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giovedì 28 agosto 2014

LA CITTA' NECESSARIA DI GRAZIELLA TONON

Con “LA CITTA’ NECESSARIA”  (Mimesis/architettura Milano/Udine 2013, pagg. 114, € 12,00) l’architetto prof. (e poetessa) Graziella Tonon riprende ed ampia i temi di  testi suoi e di Giancarlo Consonni (anch’egli architetto, prof. e poeta) già da me considerati al paragrafo 17 “Urbanistica e architettura-Architettura della Città” del mio saggio sulla sostenibilità urbana (pag. 3 di questo blog).

Il libro è articolato “a sandwich” in 3 parti, quelle iniziale e finale dedicate ad analisi e proposte in generale sulla degenerazione del territorio e del paesaggio metropolitano, soprattutto in Italia, mentre una lunga parte centrale è costituita da un racconto molto puntuale, ma non pedissequo, sulla complicità degli architetti e urbanisti, dei diversi indirizzi culturali (razionalisti, novecentisti), nella distruzione dei tessuti urbani milanesi pre-moderni sia negli anni ’20-30 (sventramenti del piano Albertini, ai tempi del “piccone demolitore” e fascista) sia nel dopoguerra (distruzioni belliche e modalità di ricostruzione).
Seguendo la narrazione stupisce che con una intellettualità, anche progressista (tra cui – da giovane - anche il maestro Piero Bottoni, successivamente pentito) così schierata in favore dell’automobile e degli spazi ad essa dovuti (al punto di immaginare autostrade sotterranee in luogo della metropolitana e lo smantellamento dei tram), il Comune di Milano, in anni saldamente democristiani, sia riuscito invece a costruire un decente embrione di servizio metropolitano, integrato con la permanenza di gran parte della rete tramviaria pregressa.  

Nelle parti più generali, l’Autrice contrappone ai teorici contemporanei della “bellezza del caos anti-urbano” una serie di corposi argomenti, fondati appunto sulla dimensione del corpo umano e sul benessere della “mente”, negando che l’architettura e l’urbanistica possano essere gestite come “produzione di oggetti artistici” (analogamente a pittura e/o scultura) e tanto meno come occasioni per rappresentare e celebrare il disordine della modernità (assecondando nel frattempo tutti i più banali appetiti della speculazione fondiaria).
Richiamando l’armonia della città antica (ed anche di quella ottocentesca) ed in particolare la sapiente costruzione e/o progettazione degli spazi vuoti tra i fabbricati (cortili, strade, piazze) come “interni urbani”, luoghi di vita e interazione sociale, Graziella Tonon, oltre  criticare con veemenza le odierne periferie metropolitane, propone all’attenzione di architetti e urbanisti la necessità di re-inventare nuovi spazi urbani vivibili, mediante un approccio “olistico”, che superi la separazione (teorica e pratica) tra l’architettura e l’urbanistica e tra una ragione astratta (che isola le singole funzioni) e la concretezza della vita, che è mente e corpo (e poesia).

Condividendo in gran parte queste posizioni, innanzitutto per quanto riguarda la formazione dei progettisti, ne individuo però i limiti – per quanto espresso in questo volume - nella mancanza di una proiezione sociologica ed antropologica, cioè nel cercare di capire perché in questa società (anche oltre le patologie specifiche italiane) le città crescano in questo modo, con un sostanziale consenso, almeno iniziale, di gran parte degli utenti (in quanto cittadini/elettori ed in quanto consumatori/acquirenti sia dei prodotti edilizi sia delle merci e dei servizi spacciati, ad esempio, nei centri commerciali o nelle multi-sale o in altri divertimentifici artificiali); e quindi come questa giusta battaglia culturale debba intrecciarsi con altre battaglie politiche, socio-economiche e culturali, con quali forze e con quali soggetti attivi.
In assenza di questa ricerca, anche lo sforzo progettuale più comprensivo della molteplicità degli aspetti umani da riconnettere nella città rischia di essere troppo soggettivo ed autoreferenziale.

Un breve commento specifico vorrei riservarlo alla gradevole leggibilità del testo, ancorché irto di citazioni e di contenute note (lodevolmente a piè di pagina), grazie ad uno stile letterario alto ma non impervio.


A proposito di citazioni, ho cercato di unire, come sulla settimana enigmistica, i puntini da 1 a N dei “rimandi con favore” (es. Ceronetti, Baudrillard, Mumford, Galimberti, Arturo Martini, Heidegger, Tessenow, Foucault, Huizinga, Nietzche) per cogliere un pensiero di riferimento, che andasse oltre la ricchezza del retroterra culturale ed umano dell’Autrice, ma non mi è sembrato di cogliere nessuna figura generale (né filosofica, né socio-politica): il che rende a mio avviso più ambiziosa, ma più fragile, la costruzione intellettuale di Graziella Tonon.

