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giovedì 17 dicembre 2015
RICERCA "TRA-I-LAGHI" - RIEPILOGO DEL FORUM DI BREBBIA 20-11-15 A CURA DI FULVIO FAGIANI
DALLA NEWS-LETTER DI "AGENDA 21 LAGHI"
Come siamo cambiati dal 2.000?
Era la domanda a cui Anna Vailati ed Aldo Vecchi, autori della ricerca “tra-i-laghi” presentata al 16° Forum
di Agenda21Laghi, hanno cercato di dare risposta attingendo ai censimenti del
2011 e del 2001 e ad altre fonti, come I.S.P.R.A., Camera di Commercio,
Provincia, Agenzia delle Entrate e Regione.
Il territorio indagato è quello
dei 17 Comuni di Agenda21Laghi più Bardello, Biandronno, Malgesso, Sangiano,
Sesto Calende, Ternate e Travedona Monate.
Il territorio. Malgrado abbia subito negli anni un consistente
consumo di suolo, le percentuali al 2012 segnalano una destinazione urbana del
13% (contro il 18% della media provinciale) ed una agricola utilizzata da
aziende professionali del 9% (contro il 40% regionale e nazionale).
Tuttavia, considerando i boschi e
le altre aree coltivate, permane nell’insieme un patrimonio verde consistente e
di valore.
La popolazione. La popolazione è cresciuta in misura rilevante,
+11% dal 2001 al 2011, anche se in modo molto disomogeneo tra Comune e Comune,
con un contributo di stranieri quasi pari a quello di cittadini italiani. Una
popolazione in cui la percentuale di diplomati e laureati è salita dal 30,8% al
38,8%, con alta quota di proprietà dell’abitazione, 74,7%, e con un
pendolarismo fuori Comune passato dal 31,7% al 34,6%.
Lavoro. La crescita della popolazione residente ha comportato la
crescita degli attivi, ma non ha trovato pari corrispondenza nell’occupazione
all’interno dell’area. In breve, con 8.200 residenti in più, di cui 4.500
attivi, gli occupati sono cresciuti di 3.200 unità, quindi meno degli attivi
con un conseguente aumento dei disoccupati, ma soprattutto con una
contestuale perdita netta di 400 posti
di lavoro in loco. L’effetto della crisi, combinato con l’incremento
demografico. è stato dunque un’accresciuta disoccupazione (7%) e soprattutto un
maggiore pendolarismo verso l’esterno dell’area (+3600).
Il sistema economico. Il sistema economico locale ha avvertito i
colpi della crisi, ma si è anche trasformato nella sua composizione interna. Ha
perso posti di lavoro la manifattura (-3.500) solo parzialmente compensata
dalle costruzioni e dal terziario (+2.700).
Il turismo. Il settore del turismo ha visto crescere il suo peso
percentuale, almeno come numero di imprese, con una netta prevalenza di
strutture extra-alberghiere rispetto a quelle alberghiere. Caratteristico per
l’intera Provincia è il basso il numero dei pernottamenti pro-capite, 1,8,
rispetto ad aree di maggior tradizione turistica come il Lago di Como (2,7) e
soprattutto il Garda bresciano (4,8).
Articolazione interna. Difficile invece individuare dinamiche
comuni entro il territorio analizzato, dove invece prevale la frammentazione e
disomogeneità delle tendenze: un’area policentrica e centrifuga? Tuttavia si
riscontrano una proporzionalità tra dimensione demografica dei comuni e flussi
pendolari in uscita (oltre la metà dei residenti per i comuni più piccoli,
attorno al 30% per i maggiori) e una convergenza di alcuni indicatori di
benessere sociale per il territorio tra il lago di Monate ed il basso Verbano.
Ai dati elaborati si è aggiunta
anche l’esperienza di Agenda21Laghi, che in questi anni (proprio dal 2.000) ha
condotto iniziative e progetti in collaborazione con soggetti locali.
Sono state prese in
considerazione le azioni nel campo dell’efficienza energetica (progetto
Distretto di Transizione Energetica dei Laghi, energia a km0, sportello
energia), dei prodotti a km0 (censimento dei produttori e prodotti,
ristorazione a km0) e del turismo.
In essi si è spesso rilevata una
debolezza dell’offerta, con l’eccezione delle imprese operanti nel campo
dell’energia.
In generale prevale la piccola
dimensione e la frammentazione, aggravate dalla scarsa attitudine alla
cooperazione. Le molte potenzialità presenti fanno così fatica a tradursi in
realtà concreta.
Che lettura dare, soprattutto in
una prospettiva futura?
Dai dati della ricerca emerge tra
l’altro il dato della perdita di posti di lavoro, dovuta principalmente alla
crisi della manifattura, cui non si capisce se il terziario possa rispondere in
modo efficace e duraturo.
La dispersione e la piccola
dimensione dei soggetti privati e pubblici fa intravedere una debolezza
complessiva, incapace al momento di guidare la trasformazione, che viene invece
subita.
Tra gli intervenuti molti hanno
avanzato la richiesta che i Comuni trovino forme di aggregazione e di
coordinamento per diventare il soggetto forte mancante e la sollecitazione a
puntare molto sulle potenzialità turistiche, poggiate sulle qualità
paesaggistiche, naturalistiche e storiche e sulla felice collocazione
geografica, tra area milanese, Laghi e Svizzera.
La ricerca è
consultabile e scaricabile dalla sezione “tra-i-laghi” del sito
www.agenda21laghi.it (indirizzo www.agenda21laghi.it/vivere_tra_laghi.asp )
FULVIO FAGIANI
domenica 13 dicembre 2015
PRESEPI?
Lungo la mia vita scolastica, dalle elementari al liceo, nelle scuole pubbliche di Borgomanero e poi di Arona (ad un’ora di treno da Milano), il ritmo delle stagioni non era scandito solo dai trimestri con le pagelle, ma dalla Messa di inizio d’anno, dalla Messa di Natale e da quella di Pasqua, quest’ultima con i plotoni di allievi condotti alle Confessioni: mi pare non ci fosse, o l’ho dimenticata, una Messa di fine anno (con Te Deum di Ringraziamento).
Quando eravamo più grandicelli alla fine d’anno aggiungemmo, di nostro, un primo bagno nel Lago, anche l’acqua era ancora fredda.
Fu un bel balzo approdare alla Facoltà di Architettura di Milano (non del tutto impreparato, perché preceduto da sorella e fratello) dove ben altri erano i riti, anch’essi in parte stagionali: l’assemblea e le occupazioni, le mozioni e gli emendamenti, i documenti con le dovute citazioni di De Saussure e di Marx (ma quello giovanile dei Grundrisse); e ancora non era arrivato il 68…
Quelle dunque erano le ”tradizioni”, fondate sulla concezione (totalitaria) di una comunità coesa attorno a comuni valori religiosi (e andando più indietro di qualche secolo non si disdegnava, per tradizione, di abbruciare talora qualche eretico e qualche strega).
Invece già eravamo allora, e a maggior ragione siamo adesso, in una società complessa e pluralista, e lo saremmo anche senza i corposi flussi di immigrazione straniera.
In tutta la polemica sui presepi, anche se ho letto con piacere diversi interventi equilibrati, mi ha colpito la deriva di commentatori come Gramellini e Michele Serra dietro al diffuso pensiero che “è sbagliato per rispettare l’identità degli immigrati mussulmani rinunciare alla nostra identità”, identificando tale identità con i presepi ed i canti natalizi.
Mi pare che si debba capire qual è la nostra identità, distinguendo tra i valori religiosi di una parte di noi (sia pure di una tradizionale rilevante maggioranza) ed i valori comuni a tutti gli italiani (e quindi valori nostri), che sono quelli costituzionali della libertà e pacifica coesistenza di tutte le religioni.
Anche se nella Costituzione è recepito il Concordato con la Chiesa Cattolica, non è più il testo del 1929 (coerente con lo Statuto Albertino, che si limitava a “tollerare” le altre religioni), bensì per l’appunto quello riformato nel 1984, che tra l’altro ha reso facoltativa l’adesione all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.
