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domenica 31 marzo 2013

TONNO

Il Movimento5Stelle, che pare interessato solo a scoprire il funzionamento della ”scatola di tonno” del Parlamento, sta di fatto contribuendo a buttare tutto il contenuto, che non sono però solo i vituperati partiti, ma tutti i poveri tonni, cioè imprese, salari, pensioni, risparmi: la carne viva degli stessi “cittadini” che il Movimento pretende di rappresentare in esclusiva, esibendo a parole una vocazione “maggioritaria” (o totalitaria – vedi mio POST del 13 marzo) ma dimostrando di fatto una modesta vocazione “minoritaria” (a noi il COPASIR …), che mi ricorda i marxisti-leninisti degli anni ‘70.

Tra i commentatori e gli interlocutori politici (gli uni e gli altri non sempre disinteressati), si è diffusa una ampia indulgenza verso il M5S, elogiandone la portata innovativa, la rappresentatività dei giovani e degli esclusi, la sensibilità ad alcuni temi anti-privilegi ed ambientalisti.
C’è del vero, e sarebbe errato non tenere conto dialetticamente di questi aspetti, agitando il fantasma del “fascismo”.

Però (intanto che noi tonni finiamo ancor più costretti nelle strettoie della tonnara della crisi), non mi pare proprio il caso di blandire più di tanto il M5S, senza porsi alcune domande fondamentali, e cioè qual’ è la contraddizione principale del mondo di oggi, secondo loro (tra partiti e cittadini, sembrerebbe) e qual è invece secondo ognuno di  noi altri poveri tonni (secondo me è quella tra il finanz-capitalismo - che include le élites imprenditoriali nostrane, ma con i conti all’estero – e la grande massa dei lavoratori sfruttati e dei disoccupati sfruttabili).

Se il divario di visione è così ampio, qualche cosa si potrà anche fare insieme al M5S, ma senza trascurare una strenua battaglia di principio su cos’è e cosa non è la democrazia (a partire da casa Grillo: c’è molta più democrazia – ad esempio - nella elezione di Boldrini e Grasso che nella auto-nomina di Grillo e Casaleggio), e su quali sono gli interessi forti da contrastare, compresi quelli dei miliardari (incluso Grillo).
Senza difendere i difetti dei vecchi partiti, ritengo che  gli elettori del centro-sinistra dovrebbero mobilitarsi attivamente (sul web, nelle piazze, ovunque possibile), invece di appiattirsi come spettatori impauriti, rivendicando la propria storia, la nostra visione tollerante e pluralista dei conflitti sociali e – non da ultimo – il  diritto a non essere insultati quotidianamente dai capi del M5S (e - a giorni alterni - da Berlusconi e i suoi).

PRIVATO E' BELLO, MA NON SEMPRE

Capita spesso a chiunque, come utente, di essere maltrattato da call center, erogatori di servizi (telefono, energia, gas, trasporti), venditori (e riparatori) di merci, tramite telefono, e-mail, ed anche direttamente.

Privato è sempre bello, anche dove Il cliente ha sempre torto?
La normativa nazionale ed europea tutelano gli utenti in misura insufficiente. Non mi pare siano molto efficaci le associazioni dei consumatori, e mi rammarico che i sindacati italiani, con le loro organizzazioni di massa, abbiano tenuto separata la figura del lavoratore sfruttato da quella del consumatore maltrattato.

Nella mia esperienza di funzionario comunale (ma anche di utente delle altre patrie burocrazie), pur non tacendone limiti e disapplicazioni, ho avuto modo di apprezzare le significative innovazioni introdotte dalla legge 241 del 1990 (merito, va ammesso,  di Amato ed altri, ai tempi non eccelsi del pentapartito di Forlani e Craxi) riguardo alla trasparenza delle procedure amministrative e alla introduzione del Responsabile del Procedimento, che ha personalizzato i rapporti tra uffici e cittadini, e permette una discreta tracciabilità delle “pratiche”.
Non credo che da allora tutto vada bene nel pubblico, e ci sono buoni motivi, probabilmente, per continuare  parlar male della burocrazia.

Però mi piacerebbe che si cominciasse anche a parlare male, per quanto è nei fatti necessario, delle burocrazie private.
E mi piacerebbe che si sperimentasse, a partire dalle grandi compagnie concessionarie di servizi pubblici, la introduzione del Responsabile del Procedimento anche nel privato.

Penso che a breve termine l’innovazione comporterebbe dei maggiori costi per le compagnie, ma a lungo termine potrebbe portare benefici anche ai bilanci aziendali, sia per la maggior motivazione e responsabilizzazione dei dipendenti, sia per la diminuzione di errori e ricorsi. 

sabato 30 marzo 2013

APPELLO PER UN’IVA ECOLOGICA (versione 2013)

Nell’assenza di un governo, incombe, per luglio 2013, anche un ulteriore aumento di un punto percentuale dell’IVA, su gran parte dei prodotti, esclusi quelli con la tariffa agevolata del 4% (articoli di prima necessità), che avrà evidenti effetti inflazionistici sui prezzi e depressivi sui volumi complessivi di consumo.

Mi chiedo se sia possibile, in questa difficile situazione politica, e per prevenire una più grave caduta socio-economica, approfondire una seria proposta alternativa (da inquadrare a scala europea), finalizzata ad un superamento della spirale oscillatoria tra recessione e tentativi di rilancio (sempre più difficoltosi) del vecchio modello di sviluppo, ed orientata, invece che a contenere o rilanciare  i consumi, a riqualificare produzione e consumi, a partire per l’appunto dalla leva fiscale ed in particolare dalla differenziazione “ecologica” delle aliquote IVA, generalizzando una logica da “carbon tax”.

Si tratterebbe ad esempio di introdurre una quarta aliquota, nettamente superiore, verso il 30% o 33% (e rivedendo nel contempo con i medesimi criteri la ripartizione degli altri prodotti nelle 3 aliquote inferiori, magari riportando al 20% l’aliquota ordinaria) per i prodotti di lusso e/o particolarmente superflui (od inutilmente esotici), e per tutti quelli che presentino negativi risvolti ambientali, sia nelle fasi di produzione e commercializzazione, sia nelle fasi di utilizzo e smaltimento finale, riguardo a:

-          consumo di suolo agricolo (fabbricati, impianti produttivi ed energetici)

-          consumo di energia (veicoli ed elettrodomestici, ed anche fabbricati, con consumi elevati; merci con eccessivi consumi energetici per i trasporti)

-          emissioni di inquinanti (liquidi, aeriformi, acustici, luminosi)

-          produzione di imballaggi e di rifiuti residuali.