TEMPI DURI PER IL PACIFISMO

Tempi duri per il pacifismo, anche se resta valido in campo, ove riesce ad essere presente, il pacifismo pratico e militante di Emergency, dei Medici Senza Frontiere e di altri encomiabili volontari, che mostrano il volto migliore dell’Occidente (ma i popoli oppressi non dimenticano per questo le ingiustizie del dominio coloniale europeo, rinnovato negli ultimi decenni dai soprusi del capitalismo globale e neo-coloniale).

Oltre 10 anni fa, contro la decisione anglo-americana di attaccare militarmente il regime di Saddam Hussein, si era formato nel mondo un vasto schieramento di opinione pubblica, intrecciato con la posizione cauta e saggia di alcuni governi europei e del Vaticano, ed era sembrato che potesse influire sugli sviluppi diplomatici ed impedire l’inizio della guerra.
Quel movimento  aveva molte ragioni, come la storia ha poi dimostrato (anche agli elettori USA, che hanno poi scelto Obama), sia riguardo alle menzogne sulle armi di distruzioni di massa (che per fortuna l’Irak non possedeva), sia riguardo agli esiti disastrosi della guerra, non solo in numero di irakeni morti e feriti, ma anche per gli effetti di de-stabilizzazione dei precari equilibri etnici e religiosi della regione mesopotamica e di moltiplicazione (e non estinzione) dei focolai di rivolta jihadista, sia in loco sia altrove (Africa, Europa).
Parimenti poco efficace e molto coloniale la spedizione in Afghanistan, con una ambigua copertura dell’ONU (ed una ancor più ambigua partecipazione italiana forzando l’interpretazione dell’art. 11 della Costituzione).
In generale gli USA e l’Occidente, ossessionati dal rischio del formarsi di “Stati-canaglia” (salvo comportarsi come canaglie essi stessi, da Mossadeq al Vietnam, dal Cile al Nicaragua e dintorni), hanno finito per favorirne l’insediamento; il che è ambivalente, perché da un lato rafforza lo spirito e la logistica delle rivolte, ma d’altro lato le rende più facile bersaglio (rispetto alle guerriglie) ed inoltre è anche un modo perché gli estremismi si stemperino nel confronto con la pratica quotidiana del governo e della ricerca del consenso (vedi ad esempio Iran e lo stesso Vietnam).   
(Disgustoso inoltre, ma anche poco “producente” se non di vendette e spirito di rivalsa, l’assassinio di Bin Laden ordinato dal premio Nobel per la Pace Obama, in luogo di una sua cattura per sottoporlo ad un processo equo al tribunale dell’Aia).

Tra le vittime dirette della guerra voluta da Bush e Blair (con l’appoggio anche di Aznar, Berlusconi, ed altri), però, oltre a Saddam ed alla sua dittatura, bisogna contare anche lo stesso pacifismo, inteso come movimento politico; per vincere, nel 2003, avrebbe dovuto rafforzarsi al punto da influire a fondo sull’opinione pubblica di USA e Gran Bretagna, i regimi democratici più antichi, ma anche tra i più intrisi di classismo, razzismo e militarismo; così non è stato, e nel successivo decennio le nostre bandiere della pace si sono consunte e risulta molto difficile risollevarle per influire sulle sorti dell’umanità.
In particolare, nei conflitti in corso, le mozioni pacifiste non possono trovare alcun ascolto diretto presso aggressori del tipo ISIS ed altri aspiranti Califfati (ma nemmeno tra le fazioni ucraine), né  hanno alcuna efficacia verso i governi occidentali, già indecisi sul da farsi, e certo più propensi ad azioni militari limitate (bombardamenti e incursioni di commandos) o indirette (armare i Curdi, come in precedenza si armarono i talebani contro l’URSS e Saddam contro Khomeini, ed in realtà anche contro gli stessi Curdi…), che non a sperimentare difficili operazioni di “polizia internazionale” come l’ONU riuscì in passato a svolgere, con truppe di terra ad armamento leggero (e non senza clamorosi insuccessi come a Srebrenica).