Questa è a mio avviso l’identità, costruita con fatica e tramite conflitti dentro alla storia dell’Occidente (sintetizzando eredità cristiane e non cristiane) e recepita da pochi decenni nelle istituzioni italiane, cui non si deve rinunciare di fronte agli attacchi terroristici del fondamentalismo jahidista come di fronte alle difficoltà di integrazione di masse di immigrati islamici e di altre religioni; tanto meno per ritornare al fondamentalismo cattolico.
Non è facile però tenere la barra dritta, perché gli attentati di Parigi vanno oltre le usuali ventate che piegano la barca della pubblica opinione di qua e di là (come in senso buonista è stato in agosto scorso con le foto del bimbo siriano affogato sulle sponde dell’isola greca): questa tempesta è in grado di scardinare l’assetto strutturale di tutte le navi dell’intera flotta occidentale, spostandone per lungo tempo il baricentro.
Da un punto di vista evangelico, inoltre, ho apprezzato alcune frange del mondo cattolico che hanno rilevato elementi di blasfemia nel brandire crocefissi e presepi e nell’intonare canti natalizi da parte di personaggi politici che incarnano sostanzialmente programmi di egoismo sociale e di chiusura verso chi soffre (come i profughi ed i migranti); blasfemia che a mio avviso nella nostra società da decenni inoltre circonda il Natale soffocandolo nel peggior consumismo edonistico.
martedì 24 novembre 2015
LA RICERCA "TRA-I-LAGHI" DI ANNA MARIA VAILATI E ALDO VECCHI - INTRODUZIONE
come si vive tra-i-laghi di varese e maggiore
- ricerca statistica 2000/15 per Agenda21laghi
il testo completo della ricerca è sul sito
www.agenda21laghi.it/vivere_tra_laghi.asp
voce "tra-i-laghi"
www.agenda21laghi.it/vivere_tra_laghi.asp
voce "tra-i-laghi"
1 – INTRODUZIONE
INDICE:
1– DOVE2 - QUANDO
3 - COSA
4 - COME
5 - PERCHE’/PER CHI
6 - CHI SIAMO
1.1– DOVE
La presenza e persistenza dell’aggregazione intercomunale di Agenda 21 Laghi, che all’aprile 2015 raccoglieva 16 Comuni (cui poi si è aggiunto Caravate), ci ha suggerito di individuare questo territorio, anche in funzione della specifica attenzione alla socialità ed alla partecipazione che è propria di questo tipo di organizzazione con finalità ambientali.
I confini che abbiamo scelto, includendo altri Comuni contermini (in parte in passato già aderenti a AG21L), tendono a definire un’area di indagine consona al tipo di domande che ci poniamo, tenendo conto che l’area è geograficamente e amministrativamente ben delineata solo ad ovest, dal Lago Maggiore, mentre in altre direzioni si rilevano demarcazioni meno nette come i monti a nord di Laveno ed il fiume Ticino a sud/ovest; nelle restanti direzioni, cioè verso la Val Cuvia, verso Varese (a sud e a Nord del Lago omonimo) e verso sud/est (dove con Malpensa ed il Gallaratese si può forse leggere l’inizio dell’area metropolitana milanese), le interrelazioni sono invece molto più dense e continue, per cui il perimetro proposto tra “Lago Maggiore e Lago di Varese” comporta inevitabilmente scelte opinabili, costituite comunque ad Est in larga misura dai confini amministrativi di Agenda21Laghi (oltre che dal lago di Varese)
Già da queste brevi considerazioni sull’area di studio appare evidente il suo essere zona di cuscinetto tra due grandi assetti insediativi, quello montano-vallivo e quello metropolitano.
1.2 - QUANDO
Per capire le tendenze in atto ci è apparso utile concentrare l’attenzione sugli anni iniziali di questo secolo, considerando di poter disporre ampiamente dei dati dei censimenti 2001 e 2011 e di pochi altri dati più recenti; la ricerca comunque ha comportato alcuni approfondimenti con diversa scansione temporale.
Tale periodo ci risulta anche poco coperto da ricerche istituzionali alla scala locale; ad esempio il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale è stato approvato nel 2006 ed i dati di riferimento sono in parte precedenti ai censimenti del 2001; anche il primo ciclo dei Piani di Governo del Territorio è stato per lo più redatto prima della pubblicazione dei risultati del censimento 2011.
Il campo è stato esplorato in parte dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio, con una ricerca estesa all’intera Provincia e limitata a poche variabili sul censimento 2011, nonché dall’Ufficio Studi di Confartigianato con una elaborazione basata su indicatori multi-criteri, esteso anch’esso all’intera Provincia (ma non a tutti i comuni9 e ad una sola sezione storica di dati recenti, nella logica delle “classifiche” (in analogia a come a livello nazionale procedono ad esempio “il sole- 24 ore” e Legambiente)
1.3 - COSA
Tenendo conto dell’insieme di studi che Agenda 21 Laghi ha promosso o raccolto, si può ritenere che di quest’area già si conosca molto riguardo al territorio ed all’ambiente (temi presenti anche nei PGT e connesse Valutazioni Ambientali Strategiche dei singoli Comuni), nonché a tematiche specifiche quali la mobilità, il turismo, i consumi energetici, ecc.
Ci è sembrato invece che manchino conoscenze di insieme riguardo agli abitanti ed alla loro vita, al sistema di relazioni che attraversa i territori e ne definisce la struttura identitaria, ai “paesaggi umani” che conferiscono senso e contenuti ai paesaggi fisici (urbani ed extraurbani).
Con questo studio non abbiamo alcuna pretesa di fornire risposte sistematiche, quanto piuttosto quella di contribuire a formulare domande più circostanziate, da cui potranno eventualmente scaturire ulteriori iniziative di ricerca.
1.4 - COME
La ricerca è stata condotta sui dati statistici disponibili: ISTAT, CCIAA, Provincia, I.S.P.R.A., ecc.; si è proceduto ad estrarre e confrontare i principali dati dei singoli Comuni e dell’intera area (nonché di altri Comuni esterni di riferimento) con i totali e le medie della Provincia di Varese, della Lombardia e dell’intera Italia, assumendo criteri aritmetici, cartografici ed espositivi il più possibile costanti, ma con i dovuti adeguamenti alle specificità dei tipi di dati.
In prospettiva la ricerca potrebbe proseguire, interagendo con altri soggetti, in direzioni che pertanto non intendiamo prefigurare, se non a titolo esemplificativo:
- acquisizione e sintesi degli studi già svolti da
Ag21Laghi e da altri soggetti, e confronto con casi analoghiLa presenza e persistenza dell’aggregazione intercomunale di Agenda 21 Laghi, che all’aprile 2015 raccoglieva 16 Comuni (cui poi si è aggiunto Caravate), ci ha suggerito di individuare questo territorio, anche in funzione della specifica attenzione alla socialità ed alla partecipazione che è propria di questo tipo di organizzazione con finalità ambientali.
I confini che abbiamo scelto, includendo altri Comuni contermini (in parte in passato già aderenti a AG21L), tendono a definire un’area di indagine consona al tipo di domande che ci poniamo, tenendo conto che l’area è geograficamente e amministrativamente ben delineata solo ad ovest, dal Lago Maggiore, mentre in altre direzioni si rilevano demarcazioni meno nette come i monti a nord di Laveno ed il fiume Ticino a sud/ovest; nelle restanti direzioni, cioè verso la Val Cuvia, verso Varese (a sud e a Nord del Lago omonimo) e verso sud/est (dove con Malpensa ed il Gallaratese si può forse leggere l’inizio dell’area metropolitana milanese), le interrelazioni sono invece molto più dense e continue, per cui il perimetro proposto tra “Lago Maggiore e Lago di Varese” comporta inevitabilmente scelte opinabili, costituite comunque ad Est in larga misura dai confini amministrativi di Agenda21Laghi (oltre che dal lago di Varese)
Già da queste brevi considerazioni sull’area di studio appare evidente il suo essere zona di cuscinetto tra due grandi assetti insediativi, quello montano-vallivo e quello metropolitano.
1.2 - QUANDO
Per capire le tendenze in atto ci è apparso utile concentrare l’attenzione sugli anni iniziali di questo secolo, considerando di poter disporre ampiamente dei dati dei censimenti 2001 e 2011 e di pochi altri dati più recenti; la ricerca comunque ha comportato alcuni approfondimenti con diversa scansione temporale.
