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martedì 8 novembre 2016

PARTECIPAZIONE, PARTITI, MASSE

Nella contrapposizione politica, cristallizzata da un paio di anni, tra l’area governativa e le diverse opposizioni (cui si vanno aggiungendo in piccole rate vari frammenti della sinistra PD), mi sembra che un dato emergente sia la scarsa partecipazione dei cittadini, oltre che alle scadenze elettorali e referendarie, anche alle iniziative promosse dai vari partiti e movimenti.
Ne sono testimonianza recente la ridotta presenza dei militanti PD in Piazza del Popolo, il mancato convergere di popolo al presidio del M5S in piazza Montecitorio a sostegno del dimezzamento degli stipendi dei parlamentari ed ancor di più il mancato raggiungimento del quorum del 75% nella consultazione on-line certificata dello stesso M5S sulle modifiche del suo non-statuto.
Nei mesi precedenti, diversi soggetti hanno tentato la scalata alla soglia delle 500.000 firme su proposte referendarie; la soglia del Mezzo Milione è stata superata solo (ed  fatica) dal PD per la conferma della riforma costituzionale (sarebbe forse un bel boomerang, se il referendum non fosse già stato innescato dalla raccolta delle firme dei parlamentari di opposizione) e dalla grande CGIL, che ha raggiunto il milione di firme su 3 quesiti contro la riforma Renzi del lavoro (se mi è consentito, non molto per un sindacato che conta tuttora oltre 4 milioni di iscrizioni, tra cui la mia).
Non hanno invece superato la prova, tra 2015 e 2016:
-          la scheggia “Possibile”, uscita dal PD con Civati, che ha fallito su 8 quesiti riguardanti la legge elettorale “Italicum”, lavoro, scuola, ambiente e grandi opere;
-          il Comitato contro la “Buona Scuola” (CGIL, Cobas e altre sindacatini autonomi degli insegnanti, nonché associazioni di studenti e di genitori), che ha mancato il traguardo, seppur per poche firme su 4 quesiti specifici;
-          il Comitato contro la conferma della riforma costituzionale.
A tale smobilitazione delle masse, corrisponde però un iper-attivizzazione delle minoranze militanti, sia in manifestazioni medio-piccole, sia soprattutto sui social media, dove la speranza di affossare Renzi con il NO al referendum costituzionale ha un effetto di sovra-eccitazione, echeggiato, ai margini del Palazzo, da molti anziani politici già rottamati od in via di rottamazione; mentre il fronte del SI, pur raccogliendo variegate adesioni (tra cui gli inopinati “Sessantottini per il SI”, che hanno su di me un indubbio richiamo affettivo), sembra attivizzarsi nella sola persona di Renzi.
L’insieme di questi fenomeni, al di là della scadenza referendaria, il cui esito comunque influirà pesantemente anche su questo terreno (e la cui stessa celebrazione acuisce la lontananza di molti elettori dalla “politica”, data la complessità degli argomenti e la rissosità dei confronti), tende a mio avviso a rafforzare sul piano organizzativo i piccoli partiti alle ali estreme del paesaggio politico (Sinistra Italiana, Lega Nord) e ad approfondire  invece la crisi organizzativa dei due principali raccoglitori del consenso di massa, ovvero PD e M5S.
Il dibattito tra sordi alla Camera sugli stipendi dei parlamentari è stato in tal senso paradigmatico: il M5S incapace di uscire da una dimensione propagandistica, che non ha avuto il successo propagandistico sperato; il PD incapace di formulare una contro-proposta operativa immediata, a rischio di confermarsi come difensore dei privilegi della casta (forse perché - stando ai conti pubblicati ad esempio dalla Stampa - non sa rinunciare a 8 milioni annui di € dai contributi dei propri parlamentari, nel momento in cui con la nuova virtuosa norma del 2% dell’IRPEF ai partiti, riesce a raccogliere solo mezzo milione di €, e non sa più contare sulla generosità di iscritti e simpatizzanti).
Per cui, dietro alla mancata occasione per ricondurre gli emolumenti dei parlamentari ad equità e trasparenza (soprattutto riguardo ai rimborsi spese ed ai compensi dei portaborse precari), secondo me senza necessità di infierire con demagogiche mortificazioni (non concordo per nulla con la nostalgia per lo Statuto Albertino, con deputati a loro spese, ma necessariamente solo se già ricchi, che è comparsa in questi giorni su Facebook), è ricomparsa in realtà l’annosa questione del finanziamento ai partiti, confermata dalla cospicua entità dei rimborsi maturati da Di Maio ed altri aspiranti leaders del M5S, che hanno misurato sul campo quanto può costare semplicemente “fare politica” (cioè spostarsi sul territorio e organizzare confronti e convegni).
E, dietro al tema del finanziamento, ricompare il tema di fondo degli stessi partiti di massa:
-          che il M5S continua a negare, nascondendosi dietro le sembianze del movimento e le favole dei cittadini-uno-vale-uno, mentre è costretto a riconfermare una leadership a-priori (Grillo e Casaleggio, di padre in figlio) e si svela privo di una decente regolamentazione interna per la selezione dei quadri dirigenti e la risoluzione dei conflitti (come la sospensione o meno degli indagati e la espulsione o meno dei dissidenti), pienamente dimentico della famosa trasparenza-in-streaming;
-          che il PD trascina dietro alle ombre di gloria delle primarie, da un lato, e delle migliaia di iscritti nelle “sezioni”, dall’altro, mentre, trascinato dalla vigorosa leadership governativa e mediatica di Renzi, ha sprecato l’occasione del ricambio generazionale post non-vittoria del 2013 per rifondarsi su nuove basi (perché Renzi ha preferito imbarcare vecchie correnti e vecchi notabili); ora circolano al vertice timide proposte di ri-organizzazione, a cui sembra credere solo Fabrizio Barca (forte, ma in realtà debole, della sua sperimentazione di un partito nuovo in una ventina di circoli);
-          che difficilmente affronterà con successo Stefano Parisi, sul versante di un centro destra ragionevole, in un campo minato dalla uscente leadership aziendale di Berlusconi, dai fallimenti di Monti e di ogni altro centrista e dalla incombente concorrenza populista di Salvini,
-          che forse è irrisolvibile, un po’ in tutto il mondo, in questa fase storica di globalizzazione e “società liquida”, ma nella cui assenza si vedono consolidare ed estendersi prospettive ben peggiori, dai partiti personali ai meri comitati elettorali, dalla frantumazione delle rappresentanze alla crescente disaffezione dei cittadini verso il voto e le istituzioni.

E se intanto negli U.S.A. vincesse Trump…. 

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