Una incentivazione e disincentivazione fiscale, rilevante (ma, volendo, anche da introdurre con gradualità) ed esplicitamente orientata, potrebbe innescare virtuosi processi di selezione dei consumi (limitando il peso inflazionistico per i redditi più bassi e per i consumatori più saggi) e di riorganizzazione produttiva.

Con questa ipotesi di rimodulazione ecologica dell’IVA, se nel frattempo i tentativi di revisione della spesa pubblica improduttiva e di lotta all’evasione fiscale dessero buoni risultati, se ne potrebbero utilizzare i benefici non sul fronte IVA, bensì su quelli più strategici del “cuneo fiscale”, sia agendo sull’IRAP (anche qui con discriminanti qualitative, legate anche all’innovazione) sia soprattutto sull’IRPEF a carico degli scaglioni di reddito più bassi, restituendo in permanenza il “fiscal drag”, che raddoppia in beffa il prelievo improprio costituito dall’inflazione, e rappresenta un costante insulto al concetto di “equità”.

 

Non so se il risultato sarebbe una “decrescita felice”, ma mi accontenterei che si cercasse di evitare una recessione stupida oppure un rilancio miope.

Credo che si debba  cogliere positivamente l’occasione di una crisi evidentemente strutturale (connessa anche alla saturazione di  alcuni settori merceologici nei paesi avanzati, ed all’orizzonte di scarsità di alcune materie prime a fronte della crescente domanda mondiale) per mettere in discussione (sfidando le lobbies di settore ad un confronto esplicito sui costi e benefici sociali e ambientali di ogni prodotto) i contenuti della realtà economica italiana ed europea; all’opposto di chi vuole modificare l’art. 41 della Costituzione per consentire tutto ciò che non è vietato: è più che mai necessario verificare socialmente cosa, come e dove produrre (e trasportare) merci.

E rendere, così, strategica la riflessione sulla “economia verde”: non solo un aggettivo ed un colore per la solita economia.

(vedi in PAGINE: APPENDICE 2^  e nei POST la precedente versione dell'appello; vedi anche in POST e PAGINE, Parte 4^, le premesse e le proposte correlate

mercoledì 20 marzo 2013

LA PRIMA LEZIONE DI URBANISTICA DI BERNARDO SECCHI


Bernardo Secchi, “Prima lezione di urbanistica” – Laterza, Bari 2000 – pagine XI+200 - € 12,00 (e-book disponibile a 8,49 €)

Secchi è divenuto docente e preside della facoltà di architettura di Milano nella seconda metà degli anni 70, quando chi, come me, “aveva fatto il ‘68” si trovava  già disperso sul territorio a rimasticare il “riflusso” (delle lotte ’60-‘70); nonché a fare, nel mio caso ed a mio  modo, l’”urbanista condotto”.

Penso di non averlo nemmeno mai incontrato in convegni INU o regionali, ma l’ho man mano apprezzato, come uno dei maestri, qual è, dell’urbanistica italiana di fine ‘900, per i suoi testi pubblicati sulle riviste dell’INU (da ultimo a proposito del suo lavoro ad Anversa e Parigi, che ne testimoniano il ruolo internazionale, non comune tra gli urbanisti italiani) e, nel merito,  per la sua attenzione “in alto” alle radici etiche epistemologiche della disciplina e “in basso” alla concretezza del progetto del suolo e della sua gestione quotidiana manutenzione (fatica quotidiana di cui nel mio piccolo mi sono occupato come tecnico comunale).

Solo nel 2011 mi sono tardivamente imbattuto nella sua “1^ lezione” ed ho volentieri compiuto un ampio ripasso in materia, convenendo con uno dei suoi assunti fondamentali, che l’urbanistica non è una scienza.

Il volume, benché di “sole” 200 pagine, è molto denso, e quindi difficile da riassumere (consiglio piuttosto di leggerlo integralmente); schematicamente si occupa di:

-          Urbanistica (definizioni, origini storiche, rapporto con altre discipline)

-          Figure retoriche del racconto urbanistico (continuità, frammento, regolarità, concentrazione/decentramento, equilibrio, processualità)

-          Urbanisti (ruolo dialettico rispetto agli altri soggetti e agli altri saperi)

-          Radici storiche e culturali: storia dell’urbanistica non è “storia della città”, bensì “sapere nomadico ed esogamico”, sintesi spuria tra scienze naturali, e scienze sociali, arti figurative;

-          Città moderna e città contemporanea: ‘900 come transizione, disagio verso la modernità e sua nostalgia – aspetti fisici e sociali – esemplificazione su abitazioni, grandi contenitori, spazi aperti, dismissioni, mobilità;

-          Progetti ovvero tendenze: post-moderno, neo-classico, “renovatio urbis”; il piano come “macchina non banale”

-          Progetto della città contemporanea: “dispersione, frammentazione, eterogeneità, frammistione, accostamento paratattico e anacronistico di oggetti, di soggetti, di loro attività e temporalità, fanno sì che territori e città contemporanei non possono essere affrontati con progetti che si spingano in ogni punto ad un identico livello di definizione ---- ma ciò non significa che la città contemporanea non possa e non debba essere investita da un progetto concettualmente unitario”  “Città contemporanea che già esiste, ma resta in attesa di un progetto ---“

-          “Attraversare il tempo”: impossibilità di previsioni lineari e/o di prefigurazioni desiderabili – occorre costruire scenari, anche diversi ed alternativi, per far convergere, ne tempo e nello spazio, pluralità di attori singoli e divergenti (società di minoranze)  – non tanto obblighi e divieti (inefficaci e contro-producenti) ma “esplorazioni progettuali”: l’urbanista, oltre che produttore di progetti con un elevato contenuto tecnico, è produttore di immagini, racconti, miti” per dare “unitarietà all’interazione sociale, rendendola possibile” – urbanistica come scrittura ”epica e polifonica, che trascende la contingenza.