Tale periodo ci risulta anche poco coperto da ricerche istituzionali alla scala locale; ad esempio il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale è stato approvato nel 2006 ed i dati di riferimento sono in parte precedenti ai censimenti del 2001; anche il primo ciclo dei Piani di Governo del Territorio è stato per lo più redatto prima della pubblicazione dei risultati del censimento 2011.
Il campo è stato esplorato in parte dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio, con una ricerca estesa all’intera Provincia e limitata a poche variabili sul censimento 2011, nonché dall’Ufficio Studi di Confartigianato con una elaborazione basata su indicatori multi-criteri, esteso anch’esso all’intera Provincia (ma non a tutti i comuni9 e ad una sola sezione storica di dati recenti, nella logica delle “classifiche” (in analogia a come a livello nazionale procedono ad esempio “il sole- 24 ore” e Legambiente)
1.3 - COSA
Tenendo conto dell’insieme di studi che Agenda 21 Laghi ha promosso o raccolto, si può ritenere che di quest’area già si conosca molto riguardo al territorio ed all’ambiente (temi presenti anche nei PGT e connesse Valutazioni Ambientali Strategiche dei singoli Comuni), nonché a tematiche specifiche quali la mobilità, il turismo, i consumi energetici, ecc.
Ci è sembrato invece che manchino conoscenze di insieme riguardo agli abitanti ed alla loro vita, al sistema di relazioni che attraversa i territori e ne definisce la struttura identitaria, ai “paesaggi umani” che conferiscono senso e contenuti ai paesaggi fisici (urbani ed extraurbani).
Con questo studio non abbiamo alcuna pretesa di fornire risposte sistematiche, quanto piuttosto quella di contribuire a formulare domande più circostanziate, da cui potranno eventualmente scaturire ulteriori iniziative di ricerca.
1.4 - COME
La ricerca è stata condotta sui dati statistici disponibili: ISTAT, CCIAA, Provincia, I.S.P.R.A., ecc.; si è proceduto ad estrarre e confrontare i principali dati dei singoli Comuni e dell’intera area (nonché di altri Comuni esterni di riferimento) con i totali e le medie della Provincia di Varese, della Lombardia e dell’intera Italia, assumendo criteri aritmetici, cartografici ed espositivi il più possibile costanti, ma con i dovuti adeguamenti alle specificità dei tipi di dati.
In prospettiva la ricerca potrebbe proseguire, interagendo con altri soggetti, in direzioni che pertanto non intendiamo prefigurare, se non a titolo esemplificativo:
- ricerca di altre fonti ed altri indicatori, attraverso il dialogo con le organizzazioni presenti sul territorio
- indagini demoscopiche su tutti gli aspetti soggettivi coinvolti
- approfondimento delle ricerche territoriali con strumenti cartografici avanzati, tipo GIS.
1.5 - PERCHE’/PER CHI
La ricerca sarà divulgata tramite Il sito istituzionale di Agenda21Laghi, e pertanto disponibile a chiunque voglia leggerla ed utilizzarla, ma è pensata in funzione di un governo consapevole delle contraddizioni, ed in particolare delle finalità ambientali di Ag21Laghi, che per sua “costituzione” deve conseguirle mediante la partecipazione ed il consenso: riteniamo che una maggior conoscenza della struttura della popolazione e degli “stili di vita” possa essere utile in tale direzione (ad esempio, per capire meglio le difficoltà di adesione alle pratiche ed agli investimenti “ecologici”).
1.6 - CHI SIAMO
Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi, urbanisti in pensione, residenti a Sesto Calende, collaboratori, a titolo volontario, di Agenda 21 Laghi.
mercoledì 18 novembre 2015
DOPO PARIGI, NON HO TROPPE CERTEZZE
Di fronte al massacro di Parigi
si rischia di cadere in uno stato depressivo, mentre i media, che fanno il loro
mestiere, ci riempiono la mente di immagini, parole, pensieri, emozioni, che in
gran parte sono anche le nostre, ma rischiamo di non saperlo con certezza.
E quindi ci può stare molto bene
anche il silenzio, molto più di un minuto di silenzio (e niente applausi al
passaggio delle bare, se possibile).
Tuttavia, mentre esprimevo
molteplici “mi piace” ai pensieri solidali di molti corrispondenti su Facebook,
e coltivavo in cuor mio tutti i dubbi di un pacifista costretto alla guerra
dall’aggressione altrui (che già ho espresso nei miei precedenti commenti alle
scorrerie del Califfato), mi sono apparse stonate non solo le ovviamente le
sparate islamofobiche sulla linea Fallaci-Salvini-Santanchè, ma anche alcune
prese di posizione di parte pacifista, che adombrano parziali verità, da me
condivise, ma che mi sembrano del tutto
inadeguate alla sostanziale novità degli attentati di Parigi: ovvero al “salto
di aberrante qualità” costituito dall’attacco indiscriminato alla popolazione
civile di una metropoli europea (rispetto ai più mirati attacchi a “nemici
dell’Islam” quali la rivista Charlie Hebdo oppure negozianti e clienti innocenti
sì, ma ebraici).
Essendo istanze vicino al mio
sentire, ritengo opportuno uscire dal silenzio per chiarirmi meglio con gli
abituali interlocutori:
- la solidarietà con le vittime di Parigi
oscurerebbe (con implicito razzismo-colonialismo) la necessaria solidarietà con
analoghe vittime di attentati, sempre di matrice fondamentalista-islamica, nel
cielo del Sinai e prima in Libano Turchia Irak Pakistan India Kenia …..: mi
pare che questa obiezione non consideri il dato umano, insopprimibile, per cui il
lutto per la morte di chi mi è vicino pesa di più di quello per colui che mi è
meno vicino, differenza che si può misurare analogamente nei casi di tragedie
di origine naturale o tecnologica; e trascuri il dato politico che ci vede
membri, con la Francia, della stessa Unione Europea; e ignori il dato storico
per cui Parigi è la patria della libertà e la sua vita notturna è un emblema
della nostra libertà (anche se l’Occidente è l’inventore del moderno
colonialismo, dell’imperialismo economico-finanziario, ecc. ecc.)
- il Califfato usa armi occidentali, magari
inviate in Siria per indebolire il dittatore Assad, oppure vendute ad Arabia ed
Emirati, innanzitutto si ponga fine alla produzione ed esportazione delle armi: sono pienamente
d’accordo, tranne che sull’”innanzitutto”, perché quando la casa brucia si
chiamano i pompieri, e solo dopo si va
controllare se la costruzione era in regola con le norme di prevenzione
incendi (ovvero, solleviamo sì l’enorme problema della diffusione delle armi occidentali,
ma il Califfato che aggredisce i non-sunniti del Medio oriente e tutti i
non-islamici d’Europa ormai di armi ne ha parecchie, occidentali o meno che
siano, e sta usandole a man bassa;
- (in questo terzo casa è Famiglia Cristiana che
parla, e quindi in particolare mi stupisco per il tono) “se vogliamo eliminare l’ Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna
fare e a chi bisogna rivolgersi”, cioè troncare con la complicità di USA e
NATO verso le potenze regionali sunnite, Arabia Saudita-Emirati-Turchia, che in
vario modo proteggono il Califfato, per i loro interessi politico-religiosi, che li contrappongono
all’Iran sciita e ad Assad alauita: credo anch’io che sui vari fronti
medio-orientali (ed anche tra gli islamici d’Europa) vi siano pesanti ambiguità
(politiche, commerciali, militari) tra molti sunniti, che non intendono
contrapporsi più di tanto ad altri “sunniti-che-sbagliano”, ma non riesco ad assumere questa granitica
certezza che ci sia un nodo gordiano da tagliare, e “puff” il fantasma dello
“Stato Islamico” si dissolve, togliendo noi occidentali (ed ancor di più noi
pacifisti od ex-pacifisti) dalla brace delle responsabilità di scelta tra pace
e guerra, violenza o non-violenza, verso un nemico che aggredisce e al momento
(e probabilmente per molto tempo) non intende trattare su alcunché (almeno con
gli stati occidentali, l’ONU e via di seguito).