Personalmente resto affezionato ai miei ideali pacifisti (che cercai anche  di “mediare” con la diffusa aggressività nei movimenti post-68), ma mi duole constatare che la non-violenza segnala nella storia poche vittorie, oltre a quelle grandiose di Gandhi, di Mandela e di Havel&C (tacendo però sui loro eredi politici), avvenute in specifiche condizioni  di territori occupati da potenze ed oligarchie forse ormai “stanche”, e mancano sperimentazioni vincenti di resistenza disarmata ad aggressioni militari “totalizzanti” (ad esempio, limitandosi al ‘900, Hitler e nel suo piccolo Mussolini, i Giapponesi in Cina, la Cina in Tibet, Mladic&C, ecc.), quali sembrano essere gli attuali “Califfati”.

martedì 19 agosto 2014

C’E’ LA RECESSIONE: A CHE PENSA LUCA RICOLFI?

Nel dibattito estivo sull’economia, di cui ho recentemente scritto, mi è rimasto impresso però Luca Ricolfi, sulla Stampa del 7 agosto, che – accusando gli altri commentatori  di ribadire ricette pregresse (compreso il collega Mario Deaglio, che ripeteva la tesi della “crisi di fiducia”) -  ed astenendosi dal reiterare anch’egli la sua, espressa poche settimane prima, e cioè che sarebbe stato necessario usare le risorse degli “80 euro” per abbattere l’IRAP a favore delle imprese (e dimenticando anche, del che lo ringraziamo, di riaffermare che lui è di sinistra; o forse non si dichiara più tale, del che lo ringrazieremmo ancor di più), ha invece spiegato che tra le principali ragioni della crisi ci starebbe il ripristino delle tassazioni sulla casa (governi Monti e Letta), un’operazione che sarebbe disastrosa perché, a fronte di un gettito di 15.000 miliardi, avrebbe determinato una frana dell’ordine del migliaio di miliardi nell’edilizia e nel valore patrimoniale degli immobili, rovinando le famiglie, che non riescono a vendere case e perdono convenienza ad affittarle.

Anche se ho già approfondito in passato questi ragionamenti, torno a confutare tale posizione, squisitamente berlusconiana ed a mio avviso non solo per questo totalmente infondata.
Innanzitutto perché la famiglie veramente rovinate sono quelle che – per carenza di reddito – in questa fase di crisi subiscono sfratti da case in affitto oppure da case di cui non riescono più a sostenere le rate di mutuo; e peggio ancora quelle che una casa decente non l’hanno mai avuta o i giovani che  non riescono a procurarsela (e tutto ciò non dipende né dalla TASI né dalla TARI).
In secondo luogo perchè la tassazione patrimoniale sulle seconde case è in vigore, con poche variazioni, dal lontano 1992, affiancata da una tassazione più variata sulle prime  case, sospesa solo dal 2008 al 2011 e nel 2013: in questo lungo tempo si è assistito ad un grande ciclo espansivo immobiliare (1997-2005), mentre nei periodi di maggior de-tassazione non si è verificata nessuna ripresa (nemmeno drogata dalle “semplificazioni” del piano-casa); ed è stata probabilmente l’eccessiva bolla speculativa degli anni precedenti ad accentuare la crisi successiva al 2006, intrecciata con le note cause internazionali della depressione (a ben guardare anche in America influenzata all’origine dall’eccesso di produzione e mutui per l’edilizia residenziale).

Inoltre, il nocciolo della questione è come una tassa dell’ordine dell’1% annuo sul valore catastale possa scardinare un mercato che si fonda, quando funziona in termini di redditi e credito, su uno dei bisogni primari delle famiglie, sia per quanto riguarda la prima-casa in proprietà, sia sugli alloggi in affitto da terzi proprietari, i sui rendimenti sono certamente superiori al 3% annuo del valore  patrimoniale effettivo (a sua volta superiore al valore catastale), e quindi sono penalizzati solo parzialmente dalla suddetta tassazione patrimoniale, pur sommata all’IRPEF (attenuabile al 21% con la cedolare secca, ed ancor meno con i canoni concordati).
Per quanto riguarda le seconde case (il cui declino a mio avviso non è da rimpiangere troppo, se si ha a cuore anche la tutela del suolo e del paesaggio), mi pare ben più grave l’influsso negativo dell’imposta di registro, che grava da sempre per il 10% circa del valore delle transazioni (scoraggiando le compra-vendite) rispettoall’1% max annuo di TASI (o ISI o ICI o IMU), che invece stimola dal 1992 all’uso oppure alla cessione del bene (se inutilizzato).

Se dipendesse da me anzi innalzerei l’imposizione patrimoniale per finanziare una forte riduzione dell’imposta di registro, applicando questa solo al maggior valore acquisito nel tempo (se breve), anziché al valore totale del bene venduto (facilitando quindi la fluidità del mercato e penalizzando solo la speculazione).

