;
2 – evidenzia le strette connessioni dei problemi ecologici con i
problemi sociali, e cioè come i poveri (tanto nei paesi poveri quanto nei paesi
ricchi) siano le principali vittime ad un tempo sia dello sfruttamento
economico, sia del degrado urbano e ambientale; tanto che, riferisce Bergoglio,
“i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento
‘non uccidere’ quando « un venti per
cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle
nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per
sopravvivere »”.
3 – sottopone, non solo ai
fedeli, ma a tutti gli uomini, non credenti e credenti di ogni fede, la
necessità di un piano di azione radicale per la salvezza del pianeta (ivi
compresa la decrescita dei consumi opulenti), “prima che le nuove forme di
potere derivate dal paradigma tecnico-economico finiscano per distruggere non
solo la politica ma anche la libertà e la giustizia”;
4
- coglie i limiti e l’inefficacia di una “ecologia evasiva” e di
facciata, da parte di governi e imprese,
che è prevalente in quanto è intrinsecamente diffuso, nel sentire comune dei
paesi dominanti, il modello culturale consumista ed il mito della crescita
infinita (malgrado l’evidenza delle crisi);
5 – tenta di fondare una nuova
etica della sobrietà (derivante per i cristiani dai valori religiosi), da
applicare anche a livello personale, ma finalizzata alla cooperazione solidale,
arrivando ad esempio ad un utilizzo consapevole del potere collettivo dei
consumatori; tale etica include anche le raccomandazioni pratiche per la vita
quotidiana, che riproduco in appendice (e che non mi risulta siano ancora
diventate pratica prevalente in ambito cattolico occidentale).
Di minor interesse operativo per i non-credenti, ma comunque
rilevanti sotto il profilo culturale, sono ampie parti del documento, di
impostazione più strettamente religiosa:
- sia dove Bergoglio allinea a suo sostegno
numerose citazioni dalle Sacre Scritture, dal pensiero di teologi e santi del
passato (Francesco d’Assisi in primis) e soprattutto dalle encicliche dei suoi
ultimi 4 o 5 predecessori e dalle conferenze episcopali di varie parti del
mondo (con qualche citazione anche di testi laici),- sia dove il Papa parla da Papa ed afferma apodittiche manifestazioni su questa terra della presenza di Dio, nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (nonché della Sacra Famiglia), tutte convergenti verso l’eco-teologia.
Ad esempio : “Le Persone divine sono relazioni sussistenti, e il mondo, creato secondo il modello divino, è una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intrecciano segretamente.”
Mi convince meno il testo del Papa laddove, criticando la cultura consumista e sviluppista, ne individua le radici in un eccesso di antropocentrismo, diffidando nel contempo dal “bio-centrismo” di quegli ecologisti che pongono la natura al di sopra dell’attenzione per il benessere di tutti gli uomini
Anch’io, nel mio piccolo, vedo dei pericoli nel bio-centrismo, in quanto comunque interpretato da uomini e non direttamente dai lombrichi, dai batteri e dai fenicotteri (vedi un questo blog la scheda su “Dellavalle: L’ecologia tra soggettività e fondamentalismo”, oppure la "pagina 1" del saggio sulla sostenibilità urbana).
Ma la condivisibile visione umanistica e rispettosa verso la natura, illustrata dal Papa, si fonda soprattutto nel rapporto (subordinato) dell’uomo con la divinità: “Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo finiremmo per adorare altre potenze del mondo o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà da Lui creata, senza conoscere limite”.
Pur rilevando che sono difficili e poco praticate le strade alternative al paradigma tecnocratico/sviluppista a partire dai deboli presupposti dei pensieri scettici e relativisti (di chi è agnostico o comunque non credente), mi permetto rispettosamente di rivendicarne la dignità concettuale.
Proprio perché non abbiamo certezze, nemmeno più sappiamo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, nella laica ricerca del bene comune ci viene difficile cadere nel delirio di onnipotenza che pone l’uomo al di sopra della natura.
Il riconoscimento dell’interdipendenza tra tutti gli uomini e dei fragili equilibri e squilibri degli ecosistemi, mi sembra possano essere premessa sufficiente per la cooperazione fraterna verso la possibile salvezza del pianeta.
Ben vengano le religioni a mettersi alla guida della necessaria e pacifica “rivoluzione” ecologica, vista l’esiguità delle forze non-religiose in campo (ed invece di incitare al reciproco sgozzamento come spesso hanno fatto, e talune tuttora fanno).
Ma nel perseguire l’idea di fratellanza tra tutti gli uomini, e tra gli uomini e gli altri viventi, mi pare che ci siano spazio e motivazioni per tutti, anche per i laici, gli agnostici ed i non credenti.
IL DECALOGO DELLE RACCOMANDAZIONI ECOLOGICHE QUOTIDIANE DI PAPA FRANCESCO
coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento,
evitare l’uso di materiale plastico o di carta,
ridurre il consumo di acqua,
differenziare i rifiuti,
cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare,
trattare con cura gli altri esseri viventi,
utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone,
piantare alberi,
spegnere le luci inutili,
riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente.