L'ENCICLICA "LAUDATO SI'" DI PAPA BERGOGLIO
L’Enciclica “Laudato sì”, emanata
nel maggio 2015 da Papa Francesco, è stata trattata a mio avviso in modo
alquanto superficiale dalla stampa generalista,
come uno dei vari aspetti innovativi della comunicazione di questo
papato, senza coglierne le implicazioni profonde ed a suo modo rivoluzionarie;
parimenti mi pare sia scivolata addosso senza conseguenze al mondo politico
ed al mondo cattolico (e quindi in
particolare al mondo politico cattolico), che infatti non mostrano di dare
avvio ad alcuna “rivoluzione”, nemmeno culturale.
Ed il limite principale della
predicazione di papa Bergoglio è probabilmente proprio quello di non
sviluppare, finora, gli strumenti per tradurre le sue parole in opere, né in
gran parte della sua Chiesa (a partire dalla Curia romana), né attorno ad essa.
Tuttavia, stimolato anche dal
riassunto pubblicato da Fulvio Fagiani sul sito www.agenda21laghi.it (riassunto
che allego IN APPENDICE, risparmiandomi la fatica di elaborarne uno mio), ho letto
integralmente il testo dell’enciclica e l’ho trovato di grande interesse (anche
per chi come me si colloca tra i laici-non-credenti) per i seguenti motivi:
1 – recepisce dalla scienza, con
una apprezzabile umiltà, e con utile sintesi divulgativa, i termini attuali
della crisi ambientale complessiva (e non solo climatica) del pianeta Terra;
2 – evidenzia le strette connessioni dei problemi ecologici con i
problemi sociali, e cioè come i poveri (tanto nei paesi poveri quanto nei paesi
ricchi) siano le principali vittime ad un tempo sia dello sfruttamento
economico, sia del degrado urbano e ambientale; tanto che, riferisce Bergoglio,
“i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento
‘non uccidere’ quando « un venti per
cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle
nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per
sopravvivere »”.
3 – sottopone, non solo ai
fedeli, ma a tutti gli uomini, non credenti e credenti di ogni fede, la
necessità di un piano di azione radicale per la salvezza del pianeta (ivi
compresa la decrescita dei consumi opulenti), “prima che le nuove forme di
potere derivate dal paradigma tecnico-economico finiscano per distruggere non
solo la politica ma anche la libertà e la giustizia”;
4
- coglie i limiti e l’inefficacia di una “ecologia evasiva” e di
facciata, da parte di governi e imprese,
che è prevalente in quanto è intrinsecamente diffuso, nel sentire comune dei
paesi dominanti, il modello culturale consumista ed il mito della crescita
infinita (malgrado l’evidenza delle crisi);
5 – tenta di fondare una nuova
etica della sobrietà (derivante per i cristiani dai valori religiosi), da
applicare anche a livello personale, ma finalizzata alla cooperazione solidale,
arrivando ad esempio ad un utilizzo consapevole del potere collettivo dei
consumatori; tale etica include anche le raccomandazioni pratiche per la vita
quotidiana, che riproduco in appendice (e che non mi risulta siano ancora
diventate pratica prevalente in ambito cattolico occidentale).
Di minor interesse operativo per i non-credenti, ma comunque
rilevanti sotto il profilo culturale, sono ampie parti del documento, di
impostazione più strettamente religiosa:
- sia dove Bergoglio allinea a suo sostegno
numerose citazioni dalle Sacre Scritture, dal pensiero di teologi e santi del
passato (Francesco d’Assisi in primis) e soprattutto dalle encicliche dei suoi
ultimi 4 o 5 predecessori e dalle conferenze episcopali di varie parti del
mondo (con qualche citazione anche di testi laici),- sia dove il Papa parla da Papa ed afferma apodittiche manifestazioni su questa terra della presenza di Dio, nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (nonché della Sacra Famiglia), tutte convergenti verso l’eco-teologia.
Ad esempio : “Le Persone divine sono relazioni sussistenti, e il mondo, creato secondo il modello divino, è una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intrecciano segretamente.”
Mi convince meno il testo del Papa laddove, criticando la cultura consumista e sviluppista, ne individua le radici in un eccesso di antropocentrismo, diffidando nel contempo dal “bio-centrismo” di quegli ecologisti che pongono la natura al di sopra dell’attenzione per il benessere di tutti gli uomini
Anch’io, nel mio piccolo, vedo dei pericoli nel bio-centrismo, in quanto comunque interpretato da uomini e non direttamente dai lombrichi, dai batteri e dai fenicotteri (vedi un questo blog la scheda su “Dellavalle: L’ecologia tra soggettività e fondamentalismo”, oppure la "pagina 1" del saggio sulla sostenibilità urbana).
Ma la condivisibile visione umanistica e rispettosa verso la natura, illustrata dal Papa, si fonda soprattutto nel rapporto (subordinato) dell’uomo con la divinità: “Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo finiremmo per adorare altre potenze del mondo o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà da Lui creata, senza conoscere limite”.
Pur rilevando che sono difficili e poco praticate le strade alternative al paradigma tecnocratico/sviluppista a partire dai deboli presupposti dei pensieri scettici e relativisti (di chi è agnostico o comunque non credente), mi permetto rispettosamente di rivendicarne la dignità concettuale.
Proprio perché non abbiamo certezze, nemmeno più sappiamo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, nella laica ricerca del bene comune ci viene difficile cadere nel delirio di onnipotenza che pone l’uomo al di sopra della natura.
Il riconoscimento dell’interdipendenza tra tutti gli uomini e dei fragili equilibri e squilibri degli ecosistemi, mi sembra possano essere premessa sufficiente per la cooperazione fraterna verso la possibile salvezza del pianeta.
Ben vengano le religioni a mettersi alla guida della necessaria e pacifica “rivoluzione” ecologica, vista l’esiguità delle forze non-religiose in campo (ed invece di incitare al reciproco sgozzamento come spesso hanno fatto, e talune tuttora fanno).
Ma nel perseguire l’idea di fratellanza tra tutti gli uomini, e tra gli uomini e gli altri viventi, mi pare che ci siano spazio e motivazioni per tutti, anche per i laici, gli agnostici ed i non credenti.
IL DECALOGO DELLE RACCOMANDAZIONI ECOLOGICHE QUOTIDIANE DI PAPA FRANCESCO
coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento,
evitare l’uso di materiale plastico o di carta,
ridurre il consumo di acqua,
differenziare i rifiuti,
cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare,
trattare con cura gli altri esseri viventi,
utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone,
piantare alberi,
spegnere le luci inutili,
riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente.
ESTRATTO DA FULVIO FAGIANI
SU ENCICLICA “LAUDATO SI’”
L’enciclica è
articolata su un’introduzione e sei capitoli che delineano questo percorso:
1. Quello che sta accadendo alla nostra casa. Si ricapitolano le
principali emergenze ambientali e sociali e si stigmatizza la debolezza delle
reazioni;
2. Il Vangelo della creazione. Si ragiona sul ruolo
della religione, rifacendosi a testi biblici e ad eminenti commenti;
3. La radice umana della crisi ecologica. Si riconducono le due
crisi, ecologica e sociale, viste come intreccio inestricabile, alla dominanza
del “paradigma tecnocratico”, a sua volta manifestazione di una profonda crisi
culturale;
4. Un’ecologia integrale. La sfida complessa richiede una risposta di pari
complessità, ecologica, sociale e culturale;
5. Alcune linee di orientamento e di azione. Vengono proposte
soluzioni puntuali, ricavate dal vasto campo dell’esperienza, ma soprattutto è
condotta una critica sferzante al dominio dell’economia sulla politica e della
finanza sull’economia e al mito della crescita illimitata;
6. Educazione e spiritualità ecologica. E’ il tema della
“rivoluzione culturale” sollecitata dal Papa, con l’invito ad uscire da individualismo
e consumismo a favore di una “cultura della cura”.
Colpisce innanzitutto
la modernità di un approccio alla crisi ambientale non settoriale, in cui ogni
singola crisi (i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità,
l’inquinamento, ecc.) sono visti in modo integrato, come parti di un’unica
azione di pressione esercitata sulle risorse del pianeta. Chi ha familiarità
con la newsletter di Agenda21Laghi ricorderà il modello dei “confini planetari”
molte volte richiamato, che esamina i nove processi biofisici essenziali per la
vira sul pianeta.
