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mercoledì 25 dicembre 2013

TRITTICO DEL SOLSTIZIO D'INVERNO


 
          

 

            

lunedì 23 dicembre 2013

DOPO LE PRIMARIE

Come Prodi, diversi miei conoscenti che avevano preannunciato di non partecipare a queste primarie (per esempio, "se non ci dicono chi erano i 101"), hanno poi invece votato per Cuperlo o Civati, qualcuno addirittura scheda bianca (continuando  non sapere chi erano i 101).
Io, come altra parte dei miei interlocutori, invece no.
E non me ne rammarico.
Anche se ho sbagliato previsione (pensavo ad una vittoria netta di Renzi, ma con votanti in calo).
La grande affluenza è stata anche una adeguata risposta, nelle difficili contingenze, a Berlusconi, Grillo e Forconi vari.

Ma non la sento come la mia risposta: con Veltroni e con Bersani, pur poco convinto, mi ero detto "proviamo"; adesso mi sento di dire "provino" (oppure "provate").

Forte del consenso delle primarie, Renzi ha un poco anche stupito dicendo alcune cose di sinistra, come  sulla bossi Fini e sullo ius soli, le coppie di fatto; sul lavoro non si è capito ancora bene cosa vuol fare, anche se la chiamata in Segreteria di Madia e Taddei pare meglio che – ad esempio, Davide Serra o Pietro Ichino.

Il consenso accumulato (e coerentemente tradotto in posti in direzione per i Renziani, senza molte chances di influenza dai vari Franceschini “saliti sul carro”), unito alla conclamata vaghezza della sua piattaforma politica, potrà consentire a Renzi anche di dire e fare, se ne coglierà l’opportunistica opportunità (leggi: sondaggi), anche “cose di destra”: una modalità mediatica della democrazia che merita di essere studiata, ma non mi persuade; personalmente preferirei una leadership con un progetto definito da mettere alla prova; personalmente preferirei un progetto che partisse dalla Terra (il pianeta da salvare) e gli Ultimi ed i Penultimi della Terra (poveri e sfruttati di tutto il mondo e anche di casa nostra).

Quello che mi è sembrato meno valido di Renzi è stata la sfida a Grillo, sia per il modo (non è chiaro se è una sfida propagandistica od un vero invito a trattare, con un interlocutore che si conferma inaffidabile), sia per i contenuti: continuo a credere che la casta non sia il nemico principale (guardare un po’ di più a piazza Affari e a Wall Street)  e che la pur necessaria riduzione dei costi della politica non sia la priorità per uscire dalla crisi (esempi alternativi: patrimoniale, abbattimento elusione ed evasione fiscale, riduzione degli orari di lavoro); ma se si ritine giusto restituire i contributi elettorali al PD (e magari anche auto-ridurre gli stipendi dei parlamentari alla media degli stipendi italiani e non “europei”), lo si faccia, subito, senza ma e soprattutto senza se , “se Grillo firma le nostre riforme): Grillo non le firma, e intanto restituisce gli stipendi dei suoi (non gli stipendi suoi) e continua ad incassare il vantaggio  propagandistico.

Nel frattempo i “Forconi”, malgrado il flop della “marcia-su-Roma”, e per fortuna finora molto minoritari nelle categorie di partenza, come i camionisti (una cui im-mobilitazione di massa avrebbe effetti devastanti), sono stati tuttavia mediaticamente egemoni per alcuni giorni, non solo come espressione attiva di una destra sociale che ha scoperto che “i ristoranti sono vuoti” (e non si cura molto delle persecuzioni subite da Silvio e Dudù), ma anche come potenziali catalizzatori di un disagio sociale interclassista, ridotto alla pura esibizione dei bisogni “contro tutti” (ma soprattutto contro la casta politica) ed esteso ai disoccupati, ai precari ed – ahimé – anche a parte degli studenti.

Il rischio è che la destra passi da una effimera egemonia mediatica alla conquista di una effettiva, ancorché parziale egemonia politica, nella sostanziale assenza di un credibile alternativa della sinistra, finora in piazza, nella crisi, solo con gli ordinati gazebo del PD oppure con parole d’ordine difensive – sindacati, manifestazioni pro Costituzione - oppure ancora –sul versante antagonista – con altrettanto pura e simmetrica esibizione dei nudi bisogni.   
Non è che manchino proposte serie (ad esempio da parte della CGIL, su tasse, lavoro ed Europa; ed in prte anche nei documenti congressuali di Civati, Cuperlo, Vendola): ma si fa fatica a credere che recitando tali proposte si possano veramente “cambiare le cose”.

Con Renzi si sta (solo? almeno?) provando a cambiare le persone e lo stile di comunicazione.

 

domenica 15 dicembre 2013

QUALCOSA DI DESTRA

Da quel che ho letto stamane su l’Unità, l’emendamento spiagge alla legge di stabilità sembra proprio una gran schifezza: cessione delle aree edificate e condono dei canoni non pagati.
Fabbricati e manufatti sono sorti (supponiamo legittimamente) in regime di concessione e cioè con la consapevolezza da parte dei titolari di doverle rimuovere o cedere gratuitamente al demanio: la facoltà di poter conservare i fabbricati e manufatti e di acquistare la proprietà delle aree di sedime è certamente un gran regalo.
L’effetto, su gran parte dei litorali italiani, dove gli stabilimenti balneari sono quasi continui e sorti senza alcun piano di tutela dell’ambiente e del paesaggio, sarà quello di precludere definitivamente l’accesso alle residue spiagge ed al mare, che così cesseranno di essere un “bene comune” (come invece è su gran parte dei litorali francesi e spagnoli, ad esempio).
Con il rinnovo delle concessioni temporanee, e gare aperte, si potrebbe al contrario coltivare la speranza di un futuro migliore per gli interessi pubblici
Il condono è un ulteriore regalo, gravissimo perché non è uno sconto su sanzioni o interessi, ma – pare - direttamente sull’importo dovuto.

domenica 8 dicembre 2013

DIVERSAMENTE PORCELLI

Secondo Brunetta e secondo Grillo, dopo la Sentenza della Corte Costituzionale sono molto illegittimi i parlamentari eletti con il premio di maggioranza alla Camera.

 Non quelli eletti con il premio Porcellum al Senato.

E soprattutto non tutti gli altri, comunque eletti senza espressione di preferenze, e nominati dai vertici dei partiti e dei movimenti (o da ristrette cerchie di iscritti).