ITALIA-GERMANIA -0,2 A -0,2

Il dibattito estivo sull’economia, ora concentrato sul pareggio tra Italia e Germania a -0,2% di PIL, si era in precedenza attivato sui soli casi nostrani, facendo emergere malumori verso il finora laudatissimo premier Renzi e portando i più a ribadire le precedenti ricette di ciascuno, dalle destre che vogliono abolire l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ai neo-Keinesiani che vogliono meno austerità, con in mezzo i centristi governativi che si arrabattano in equilibrismi per coniugare crescita e rigore.
(Non conto Grillo, che vuole di nuovo tornare alla lira, ma almeno ci risparmia l’esempio virtuoso dell’Argentina, e nemmeno Salvini, che ripropone l’aliquota fiscale unica al 20% su tutti i redditi, ma la presenta come astuta mossa contro i ricchi per “costringerli” a pagare molto meno di prima).
Più originali, perché di salda matrice padronale, la ministra Guidi e l’imprenditore Bombassei, che hanno promesso/rivendicato una “politica industriale”, il che dovrebbe tradursi in un ragionamento sul ruolo produttivo dell’Italia e conseguenti scelte di priorità nelle incentivazioni ecc.: tale tema – probabilmente declinato in modo diverso - era finora era circoscritto alla sinistra ed ai sindacati, mentre da destra si confidava abitualmente nelle capacità automatiche del mercato e del sistema delle imprese.
Una riflessione ancora più profonda sulla direzione in cui muoversi (non solo per l’Italia, e non solo per l’Europa) emerge dai dubbi espressi da altri, tra cui Gad Lerner e Michele Serra, che si chiedono se è così giusto e possibile insistere a cercare la crescita, oppure se è venuto il momento di accettare come ineluttabile l’orizzonte della stagnazione e cercare di conviverci al meglio, con l’obiettivo di conseguire meno infelicità per tutti (e probabilmente anche una miglior salute del pianeta Terra).

Purtroppo su questa opzione (su cui convergono i miei sentimenti), manca una elaborazione programmatica credibile, politica ed economica, che faccia da ponte tra la sensibilità di alcuni opinionisti illuminati e l’estremismo della “decrescita felice” di Latouche o di Pallante (vedi post e pagina 2, par. 6, di questo blog).   

lunedì 18 agosto 2014

ALL’OMBRA DI LADY ASHTON

Nelle tragedie che assillano l’umanità in questo 2014, non troppo lontano dall’Europa, come Ebola Ucraina Gaza Siria Iraq (più qualche guerra africana dimenticata ed il continuo sfascio di interi paesi come Libia e Somalia), mentre conserva un ruolo la potenza americana (a suo modo ed oscillando, ma senza perdere il vizio prevalente di bombardare, con il risultato finale di vedere moltiplicati i “Califfati” che voleva estinguere sul nascere in Afghanistan molti anni fa), e acquistano spazio potenze regionali dal curriculum discutibile, come l’Iran, l’Arabia Saudita e l’Egitto di Al Sisi (macellatore del regime dei fratelli Musulmani, regolarmente eletto dopo le rivolte dell’altra primavera) risulta sostanzialmente scomparso l’ONU, che nel secolo scorso qualcosa ancora contava per la pace e la convivenza e sopravvivenza dei popoli.
Cosa fa l’Europa, compreso il suo presidente di turno Matteo Renzi e la candidata-ombra a succedere all’ombra di Lady Ashton, Mogherini-chi?
Mi sembra poco o quasi nulla (armare i Curdi?).
Sto apprezzando invece la posizione problematica, ma non filo-americana, di papa Francesco.

(Quanto ai suggerimenti emersi dal M5S – se è il caso di dedicare tempo al pensiero dell’On. Di Battista – e cioè di trattare anche con i terroristi, invece di demonizzarli, penso che in astratto possano venire utili in qualche caso; ma ci vuole un presupposto, ovvero che i nemici, più o meno terroristi, abbiano a loro volta intenzione di trattare, anziché – mi riferisco all’ISIS - proclamare la Guerra Santa e applicarla a minoranze etnico-religiose inermi: il che mi pare più vicino al genocidio che al terrorismo). 

domenica 10 agosto 2014

HABEMUS REFORMATIONEM?

Il grande successo politico parlamentare di Renzi (e Berlusconi) relativo alla riforma costituzionale, approvata in prima lettura al Senato, disattende le speranze di miglioramento che avevo ottimisticamente (o ingenuamente) espresso un mese fa.
La maggioranza ha preferito puntare sulla prova muscolare della propria compattezza (e le opposizioni hanno finito per  dedicarsi all’isteria, gridando ad inesistenti “golpe”), mentre non è emersa nessuna figura capace di effettivo ascolto e mediazione, almeno verso i dissidenti interni alla maggioranza (e verso figure indipendenti  e prestigiose, come ad esempio la Senatrice prof. Elena Cattaneo).