-          (Polifonia: l’intero testo è percorso da richiami e parallelismi con altre discipline scientifiche ed artistiche, tra cui la musica del ‘900, da Schonberg a Stravinski, a Berio, ecc.).

Il pensiero di Secchi cerca di superare una certa crisi dei modelli razionalisti e positivisti dell’urbanistica moderna, senza scadere nella accettazione acritica o peggio nella esaltazione della città caotica/diffusa/dispersa, alla ricerca di nuove e superiori razionalità (vedi POST su Boeri e gli ESPLORATORI DELLA CITTA' DIFFUSA,  e PAGINE- PARTE 3^).

Non mi convince però il nocciolo della contrapposizione da Lui proposta tra “città moderna” e “città contemporanea”, perché la prima, in Europa, non è di fatto mai esistita, se non come idea o progetto, oppure come frammento: quartieri periferici, new towns, alcune ricostruzioni post-belliche o dopo disastri naturali, sempre però parti di realtà urbane più vaste e complesse; solo in altri continenti si sono realizzate – e si stanno realizzando - intere città di nuova fondazione, coloniali o post-coloniali (Brasilia, Canberra).

La quasi totalità dei sistemi urbani europei ha attraversato la modernità come trasformazione, sempre incompleta e contradditoria, dei loro precedenti assetti di città più o meno antiche.

E anche l’urbanistica del movimento moderno al di là dei piani utopici e delle semplificazioni teoriche, ha sempre dovuto nei fatti fare i conti con la complessa stratificazione storica del territorio reale, non solo in termini di riconoscimento (e poi di tutela)  dei “centri storici”, ma anche riguardo a numerosi aspetti disciplinari, dalla conformazione delle reti di trasporto alla articolazione culturale dei bisogni (ad esempio a resistenza di parte degli ex-contadini ad inurbarsi in contenitori edilizi densi, con la propensione invece a varie tipologie di case, in rapporto residuale ma importante con il verde “agricolo”, seppur ridotto a orto o giardino: vedi INA-case, periferie a casette singole, villette a schiera).

In Italia, già la legge 1150 del 1942 (ma anche in nuce in parte i precedenti Piani Regolatori) prevedeva un approccio differenziato alla città “per parti”, e poi, dalla legge 765/67 (con il D.M. 2-4-1968) alle leggi regionali di prima generazione (es. Lombardia n° 51/75 e Piemonte n° 56/77), pur in un’ottica razionalista, i sviluppa un’attenzione al territorio piuttosto articolata, sia per tipo di aree (divise almeno in A-B-C-D-E), sia per problematiche, che iniziano ad essere variegate e “divergenti” da un’impostazione classica di puro disegno azzonativo: entrano l’idrologia, la geologia, l’ambiente, al tutela dei suoli agricoli …

Nel contempo irrompono nella prassi, con i movimenti degli anni ’60 e ’70, le soggettività dei bisogni, apparentemente “massificati” nelle tematiche (lavoro, casa, servizi, trasporti), ma nel profondo già ricche di elementi antropologici differenziati: ad esempio sul tipo di casa, sulla localizzazione di lloggi e servizi, sulla tipologia dei servizi ….

E con il “Rapporto di Roma” e la prima crisi energetica del 1973 anche la consapevolezza dei limiti delle risorse e della crescita.

Il periodo 1960-1980 a mio avviso contiene già gran parte degli elementi dialettici necessari per fronteggiare le tematiche attribuite da Secchi alla sola “città contemporanea” (eravamo già “contemporanei”, senza saperlo?).

E’ lo stesso concetto di “città contemporanea” ad essere oscuro, in quanto non opponibile alla “città moderna”: perché questa non esiste in quanto tale, in Europa, come sopra affermato, e perché comunque nella sua concretezza (diversamente che nelle teorie) la nostra modernità era già intessuta di contraddizioni tipicamente “contemporanee”.

Oltre alla relativa probabile obsolescenza dei termini (dopo il moderno è venuto il post-moderno; dopo il contemporaneo possiamo immaginare un “post-contemporaneo”?) mi permetto di avanzare il dubbio che il nocciolo della questione, per classificare storicamente le problematiche della evoluzione territoriale, risieda piuttosto nella diversa qualità dei modi di produzione (ad esempio città fordista e post-fordista, città in prevalenza industriale oppure terziaria), le cui dinamiche sono per altro differenziate nello spazio mondiale, nell’ambito del processo di globalizzazione, cosicché contemporaneamente coesistono fasi diverse (fenomeno più difficile da spiegare con la terminologia Moderno/Contemporaneo).  

lunedì 18 marzo 2013

PRESENTABILI?


Il segretario Alfano rivendica il Quirinale per un esponente del Popolo delle Libertà.
In effetti il coro dell’inno di Mameli sulla scalinata del Palazzo di Giustizia di Milano era sembrato un po’ stonato: verrà meglio con un Presidente della Repubblica a dirigerlo.

Contro la Costituzione: ART. 3 “ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”

LA CUOCA DI LENIN E IL CAPO-CUOCO CON I BAFFI

 
Si attribuisce a Lenin la previsione che – a rivoluzione comunista compiuta – lo Stato “potrà essere diretto da una cuoca”.

In “Stato e rivoluzione” (1917 – cap. VI) precisa, polemizzando con Kautsky, le caratteristiche del parlamento nella fase intermedia del socialismo, secondo le linee desunte da Marx ed Engels dall’esperienza della Comune di Parigi (1870):

“ 1) non soltanto eleggibilità ma anche revocabilità ad ogni istante;

2) stipendio non superiore al salario di un operaio;

3) passaggio immediato ad una situazione in cui tutti assumano le funzioni i controllo e di sorveglianza, in cui tutti diventino temporaneamente dei ‘burocrati’, e quindi nessuno possa diventare un ‘burocrate’.

 Il socialismo reale ha poi visto la presenza in cucina di un capo-cuoco dai pesanti baffi, tale Stalin, ed una scarsa revocabilità degli eletti, fino alla gerontocrazia spinta di Andropov e Cernenko.