GRAEBER E LA VIOLENZA DI PIAZZA


Di David Graeber, antropologo americano del dissenso e teorico movimento “Occupy Wall Street”,  ho dedicato impegno a leggere e recensire “Critica della democrazia occidentale” e “Debito – i primi 5.000 anni”, che ho ritenuto molto stimolanti (a fronte della dominante rimozione dei conflitti sociali oppure di una stanca riproposizione del marxismo classico ed economicista, ed anche per curiosità verso “Occupy Wall Street”), pur non condividendo diverse valutazioni e conclusioni.
Tantomeno ho apprezzato la prefazione di Stefano Boni a “Critica della democrazia occidentale“, cui ho attribuito una interpretazione forzata di Graeber come maestro dello scontro “antagonista” al centro della scena mediatica,  lontana da quelle che mi erano sembrate le proposte, velleitarie, ma “decentrate”, dello stesso Graeber nelle parti in qualche modo propositive dei 2 testi: una democrazia diretta in comunità locali “zapatiste” nel primo ed una rivoluzione diffusa dei debitori “a partire dall’Irak” nel secondo.

Il brano da un nuovo saggio di Graeber, pubblicato su “l’Unità” del 27 novembre scorso, mi fa invece ricredere in favore di Stefano Boni (come giusto interprete) e contro Boni (per la mia distanza dai contenuti proposti), perché Graeber si diletta ad approfondire la dialettica dello scontro di piazza tra il monopolio statale della violenza (polizia) e la fantasia creatrice della ribellione anarchica, il cui punto di forza è essenzialmente la de-mistificazione dell’ideologia repressiva del potere (il re è nudo).
Anche se la narrazione di Graeber è brillante, non mi pare che aggiunga (almeno in quel brano, che però non mi attira a leggere il testo intero) un gran ché a quello che già abbiamo imparato su potere e contro-potere, monumenti e pupazzi, uomini e caporali,  e sui valori teatrali ed evocativi delle manifestazioni e degli scontri di piazza (da Marx a Manzoni, da Brecht a Canetti, da Totò a Dario Fo, da Foucault a Debord, ecc. ecc., fino ad Adriano Sofri ed al Movimento Studentesco di Capanna e Toscano).
In questi giorni stiamo vedendo in diretta  nuovi esempi di lotta fisica per il potere tramite accerchiamento e invasione dei palazzi di regime, in Ucraina ed in Thailandia (emblematica la foto di elmi e scudi abbandonati dai poliziotti), e pochi anni orsono così è crollato Milosevic a Belgrado (diversi i movimenti di piazza delle “primavere arabe” e della caduta del blocco sovietico culminata nel 1989): in tali contesti le riflessioni di Greaber possono venire utili, e l’aspetto militare del potere e del contro-potere è una imprescindibile chiave di lettura della storia, e purtroppo può tornare in auge anche in un nostro futuro, se la crisi socio-economica continua a procedere indisturbata.
Tuttavia non capisco quanto sia produttivo, a fronte della complessità delle società occidentali (complessità economica e sociale, politica ed antropologica), focalizzare l’attenzione sullo scontro di piazza: si pensa di acquisire l’egemonia sulle masse attraverso la teatralità (e la ricaduta mediatica) degli scontri delle avanguardie? Oppure ancora più banalmente di conquistare il potere con la canna del fucile (come se il potere stesse lì buono buono – od anche cattivo - ad abitare nei palazzi, di inverno o meno, e non fosse invece maledettamente articolato e diffuso, anche “in seno al popolo”)?
Se Occupy Wall Street intende rappresentare il 99% della popolazione, ma riesce a raccogliere nelle aiuole delle metropoli meno dello 0,1%, non è il caso di pensare ad altre forme, più decentrate ed efficaci, di accumulazione di “contro-potere”  (disdegnando o meno i vecchi corpi intermedi, tipo sindacati e partiti), valorizzando la presenza potenzialmente  capillare delle avanguardie nella rete informativa, tra i cittadini, tra i consumatori, tra i produttori? 

Una credibile opposizione, radicale e di massa, e tranquillamente non-violenta, potrebbe fare molta più paura a Wall Street, a mio avviso,  orientando comportamenti alternativi nell’uso della ”rete”, negli acquisti, nei depositi bancari, nei contratti per luce/gas/telefonia, in nuove forme di sciopero in difesa – ovunque possibile –della dignità dei lavoratori.
Una anarchia (ed una antropologia…) che mirano ad “abbattere lo stato” attraverso la “propaganda armata” delle avanguardie, piuttosto che a diffondere nuove forme di lotta e di consapevolezza alla base della società, assumono di fatto toni tardo-leninisti (vicini anche al filone Potere Operaio/Brigate Rosse).
Mi sembra più utile rileggere Gramsci, meglio se con l’ausilio di Luciano Gallino e di Manuel Castells, e di altri studiosi del capitalismo post-moderno e della “società in rete”; e anche di antropologia, a partire da Zygmunt  Bauman.

domenica 1 dicembre 2013

NON ANCORA CIVATIANO, NEL CREPUSCOLO CUPERLIANO, NELLA NUTTATA DI RENZI

Cara B. e caro V.,

Vi ringrazio per  la cortese attenzione e le Vs. garbate  repliche, in un tempo in cui vanno per la maggiore il non-ascolto oppure l’insulto.
Prima di risponderVi ho atteso:
- la pubblicazione sull’Unità delle 3 mozioni in formato sintetico (pessima quella di Renzi 2.0, iin cui prevale soprattutto il “PUNTO.ZERO” e cioè la vaghezza degli orientamenti politici e socio-economici ed il disordine concettuale dell’esposizione, che spazia a caso tra Partito e Paese, imprecisati Noi contro imprecisati lor-signori: per votarlo è necessario – e immagino diffuso - quanto meno non leggere quel testo); utile la sintesi per Civati, dopo la sbrodolata di 70 pagg. del testo ufficiale; confermata la qualità letteraria di Cuperlo (però vorrei chiedergli: se sei contrario l cumulo di cariche, perché tra i Segretari provinciali che Ti sostengono ci sono Sindaci di Comuni di 10.000 abitanti?);
- il simpatico ma superficiale confronto televisivo su Sky: la partita finale del consenso tra la grande massa dei votanti alle primarie probabilmente si è giocata lì, e si vede in questo tutta la povertà del modello per l’appunto “telecratico” delle primarie a livello nazionale: se si presenta Crozza, che è assai più intelligente di Grillo (malgrado il pessimo Napolitano/Sovrano settecentesco, dacchè ho cessato di guardarlo), vince lui di sicuro.

Malgrado i Vs.motivati appelli ed i  chiarimenti offerti dalle suddette tornate mediatiche (manca tuttora del buon giornalismo di ocnfronto serrato sui contenuti; anche l’Unità fa prevalere colore e battute), non mi sono convinto a votare  questa toranata di primarie.
Pazienza se gli avversari esterni (tipo Berlusconi, Alfano, Grillo&Casaleggio) gioiranno del possibile calo di affluenza (per loro riservo la mia faticosa fedeltà al centro-sinistra per le elezioni vere: lo scollamento tra PD ed elettorato è un dato oggettivo, cui l’attuale offerta di mozioni e candidati non offre sufficiente rimedio.
Premesso che la finale a 3 è una ulteriore perversione statutaria del PD che non comprendo (potrebbe vincere un candidato con il 34% contro 2 con il 33%), mi sembra che votare per Cuperlo o per Civati sia in sostanza “fare il pollo di Renzi”, polli che litigano tra loro, ma vanno a cumulare nel bottino del vincitore stra-annunciato, che si farà comunque bello, se sarà elevato, del numero complessivo elevato dei votanti..