Così, ammesso e non concesso che siano corrette, oltre alla fine del bicameralismo “perfetto”, le scelte del Senato non-elettivo e del doppio incarico per i rappresentanti locali designati al Sento, restano palesi due grossi buchi, assai poco spiegabili anche in termini di comunicazione propagandistica:
-      -    La mancanza di garanzie per le minoranze parlamentari nelle procedure di elezione del Presidente della Repubblica, del Consiglio Superiore della Magistratura e del la Corte Costituzionale (buco derivante dal mal-combinato disposto con la nascente legge elettorale “Italicum” e già insito nel precedente Porcellum ed in parte anche nel Mattarellum)
-         - La intangibilità del numero dei deputati e del connesso stipendio.

Facendo una ricerca oggi su Internet, non ho invece reperito (nemmeno sul sito del Senato) un testo sinottico e chiaro, necessario per capire temi particolari ed importanti, come quello dei referendum (ora anche propositivi e però – se abrogativi – solo applicabili a leggi intiere) e sulle leggi di iniziativa popolare, temi introdotti dal Senato, poco spiegati e poco commentati sugli organi di stampa: mi riservo quindi di tornarci in seguito.

Infine se ne vanno, poco rimpiante, Province e CNEL; pure se ambedue le soppressioni nutro qualche dubbio:
-          per le Province, perché nelle regioni più grandi è troppa la sproporzione e la distanza rispetto ai piccoli comuni;

-          per il CNEL (che probabilmente così non funzionava e non serviva a molto), perché oltre ad essere caricatura delle Corporazioni (o dei Soviet), era però un segnale di non-autosufficienza della politica: il modello Renziano è che il cittadino-elettore vota ogni 5 anni e attorno a questo esaurisce la sua spinta rappresentativa, mentre a mio avviso la società contemporanea è più complessa e diverse sono le dimensioni delle persone e dei loro raggruppamenti, di cui tener conto nel governo della società, in modi che possono variare, ma che le istituzioni dovrebbero riflettere (ben oltre i 5 nuovi senatori di nomina presidenziale).                    

SENATELLUM: LIBERE ELUCUBRAZIONI COSTITUZIONALI DI UN ELETTORE CURIOSO 11-07-14

La bozza di riforma costituzionale che approderà la prossima settimana alle votazioni dell’Aula del Senato presenta a mio avviso rilevanti contraddizioni sui versanti della rappresentatività e delle garanzie per le minoranze (ipotizzandola combinata con il sistema elettorale “Italicum” per la Camera dei Deputati, come la Camera stessa l’ha votato).

Tali contraddizioni risultano attenuate, ma anche evidenziate, dal corso del dibattito in Commissione e nello sviluppo degli emendamenti introdotti:
1 - Proporzionalità dei senatori espressi dai consigli regionali ai voti espressi nelle elezioni regionali: tale scelta corregge in parte le distorsioni maggioritarie incluse nelle precedenti versioni (anche se con una media di 5 consiglieri/senatori per regione risulterà comunque quasi impossibile rappresentare formazioni politiche con un peso inferiore al 15%, e anche peggio nelle regioni meno popolose), ma sottolinea tale proporzionalità come eccezione a fianco di una Camera fortemente maggioritaria (senza che questo orientamento maggioritario assuma dignità costituzionale, con l’onere quindi di sostanziali contrappesi)
2 - Allungamento del numero di votazioni con maggioranza qualificata per l’elezione del Presidente della Repubblica: questa innovazione ufficializza ma non dissolve le preoccupazioni per lo strapotere delle “maggioranze maggioritarie” della futura Camera, che potranno essere espresse da poco più di un terzo degli elettori votanti, e nomineranno di fatto non solo il Presidente della Repubblica (basterà aspettare la --- votazione), ma anche quota parte del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale.


Augurandomi che – in questo clima renzianamente ottimistico - l’Aula migliori ancora il testo e soprattutto che si apra una riflessione seria sull’Italicum, anche con il difficile dialogo tra PD e M5S (e con il possibile conseguente ridimensionamento dei condizionamenti imposti da Berlusconi), vorrei segnalare una proposta alternativa, che risolverebbe radicalmente i problemi di equilibrio nella nomina dei suddetti Organi di Garanzia, e cioè prevedere che all’interno della Camera dei Deputati (anche con meccanismi automatici di sorteggio e rotazioni), venga selezionato un corpo ristretto di “grandi elettori”, un centinaio, proporzionali ai voti raccolti al primo turno e non ai seggi assegnati, a cui sia riservato, affiancandoli ai senatori, il potere di eleggere i suddetti Organi di Suprema Garanzia (a questo punto anche con rapidi ballottaggi dopo le prime votazioni, anziché con estenuanti conclavi).