Dove ci possono portare le profezie di Casaleggio sul potere ai cittadini-in-rete e l’elettrificazione di tutti i web?

 

LENINISMO (2)

Da Wikipedia: ‘Slogan di Eduard Bernstein il fu "il movimento è tutto, fine è nulla", una massima con cui espresse chiaramente la sua convinzione riformista secondo cui l'unico compito dei partiti socialdemocratici era appunto lottare per le riforme abbandonando il "programma massimo" dell'abbattimento del capitalismo.’

Pare che anche per Grillo, il quale invece si dice rivoluzionario, “il MoVimento è tutto” (infatti sono più importanti le regole del MoVimento che non la scelta tra Grasso e Schifani): ed il fine?

Nel frattempo tratta i “suoi” senatori più o meno come Lenin trattava il suddetto “rinnegato Bernstein”; speriamo che la tragedia si ripeta in farsa.

venerdì 15 marzo 2013

8 PUNTI PD: ECONOMIA VERDE


Dopo una decina di giorni di shock post-elettorale, il PD è tornato a farsi vivo per e-mail, proponendo – a diverso livello di definizione – i suoi nuovi 8 punti programmatici, ed un questionario sull’insieme.

Rilevo per inciso che l’indirizzario che usa il PD è casuale, e che non si è costituito un indirizzario informatico di tutti gli elettori delle primarie (la modulistica non lo contemplava)

Da elettore disciplinato, ho compilato il questionario, che presenta a mio avviso gravi difetti, sia quando limita a 3 le priorità possibili su molte voci, sia quando richiede comunque almeno una scelta, talora su quesiti assurdi, come quello sulla “corruzione percepita”, che il singolo cittadino dovrebbe meglio tarare, o sulla stima in milioni di € sull’entità della corruzione stessa.

Non penso che in questa difficile fase politico-parlamentare i contenuti degli 8 punti siano determinanti per il comportamento dei potenziali alleati, perché prevalgono “gli orizzonti strategici” ed i calcoli ri-elettorali.

Ma un chiarimento programmatico, se non servirà  subito per  governare, può servire per  legiferare (per quanto possibile) nella confusa fase di ritorno alle urne, e nell’ipotesi di nuovo confronto elettorale.

Pertanto ritengo utile esprimermi,  più diffusamente da quanto previsto dal questionario, su uno dei “punti” già più definiti, cioè “green economy” (mentre lo schema sul LAVORO per ora mi pare privo di un requisito fondamentale, e cioè: “con quali risorse finanziarie?” – non si è giustamente fatta demagogia in campagna elettorale per farla adesso?).

In generale mi sembra che le proposte operative vadano verso giuste direzioni, salvo alcune critiche puntuali che più oltre espongo, ma che manchi, come sempre nell’impostazione del PD (ma anche del M5S – meglio forse SEL -, un ragionamento di fondo sulla scarsità delle risorse globali del pianeta e sulla sostenibilità di uno sviluppo del mondo occidentale, anche corretto “green”, a fronte di analoghi bisogni e sviluppi del restante mondo, e dei più poveri in particolare.

Specificamente segnalo (rimandando per i dettagli agli altri POST “PROPOSTE” e alla PAGINA “PARTE IV” dI questo blog):

-          Energia: mi pare necessario esplicitare che occorre NEGARE gli incentivi forme di energia alternativa ecologicamente NEGATIVI, quali il  fotofoltaico su suolo agricolo, l’eolico che distrugge il paesaggio e le bio-masse che non derivino dai sotto-prodotti di  normali cicli di coltura agro-forestale

-          Consumo di suolo: a mio avviso occorre modificare la fiscalità sulle arre da trasformare, riducendo l’IMU statica ed introducendo una tassazione dinamica sulle plus-valenze immobiliari, che incameri le esternalità generate dai beni pubblici (oggi introitate dai privati) e penalizzi la rendita di attesa ed in generale il sotto-utilizzo dei fabbricati

-          Rifiuti: mi sembra opportuno chiarire se si prevede oppure no una moratoria sulla costruzione di nuovi  inceneritori e se le proposte formulate sono in grado di recuperare gli annosi ritardi delle più grandi aree urbane, non solo del centro-sud

-          Rifiuti: mi sembra manchino misure di incentivo/disincentivo fiscale/tariffario, rivolte a produttori e consumatori,  per ridurre la produzione ed aumentare il recupero degli imballaggi
 
-          Ciclo dell’acqua: non è chiaro come funziona il finanziamento degli ingenti investimenti necessari per acquedotti, fogne e depuratori nel rispetto dei recenti referendum.

 

PROPOSTE DI LEGISLAZIONE A SOSTEGNO DELLA SOSTENIBILITA’ URBANA: PREMESSA

Con riferimento alle letture critiche di cui alle PAGINE, PARTI 1^-2^-3^ di questo blog, vorrei permettermi alcune conclusioni, anche propositive, aggiornandole al marzo 2013 (la versione 2012 viene riprodotta in appendice).
 Non mi sento assolutamente in grado di formulare proposte al livello globale e macroeconomico del ‘come uscire dalla crisi’ e del ‘come sconfiggere il neo-liberismo’ (o “fuori-uscire dal capitalismo”, come proponeva un tempo il gruppo del Manifesto: per ora nessuno ci lascia uscir fuori, e tanto meno gratis e in modo indolore, mentre i ‘comunisti’ cinesi e molti altri governi progressisti del terzo mondo continuano ad affollarsi per entrarci); su questo fronte, per il quale mi sfuggono le competenze tecniche e che mi sembra così immenso che ‘il cor [mi] si spaura’, mi accontento, come molti altri, di rivolgere benevoli auspici per una soluzione progressista praticabile, che – con TobinTax, EuroBond, controllo sui paradisi fiscali ed altri rimedi agli eccessi del “finanz-capitalismo – ci consenta a breve-medio termine di tenere in piedi Euro ed Europa, per cercare nel frattempo di avviare dal basso una effettiva umanizzazione della stessa Europa (le cui istituzioni, ad esempio dovrebbero far generalizzare, e non combattere, istituti di civiltà come l’art. 18 del nostro Statuto dei lavoratori, che vieta i licenziamenti discriminatori), e poi del mondo; nella consapevolezza che sono invece possibili esiti opposti, catastrofici oppure molto conflittuali, e che nella attuale gestione della crisi è ben lungi dall’essere assorbita la ‘grande bolla speculativa’, né è esclusa la formazione di ulteriori ‘bolle’ (vedi anche Post su Larroutouru).