Diverso sarebbe stato se – comprendendo la debolezza di ciascuno e, in quanto  sinistra - il grave rischio “tardo-blairiano” che Renzi rappresenta per gli interessi profondi delle classi subalterne – Cuperlo e Civati si fossero entrambi ritirati per tempo, ad esempio in favore di Cincinnato/Barca (seppur neo-iscritto, ma alameno non il giorno stesso delle votazioni); oppure se ancora adesso, l’uno si ritirasse in favore dell’altro (o viceversa), e si potesse delineare quindi una chiara sfida programmatica contro il Sindaco di Firenze.
Così no: votare per Civati è un po’ come votare per Sel (prima della pubblicazione delle telefonate Vandola/Archinà): un voto di testimonianza, con grande simpatia per molti contenuti e nessuna fiducia nelle strategie per cnseguirle; votare per Cuperlo è un po’ un nostalgico volgersi verso il tramonto (che lui, visti isimili colori, crede essere l’alba: ma per una vera sinistra ormai mi sembra necessario pensare e lavorare per l’alba del giorno dopo, prima purtroppo ha da passà un’altra nuttata).

MINORI PERVERSE INIQUITA'


Sulle iniquità ed opacità della legge di stabilità e dei tragi-comici decreti per l’abolizione temporanea dell’IMU hanno già detto molto i vari commentatori, e trovo purtroppo conferma alle mie peggiori previsioni.

Richiamo invece l’attenzione su una iniquità minore, ma incomprensibile, o – forse - sintomatica, relativa alla soppressione degli interessi sugli importi dovuti ad Equitalia.

Nel tentativo di rabbonire le varie ed ampie frazioni di opinione pubblica (non solo a destra, ma anche, ad esempio, nel M5S ed in diverse voci del giornalismo scritto e televisivo) ostili all’agenzia di riscossione dei crediti fiscali degli enti pubblici, invece di agire frontalmente, abbassando ad esempio l’importo delle sanzioni (a vantaggio di tutti i contribuenti che si trovino in debito), si è preferito intervenire sugli interessi, premiando così chi – per caso o per furbizia – si trova a pagare dopo (potendo al limite lucrare sulle somme dovute, ove ne disponga), e viceversa penalizzando chi si trova  a pagare prima (dovendo, in alcuni casi, indebitarsi con banche o altri, cui dovrà sì versare interessi).

Effetto non secondario di tale scelta assai opinabile è quello di incoraggiare ulteriormente i comportamenti dilatori dei contribuenti in debito.

Mentre il settore pubblico, noto come pessimo pagatore, tuttavia continua a riconoscere gli interessi di mora in favore dei creditori.

martedì 19 novembre 2013

NON SARO' TRA I POLLI DI RENZI

Mi riprometto spesso di non appiattire questi miei commenti sulle spicciole dichiarazioni quotidiane, ma l’uscita ufficiale di ieri sera ai Telegiornali da parte del vincitore provvisorio del congresso nazionale PD, Matteo Renzi, mi ha scosso parecchio.

Rammentando lo zio di Benigni in “Jonny Stecchino”, quando enumera i gravi problemi di Palermo, tra cui il più enorme è “IL TRAFFICO”, secondo il futuro leader del PD le priorità per l’Italia sono (uso parole mie):
-          Dimezzare il numero dei politici (immagino quelli pagati, sennò è un inno contro la partecipazione popolare), per finanziare così opere di bene e posti di lavoro
-          Rifare le regole della burocrazia, che ora ci soffoca.

Ingenuamente io pensavo che ci fossero ben altre priorità, dall’enorme debito pubblico alla finanza internazionale che ci strangola, dalla crisi produttiva alla disoccupazione di giovani ed esodati, dalla lotta alle mafie ed alla corruzione all’evasione fiscale, dalla crisi climatica globale alla fragilità idrogeologica e sismica peculiarmente italiane.
Invece tutto sta lì, nel licenziare un po’ di politici, e liberarsi dalla burocrazia: per salvare l’Italia o solo per guadagnare qualche punto nei sondaggi?
Venendo al merito delle proposte renziane:
-          Dimezzare i politici pagati può essere un bene, ma un candidato leader dovrebbe sapere e dire quanto si risparmierà da tutto questo, e promettere quindi un po’ meno asili-nido e cotillons
-          Nella burocrazia ci ho lavorato 35 anni, e mi sono fatto un’idea di pregi e difetti, e delle riforme già attuate o avviate: ben vengano ulteriori semplificazioni (meglio se chiare e precise), ma non capisco come attendersi da queste miracolosi effetti per il rilancio del sistema-paese.

Non rimpiango la vecchia SIP, da cui bisognava attendere dei mesi per allacciarsi al telefono; però non amo molto neanche la Edison, ad esempio, che da 9 mesi continua a tormentarmi con le sue bollette, senza accorgersi che ho (avrei?) cambiato fornitore (privato forse non è poi così bello).

domenica 17 novembre 2013

CUPERLO, TRA ALBA E TRAMONTO

Sull’Unità di ieri 16-11-13, Gad Lerner ha posto in poche righe a Cuperlo un quesito a mio avviso decisivo, e cioè se il candidato alla segreteria del PD intenda uscire dalla “reticenza” sui rapporti politica/affari che nel recente passato hanno coinvolto negativamente personaggi dell’area post-comunista, quali Penati, Lorenzetti, Mussari.

La risposta di Cuperlo è lunga e verbosa, storicista e moderatamente auto-critica, e dice ovvietà condivisibili su “etica”, “sobrietà” e “onestà”; ma mi pare francamente deludente riguardo alla concretezza delle proposte:
-          separare politica e amministrazione (archiviando la pratica delle nomine di partito negli Enti, e “combattendola se sopravvive”: non si fa prima a vietarla, nello Statuto del PD e nelle leggi della Repubblica?)
-          escludere il cumulo di cariche tra Partito e Istituzioni (ma senza disporre una rigida “separazione delle carriere” come suggerito da Fabrizio Barca)
-          dimissioni da incarichi politici e istituzionali “quando un dirigente del PD è davanti alla Magistratura” (quando: all’avviso di garanzia? al rinvio a giudizio?).