In tutto questo fervore di riforme, si potrebbe forse “cambiare verso” anche alla Camera, che fin qui risulta intoccabile, ad esempio riguardo al numero dei Deputati? (nonché ai loro privilegi e stipendi: quest’ultimo non è mai stato un tema che mi affascina, ma dovrebbe interessare Renzi ed il suo legame amoroso con la pubblica opinione).

Riguardo al Senato elettivo/non-elettivo, l’elezione di 2° grado non mi sembra in se inaccettabile (la valutazione complessiva dipende molto dalla contestuale “democraticità” o meno del sistema elettorale per la Camera), mentre – come ho già accennato – mi preoccupa molto di più il cumulo di cariche dei consiglieri/senatori, che da un lato può risultare oggettivamente insostenibile (per sovrapposizione di calendari ed impegni) e quindi inefficiente, dall’altro rappresenta comunque una opzione di carattere “superman” e direi maschilista, per la difficile sostenibilità soggettiva nello svolgere il doppio mandato, a Roma ed in Regione; ferma restando, per non spiacere alle ferree maggioranze renziane, l’elezione indiretta, i consiglieri regionali scelti per il Senato potrebbero divenire “onorari” in Regione e lasciare i seggi ai successivi candidati più votati, con un modesto aumento del numero di stipendi “politici”, compensabile riducendoli tutti in proporzione.

venerdì 8 agosto 2014

LE ALBERE DI RENZO PIANO ED I NUOVI MUSEI DI TRENTO E ROVERETO

Qualche mese addietro, recensendo il volume “CITTA’ SOSTENIBILI”, a cura di Domenico Cecchini  e Giordana Castelli (Gangemi editore 2013), lamentavo la mancanza di “più ampie esplorazioni su realizzazioni e progetti in Italia: mi incuriosirebbe capire quale sia il risultato complessivo del quartiere Albere (ex-Michelin) progettato a Trento da Renzo Piano (dove pare che classe A sia indicativo anche di una selezione sociale verso l’alto, determinata dai prezzi elevati)”.
In questa piovosa estate, avendo avuto occasione di visitare come turista il MUSE (Museo delle Scienze di Trento), opera di Renzo Piano inclusa nel suddetto quartiere, ho dato un’occhiata all’intero insediamento e ne ho tratto qualche considerazione, senza pretesa di scientificità.
Premetto e do per scontati i valori positivi dell’operazione, come risulta dai dati ufficiali, riguardo:
-          al recupero di un’area industriale dismessa (Michelin), che apportava posti di lavoro al territorio, ma lo ingombrava  (e inquinava?) in una fascia delicata, presso l’argine sinistro dell’Adige, soffocando la residenza principesca cinquecentesca delle Albere,
-          alla densità relativamente elevata dell’intervento (quasi 1 mq/mq come densità territoriale, più del doppio come densità fondiaria, data la presenza di un parco di 50.000 m2 oltre al Museo ed altri spazi pubblici), che contribuisce quindi  potenzialmente al risparmio nel consumo di suolo, pur conferendo elevati standard di verde e di attrezzature pubbliche,
-          alla integrazione (potenziale) tra destinazioni d’uso compatibili, residenza, uffici e negozi, un albergo ed attrezzature pubbliche di rilievo: oltre al MUSE un centro congressi, che - ancora in costruzione - viene trasformato in biblioteca universitaria (pur lontana dalle facoltà),
-          alla virtuosità tecnologica ed energetica degli edifici (livello B di Casaclima, con fotovoltaico, geotermico, trigenerazione ed ovviamente cospicue coibentazioni).

I NUMERI DELL’INSEDIAMENTO:
SUPERFICIE TERRITORIALE M2 97.640 DI CUI SPAZI PUBBLICI 70% (PARCO 51.000 M2)
SUPERFICIE LORDA DI PAVIMENTO: TOTALE 97.640 M2, DI CUI:
-           RESIDENZA 43.900 M2
-           DIREZIONALE 23.940 M2
-           COMMERCIO 10.500 M2
-           ALBERGO 4.700 M2
-           MUSE 11.700 M2
-           CENTRO CONGRESSI/BIBLIOTECA 2.900 M2