La crisi ecologica,
poi, viene associata alla crisi sociale, particolarmente all’inequità, come è
proprio del pensiero più evoluto, che non a caso ha incoraggiato le Nazioni
Unite a dar vita ad un sistema di obiettivi ambientali e sociali insieme,
chiamati SDG (Sustainable Development Goals).
Le cause delle due crisi sono attribuite a fattori
economici e politici, la dominanza del cosiddetto paradigma tecnocratico, che
si fonda sulla potenza della tecnica e diffonde il mito della crescita infinita
e le abitudini consumistiche. Il Papa si scaglia più volte contro questo
pensiero, invocando il limite che deve essere opposto, la subordinazione della
proprietà privata agli interessi pubblici, la necessità di riconoscere e
proteggere i beni comuni.
E’ interessante osservare che anche nel
capitolo più dottrinale, il secondo, le argomentazioni principali sono dedicate
a confutare l’idea antropocentrica dell’uomo dominatore (“Noi non siamo Dio”) e
a sottolineare il “valore intrinseco del mondo”. Sembra di ascoltare una
lezione di Scienza del Sistema Terra (Earth System Science), che studia il
pianeta come un sistema complesso, con le sue regole di funzionamento, non
manipolabile a piacimento come invece vorrebbe la scienza economica corrente.
Le soluzioni indicate sono certamente
quelle veicolate dal pensiero della sostenibilità (fonti rinnovabili,
efficienza energetica, protezione, agricoltura sostenibile, e così via), ma
accompagnate da limiti e vincoli posti all’operare economico, fino a propugnare
una forma di decrescita nei paesi più ricchi per lasciare spazio alla crescita
dei più poveri.
Anche la politica è chiamata alle sue
responsabilità, con la sollecitazione ad una governance dei beni comuni e al
rafforzamento delle istituzioni internazionali, vista la sottomissione degli
Stati nazionali agli imperativi della finanza.
Trovo però che il cuore del documento
sia il capitolo finale, il sesto, che reclama una “rivoluzione culturale”, una
“conversione ecologica”. Una sollecitazione ad uscire dal dominio delle
ideologie consumiste ed individualiste per approdare a nuovi stili di vita,
ispirati alle virtù della sobrietà e della semplicità, a ricercare l’equilibrio
con l’ambiente, con sé e con gli altri, ad impegnarsi nell’azione sociale con
lo spirito di apertura al mondo che viene dal rendersi conto che viviamo in un
pianeta interdipendente e che condividiamo con l’intera umanità (e con le
future generazioni) un destino comune.
Non manca, infine, una strigliata ai
cristiani, alcuni dei quali “spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per
l’ambiente. Altri sono passivi”, invitati a “rivalutare l’amore nella vita
sociale – a livello politico, economico, culturale - facendone la norma
costante e suprema dell’agire”.
In poche parole: gesti quotidiani,
grandi strategie, cultura della cura.
Fulvio Fagiani
lunedì 9 novembre 2015
MOSTRE CHE NON MOSTRANO
In alcune delle mostre che
abbiamo recentemente visitato mi ha colpito la sostanziale disattenzione dei
curatori rispetto alla effettiva fruizione di parte del materiale o dei
messaggi esposti:
“ROMA E LE GENTI DEL PO”, a Brescia/Santa Giulia: didascalie e testi con colori a scarso contrasto, male ubicate e peggio illuminate; ottimi testi scientifici sulle audio/video-guide, ma sempre con l’immagine fissa dell’Archeologo o Sovrintendente (non sempre brillante dicitore) e pochissime immagini “extra”;
“MITO E NATURA. DALLA GRECIA A POMPEI”, a Milano/Palazzo Reale: parte iniziale con vetrinette in corridoi angusti e potenzialmente pericolosi; bellissimi affreschi con rappresentazione di giardini, da Pompei, visibili solo parzialmente e indirettamente attraverso varchi verso una stanza attigua; gran finale con confronto tra reperti di cibi (sotto vetrina) ed immagini affrescati degli stessi, al di sopra delle vetrine, sostanzialmente invisibili per visitatori più bassi di metri 1,70;
“GAUGUIN” al nuovo Museo delle culture MUDEC di Milano/ex-Ansaldo: prima sala con pavimento, soffitto e pareti bruno-scure e seconda sala rosso-scura, talmente scure che – al di là delle opere, specificamente e ben illuminate – risulta praticamente impossibile leggere e talvolta anche solo scorgere i testi delle didascalie e dei commenti (ma con rischi anche per la deambulazione); i testi e le didascalie hanno gli stessi colori e la stessa illuminazione diretta nelle ultime due sale, con pareti e soffitti chiari, che pertanto riflettono e distribuiscono luce a sufficienza per la lettura di tutto quanto esposto.
“ROMA E LE GENTI DEL PO”, a Brescia/Santa Giulia: didascalie e testi con colori a scarso contrasto, male ubicate e peggio illuminate; ottimi testi scientifici sulle audio/video-guide, ma sempre con l’immagine fissa dell’Archeologo o Sovrintendente (non sempre brillante dicitore) e pochissime immagini “extra”;
“MITO E NATURA. DALLA GRECIA A POMPEI”, a Milano/Palazzo Reale: parte iniziale con vetrinette in corridoi angusti e potenzialmente pericolosi; bellissimi affreschi con rappresentazione di giardini, da Pompei, visibili solo parzialmente e indirettamente attraverso varchi verso una stanza attigua; gran finale con confronto tra reperti di cibi (sotto vetrina) ed immagini affrescati degli stessi, al di sopra delle vetrine, sostanzialmente invisibili per visitatori più bassi di metri 1,70;
“GAUGUIN” al nuovo Museo delle culture MUDEC di Milano/ex-Ansaldo: prima sala con pavimento, soffitto e pareti bruno-scure e seconda sala rosso-scura, talmente scure che – al di là delle opere, specificamente e ben illuminate – risulta praticamente impossibile leggere e talvolta anche solo scorgere i testi delle didascalie e dei commenti (ma con rischi anche per la deambulazione); i testi e le didascalie hanno gli stessi colori e la stessa illuminazione diretta nelle ultime due sale, con pareti e soffitti chiari, che pertanto riflettono e distribuiscono luce a sufficienza per la lettura di tutto quanto esposto.
La fatica ed il disagio che ne
derivano a molti visitatori fa sfumare in secondo piano l’oggettiva qualità
scientifica e spettacolare delle esposizioni (molto probabile nelle prime due
mostre) e non consente di verificare la bontà dei criteri, come ormai spesso
accade, NON-cronologici, assunti per la mostra su Gauguin, già non eccelsa
quanto a rappresentatività dei pezzi raccolti.
PASOLINI
Nelle recenti commemorazioni di
Pier Paolo Pasolini, 40 anni dopo la sua
uccisione, mi è sembrato che prevalessero gli atteggiamenti agiografici e
santificatori (ben s’intende più facili ex post).
Riflettendo su talune sue
affermazioni (non solo quelle in favore dei poliziotti e contro gli studenti di
Valle Giulia), mi è parso che il suo anti-consumismo e la sua critica alla
società fossero strettamente intrecciati a posizioni anti-moderne e talora francamente
reazionarie: Quelle
che che amo di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche
la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Non lo dico per
retorica, ma perché la cultura piccolo borghese, almeno nella mia nazione(ma
forse anche in Francia e in Spagna), è qualcosa che porta sempre a delle
corruzioni, a delle impurezze. Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i
primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta
attraverso la cultura. Poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la
cultura media è sempre corruttrice.
Accade di vedere talvolta negli
archivi RAI (o di rammentarlo direttamente, per chi ha vissuto negli anni 50)
il popolo genuino intervistato da Soldati, Gregoretti o Zavoli (o dallo stesso
Pasolini, in “Comizi d’amore”), e di condividere istintivamente tale giudizio
di Pasolini, soprattutto se confrontato con campioni di popolo televisivo
contemporaneo, dal Grande Fratello in giù.