Invece di tante parole, pur forbite  (“rito e mito di primarie come palingenesi del ricambio senza tener conto di una nuova rappresentazione patrimoniale” – cioè?) e poetiche (“forze … orfane via via di un qualche ancoraggio tra il cielo dei profeti e la terra dei gazebo” e su su fino a Saba) non sarebbe meglio qualche fatto, concreto, preciso, subito?
Ad esempio invitare a dimettersi, comunque, per tutti i segretari di Circolo e di Federazione, cuperliani, appena eletti ed in sospetto (tra gli altri) di cammellaggio di tessere collettive.
Sarebbe una “rivoluzione Cuperlicana”, molto più utile, per guadagnare consenso tra i non-iscritti alle primarie dell’8 dicembre, che non l’indecente scannamento mediatico in atto su chi sta raccogliendo più voti tra gli iscritti (tessere fasulle di cui sopra comprese).

Altrimenti c’è il rischio di presentarsi come l’alba, ed essere invece solo un estenuato tramonto del vecchio “sol dell’avvenire” (i colori sono simili).

lunedì 11 novembre 2013

A QUESTE PRIMARIE NON VOTERO', A MENO CHE I 101 ...

Caro Epifani (presso Bersani-mail-office),
io probabilmente questa volta non voterò alle primarie, per i motivi che ho già illustrato sul mio blog "relativamente, sì" e reso noto a codesto indirizzo.
Potrei cambiare idea se i famosi 101 avessero, ora, il coraggio di dire "siamo stati noi" e perché l'hanno fatto.
Il Segretario uscente potrebbe chiederlo, per la dignità restante del suo partito.
Buon lavoro.
Aldo Vecchi

domenica 10 novembre 2013

GUIDO ORTONA ED IL MISTERO DELLA SINiSTRA SCOMPARSA

I
Ritengo che a fronte della evidente impotenza politica della sinistra europea la critica debba essere radicale, ma non per questo schematica.

L’intervento di Guido Ortona (docente di economia dell’Università del Piemonte Orientale) “Il mistero della sinistra scomparsa” (ovvero “il PD non vuole uscire dalla crisi”) mi sembra per l’appunto alquanto schematico.
Cerco di riassumerlo (senza essere anch’io troppo “schematico”):
1         nella crisi l’Italia è costretta  a pagare pesanti interessi sul debito pubblico a favore della finanza internazionale (solo 1/7 dei BOT ecc. è posseduto da famiglie italiane);
2         le soluzioni di sinistra per uscire dalla crisi sono note (svalutazione oppure ulteriore debito pubblico oppure redistribuzione dei redditi tramite fisco: le prime 2 inibite dall’adesione all’Euro);
3         i vertici del PD non le assumono perché stupidi-ignoranti-corrotti e oggettivamente “comprati” dalla cattiva finanza, tanto da rinunciare a proposte di perequazione fiscale che sarebbero efficaci e popolari;
4         la base onesta ed i quadri intermedi del PD non influiscono perché c’è una egemonia culturale che rende normale il sistema operante in favore della finanza internazionale
5         perché anche SEL non fa proposte chiare per uscire dalla crisi?

Mi permetto di avanzare alcune obiezioni:
-          1 e 2: la crisi non è solo italiana e non dipende solo dal debito: vedi da un lato la Francia, che non va bene malgrado un debito relativamente più basso e meno internazionale (ma anche i BOT sono stati in buona parte ricomprati dalla banche italiane); dall’altro USA e Giappone, che faticano a riprendere anche espandendo ulteriormente il debito e manovrando liberamente la propria moneta; ferma restando la centralità della questione finanziaria (vedi “Finanz-capitalismo” di Luciano Gallino), ho l’impressione (leggendo diversi autori) che questa crisi abbia ha che fare con la competizione con nuovi soggetti a scala mondiale, con l’usura di un modello di sviluppo e consumi, con l’esaurimento relativo di parte delle risorse naturali; a fonte di ciò quanto vale la certezza che esistono 3 “classiche” risposte di sinistra?
-          2: per il PD uscire dall’Euro è un tabù indiscutibile (e istintivamente anch’io mi ci riconosco); ma esiste una proposta seriamente di sinistra che ritenga praticabile questa strada (è vero che la Grecia non sta molto bene, ma anche per l’Argentina non furono solo né sono rose e fiori)? ne hanno parlato Loretta Napoleoni e altri intellettuali, ma nessun “politico”, da Vendola a Rodotà all’ultra-sinistra (che ne pensa Ortona, che vi allude vagamente?) – mi immagino viceversa lo sconquasso se un simile esito fosse pilotato da Grillo&Casaleggio, oppure da Berlusconi&Santanché
-          3 e 4: è così vero che le proposte di perequazione fiscale (dalla patrimoniale in là) sarebbero popolari? Perché allora né SEL né le formazioni alla sua sinistra, che tali temi hanno sviluppato, non vengono mai premiati né nelle urne né nei sondaggi?  A mio avviso la questione dell’egemonia culturale (del neo-liberismo), che Ortona invoca per spiegare il don-abbondismo dei quadri intermedi del PD, è invece assai più estesa, immanente  e fondamentale per spiegare tutta l’impotenza politica della sinistra europea (e non solo italiana): mi sembra che oggi (dopo l’esaurirsi della rivoluzione d’ottobre – ben prima del crollo finale dell’URSS - e la sconfitta dei movimenti di sinistra radicale degli anni 60-70) sia molto difficile rendere popolari le parole d’ordine della giustizia fiscale (molto più facile far credere che il nemico sia la “casta”); e questo perché il popolo è profondamente contaminato sia da bubbole ideologiche false ma ormai fortemente radicate, sia da alcune oggettive striature di condizioni materiali proprietarie e patrimoniali (la partita IVA, la casa in proprietà, qualche frammento di 2^ casa, un gruzzoletto di risparmi): nasce anche da qui il consenso che raccoglie Renzi (così come le volute ambiguità di Grillo).
-          5: come segnalavo nella mia recensione di “Svegliatevi” di Pierre Larroutouru, se la sinistra europea non “vuole” o non “riesce” a uscire dalla crisi, occorre “domandarsi perché ciò avvenga: --- è ingenuamente ottimista sul rilancio del vecchio modello economico, oppure ci sono ragioni sociali di rappresentanza e consenso che incidono sul suo pensiero e sulla sua azione? Se fosse così, come influenzarlo?” Con la sola forza delle idee? A mio avviso le proposte di SEL (mozione congressuale del leader unico Nichi Vendola) sono anche abbastanza chiare e teoricamente incisive (e per altro non troppo distanti da alcuni temi dei candidati perdenti nel PD; Cuperlo Civati e Pittella), se ci fosse un’ampia “sinistra di governo” su cui far leva: poiché questa non c’è (ufficialmente non c’è più dopo i 101 contro Prodi), manca soprattutto una strategia alternativa per aggregare il necessario consenso.