Confermo inoltre quanto è abbastanza noto riguardo al MUSE, e cioè l’assoluto successo di pubblico nel suo primo anno di apertura, superato da poche settimane, successo da me constatato sia in termini quantitativi, per la lunga coda all’ingresso in un pomeriggio feriale, sia in termini qualitativi, per l’evidente entusiasmo soprattutto da parte di bambini e genitori a fronte delle istallazioni interattive e delle sezioni più spettacolari del percorso espositivo.
Personalmente ho qualche dubbio sulla effettiva efficacia comunicativa e didattica dell’insieme, per visitatori non accompagnati da insegnanti ed esperti, perché c’è forse troppo e di tutto un po’, ed alquanto compresso negli spazi: però ben venga (finalmente anche in Italia) la capacità di suscitare entusiasmo anziché noia in un museo; ed anche attraverso un grande impiago di calchi, copie e immagini, abbandonando il culto ossessivo del reperto originale.
(Il video che più mi è piaciuto è stata una ricostruzione in vista aerea delle trasformazioni del territorio trentino, dalle ere geologiche a quelle urbanistiche, con interpolate anche le foto delle incursioni e distruzioni belliche e delle alluvioni del ‘900).
Come architettura il MUSE mi è sembrato affascinante e funzionale da dentro (con qualche dubbio su raffrescamento e aerazione nei piani alti quando splende il sole e c’è molta affluenza; l’ho provato con cielo coperto in giorno feriale, e il comfort non mi sembrava il massimo, anche se è certificato LEED GOLD) e simpatico ma poco unitario visto da fuori (e forse ingenuo se nelle forme triangolari volesse veramente alludere alle montagne).
Il prato a nord, poco definito e forse non finito (così come l’attiguo sottopasso pedonale sotto la ferrovia), restituisce comunque visibilità e respiro al palazzo delle Albere (bisognoso di restauri e di ritorno alle funzioni museali del MART, ora trasferite altrove): non so se si prevede di completarlo con un richiamo allo storico viale che dava il nome al luogo, e che proseguiva ben oltre la ferrovia.

L’architettura del quartiere residenziale e terziario, a sud del MUSE, costituita da isolati a corte allungati, con altezze di 5-6 piani e allineamenti non esclusivamente ortogonali e rettilinei, a me sembra nell’insieme semplice e brillante, come immagine anche più riuscita del MUSE, sia da lontano (dalla viabilità veloce oltre Adige) sia percorrendo i portici dei viali alberati interni, con lunghe vasche d’acqua (e temporanee sculture) od i larghi marciapiedi dei viali carrabili al margine dell’insediamento.
Nell’insieme l’impressione di un’area urbana ed umana (qualora fosse abitata…) e di un disegno di qualità, senza esagerazioni autoriali  e con una equilibrata dose di “variazioni sul tema” (né monotonia né ecclettismo): di architettura contemporanea che vada oltre la dimensione del singolo edificio in Italia non se ne vede molta, e raramente risulta così gradevole: ad esempio il quartiere Bicocca di Gregotti a Milano è molto più freddo e “gigantista”, e meno pedonale. 
Qualche riserva, di gusto personale, la riserverei al colore verde, troppo chiaro ed evidente di tende a rullo e serramenti, ed all’invecchiamento, precoce ma non omogeneo, delle strutture esterne in legno, che invece ben si associano con il metallo, i paramenti opachi grigi e con le copertura fotovoltaiche a “falde indipendenti” (I colori e materiali del MUSE sono invece, con logica complementare, tende arancioni, vetro, metallo e paramenti bianchi).