Ma le persone semplici degli anni
50/60 indubbiamente ambivano, per se e/o per i propri figli, andare oltre la
quarta elementare, e dimenticare un presente e un passato di
miseria-fatica-sfruttamento, e nell’insieme hanno avuto un certo successo
nell’impresa (sia pure al costo di peggiorare il paesaggio umano delle
successive tele-trasmissioni).
Persone semplici che facevano
anche a meno dell’amore di Pasolini per il loro stesso “essere semplici” e che
invece, magari, per come sono diventati “meno semplici”, hanno imparato ad
apprezzarne di Pasolini i libri e i film (taluni dei quali, a mio avviso, di
altissima poesia).
HALLOWEEN E ALTRI RITI
A cavallo del week-end dei
Santi&Morti ho seguito con interesse sia il confronto mediatico tra
Gramellini e l’Arcivescovo di Torino sul deposito delle ceneri dei defunti (in
casa propria oppure al cimitero: libertà individuale contro condivisione
comunitaria del dolore), sia uno scambio locale di e-mail tra cattolici
credenti riguardo ad Hallowen, di cui si biasimava il carattere
mercantil-scherzoso e di importazione, rivendicando invece la bontà ed
autenticità dei riti cattolici tradizionali (su cui ho purtroppo opportunità di
ripasso in occasione dei funerali, dove mi pare di cogliere una modernizzazione
della Chiesa, rispetto a modelli cultuali più macabri e ultra-terreni del
passato).
Da sponde laiche ho letto la
facile risposta “chi la fa l’aspetti”, riferita al vario sovrapporsi storico di
feste e riti cristiani ai preesistenti feste&riti di altre religioni
pre-cristiane.
Dentro a questo sovrapporsi
stratificato nei secoli, negli ultimi decenni e dalle nostre parti la ritualità
cristiana sembra perdere terreno rispetto ad usi e costumi consumistici (non
solo Halloween: Natale, Pasqua, Ferragosto e tutte le stesse Domeniche),
veicolati dai mass media e trainati dal principali modelli e produttori in
materia, cioè gli USA, e quindi da una alternativa che è cresciuta all’interno
di un mondo formalmente cristiano, ma fortemente secolarizzato e
de-sacralizzato.
Mentre mi sembrano in disarmo
tutti i tentativi di ritualità alternativa sorti in forme più antagoniste in
Occidente, dal Settecento in poi, con matrici laico-socialiste o
laico-nazionali: sia sul terreno più strettamente civile e politico (dal 4
novembre al 25 aprile al 1° maggio: gli ultimi 2 restano festivi, ma sono
fruiti in prevalenza come ponti e week-end allungati), sia ancor di più nelle
loro proiezioni sul terreno della sacralità, dalla Dea Ragione al Milite
Ignoto, dai funerali civili fino alle
caricature dei “matrimoni comunisti” in voga negli anni ’70 tra i
marx-leninisti di Servire-il-Popolo.
Si tratta comunque di processi
non lineari, dove però mi pare che non vince chi sta fermo a difendere le
trincee delle tradizioni in quanto tali, bensì chi le innova e contamina, dai
Concertoni del 1° maggio alle Giornate Mondiali della Gioventù al cospetto del
Papa, dai salmi e canti di Comunione e Liberazione alle iniziative molecolari
di matrice ecologista, che trasformano la manifestazione in azione (puliamo qui
e là, camminiamo parecchio, andiamoci in bici).
In questo ambito a mio avviso
andrebbero monitorate specificamente le trasformazioni antropologiche che
riguardano il “banchetto”, momento di congiunzione tra materia (cibo) e
spiritualità (come già era in origine il rito cristiano poi confluito nella
messa), non solo nella forma della identificazione collettiva (dove il parziale
declino delle feste di partito è affiancato dalla continua crescita delle sagre
locali, spesso fondate su “tradizioni” inventate ex-novo), ma anche nel
fenomeno del culto della cucina, dei cuochi stellati, del prodotto genuino, che
oltre ad imperversare in televisione,
permea di una nuova aura, quasi sacrale, anche il consumo privato, a
casa ed al ristorante.
lunedì 26 ottobre 2015
ANCORA SULLA TASI
Della tassazione della casa mi
sono già occupato a lungo, per cui rischio di ripetermi; tuttavia mi girano per
la testa alcune ulteriori considerazioni.
1 - La soppressione della tassa
sulla prima casa costituisce ora il fulcro della legge di stabilità impostata
dal governo Renzi e la cosa appare ormai praticamente decisa, perché
l’opposizione annunciata dalla minoranza del PD, rimanendo nelle aule parlamentari,
non potrà avere successo, non godendo di solide sponde esterne all’area
governativa (come invece è stato in parte nel dibattito sulla riforma
costituzionale).
Diverso sarebbe l’esito se la
battaglia fosse condotta dentro la base elettorale del PD (a maggior
ragione se abbinata allo sconcertante
tema della soglia per gli acquisti in contante innalzata a 3.000 €), ma non
certo chiedendo a Renzi un referendum che non verrà concesso, bensì con una
iniziativa autonoma e capillare dal basso, che però mancherà, come mancò sul
cosiddetto “Job act”, e che enuncio
accademicamente, perché con questa sinistra Dem (ma anche con l’attuale
sinistra extra-Dem) è pura fantapolitica.
2 - Sul merito della questione mi
hanno colpito le argomentazioni in difesa del Governo portate non da NCD (cui
basta rammentare che è una scelta di destra, come in effetti è), né dai
Renziani-Doc, che possono anche permettersi di usare alti concetti quali “la
sinistra Dem cerca occasioni di rivincita sul Congresso” (trascurando il fatto
che la mozione di Renzi non scopriva le carte di tali futuri capovolgimenti di
linea, seppur annusabili nelle varie Leopolde), bensì da vari
Renziani-Di-Complemento, che cercano di sollevare la decisione all’ambito
razionale (anche per far dimenticare il diverso orientamento assunto in
passato): tra questi, il vice-ministro Morando, il responsabile economico della
Segreteria Taddei, la vice-presidente del Senato Valeria Fedeli (VEDI DETTAGLIO
IN APPENDICE).
Tutto questo zelo conformista
nella maggioranza PD mi sembra preoccupante: qualunque coniglio Renzi estragga
dal suo cappello a cilindro (e non certo dalle tesi approvate dal congresso)
trova un immediato e bulgaro consenso nell’intero gruppo dirigente,
probabilmente non previamente consultato, ed anche a costo di esporre
argomentazioni contorte, tipiche dei preti-senza-fede, ma ben allineati alla
Chiesa.
Sarebbe più onesto se i
filo-governativi dicessero: con gli 80 € in busta paga del 2014 abbiamo aiutato
lo strato medio-basso dell’elettorato; adesso andiamo a cercare i voti di ceti
medio-alti, perché ci serve il loro consenso (si potrebbe forse nobilitare la
manovra come “politica delle alleanze”). Continuerei a non concordare, ma
almeno non mi sentirei preso in giro da tali grossolane mistificazioni.
3 – Qualcuno degli zelanti
sostenitori si era spinto anche a
difendere la soppressione dell’IMU per grandi ville e castelli,
classificate dal vigente zoppicante Catasto come A1 A8 A9, che poi Renzi
demagogicamente ha invece confermato
(mentre giustamente i proprietari di storiche magioni sono sorretti da
esenzioni fiscali quando restaurano beni vincolati).
La abortita riforma del Catasto
avrebbe forse raddrizzato l’attuale guazzabuglio (che nasconde nella classe A2,
ed anche più in basso, abitazioni in realtà signorili e rustici e casali molto
ben ristrutturati).
In sua assenza, il problema non è
di dare in pasto all’opinione pubblica la permanenza di una tassazione su poche
prime case classificate ufficialmente di lusso, bensì di chi si avvantaggerà
dei quasi 4 miliardi di € di esenzione della restante TASI: non certo i
senza-casa, né gli inquilini, né i proprietari di case modeste (cioè la grande
maggioranza della popolazione, che intanto, malgrado i famosi 80 €, paga la
maggior parte delle tasse sul reddito).
4 – Quasi nessuno parla più
dell’aspetto centralistico della soppressione della TASI, con il conseguente
finanziamento indiretto dei Comuni da parte dello Stato; in particolare sembra
che non ne parlino i Sindaci e l’ANCI, che appaiono soddisfatti della conferma per il prossimo anno dei
trasferimenti dallo Stato senza ulteriori tagli (e senza nessuna garanzia per
il futuro).