domenica 3 novembre 2013

UN ASSAGGIO DELLA MOZIONE DI RENZI

Come campione del documento congressuale presentato da Matteo Renzi, prendo il tema del Lavoro, sia perché qui era atteso il nuovo Renzi, rispetto a quello schierato con Pietro Ichino (&C) nel 2012 (Ichino che si è poi schierato con Monti) e quindi contro l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (ad esempio), sia perché tutto sommato è un tema trattato in modo abbastanza compatto nel testo Renzi 2.0 in esame (però nel capitolo “Noi vogliamo cambiare verso al PD”), mentre altri temi sono sbocconcellati qua e là (la giustizia, ad esempio, ove la questione della custodia cautelare e solo accennata, e la responsabilità civile dei giudici per nulla, salvo diventare improvvisamente centrale nel successivo comizio di chiusura alla Leopolda); riassumo le proposte:
-          Vanno cambiati i centri per l’impiego
-          Va rivoluzionata la formazione professionale
-          Troppe norme: ridurre a poche, tradotte in inglese
-          Troppi sindacati e troppi sindacalisti (però il sindacato ha ruolo insostituibile): occorre legge sulla rappresentanza e certificare i bilanci dei sindacati
-          Viva Internet come fonte di sviluppo
-          Piano del lavoro: da scrivere per il prossimo 1° maggio, aggregando idee come
    o   Sgravi fiscali triennali per le assunzioni di giovani
          o   Investimento necessario per chi si trova all’improvviso a 50 anni senza lavoro.
Mi pare un elenco senza capo né coda, un po’ cerchiobottista, e privo sia di chiari orientamenti politico-sociali (ha ragione Marchionne oppure Landini?) sia di solidi orizzonti economici (come si esce dalla crisi?) sia di contenuti riconoscibili (troppe norme: quali tagliare?) ed operativi (sugli incentivi alle assunzioni, cosa cambiare rispetto al flop della legge “Giovannini” che ha raccolto circa 10.000 adesioni contro 100.000 finanziate e previste? quale investimento per i disoccupati cinquantenni?).

In tutto il documento, poi, non ho capito chi sia il soggetto “noi” (“Noi vogliamo cambiare verso al PD”):
-          non è il PD (complemento oggetto del cambiamento),
-          non dovrebbero essere i “renziani”, perché “non esistono” (si è contro le correnti):
-          che sia il plurale maiestatis di “IO”?
-          oppure l’insieme simpatetico di “Voi, elettori che mi amate e seguite, ed IO che Vi guido”?
Penso si possa cogliere un vago sentore di populismo.
Però piace a molti.

LEGGENDO LE MOZIONI CONGRESSUALI


Mi ero permesso di criticare i giornali che avevano trattato solo come riti&colore&folclore le mozioni congressuali del PD, e mi ripromettevo invece di leggerle con attenzione per capire il senso del confronto congressuale.
Adesso che le ho lette (compresa quella di Vendola per il parallelo e divergente congresso di SEL), ho capito solo una cosa, e cioè che il confronto avviene ed avverrà su tutt’altro che sui testi delle mozioni: sulle emozioni mediatiche (dalle dichiarazioni quotidiane al probabile confronto diretto televisivo), sullo scandalo dei pacchetti di tessere, sulla residua credibilità complessiva dei candidati e dei rispettivi entourage, “a prescindere”.
Infatti, anche se una parte dei testi non è priva di qualità letterarie, e parzialmente di contenuti interessanti (in particolare Cuperlo e Civati hanno meglio specificato le loro posizioni su diversi temi, rispetto ai testi che ho in precedenza recensito), l’insieme risulta poco leggibile e per nulla confrontabile, sia per la  mancanza di indici e di schede sintetiche, sia per i toni spesso retorici, dal versante pletorico di Civati (70 pagine: ricorda il programma dell’Unione di Prodi 2006) al versante stringato ma vacuo di Renzi (15 pagine: vedi POST seguente).
Sembrano scritte ognuna per confortare i seguaci già acquisiti e non per convincere altre persone.
L’impressione complessiva è di una valanga di parole (il formato digitale ha perso i freni del costo della stampa) poco collegabili ai fatti, ai concreti comportamenti del PD (dal governo Monti al governo Letta, passando per i 101 congiurati ai danni della candidatura di Prodi al Quirinale, che qualche candidato stigmatizza, ma nessuno tuttora spiega, a partire dagli ignoti 101): anche quando i testi si sforzano di parlare di  tali governi e dei problemi sociali connessi, e della stessa scarsa credibilità del PD.

Non avendo molte speranze che il segretario uscente o altri soggetti neutrali (come il gruppo “Costituente delle idee”) o i giornali, anche di partito, provvedano a rendere confrontabili nel merito le 4 posizioni congressuali (ad esempio riassumendo ognuna in 1 cartella - formato A4, corpo 12 - di “filosofia a tema libero” + 2 cartelle di risposte a specifici quesiti), mi limito, per parte mia ad un assaggio critico analitico sulla sola mozione di Renzi, perché continua ad essere il favorito (vedi POST seguente), assaggio da cui ricavo un grande sconforto: potrò forse un giorno votare Renzi come male minore (penso ancora purtroppo a Berlusconi, ma anche  ad Alfano&C, a Grillo&Casaleggio e purtroppo a molti parlamentari del M5S), ma nel Renzismo non mi ci riconosco per nulla, né nello stile né nei contenuti.
E – malgrado mozioni migliori - non vedo al momento alternative attendibili, né tra i suoi concorrenti nel PD né in SEL:
-          su Cuperlo già ho detto abbastanza male in passato: parla e scrive bene, ma non riesce tuttora a dissolvere l’ombra della conservazione di un vecchio apparato, per altro alquanto a brandelli; come tutti, non sa indicare la via di uscita dalla palude delle larghe intese, però sembra leale verso Letta e perciò non si giova degli slogan sul cambiamento immediato;
-          anche su Civati ho già detto abbastanza male in passato, e tenderei a confermare il giudizio di carenza di visione strategica, non colmato dalla raccolta di (fin troppe) buone parole d’ordine su singole tematiche, dal recupero di vecchi bastian contrari e dall’esile appoggio dell’esile movimento “Occupy PD” (bisognerebbe domandarsi il perché dell’esilità di molti movimenti, in particolare se iniziano per “Occupy”, vedi anche “Occupy Wall Street”): nel PD la crisi post-elezioni ha generato più disaffezione che rivolta, e Civati catalizza poco di tutt’e due
-          su Pittella non so che dire, perché continua a sembrare un out-sider, almeno a sud di Bruxelles ed  nord di Eboli: le sue posizioni sembrano coerentemente di sinistra riformista, ma si fa fatica a comprenderne il bisogno, rispetto alle non distanti espressioni di Cuperlo e Civati
-          su Vendola, si è costretti innanzitutto a parlare di Vendola, della sua personalistica insostituibilità come leader nazionale, mentre continua a governare la Puglia a part-time e a Roma è attorniato da un gruppo dirigente che non riesce a far dimenticare le colpe di Bertinotti verso i governi Prodi 1 e 2; le proposte di riformismo europeista radical/roosveltiano del documento di SEL (che mi piacerebbe molto veder messe alla prova) necessiterebbero di una sinistra di governo italiana ed europea che passa per l’area del PD e del  PSE, ma – dopo la fase Bersani – non si capisce come costruirla, prima ancora di egemonizzarla, eventualmente,  da sinistra e “dal basso”: dubito che siano utili in tale prospettiva parole d’ordine puramente agitatorie come la caduta immediata del governo Letta oppure la difesa a priori della 2^ parte della Costituzione      