ESTRATTO DA FULVIO FAGIANI
SU ENCICLICA “LAUDATO SI’”
L’enciclica è
articolata su un’introduzione e sei capitoli che delineano questo percorso:
1. Quello che sta accadendo alla nostra casa. Si ricapitolano le
principali emergenze ambientali e sociali e si stigmatizza la debolezza delle
reazioni;
2. Il Vangelo della creazione. Si ragiona sul ruolo
della religione, rifacendosi a testi biblici e ad eminenti commenti;
3. La radice umana della crisi ecologica. Si riconducono le due
crisi, ecologica e sociale, viste come intreccio inestricabile, alla dominanza
del “paradigma tecnocratico”, a sua volta manifestazione di una profonda crisi
culturale;
4. Un’ecologia integrale. La sfida complessa richiede una risposta di pari
complessità, ecologica, sociale e culturale;
5. Alcune linee di orientamento e di azione. Vengono proposte
soluzioni puntuali, ricavate dal vasto campo dell’esperienza, ma soprattutto è
condotta una critica sferzante al dominio dell’economia sulla politica e della
finanza sull’economia e al mito della crescita illimitata;
6. Educazione e spiritualità ecologica. E’ il tema della
“rivoluzione culturale” sollecitata dal Papa, con l’invito ad uscire da individualismo
e consumismo a favore di una “cultura della cura”.
Colpisce innanzitutto
la modernità di un approccio alla crisi ambientale non settoriale, in cui ogni
singola crisi (i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità,
l’inquinamento, ecc.) sono visti in modo integrato, come parti di un’unica
azione di pressione esercitata sulle risorse del pianeta. Chi ha familiarità
con la newsletter di Agenda21Laghi ricorderà il modello dei “confini planetari”
molte volte richiamato, che esamina i nove processi biofisici essenziali per la
vira sul pianeta.
La crisi ecologica,
poi, viene associata alla crisi sociale, particolarmente all’inequità, come è
proprio del pensiero più evoluto, che non a caso ha incoraggiato le Nazioni
Unite a dar vita ad un sistema di obiettivi ambientali e sociali insieme,
chiamati SDG (Sustainable Development Goals).
Le cause delle due crisi sono attribuite a fattori
economici e politici, la dominanza del cosiddetto paradigma tecnocratico, che
si fonda sulla potenza della tecnica e diffonde il mito della crescita infinita
e le abitudini consumistiche. Il Papa si scaglia più volte contro questo
pensiero, invocando il limite che deve essere opposto, la subordinazione della
proprietà privata agli interessi pubblici, la necessità di riconoscere e
proteggere i beni comuni.
E’ interessante osservare che anche nel
capitolo più dottrinale, il secondo, le argomentazioni principali sono dedicate
a confutare l’idea antropocentrica dell’uomo dominatore (“Noi non siamo Dio”) e
a sottolineare il “valore intrinseco del mondo”. Sembra di ascoltare una
lezione di Scienza del Sistema Terra (Earth System Science), che studia il
pianeta come un sistema complesso, con le sue regole di funzionamento, non
manipolabile a piacimento come invece vorrebbe la scienza economica corrente.
Le soluzioni indicate sono certamente
quelle veicolate dal pensiero della sostenibilità (fonti rinnovabili,
efficienza energetica, protezione, agricoltura sostenibile, e così via), ma
accompagnate da limiti e vincoli posti all’operare economico, fino a propugnare
una forma di decrescita nei paesi più ricchi per lasciare spazio alla crescita
dei più poveri.
Anche la politica è chiamata alle sue
responsabilità, con la sollecitazione ad una governance dei beni comuni e al
rafforzamento delle istituzioni internazionali, vista la sottomissione degli
Stati nazionali agli imperativi della finanza.
Trovo però che il cuore del documento
sia il capitolo finale, il sesto, che reclama una “rivoluzione culturale”, una
“conversione ecologica”. Una sollecitazione ad uscire dal dominio delle
ideologie consumiste ed individualiste per approdare a nuovi stili di vita,
ispirati alle virtù della sobrietà e della semplicità, a ricercare l’equilibrio
con l’ambiente, con sé e con gli altri, ad impegnarsi nell’azione sociale con
lo spirito di apertura al mondo che viene dal rendersi conto che viviamo in un
pianeta interdipendente e che condividiamo con l’intera umanità (e con le
future generazioni) un destino comune.
Non manca, infine, una strigliata ai
cristiani, alcuni dei quali “spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per
l’ambiente. Altri sono passivi”, invitati a “rivalutare l’amore nella vita
sociale – a livello politico, economico, culturale - facendone la norma
costante e suprema dell’agire”.
In poche parole: gesti quotidiani,
grandi strategie, cultura della cura.
Fulvio Fagiani
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