Soluzione progressista che può essere inficiata, oppure sospinta, dallo scrollone elettorale italiano in favore del Movimento 5 Stelle, me che trova comunque la sua debolezza nella frammentazione e indecisione della sinistra moderata europea (labilità del programma di Hollande e timidità della socialdemocrazia tedesca), nella inconsistenza di una sinistra radicale europea, a fronte dell’incalzare di movimenti nazionalisti e populisti di vario segno.
 
E nemmeno intendo propormi di trarre conclusioni o di formulare proposte al livello teorico-operativo della pianificazione territoriale e della progettazione urbana, su cui auspicherei però nuovamente un maggior confronto dialettico tra le diverse scuole, e particolarmente tra gli autori esaminati nella precedente Parte Terza, perché secondo me tutte le posizioni trattate costituiscono significative interpretazioni della attuale situazione del territorio italiano (ed europeo) ed offrono ognuna elementi positivi, ma parziali, dei problemi individuati, e potrebbero giovarsi di una maggiore integrazione, facendo francamente i conti con gli elementi di conflitto concettuale che tale confronto comporta.

Mi sento invece di avanzare alcune proposte ad un livello intermedio, che è quello delle politiche nazionali (e forse però anche europee, ed anche regionali) che – non solo a mio avviso - sono necessarie a sostegno delle politiche locali di sostenibilità urbana, nonché per dare contenuti articolati e concreti al più complessivo sforzo di umanizzazione dell’economia capitalista; su questo terreno occorre costruire un programma sia di pratiche locali che di rivendicazioni specifiche di riforme legislative settoriali, come, ciascuno per proprio conto, propongono ad esempio:
-          l’INU, con le proposte dei congressi di Ancona (2008) e Livorno (2011), riguardo alla normativa sul governo del territorio, ma anche sul regime ed il consumo dei suoli, sull’energia,  sulla fiscalità locale, sulla metropolizzazione ed il trasporto pubblico di massa
-          il nuovo movimento “Salviamo il paesaggio” - a cui aderiscono tra gli altri SlowFood e tutte le principali associazioni ambientaliste nazionali (FAI, WWF, LegaAmbiente, Italia Nostra) -  riguardo al risparmio del consumo di suolo
-          i movimenti localisti, come interpretati da Guido Viale (vedi in PAGINA PARTE 2^ di questo blog), ancora in merito al consumo di suolo, a trasporti ed energia, nonché al “patto di stabilità” ed alla finanza locale,
e come per alcuni aspetti suggerisce anche Giancarlo Consonni (vedi in PAGINA PARTE 3^ di questo blog).

E’ in questo quadro che mi permetto di avanzare una serie di proposte pratiche, in particolare sulle politiche fiscali-tariffarie e sugli incentivi finanziari pubblici, relativi al governo del territorio, considerando che in Italia ed Europa i conti pubblici coprono comunque una quota prossima alla metà del PIL, e che a parità di pressione fiscale sarebbe opportuno qualificare la spesa pubblica in senso ecologico ed egualitario, anziché al contrario.

Si tratta di proposte non contrastanti con l’insieme delle soluzioni avanzate dall’INU e da Salviamo il Paesaggio (ed anche da Viale e da Consonni), e con le istanze  nella prospettiva di un ‘riformismo radicale’ che a mio avviso è possibile ed auspicabile in Europa, se si riesce ad andare verso una soluzione politica e progressista della crisi dell’Euro.

Quanto un simile ‘riformismo radicale’ risulti politicamente possibile e come si intrecci con il ‘ritorno alla crescita’ oppure con l’inizio di una ‘decrescita virtuosa’ (vedi in PAGINA PARTE 2^ di questo blog), francamente non lo so; però mi sembra doveroso che il sapere tecnico fornisca proposte per una crescita culturale alternativa, sia a livello locale e ‘molecolare’ sia ad un livello più complessivo, per offrire ai movimenti locali un orizzonte rivendicativo e per immaginare una possibile politica statuale di segno positivo, nel tentativo di ricomporre fronti sociali più ampi della singola ‘tribù’ (vedi Maffesoli, in PAGINA PARTE 1^ di questo blog).

E per affiancare (o contrapporre?) alle ‘liberalizzazioni’ in atto adeguate ipotesi (non stataliste) di ‘socializzazioni’ e “ambientalizzazioni’; la triade rigore-equità-sviluppo va a mio avviso sottoposta a critica da un punto di vista ecologico e laborista:

-          il rigore, almeno in Italia, resterà necessario per un bel po’ di anni, anche in presenza di auspicabili politiche keinesiane dell’insieme euiropeo, per scontare il debito pregresso; potrebbe però essere un utile allenamento verso una volontaria austerità, o sobrietà, che prima o poi i consumatori occidentali dovranno affrontare, se si intende fare i conti con la scarsità delle risorse e con l’equità a scala mondiale (vedi Sachs, n PAGINA PARTE 2^ di questo blog)
-           l’equità va bene, ma deve essere intesa – sia su scala nazionale che globale – innanzitutto come riduzione delle diseguaglianze tra sfruttati e sfruttati, tra veramente ricchi (il famoso 1%, ed anche il contiguo 9% con cui  in Italia detengono il 50% della ricchezza) e veramente poveri, e non per spalmare al ribasso la povertà tra i poveri (come in parte ha comportato l’ultima riforma delle pensioni e connessa manovra fiscale)
-          sullo sviluppo è il momento di cominciare a chiedersi ‘quale sviluppo’, e di utilizzare la crisi come criterio di verifica, per non affannarsi a rilanciare un modello sviluppista che non funziona più.
 