Pertanto, se questa è l’aria che tira non so se andrò a votare per queste primarie: il mio comportamento non ha importanza , e non mi preoccupa “se mi si nota di più se sto in disparte”, o viceversa.
Quello che mi preoccupa, oltre i congressi, è che cresce lo sconcerto di fondo, in chi come me si è riconosciuto quale simpatizzante del centro-sinistra (e malgrado tutto anche del PD), per la speranza che una sinistra europea possa porre qualche rimedio ai problemi del mondo, agendo anche a livello dei poteri governativi ed inter-governativi, e non solo al livello locale e molecolare dove bene possono operare anche i movimenti ed i singoli.

martedì 29 ottobre 2013

SFIDUCIA COSTRUTTIVA

Nella discussione sulla revisione della  Costituzione mi pare ragionevole la motivazione del voto contrario di Corradino Mineo :
«Non ho votato perché l’idea di cambiare la Costituzione col Pdl è velleitaria. Come si possono fare le riforme con un partito che attacca continuamente le regole e lo Stato di diritto? A questo percorso non crede più nessuno. Si va avanti solo per inerzia...».
Si aggiunga che la corretta ipotesi di correggere la composizione dell’eligenda Commissione bicamerale escludendo il premio-Porcellum lascerebbe  minoritaria in tale commissione l’insieme delle formazioni filo-governativa, in caso di scissione del PdL, mentre senza scissione probabilmente salta il tutto.

Però, nel merito della discussa e delicata questione della formazione del governo e dei poteri del Presidente del Consiglio, guardandola in astratto, non riesco a manifestare alcun entusiasmo sugli esiti in proposito della vigente Costituzione, né nella 1^ né nella 2^ Repubblica.

Mi sembra di ricordare che la fragilità dei governi non rendesse debole la sostanza del regime democristiano (in cui molti di noi crescemmo  e che poi cercammo di contrastare), bensì le espressioni istituzionali dello Stato: la politica estera o industriale o criminale ufficiali potevano pur essere frammentarie ed inefficaci, perché intanto in altri luoghi il potere effettivo del regime si dispiegava, dall’ENI all’IRI, da Gladio alla P2, attraversando gli apparati pubblici e dialogando con gli altri poteri forti esterni al recinto istituzionale e nazionale (USA, Chiesa, Confindustria, Mafia, ecc.).

Nel ventennio berlusconiano consistenti brandelli del regime hannocontinuato a glleggiare, oppure a navigare in immersione,
-  poco scalfiti dai 4 governi dell’Ulivo (di cui gli ultimi 3 condizionaitin Parlamento dagli epigoni di qiuel regime, da Cossiga a Mastella)
- per nulla affondati dalla mancata  “rivoluzione liberale” di Forza Italia, ed anzi in parte alimentati dai 5 governi dello stesso Berlusconi (penso ai casi di Pollari&Pompa&C.e di Bertolaso&Anemone&C)
Solo che nei decenni si è persa, anche da quelle parti, insieme con l’ombrello protettivo degli interessi americani – dal piano Marshall a Gorbaciov – la spinta propulsiva dei Valletta e dei Mattei, e ci si limita  a vivacchiare, gestendo la crisi del vecchio modello di sviluppo (che risale agli anni ’70) in favore delle corporazioni  e delle cricche, ed a svantaggio di chi ne sta fuori.

E’ certamente semplicistico attribuire tutto questo alla mancanza della “sfiducia costruttiva”, e la storia non si può rifare con i “se”.
Tuttavia mi piacerebbe immaginare, per mia privata soddisfazione, come avrebbe potuto esse la storia d’Italia del dopoguerra se ci fosse stata in Costituzione la “sfiducia costruttiva”: a vantaggio di De Gasperi dentro la DC nel 53-54, a vantaggio del primo centro-sinistra contro i dorotei negli anni ‘60, a vantaggio di Prodi contro Bertinotti prima e poi contro Mastella&C., ecc.

venerdì 25 ottobre 2013

SOVRANITA' LIMITATA PERMANENTE EFFETTIVA

A fronte dello scandalo degli U.S.A. che spiano gli alleati fino ai massimi livelli, il presidente del parlamento Europeo Schulz ha proposto come ritorsione l’interruzione dei negoziati per la formazione di un’unica area di libero scambio tra Europa e Nord-America.

Nel mio piccolo proporrei ritorsioni più specifiche, del tipo (detta con antico linguaggio) “buttiamo a mare le basi americane”, a partire da quelle più telematiche (tipo MUOS) e ad arrivare a ridiscutere tutta la subordinazione politico-militare dell’Europa agli U.S.A. (la guerra fredda è finita da un pezzo e sul modo più efficace di affrontare il terrorismo gli U.S.A. hanno da farsi perdonare 2 o 3 guerre, in Irak ed Afganistan).

Quanto al negoziato per il libero scambio, per quanto i riguarda, lo sospenderei comunque, ma per altre ragioni (e mi pare grave che un po’ ovunque non sia stato ampliamente discusso fin dalle sue premesse): secondo me è una scelta fortemente negativa sotto il profilo della sostenibilità ambientale e sociale
-    perché induce ad uno sviluppo ulteriore dei trasporti di merci inter-continentali (moderati dazi dovrebbero diventare una tassa ecologica per prevenire e compensare i danni ambientali connessi ai trasporti di merci e incentivare le produzioni locali ovvero “a chilometri zero”)
-    perché tende a difendere e rilanciare il ristretto “fortino dei più ricchi”, trovando all’interno dei loro ricchi mercati lo spunto per un rilancio del vecchio sistema di sviluppo, contrapponendosi nei fatti alla ricerca di rapporti commerciali più equilibrati per l’intero mondo e potenzialmente a favore anche dei più poveri.

domenica 20 ottobre 2013

STABILITA' A FAVORE DI CHI?

