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giovedì 4 febbraio 2021

UTOPIA21, GENNAIO 2021: “BIODIVERCITY” DI ELENA GRANATA

 

Un vivace racconto su esperienze, positive e meno positive, di città e territori alle prese con la sostenibilità ambientale.

 

“Biodivercity”1 di Elena Granata, architetto e docente del Politecnico di Milano, è una rapida cavalcata su numerosi temi della transizione verso la sostenibilità urbana.

 

Abbastanza spiazzante, per un pubblico ecologista (avvezzo al racconto di romantici o sofferti eremitaggi, vedi ad esempio Maurizio Pallante2), mi sembra il capitolo introduttivo, che – sulla scorta dell’esperienza personale – tesse l’elogio del vivere urbano (ed in particolare milanese), pur non tacendone le difficoltà, ma esaltandone le opportunità (incluse quelle cui poi il cittadino medio non accede, però potrebbe accedervi, con “quella febbrile eccitazione”).

 

Si apre quindi la rassegna (più di esempi positivi che di casi negativi), dal parco “High Line” di New York (recupero “verde” di una ferrovia urbana sopraelevata), ai sistemi innovativi di trasporto pubblico a Medellin e Bogotà, da “un asilo rumoroso e senza muri a Tokio” al tentativo di integrazione socio-economica dei migranti a Riace (prima di Salvini), - e diversi altri casi - privilegiando spesso le soluzioni ‘diagonali’, da punti di vista inediti e geniali, la ‘mossa del cavallo’ (il che mi fa pensare che la ‘cavalcata’ avvenga in groppa ad un cavallo degli scacchi); e censurando invece gli approcci “problem solving”, quando non rimettono in discussione le stesse premesse delle questioni in esame.

 

L’Autrice mette spesso in evidenza quanto le impostazioni tradizionali, con pretesa di onnicomprensività razionale, lascino scoperti fronti contradditori, evidenziati invece da movimenti di cittadini oppure da isolati ricercatori alternativi, dai progetti di dighe idroelettriche in India alla ricostruzione post-tsunami nel sud del Cile (a Constitucion l’alternativa in campo era tra un’alta diga litoranea e lo svuotamento dei piani terra, lasciandoli allagabili, mentre il sopravvenuto architetto Aravena convinse a impiantare una inedita foresta costiera – resta ancora  però da vedere, forse, quanto reggerà alle mareggiate - ).

 

Ma a mio avviso dimentica di esercitare analogo spirito critico quando la soluzione le appare brillante, come nei casi del Bosco Verticale di Stefano Boeri a Milano-Garibaldi [1] oppure di un prosciuttificio semi-ipogeo scavato nelle pendici boscose dei Monti Sibillini (le cui contro-indicazioni a me sembrano evidenti), ma anche per l’High Line di New York (che taluni commentatori vedono anche come uno strumento di ‘gentrification’ ed espulsione di ceti popolari dal quartiere) oppure per Medellin e Bogotà, perché mi sembrerebbe da approfondire la certezza di un rapporto causa-effetto tra modernizzazione dei trasporti e calo drastico degli omicidi, in una situazione storica di esaurimento fisiologico della guerra ‘civile’.   

 

Attraverso la scacchiera della casistica, l’Autrice delinea anche altri ragionamenti di ampio respiro (oltre a quelli del ‘sapere diagonale’), in parte per me condivisibili, tra i quali:

-       l’ipotesi che il discorso ecologista fatichi – soprattutto in Italia – perché indica “obiettivi astratti e lontani”, che non suscitano “emozione e coinvolgimento”….spesso “spaventa le persone e insieme le confina in una bolla” di sostanziale impotenza operativa; anche se la soluzione proposta da Granata è quella di abbandonare ”l’idea di dare risposte … di controllare ogni cosa” perché “consapevolezza e azione sono più facili di quanto immaginiamo” (e qui francamente faccio fatica a seguirla);

-       il disagio verso le certezze ecologiche parziali, come le auto elettriche, in quanto “altrettanto ingombranti, quindi socialmente non sostenibili” 3;

-       il dubbio che la ricostruzione dopo i terremoti non debba avvenire  “com’era e dov’era”  (ma si spinge a mio avviso troppo lontano dal sentire delle popolazioni 4, suggerendo largo impiego di legno acciaio e vetro);

-       il sospetto che la “Smart city”, nel generare “l’aspettativa di un accesso socialmente livellato alle reti tecnologiche…” tuttavia non sappia “davvero misurarsi con le crescenti differenze tra territori e soggetti abilitati o meno a usufruire di tali tecnologie (digital divide) 5”;

-       la convinzione che le grandi città – pur essendo ‘generatori di insostenibilità’ – connettendosi tra loro in rete possano divenire, più dei rispettivi Stati nazionali,  “parte della soluzione” dei problemi ambientali (mentre a mio avviso questa visione è un po’ superata da quando l’Europa ha iniziato a fare sul serio, a livello inter-statale e sovra-nazionale; senza dimenticare il ruolo dello Stato Cinese – magari pro-carbone a breve termine, ma ben piazzato strategicamente su tutte le tecnologie ‘verdi’ – ed il possibile ritorno ad un positivo intervento degli U.S.A. se – come sembra – ‘de-Trumpizzati’, oltre alle azioni che hanno continuato a svolgere i singoli Stati di tale Federazione).

 

Concludendo questa mia succinta recensione, consiglio la lettura di “Biodivercity”, perchè vivace e stimolante: stimolante anche per dissentirne, come in parte ho sopra esplicitato, mentre per altri temi rimando ad alcuni precedenti scritti, divergenti oppure convergenti 3,4,5. 

 

aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

1.    Elena Granata – BIODIVERCITY: CITTÀ APERTE, CREATIVE E SOSTENIBILI CHE CAMBIANO IL MONDO – SlowFood Editore, Bra 2019

2.    Maurizio Pallante – LA DECRESCITA FELICE – G.E.I., Roma 2004

3.    Aldo Vecchi - CONVERSAZIONI SU CITTA’ E MOBILITA’ – su UTOPIA21, maggio 2020 – https://drive.google.com/file/d/1HPuVb7fab3kIdkiAw5rPbSgUj6JG4sAV/view.

4.    Aldo Vecchi - CASA ITALIA? – su UTOPIA21, ottobre 2016 - www.universauser.it/articoli-recenti/ottobre-2016/casaitalia.htm

Aldo Vecchi - IL DIBATTITO SULLA CRESCITA E SULLA SOSTENIBILITA’ DEI FENOMENI URBANI E METROPOLITANI (1^ PARTE) – pubblicato su UTOPIA21 del maggio 2017 -


[1] Qui per Granata appare positiva la delega assoluta della manutenzione ad addetti specializzati, “giardinieri volanti”, escludendo gli utenti da un rapporto attivo con i balconi piantumati. Anzi, il “green” crea occupazione. Negativa è invece – oltre all’intero progetto MOSE per la laguna di Venezia - anche la costruzione di “condomini” per far abitare i 300 addetti alla manutenzione (a proposito di Mose comprendo e condivido le critiche dell’Autrice, ma non ho capito – dal suo testo – la soluzione alternativa: solo restringere il canale petrolifero? Ma i vasi lagunari non sono comunicanti? l’onda di piena non arriverebbe due ore dopo, ma uguale?)

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