Quanto sopra richiede uno sforzo di elaborazione politica e programmatica di vasto respiro, trasversale a tutti i settori (a partire da economia, finanza, lavoro), e capace di tradursi in crescita collettiva di soggetti sociali, attraverso attente considerazioni antropologiche e sociologiche, e non solo mediatiche, sui linguaggi idonei a tale maturazione.
 
Nel mio piccolo non ho evidentemente tali ambizioni, ma solo quella di esplicitare un mio specifico contributo di idee su singoli temi, di cui ho qualche conoscenza ed esperienza; nell’Appendice II, tuttavia, mi spingo ad ipotizzare anche una proposta di taglio più generale, ma di respiro più contingente, sotto forma di “appello verso un IVA ecologica”.
 
Parte delle proposte dei POST seguenti sono incluse o compatibili con i programmi elettorali di PD, SEL e ultra-sinistra, Movimento5Stelle, e di quelli post-elettorali (8punti del PD); mi permetto di rivendicare la necessità di una maggior organicità, sia all’interno di ogni settore, sia con l’insieme delle politiche sociali ed ambientali.

PROPOSTE: CASA

(Vedi anche POST “IMU ed equità”)

Anche se tale rivendicazione è sollevata da minoranze, essendo l’80% degli italiani allocato in case di proprietà, il dibattito recente sull’Housing Sociale (vedi ad es. Urbanistica Dossier n° 119/2010 e Urbanistica Informazioni n°  238/2011) ha riabilitato l’obiettivo del “diritto alla casa” come condizione minima per la dignità del vivere, esteso universalmente (anche agli immigrati ed agli ex-nomadi), come può consentirlo una società che comunque è complessivamente ricca (ed in particolare ricca di volumi edificati).

La necessaria attenzione ai nuovi bisogni (giovani coppie precarie, single, fuori sede, nuove povertà) non deve far trascurare infatti il fabbisogno primario di residenze a canone sociale.

La rigidità del dualismo proprietà/affitto, alquanto incoerente con la crescente precarietà dei rapporti di lavoro e degli stessi legami familiari, induce inoltre problemi di tipo nuovo, all’interno della crisi economica in atto: mutuatari morosi, divorziati senza casa, difficoltà di trasferimento e reperimento di case temporanee per inseguire le offerte lavorative.

Per introdurre equità e flessibilità nell’abitare,  ed anche per reperire una  parte delle risorse necessarie alla estensione del diritto alla casa, ritengo sia necessario includere in un unica valutazione, complessiva ed organica, la politica economica e fiscale per la residenza, tuttora sbilanciata in favore delle famiglie residenti in alloggi di proprietà che godono per tali abitazioni di una fascia di esenzione dall’ICI (ora IMU) e dall’IRPEF, prevedendo:

-      per tutti i soggetti bisognosi, l’offerta di case sociali a canoni adeguati, affiancata   - in mancanza ed in attesa di una casa sociale – da un congruo e permanente contributo per gli affitti;

-      per tutti gli inquilini, la detraibilità dalle imposte sul reddito delle spese per l’affitto della prima casa, fino ad una soglia massima ‘ragionevolmente elevata’, prossima al “canone concordato” comparabile con la fascia di esenzione dall’IMU per i proprietari;

-      per i residenti in alloggi di proprietà, la completa de-tassazione delle transazioni relative alla prima casa

-      per gli acquirenti di abitazioni gravati da mutui divenuti temporaneamente o definitivamente insostenibili, la garanzia di permanenza nell’abitazione, con formule differenziate, dal congelamento del mutuo alla conversione definitiva in locazione;

-      per i redditi da locazione di abitazioni, la cosiddetta ‘cedolare’ (20%), ma limitata al “canone concordato”, con tassazione normale degli affitti superiori ad esso;

-      per gli immobili sfitti e inutilizzati, la conferma e l’inasprimento di tassazioni più elevate, crescenti progressivamente con il protrarsi del mancato utilizzo, affiancata da incentivi alla vendita di tali alloggi a prezzi calmierati alle Agenzie Pubbliche (vedi es. ATER Veneto, su “Edilizia e territorio” n° 6/2011);

-      sperimentazione di interventi degli ex-IACP per favorire traslochi temporanei e scambi di alloggi in funzione dei trasferimenti per lavoro.

Limitati ritocchi all’insù, in senso progressivo, dell’IMU e dell’IRPEF sulle case non usufruite dai proprietari (e loro parenti stretti, e trattando in modo specifico le case di origine degli emigrati), dovrbbero essere sufficineti a compensare le maggiori spese derivanti dagli altri punti della proposta.

PROPOSTE: MOBILITA’


Pare difficile agevolare il passaggio dal trasporto automobilistico privato al trasporto pubblico e dalla gomma al ferro agendo solo sull’offerta di un miglior trasporto pubblico e ferroviario (opportunamente integrato al primo e all’ultimo miglio, come teorizzato ad esempio da Fabio Casiroli – vedi in PAGINA PARTE 2^ di questo blog -) ed ancor più difficile trovare le risorse per tale offerta, se non si procede (su scala europea?) a ‘re-internalizzare’ sulle tasse e tariffe per il trasporto privato una parte crescente dei costi che l’attuale sistema dei trasporti scarica sulla collettività, in termini di salute - qualità dell’aria, stress, incidenti (e conseguenti  costi sanitari), inquinamento dei mari e delle altre acque navigabili –, nonché i costi per gli indispensabili contributi pubblici alla ricerca&sviluppo sul fronte dei mezzi e delle modalità di trasporto a minor inquinamento.
Un graduale aumento dei prezzi del trasporto, così motivato e così finalizzato (sull’esempio di Alp Transit), potrebbe raffreddare gli eccessi della globalizzazione, favorendo in termini non protezionistici le produzioni locali, soprattutto agricole, (con un parallelismo concettuale alla proposta di una tassazione sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe raffreddare i movimenti speculativi).

Oltre alle grandi variabili di livello nazionale ed internazionale (accise sui carburanti, tasse di possesso dei veicoli, tariffe basilari per autostrade e ferrovie) occorre individuare un livello regionale di autorità tariffaria che possa combinare ed adeguare la concreta articolazione delle singole tariffe allo sviluppo dell’offerta di modalità alternative ed integrate di trasporto: ad esempio rendendo gratuiti i parcheggi di interscambio gomma/ferro e penalizzando le tariffe autostradali per le tratte parallele alle linee ferroviarie efficienti e servite dai suddetti parcheggi (e dagli interporti per le merci), ecc. ecc.