In attesa di capire tutti i rivoli  e gli aspetti della legge di stabilità (e di vedere come evolverà, nei conflitti sociali e nel confronto parlamentare), pare di capire dai giornali di oggi, Sole24Ore in testa, che il gettito della Tasi (ex-IMU) potrà essere più alto di quello della vecchia IMU, pur con aliquote più basse, perché sparirebbero le detrazioni (che annullavano il tributo per le prime case più modeste).
Nell’insieme un bel trasferimento di risorse dai più poveri in favore dei più ricchi.
A ciò si aggiunge, pare, una quota di tassa sui servizi a carico degli inquilini.
E nessun computo sull’impatto ambientale, né dell’energia consumata dalle abitazioni, né sulla quantità dei rifiuti effettivamente prodotti.
Vorrei sentire, dalle parti del PD, qualcuno che dica in proposito “qualcosa di sinistra”; o – almeno –“di centro”.
20-10-2013
Aldo Vecchi

Con questo testo sono arrivato al POST n° 100 di questo blog “relativamente, sì” , dall’inizio del 2013, con oltre 110 commenti (ma pervenuti tramite e-mail, oppure Facebook), e oltre 3.000 contatti (quasi 2.000 dall’Italia, e non capisco molto la curiosità dall’estero, data la lingue ed i temi).

I post più cliccati (oltre 200 aperture) risultano “Imu ed equità” e (non so perché) “la prima lezione di urbanistica di Bernardo Secchi”, di gran lunga più visitato rispetto a tutte le altre recensioni.

Decisamente “di nicchia” i visitatori delle pagine del saggio sulla sostenibilità e delle fotocomposizioni.

Grazie comunque ai lettori abituali ed occasionali.

martedì 15 ottobre 2013

DIVERSAMENTE RENZIANI

Talvolta mi chiedo se siano più pericolosi i "renziani della prima ora" (esempio Ichino e Zingales) o quelli dell'ultima (Nicola LaTorre, Franceschini, Fassino...). O forse peggio quelli che ancora non sono renziani, ma saliranno poi sul carro del vincitore in pectore?

domenica 13 ottobre 2013

28° CONGRESSO INU: RIGENERAZIONE DI UNA CITTA' INCOMPIUTA (ovvero "Ora, e sempre, resilienza")

Per una distrazione dovuta a disguidi del mio abbonamento alle riviste dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (ed anche perché delle attività dell’INU nessuno parla fuori dell’INU, né i principali quotidiani, né - ad esempio – il mondo di “Salviamo il paesaggio”), stava sfuggendomi l’imminente XXVIII Congresso Nazionale dello stesso INU, che si terrà a Salerno nei giorni 24-26 ottobre p.v.
Rischiavo quindi di sprecare energie attorno al congresso del PD, il cui esito sarà di certo rilevante, ma dove si fatica a discutere di questioni importanti (per privilegiare il confronto sulla telegenia dei candidati), trascurando il congresso dell’INU, che invece alcune  importanti questioni le affronta, ma che sarà probabilmente irrilevante, sia perché pochi saranno in ascolto, sia perché in  questa fase storica mi sembra limitata l’influenza dell’INU sul comportamento effettivo delle amministrazioni che gestiscono le città e i territori.

 La questione più importante che pone l’INU, nel documento introduttivo al 28° Congresso “La città come motore dello sviluppo del Paese”, è la configurazione disorganica raggiunta nel disordinato sviluppo dei territori “metropolizzati” (post-metropolitani?), urbani e peri-urbani, a fronte della consapevolezza che il bisogno e la stessa domanda effettiva di aree da trasformare sia oggi inferiore all’offerta potenziale data dall’insieme delle “porosità” infra-urbane (aree dismesse e aree rurali intercluse).
Da qui la necessità di una prospettiva di consolidamento e valorizzazione dei vuoti, da affiancare ad una virtuosa “rigenerazione” (oltre la “riqualificazione”) di ogni brano della città/non-città esistente, da rendere quanto più possibile “resiliente” ovvero tendenzialmente equilibrato in termini di consumi ed approvvigionamento energetico (ed alimentare?), e di inquinamento/disinquinamento (aria, acqua, suolo, rifiuti), con processi di densificazione mirati e puntuali (non generalizzati), attraverso i luoghi pubblici/sociali e lungo le reti ecologiche ed infrastrutturali,  e con selezione delle aree da riutilizzare, che non ne esclude la riconversione a verde, pubblico od agricolo.   
Il tutto condito da una adeguata politica dei trasporti, con priorità ai mezzi pubblici; e da una attenzione al fabbisogno abitativo per le fasce deboli e debolissime (che però attribuisce al solo Campos Venuti l’idea di incentivare la suddivisione degli alloggi troppo grandi per famiglie rimpicciolite).
L’insieme mi sembra che suggerisca una visione processuale della pianificazione per “flussi di uso di territori”, rinunciando invece ad una compiutezza formale del disegno urbano complessivo; tale visione ben si collega allo slogan “no al consumo di suolo” e  mi pare ne  superi la pura negatività vincolistica.

A questi contenuti si affianca la riproposizione della strumentazione del congresso di Bologna (1995), e cioè:
-     la co-pianificazione tra i comuni e tutti gli altri Enti da coinvolgere
-     lo sdoppiamento tra piano strutturale (invarianti e linee strategiche, non conformative dei diritti edificatori) e piano operativo di breve durata (con decadenza congiunta di edificabilità privata e vincoli di uso pubblico),

che l’INU giudica poco o mal attuata dalle Regioni in questi 18 anni (con una visibile insofferenza verso il “federalismo reale”) e che perciò rivendica da una legge quadro statale, che affronti anche il nodo del regime giuridico e fiscale dei suoli (con segnalazione della nuova legge Svizzera sul prelievo fiscale delle rendite urbane).

I punti deboli della lungimirante e ambiziosa piattaforma mi sembra siano soprattutto:
-          la rinnovata apertura di fiducia verso Governo e Parlamento (che francamente – se non sorretta almeno da un qualche sciopero della fame dell’intero gruppo dirigente dell’INU - mi ricorda Charlie Brown al calcio della palla che gli sarà inesorabilmente sottratta da Lucy van Pelt); nel contempo l’INU sembra acquiescente con la soppressione delle Provincie, che cancellerà quasi del tutto quel poco di buono che si è fatto e si potrà fare a scala sovracomunale, al di fuori della speranza nelle aree  metropolitane”;
-          la visione congiunturale della crisi, o almeno del suo aspetto specifico che in Italia colpisce la finanza delle amministrazioni locali, come se si potesse facilmente intravvedere un dopo-crisi migliore e simile al prima, mentre a mio avviso bisogna comunque ragionare in termini nuovi, di  piena consapevolezza della conflittuale conclusione del ciclo affluente del welfare europeo del secondo Novecento (vedi anche  Luciano Gallino “L’attacco allo stato sociale” – Einaudi 2013) e quindi di ricerca degli strumenti (per l’appunto nelle città, che raccolgono popolazioni, produzioni e redditi), per ricostruire dal basso il welfare e la buona occupazione, sia con una adeguata fiscalità immobiliare (e superamento della più generale evasione fiscale), sia con la valorizzazione di tutte le risorse anche non-finanziarie (lavoro, ricerca, volontariato, cooperazione): dare quindi concretezza al titolo del congresso (“la città come motore dello sviluppo del Paese”), che sennò sembra un po’ uno slogan alla Matteo Renzi (CORAGGIO versus Paura/Aruap, ecc.).