A me invece la abolizione dei più consistenti tributi propri in favore
degli enti locali pare una grave regressione rispetto ai modesti livelli di
“federalismo fiscale” (e conseguente responsabilizzazione di bilancio per i
Sindaci) che si erano raggiunti dopo decenni di retorica sul decentramento dei
poteri, retorica non solo leghista (penso alla quasi omonima “Lega delle
autonomie locali” che univa ed unisce comuni e provincie di sinistra dai tempi
della Prima Repubblica).
Appendice: ARGOMENTI PRO E CONTRO
LA TASI
Senza ripercorrere le singole
esposizioni della maggioranza PD, rilevo la presenza ricorrente di alcuni argomenti
ed affianco di seguito le mie risposte, che mi sembra sgorghino con facilità (e che
assomigliano molto ai concetti espressi da
molti commentatori indipendenti e non anti-governativi, ad esempio su La
Repubblica e su La Stampa):
A - Quanto poco pesano i 4
miliardi di € della TASI rispetto all’intero ciclo delle leggi di stabilità
Renziane, dal passato (con i gloriosi 80 € in busta-paga) alle promesse per il futuro
A - mi sembra che discutendo la stabilità per il 2016, i suddetti 4 miliardi siano il piatto forte, da cui non si scappa
B - Quanto i suddetti 4 miliardi
siano contornati da tutta una serie di misure, per i poveri, per le case
popolari, per le imprese, ecc. ecc.,
ognuna delle quali è quotata per meno di mezzo miliardo
B - quindi a mio avviso non contiene nessun segnale forte in alternativa (personalmente avrei apprezzato, invece del taglio ad alcune tasse, un grande intervento per il risanamento idrogeologico del paese)
C - Quanto poco sia affidabile il catasto, su cui
si fonda la graduazione della TASI, per cui è meglio non farla pagare a nessuno
C - argomento irricevibile da parte di un governo che ha appena affossato (senza pubbliche motivazioni né indicazioni alternative) la riforma del catasto, decreto delegato a cui i governi hanno lavorato per anni e che era pronto per essere applicato (portando un po’ di equità anche nelle seconde e terze case)
D - Quanto sarebbe erroneo
mischiare criteri di reddito, in una ipotetica conservazione e riforma di una
TASI più equa, perché i furbi che evadono/eludono l’IRPEF ne sarebbero avvantaggiati
D - sopprimendo del tutto la TASI (e non riformando il catasto) sono comunque ancor piu’ avvantaggiati
E - Quanto sia estesa la
proprietà della casa, per cui diffusi saranno i benefici ed i conseguenti
aumenti dei consumi, volti a compensare il probabile calo della domanda estera
E - ma la TASI pesava in modo progressivo in funzione al valore delle case, per cui la sua soppressione libera risorse soprattutto per i ceti medio-alti, la cui propensione ai consumi è frammista al risparmio e alla speculazione finanziaria (come si è già visto con le precedenti sospensioni berlusconiane dell’IMU)
F - Quanto i benefici siano
estesi anche agli inquilini, per la loro piccola quota di TASI
F - si trascura il fatto che la spesa per gli affitti non è detraibile dall’IRPEF (come invece sono i costi dei mutui)
G - Per finire, sull’Unità del 24 ottobre, un
trafiletto anonimo riporta in modo parziale alcuni dati statistici elaborati
dalla (solita) CGIA di Mestre, evidenziando che la maggioranza dei proprietari
di casa sono “pensionati-operai-impiegati” ma omettendo quanto la CGIA espone
riguardo alla quota parte di proprietari tra i ceti medio-alti (prossima al
100%) e la minor quota tra i suddetti “pensionati-operai-impiegati” (tra i
quali molti di più sono gli inquilini)
G - si veda la stessa fonte CGIA come riportata da Repubblica; e
soprattutto si rammenti che l’attuale esenzione TASI già raggiunge buona parte
dei ceti medio-bassi, per cui il premio della soppressione del tributo va quasi
totalmente in tasca ai medio-alti, che ovviamente hanno case di maggior valoredomenica 25 ottobre 2015
EXPO E CODE
Sto continuando a non andare
all’Expo.
Mi congratulo con il successo
organizzativo e l’imponente afflusso, nonché con la contestuale brillante
vivacità di Milano.
Tuttavia mi sembra che non sia
redimibile il peccato originale di sacrificare un chilometro quadrato di
residuo verde agricolo proprio per celebrare il tema della nutrizione del
pianeta.
Tema che risulta sia stato
affrontato ed approfondito anche correttamente in parte dei padiglioni e delle
manifestazioni connesse all’Expo (penso ad esempio all’iniziativa di Carlin
Petrini), ma che complessivamente ne esce sfuocato e slabbrato, sia per le
ambiguità e genericità della “Carta di Milano” (come ha puntualmente criticato
la Caritas), sia per il prevalente carattere di fiera&mercato della
manifestazione nel suo insieme.
D’altronde non mi commuove
l’insediamento seriale di una accozzaglia di capannoni variamente
personalizzati come esempio di urbanistica o di architettura per il futuro
delle città.
L’esperienza mi è sembrata invece
valida sotto il profilo della ”gestione grandi eventi”, ammesso che di grandi
eventi ci sia bisogno e concesso che comunque se ne faranno ancora (Expo,
Olimpiadi, Fiere, Giubilei).
In particolare mi ha colpito
l’enorme dimensione, disciplina ed efficienza delle code, sopportate da gran
parte dei visitatori per riuscite ad entrare (chi poi ci riesce) oltre che
nell’area Expo, anche nei padiglioni più prestigiosi.
Buon motivo di riflessione
antropologica: chi accetta le code mi appare assai diverso dagli automobilisti
sempre più nevrotici che incontro assai spesso, dalle piazze incazzate dei
servizi giornalistici televisivi, dall’anti-politica che sprizza dai sondaggi;
chissà se chi aspetta disciplinato il suo turno fuori dal padiglione Italia pensa
anche, come il compianto ministro Padoa Schioppa, che pagare le tasse sia
bello?
Le code sono un altro buon
motivo, per me, per continuare a non andare all’Expo.
Malgrado possano essere occasione
per interessanti indagini sociologiche.
Perché comunque non mi piace
stare in coda per ore (mentre sono tra quelli che pagherebbero volentieri
ancora la TASI).
SABOTAGGIO ?
Superato l’aspetto penale e
accantonata la difficile questione dei limiti alla libertà di espressione,
poiché Erri De Luca ha tirato in ballo, per difendersi lessicalmente, Mandela e
Ghandi, sul tema del “sabotaggio”, mi
permetterei di porre all’attenzione un problema di sostanza politica.
Mi pare di ricordare che per
Ghandi (da sempre) e per Mandela (da una sua svolta politica in poi) fosse
discriminante la non-violenza come necessario metodo di lotta, anche arrivando
al “sabotaggio” contro il potere avverso.
Non mi sembra invece che tale
discriminante sia considerata né da Erri De Luca (da sempre), né dalla parte
più combattiva del movimento NoTav.
Conservo qualche dubbio
sull’efficacia della non-violenza di fronte a poteri assolutistici quali il
Nazismo e l’odierno Califfato Islamico.
Ma se ha funzionato contro il
colonialismo inglese e contro l’apartheid sudafricana, dovrebbe a maggior
ragione essere applicabile nei confronti di “democrazie occidentali”, seppur dedite a grandi opere
ferroviarie invise a parte della popolazione di una valle (la stessa valle dove
tra l’altro si sta pacificamente concludendo il raddoppio di un traforo
autostradale).
martedì 13 ottobre 2015
QUALCOSA DI DESTRA
Quando rischio di dimenticarmi la
mia distanza dal renzismo, perché governo e maggioranza propongono cose di sinistra (ius soli, proposta di
ammortizzatori sociali europei) o almeno di centro (unioni civili, discreto
raddrizzamento della riforma costituzionale), Matteo Renzi arriva puntuale a
ricordarmelo, dicendo o facendo qualcosa di destra: dopo la ribadita abolizione
della TASI sulle prime case dei ricchi, l’innalzamento a 3.000 € del limite per
gli acquisti in contanti.
venerdì 18 settembre 2015
POLITICA-SPETTACOLO
1 - La politica-spettacolo non è una novità.