Analoga razionalità complessiva andrebbe introdotta nella comparazione dei costi-benefici per gli investimenti infrastrutturali relativi ai trasporti, su gomma e su ferro, e per le politiche di incentivo al rinnovo del parco mezzi.
 

PROPOSTE: SUOLO URBANO


A mio avviso occorre intrecciare la problematica del recupero della rendita urbana e del controllo sul consumo di suolo con una miglior disciplina dello strumento della perequazione e con un ripensamento complessivo della fiscalità sull’attività immobiliare ed edilizia.
La rendita va tassata principalmente nel momento in cui si realizza la trasformazione urbana e solo in misura complementare come rendita di attesa, se e quando i Piani divengono effettivamente “conformativi” e  matura un interesse pubblico ad accelerarne l’attuazione e ad evitare ritardi strumentali finalizzati ad una eccessiva valorizzazione degli immobili.

Un apparato comunale efficiente dovrebbe saper riconoscere la differenza di valore tra un terreno  ex-agricolo ed un terreno edificabile, tra una fabbrica dismessa ed un nuovo centro commerciale: il prelievo sulla rendita, finalizzato a trasferire su di essa tendenzialmente tutti i costi per i servizi urbani (inclusa l’edilizia residenziale a canone sociale ed a canone concordato), desumibili dai Piani comunali dei Servizi ed in archi temporali ragionevoli, dovrebbe essere fortemente differenziato tra il residuale consumo di suoli liberi ed extraurbani ed il riutilizzo di suoli già edificati (da detassare ed agevolare, tranne in presenza di forti incrementi di valore per cambio d’uso o elevata densificazione).

Si delinea cioè un prelievo unico (inglobando le attuali tassazioni statali sulle traslazioni e sulle plus-valenze), più simile (ma con aliquote assai più elevate) alla vecchia “INVIM” (imposta sull’incremento di valore degli immobili) che all’ICI/IMU, concettualmente inclusivo degli oneri di urbanizzazione (fermo restando il principio che le opere necessarie in loco ricadano comunque sugli operatori).

Il problema della ricerca del punto di equilibrio tra interessi pubblici ed interessi privati (ovvero la massimizzazione del prelievo monetario o comunque dei benefici a vantaggio pubblico senza arrivare ad annullare la convenienza degli investimenti e cioè ad annullare gli investimenti stessi) può in parte essere affidata allo stesso mercato, fissando soglie ragionevoli di prelievo ed aprendo sopra di esse gare al rialzo tra i diversi operatori, sviluppando i meccanismi concorrenziali, come quelli proposti dal compianto Fausto Curti Curti 2008 e quelli che ha tentato di sperimentare a Monza ed altrove Massimo Giuliani.

Secondo me però sono necessari tre corollari, al fine di rendere effettiva la limitazione del consumo di suoli extraurbani, superando alcune importanti rigidità del mercato immobiliare (che risultano del tutto incoerenti in un mondo sempre più flessibile e “liquido”):

1 - la corrispondenza quantitativa tra volumi “in decollo” ed “in atterraggio” (per evitare nuove disparità), nonché l’obbligatorietà dell’”atterraggio” dei diritti di edificabilità in tutti i processi di perequazione, e  cioè l’obbligo per i proprietari di aree con effettiva edificabilità locale di acquistare od ospitare i diritti edificatori che “decollano” altrove (aree ad uso pubblico/sociale o altrimenti vincolate), come sostiene tra gli altri  Fortunato Pagano;

2 - una più facile espropriabilità (pur a prezzi di mercato, ma tenendo conto dei deprezzamenti dovuti ai periodi di inutilizzo prolungato) di tutti i beni immobili da coinvolgere nei piani di rinnovo urbano, da intrecciare con una tassazione specifica sugli immobili inutilizzati, con incrementi progressivi nel tempo: dagli spazi con “decollo” di diritti edificatori alle aree produttive dismesse, dai lotti in possesso di “minoranze dissenzienti” (i cui interessi possono essere tutelati anche privandole del possesso immobiliare) agli immobili inutilizzati per vertenze ereditarie e fallimentari – vedi proposte di Viale in PAGINA PARTE 2^ di questo blog – vedi qualche positivo embrione, ancora poco attuato, nella Legge Regionale lombarda sulle aree industriali dismesse – art. 7 della L.R. n° 1/2007);

3 - il conferimento alle Province (o chi per esse), per scopi di perequazione territoriale, da articolare nei Piani Territoriali di area vasta, e non ai singoli Comuni interessati alla trasformazione, di parte significativa dei prelievi sulla rendita relativa al consumo residuale dei suoli liberi.

E’ inoltre necessario imporre ai Piani comunali una valutazione analitica e periodicamente aggiornata sulla dimensione  e sulla qualità dello stock di abitazioni inutilizzate (sfitto, invenduto, seconde case, ecc.), - vedi iniziativa di censimento ad hoc avanzata da  “Salviamo il Paesaggio” (vedi www.salviamoilpaesaggio.it) da connettere anche al trattamento fiscale di cui più sopra.

PROPOSTE : ENERGIA

La complessa partita degli incentivi per la produzione  di energia e per il risparmio energetico relativo ai fabbricati va secondo me ripercorsa e resa organica, finalizzandola prioritariamente al tema della riqualificazione delle periferie urbane, con i seguenti criteri, rispettosi verso ambiente e paesaggio:

-      vietare (e non solo ‘non incentivare’) pratiche assurde come la copertura delle aree agricole con impianti fotovoltaici, quando ci sono milioni di ettari disponibili sui tetti dei fabbricati esistenti e su quelli da sostituire (la redditività dei suoli agricoli va nel contempo comunque sostenuta con ben altri strumenti, per le sue specifiche finalità ambientali ed anche alimentari);

-      subordinare gli incentivi per gli impianti eolici al rispetto delle direttive paesaggistiche;