Il quartiere, però sembra per ora, in termini di vitalità, un’appendice del MUSE, perché appare ancora poco abitato e soprattutto ai piani terra, che dovrebbero contenere negozi e affini, sembrano operativi soprattutto alcuni bar-ristoranti, che si affiancano alle funzioni della caffetteria del Museo e sfamano il personale degli uffici già insediati nei blocchi posti ad Est (la sussidiarietà al MUSE si riscontra anche per parte dei parcheggi interrati, che però mostrano carenze di segnaletica per un uso promiscuo tra abbonati ed utenti occasionali).
Non ho avuto la faccia tosta di entrare nell’ufficio vendite spacciandomi per un potenziale acquirente, ma ho l’impressione che buona parte dei fabbricati – soprattutto residenze e negozi - siano ancora invenduti, e non solo per la crisi sopravvenuta ed i prezzi elevati, ma anche per la oggettiva difficoltà di vendere gli alloggi  in considerazione:
-          dei limiti della localizzazione, con belle viste sui fianchi montuosi della vallata e prossima sul lato Ovest all’Adige (con argine ciclabile per decine di chilometri, però oltre una strada di scorrimento urbano, coperta solo in parte dalla piastra verde del parco “Michelin”), e sul lato Est (edifici solo direzionali) adiacente alla ferrovia del Brennero, priva al momento di barriere acustiche  (tutt’altra cosa sarebbe la presenza di una fermata ferroviaria, che non c’è, mentre l’interramento della linea ipotizzato dal PRG di Joan Busquets si esaurirebbe più a Nord); inoltre, pur non essendo lontano dal Centro urbano e dall’Università, l’area né è separata da alcuni impianti mono-funzionali piuttosto pesanti, coma lo Stadio (che forse in futuro sarà trasferito), la Fiera ed il Cimitero
-          da scelte che possono apparire virtuose ai critici ed ai visitatori, come le facciate interamente vetrate (e schermate dalle suddette tende), la permeabilità pedonale pubblica di gran parte dei cortili verdi che si alternano ai viali pedonali interni e quindi la pressoché totale assenza di recinzioni che privatizzino il suolo (ad esclusione degli isolati totalmente residenziali sul fronte del Parco), e – mi è sembrato – la carenza di balconi e logge (se non per gli attici): elementi che contrastano con le abituali aspirazioni dei potenziali clienti di target elevato (che hanno quindi in città e dintorni molte possibili alternative).
E qui si torna all’interrogativo iniziale ovvero se possa essere sostenibile socialmente ed economicamente un quartiere sì ecologico, ma decisamente “d’alto bordo” (prezzi oltre i 4.500 €/m2, non a caso pubblicizzati anche sul portale LUX-gallery). Domanda cui non poteva dare risposta la mia gita occasionale, mentre pare ampio sui giornali e blog il dibattito locale in materia, e dove per altro si legge di tutto, dal giudizio architettonico “stie per polli” all’allarme botanico per l’impianto arboreo troppo denso nel Parco, nonché pesanti accuse di eccessivo sostegno economico da parte  di Comune Provincia Università e Curia per il difficoltoso successo dell’iniziativa immobiliare, ed in particolare nonché censure circa l’abbandono del progetto di Botta per una nuova biblioteca universitaria meglio collocata.


P.S. Nel corso della vacanza sono stato anche al MART di Rovereto, grandioso e classicheggiante progetto di Mario Botta e Giulio Andreolli (con la segnaletica dei parcheggi ben fatta, tranne che per segnalare l’uscita auto…), di notevoli ambizioni urbane, a partire dalla grande cupola trasparente e semi-aperta di raccordo ai preesistenti fabbricati pubblici di cortina sulla strada; ho dovuto però constatare che in un giorno feriale di luglio, pur con mostre di buon livello ed ottima istallazione in spazi di ampio respiro (Alvaro Siza; “Perduti nel paesaggio” con opere tra gli altri di Gabriele Basilico e Marina Abramovic) il MART si mostrava assai poco frequentato, sia dai turisti che dagli utenti locali, e quindi molto “cattedrale nel deserto” (anche se, egoisticamente, molto favorevole alla nostra privata fruizione delle mostre); non so se la situazione  sia diversa con mostre di maggior richiamo, oppure se è un destino segnato per l’arte contemporanea in cittadine di provincia (vedi per mia esperienza la Villa Panza di Biumo in Varese ed il MAGA di Gallarate, che però almeno si è buttato sulla didattica, e quindi manifesta di frequente più vita).

SEGUONO IMMAGINI: 

MUSE E PALAZZO ALBERE




QUARTIERE ALBERE





MART ROVERETO



domenica 3 agosto 2014

L'UNITA'

“L’Unità” sospende le pubblicazioni e come abbonato sono molto dispiaciuto, ed anche danneggiato (anche se mi rimarrà più tempo libero per altre letture).
Ora non so se potrà e/o vorrà essere il PD (renziano)  a resuscitare o ad affossare definitivamente l’Unità.
Ragionando sugli anni passati, mi sembra che il PD abbia ereditato “l’Unità” (e parimenti “Europa”) come problemi “da rinviare”, senza alcuna linea condivisa in proposito.
Ma ragionando sui decenni precedenti, mi sembra assurdo che nella storia della sinistra post-comunista, con organizzazioni quali l’ex PCI=PDS=DS, nonché la CGIL, le COOP e l’ARCI, aventi  comunque nell’insieme milioni di iscritti, simpatizzanti ed elettori,  si sia lasciato andare alla deriva, con dimensioni da 50.000 copie e con l’illusione sugli “imprenditori amici”, l’unico organo di stampa (e di web) che rappresentava uno spazio aperto ed unitario di confronto.

Al di là delle responsabilità specifiche dei singoli soggetti, è una amara controprova del fallimento storico di un gruppo dirigente, che comunque non è riuscito ad “avere una banca”, e ora fatica anche ad avere un’anima.