Soprattutto le tirannie degli
antichi regimi (e connesse religioni) e le moderne dittature hanno utilizzato
ampiamente sfarzo, imbonitura e propaganda per affiancare, al timore, il consenso
tra gli strumenti del potere (vero in parte pure per gli oppositori).
Ed anche le moderne democrazie
non hanno disdegnato di valorizzare ed esaltare elementi simbolici ed
irrazionali nella ricerca ed aggregazione del consenso; penso ad esempio a
Churchill, Roosevelt, De Gaulle, ma anche a personalità più austere e riservate
come De Gasperi o Togliatti.
Con l’avvento della televisione
(e poi di Internet) è stato ampiamente verificato e teorizzato lo strapotere
dei nuovi media nella formazione del consenso, elettorale e para-elettorale
(sondaggi) in regimi considerati democratici, dalle Americhe (del Nord e del
Sud) all’Estremo Oriente, passando anche per l’Europa, con Berlusconi tra i
paradigmi sommi.
Tuttavia la spregiudicatezza di
Renzi su questo fronte riesce ancora a stupirmi, soprattutto quando va oltre la
messinscena ed intacca la sostanza programmatica dell’azione di governo.
Mi riferisco ancora una volta
all’iper-annunciata abolizione della tassa sulla prima casa (TASI, già IMU ed
ICI), abolizione della cui iniquità ed inefficacia (come già ho scritto) sono
assai convinto, confortato dall’opinione di importanti commentatori ed autorità
indipendenti, o addirittura abbastanza filo-renziani, come l’industriale e
politico Riccardo Illy.
Qualche giorno addietro, al
convegno di Cernobbio, rispondendo alle sensate obiezioni di Illy, Renzi
avrebbe argomentato che la TASI va
abolita per come è percepita dai contribuenti e perché così la sua abolizione
creerà fiducia nella ripresa economica.
La percezione pertanto diviene
più importante della realtà, e la fiducia viene cercata – esplicitamente –
sulle emozioni e non sulle ragioni.
Ed il Governo, di fronte ad altre
valide alternativa, e comunque sempre in carenza di mezzi, si prepara a
togliere 5 miliardi – e responsabilità fiscali dirette - ai Comuni (quindi a
tutti i cittadini, compresi inquilini, sfrattati, senza casa) per regalarne 4
ai cittadini più ricchi e più propensi a consumi di lusso e ad investimenti
speculativi (senza benefici per il ciclo economico, come hanno dimostrato le
precedenti cancellazioni berlusconiane dell’IMU sulla prima casa); e torna a far dipendere gli enti locali dalle
elargizioni del governo centrale (con tasse pagate da tutti quelli che le
pagano, lavoratori dipendenti e pensionati in testa a tutti).
(Affossando nel contempo la
riforma del catasto, che avrebbe dovuto portare equità anche nella tassazione
di tutti i fabbricati, comprese le seconde e terze case).
Mi chiedo se il ruolo di un
leader (di una moderna sinistra europea) sia quello di correre dietro ai
pregiudizi, per avere voti e fiducia, oppure quello opposto di acquisire
fiducia perché dimostra, con la ragione, di avere giudizio.
2 – Spinto dalla tragedia dei
rifugiati e degli altri migranti in viaggio verso il cuore dell’Europa, ed in
parte anche grazie agli ambigui contenuti dell’EXPO sulla nutrizione del
pianeta, il tema del rapporto tra la ricchezza dell’Occidente e dell’Europa e
la povertà di troppi popoli degli altri mondi è tornato in qualche misura di
attualità, dopo anni di sostanziale eclissi, accentuata a seguito della crisi
che dal 2007 ha colpito anche del nostro mondo, soprattutto a danno dei meno
ricchi.
Eclissi che ha significato, per i
governi di centro-destra del ciclo berlusconiano, un drastico taglio degli
aiuti alla cooperazione internazionale, in spregio agli impegni assunti ed alla
faccia degli slogan anti-migranti “aiutiamoli a casa loro”.
E che ha significato, per le
forze del centro-sinistra, una sostanziale disattenzione, a parte forse Romano
Prodi (e Tabacci), come ho potuto più volte rilevare studiando e criticando le
mozioni ai vari congressi del PD, dopo Valter Veltroni ed i suoi iniziali
vagheggiamenti filo-africani (presto dimenticati da Veltroni stesso): argomento
totalmente assente nella mozione vittoriosa di Renzi (e – mi pare – più in
generale nelle retoriche della Leopolda), ma anche in quella di Civati, e solo
ritualmente richiamato in quelle di Cuperlo e di Pittella.
Quindi non posso che rallegrarmi
nel vedere riaffiorare una corposa corrente solidale nell’opinione pubblica
europea, anche se nasce dalle emozioni (anziché attraverso ragionate mozioni), e
posso addirittura apprezzare perfino il duetto mediatico tra Renzi e Bono Vox
contro la fame nel mondo.
Vedo però il rischio che ci si
fermi ad una momentanea politica-spettacolo (oppure alla valutazione sui
possibili interessi dell’Italia a posizionarsi bene commercialmente in
relazione ai frammenti più dinamici del continente africano), e che continui a
mancare, tra le forze politiche italiane ed europee(*) una riflessione profonda sui nessi tra la
prosperità (diseguale ed indebitata) dell’Occidente e la miseria dei popoli più
subordinati od emarginati nella globalizzazione, nonché tra tale groviglio di
contrapposizioni sociali e la crisi ecologica del pianeta, arrivando a mettere
in discussione il dogma della continua crescita del PIL.
Nessi che invece sono ben chiari,
pur in assenza di una alternativa complessiva e capace di egemonia, presso
singoli intellettuali e organizzazioni minoritarie, da Carlin Petrini a Serge
Latouche, alla galassia della sinistra; e mi sembra siano molto chiari anche
nella recente enciclica di papa Bergoglio (testo su cui mi riservo di tornare
analiticamente).
(*) basti pensare che tra i paesi
dell’est-Europa più contrari ai rifugiati e migranti vi sono Cekia e Slovacchia,
ai cui governi partecipano i locali partiti aderenti al PSE!
3 – Autocritica?
Trovandomi a criticare l’altrui
politica-spettacolo, mi viene da riflettere sull’esperienza di politica attiva
che in varia forma ho vissuto lungo il decennio 67-77, nei movimenti e nei
gruppi della sinistra di allora.
E devo ammettere che – dapprima
inconsapevolmente, facendo spettacolo dei nostri stessi bisogni esistenziali -
e poi più consapevolmente, inventando slogan, immagini, manifestazioni, in quei
movimenti ed in quei gruppi molto spesso abbiamo puntato sulle emozioni e non
solo sulle ragioni, o meglio sulle emozioni per promuovere le ragioni,
costruendo, con mezzi poveri e militanza capillare, con il contagio
dell’esempio tra simili, una macchina comunicativa poderosa, anche se infine
perdente o comunque storicamente sconfitta.
Mi sembra di ricordare, però, che
ci fosse tra noi l’attenzione ad un limite nella possibile demagogia, un
dibattito sulle rivendicazioni (che non tutte fossero comunque buone, anche se
avevano un potenziale seguito), e soprattutto un rifiuto della strumentalità e
della confusione tra i fini ed i mezzi: sia che si trattasse di opporsi a
talune mediazioni tipiche della sinistra tradizionale (svendendo le lotte per
posizioni di potere), sia di esibire o non esibire il disagio ed il dolore
delle persone in funzione della propaganda (il cinismo dei talk shaw televisivi
è venuto dopo e spero non da noi).
I miei ricordi sono corretti o
distorti da un’ansia senile di auto-assoluzione?
E certamente non è esistito più
di tanto un “noi” la storia di quel decennio deve essere analizzata studiando
correnti e frammenti, ben oltre lo
spazio di questo testo.
E poi, perché siamo stati
sconfitti? (innanzitutto dall’estremismo armato cresciuto al nostro fianco).
Perché il progetto era sbagliato (probabile) o anche perché eravamo troppo
sinceri?