-      rendere permanenti gli incentivi per la riqualificazione edilizia (attuale 36%) e per il risparmio energetico (55%), con una programmazione pluriennale che articoli meglio gli scaglioni di agevolazione (anche diminuendone alcuni nel tempo, ma con congrui preavvisi), in modo tale da privilegiare gli interventi più incisivi, anche se costosi, e soprattutto cercando di creare reciproche convenienze tra imprese e proprietà diffuse, anche condominiali, per aggredire  il grosso dell’edilizia dequalificata ed energivora realizzata nel secondo ‘900 (senza di che diviene improbabile raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2: vedi in merito anche le sollecitazioni del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. –“Urbanistica Informazioni” n° 232/2010);

-      i possibili incentivi con gli indici edilizi vanno gestiti esclusivamente DENTRO i piani urbanistici, in funzione di specifici progetti di rinnovo urbano, e non a pioggia CONTRO i Piani (come nel cosiddetto “Piano-Casa”, il cui sostanziale fallimento in funzione anti-ciclica, non ne esclude la potenziale pericolosità, in una fase congiunturale diversa)

P.S. - molto valide le risposte dell'INU (a cura di Ombuen, Pareglio ed altri) ad un questionario del CNEL in materia - vedi su Urbanistica Informazioni nª 24372012.  

lunedì 11 marzo 2013

mercoledì 6 marzo 2013

MOVIMENTO 5 STELLE , TOTALITARISMO E ALCUNE DOMANDE

Numerosi osservatori hanno messo in evidenza i limiti di democrazia insiti, finora, nel Movimento 5 Stelle.
Tra questi, su Repubblica, Gad Lerner, riguardo alla prospettiva di superamento antagonistico dei partiti, e Umberto Eco, in merito alle modalità asimmetriche di formazione del consenso sul web,
E da molti è giustamente rilevata l’inamovibilità e insindacabilità dei leaders fondatori del movimento, Grillo e Casaleggio.

Il richiamo al fascismo, utilizzato talvolta dagli avversari in campagna elettorale, mi sembra francamente  fuori luogo, per il carattere violento e militaresco del fascismo (anche alle origini, quelle che invece piacciono alla neo- eletta capo-gruppo del M5S alla camera).
L’accusa di “sfascismo” (legittimo, ma distruttivo, atteggiamento di non collaborazione nelle istituzioni) è invece purtroppo sul banco di prova in queste settimane.

Anche se l’argomento appare un po’ consunto ed è difficile apportare contributi di originalità, mi preme tuttavia  richiamare l’attenzione sugli aspetti totalitari dell’ideologia del M5S riguardo alla democrazia diretta.
Il M5S pretende infatti di sostituire totalmente i suoi metodi di consultazione tematica e di selezione dei rappresentanti ai metodi “partitici” storicamente consolidati e previsti dalla costituzione (seppure non regolati da una specifica legislazione, che sarebbe a mio avviso invece assai necessaria).
Confidando nell’onda provvidenziale della storia, il M5S prospetta uno sbaragliamento completo dei partiti, senza riconoscere se stesso come parte o “nuovo partito”, ma solo come movimento, unico e pluralistico al suo interno, capace di rappresentare e sintetizzare tutti gli interessi sociali: come brillantemente ha saputo fare finora, coagulando consensi elettorali, anche a partire da interessi contrapposti (senza considerare che la somma delle sue proposte corrisponde probabilmente ad un maiale tutto di prosciutti, come direbbe il Bersani), unendo le proteste sotto la grande bandiera del “vaffa” alla “casta”, intesa sempre più come un insieme organico e complottistico di partiti+banche+sindacati+giornalisti+ecc. (una caricatura del “sistema” delineato negli anni ’60 da Marcuse e dalla contestazione giovanile di allora).
Essendo ora in minoranza, il M5S manifesta queste sue propensioni e prospettive con il disprezzo aprioristico verso il vecchio mondo (che comprende anche chi, come me, ritiene di avere coscientemente scelto di votare diverso da M5S), cui non riconosce di fatto legittimità democratica.
Cosa farebbero se divenissero maggioranza?

Dario Fo, intervistato da Gad Lerner a “Zeta”, richiamava la prima democrazia ateniese, precedente all’invenzione dei partiti.
Storicamente non so quanto sia utile l’esperienza di una città stato di poche migliaia di abitanti (e con un assetto sociale schiavista e maschilista) nell’era della globalizzazione.
Più serio l’anarchico Graeber (vedi mio POST in proposito) - per inciso fortemente avverso alla storia ateniese -  motivatamente critico verso la moderna “democrazia occidentale”, con altri richiami storici e geografici.
Convengo che – stanti i suoi limiti – il nostro assetto democratico e costituzionale possa evolvere, spero non per effetto di traumatici eventi.
Ma questa concezione del M5S non lascia spazio per ora a mediazioni culturali.
(All’opposto del relativismo culturale del mio modesto blog).
Riuscirà il centro-sinistra, sotto botta, a trarne spunto per migliorarsi, anziché contrapporsi sterilmente oppure a scimmiottare banalmente?

Il successo del M5s mi imporrà di rivedere la Parte IV del mio saggio del 2011, pubblicato nelle PAGINE del blog, comprendente proposte di riformismo radicale in materia di territorio, casa, mobilità, energia, ecc..
Auspicavo una evoluzione socialista e ambientalista della sinistra europea, rammaricandomi per il ruolo minoritario delle nicchie verdi e anti-capitaliste.
Il M5S porta in prima pagina critica alla crescita, al Pil, all’Euro, ai modi di produrre e di consumare.
Con contenuti a mio avviso confusi e contradditori, sia nella propaganda (spara infatti nel contempo sui sindacati, sul pubblico impiego, sui pensionati, su Equitalia …), sia nella teoria (non si fa carico delle compatibilità economiche, né del benessere del terzo mondo e schematizza sviluppi lineari da scelte tecnologiche parziali – vedi in proposito autori da me recensiti nei POST e nelle PAGINE del blog).
E’ però un fatto positivo, perché comunque si iniziano ad affrontare concretamente i temi della decrescita e della green-economy, oppure si rischia di bruciare l’argomento, senza costruire serie basi di consenso per la necessaria austerità dei consumi e per combattere a fondo il finanz-capitalismo?