A margine rilevo con disagio la scelta dell’INU di trasformare la raccolta di contributi teorici (“call for paper”) in vista del Congresso in una sorta di operazione editoriale per Autori-A-Proprie-Spese (vedi Umberto Eco “Il  pendolo di Foucault” – Bompiani 1988), sottoponendo i testi ad un versamento di 50 o 100 € (come già per il precedente Premio di Letteratura Urbanistica): si specula sul bisogno di pubblicare dei dottorandi e docenti precari?

 

giovedì 10 ottobre 2013

CONIURATIONI

Non viene molta voglia di commentare la straziante telenovela dell'intramontabile tramonto  di Berlusconi (e le sue varianti in Diversamente Berlusconiani, Sguaiatamente Berlusconiani, Fittamente Berlusconiani) se non per rammentare all'on-le Cicchito quanto Craxi disse alcuni anni fa a lui, Signorile e De Michelis, citando all'incirca Macchiavelli: "le coniurationi fallite ruinano li coniurati": speriamo non rovinino ulteriormente la povera Italia..

lunedì 7 ottobre 2013

NUOVO RINASCIMENTO ITALIANO?

Il Manifesto di alcuni professori di diverse discipline ”Il nuovo Rinascimento italiano. Salute dell’uomo e dell’ambiente per uno sviluppo economico ecosostenibile” , che ho letto su “Tuttoscienze” de “La Stampa” in data 02-10-13 (e che allego a questo post; merita a mio avviso adeguata attenzione perché – al di là di alcuni eccessi di ottimismo tecnologico ed anche “nazionalistico” – evidenzia una possibilità di mobilitare risorse intellettuali, presenti soprattutto delle Università, “dal basso” (cioè anche in assenza di un progetto delle istituzioni nazionali, dal Governo al C.N.R.) e con volontà di un attivo confronto interdisciplinare.

Sull’ottimismo tecnologico mi è già occorso di rilevare (vedi POST su Green Life e su Jeremy Rifkin) che tali prospettive non considerano a sufficienza né la relativa finitezza “comunque” delle risorse naturali, né la forte competizione per spartirsele tra i ricchi (e parte dei poveri) del pianeta (conflitto in cui è iscritta anche la nuova corsa al petrolio ovunque esso sia), né la difficoltà di convincere le élites mondiali e le masse “occidentali” a rinunciare a diverse abitudini di consumi opulenti, né ancora i rischi di "decrescita" del reddito  e dell'occupazione; tuttavia se una parte del mondo accademico, invece di accanirsi nel solo specialismo settoriale oppure nell’autocontemplazione ombelicale, si slancia in uno sforzo di ricerca finalizzata ed interconnessa, ben vengano le ventate di ottimismo; a scontrarsi con i “limiti” c’è sempre tempo, quando la ricerca entra nel merito delle cose.

Quanto all’utopia di ripercorrere il Rinascimento italiano è una speranza probabilmente infondata, sia perché “quella” accumulazione imprenditoriale e finanziaria, oltre che intellettuale, è irripetibile su uno scenario globale in cui altre nazioni sono già ottimamente piazzate e certo non stanno ferme ad aspettarci, sia perché il “manifesto” in questione trascura (volutamente?) le profonde ragioni strutturali e politiche della attuale decadenza italiana (su cui siamo abituati  piangere quotidianamente, senza finora uscirne).

Invece mi sembra molto valida (almeno per contrastare tale decadenza, se non per riaffermare antichi primati) l’intuizione di connettere gli orizzonti della ricerca tecnologica (sulla produzione e sull’abitare) con la valorizzazione della qualità della vita  (e le connesse ricerche mediche, sociologiche ed antropologiche) nei suoi aspetti specificamente italiani (ma forse anche europei), ancora leggibili – anche se talora ormai “residuali” - nei nostri paesaggi agrari ed urbani, ed in alcuni aspetti persistenti dei nostri “stili di vita”.

All’interno di tali “paesaggi umani”, suggerirei una riflessione sui rapporti di lavoro e dei rapporti tra lavoro e non-lavoro: la sostenibilità ecologica ed il benessere psico-fisico a mio avviso non possono essere disgiunti dallo sviluppo, adeguato ai tempi, dei diritti e del ruolo attivo dei lavoratori: meno disoccupazione e  più tempo libero intelligente; meno precarietà e più partecipazione.

Sia perché la salute da migliorare deve essere quella di tutti, e quindi a partire dagli ultimi e da chi anche oggi è sfruttato; sia per far crescere la speranza di una vita più sana (e felice?) sulle gambe delle moltitudini (attualmente spesso ottenebrate da falsi miti propagandistici e pubblicitari) e non sulle sole teste degli intellettuali; così da imporla, con forza, alle “forze” politiche, che su questi temi cincischiano, senza mostrare di crederci veramente (ma solo lì possono essere decisi i necessari ”massicci investimenti”: a meno di sperare anche negli imprenditori italiani, che in questa fase storica – almeno quelli grandi – sembrano piuttosto in tutt’altre faccende affaccendati).


Salute dell’uomo e dell’ambiente per uno sviluppo economico
    ecosostenibile

 
A partire dagli ultimi decenni del XIV secolo un gruppo di intellettuali
ed artisti italiani iniziarono un processo di profondo rinnovamento
culturale e scientifico che segnò il passaggio dal Medioevo all’era
moderna prima in Italia e poi nel resto d’Europa. Secondo lo storico
Richard Goldthwaite quel processo di rinnovamento fu tale per cui “il
benessere fu riciclato e investito in capitale umano e trasformato nel
patrimonio dell’architettura urbana, dell’arte e di una tradizione
artigianale mai eguagliata in altre città”.¹ Un’eredità impressionante
che ancora oggi il mondo intero ci riconosce.

Pensiamo sia giunto il momento per rilanciare l’Italia come attore
principale di un Nuovo Rinascimento che ponga al centro delle politiche
sociali e industriali la valorizzazione della salute dell’uomo e
dell’ambiente, il capitale culturale, artistico e naturale per uno
sviluppo economico duraturo perchè ecosostenibile.

L’attuale modello economico di sviluppo proposto dai paesi
industrializzati e in via di sviluppo non è sostenibile. Nel breve
periodo un ulteriore avanzamento tecnologico per estrarre più risorse
naturali, per produrre più cibo, farmaci, energia, e crescita economica
è possible, ma nel lungo termine avrà delle conseguenze disastrose sulla
salute dell’uomo e dell’ambiente, ed in ultima analisi sul benessere
sociale ed economico dell’intero pianeta.

Salute, benessere, risparmio energetico, conoscenza, cultura e sviluppo
economico ecosostenibile devono diventare i pilastri su cui costruire il
futuro della “nuova” Italia. L’invecchiamento della popolazione,
l’epidemia di obesità e di patologie croniche associate agli scorretti
stili di vita, il crescente inquinamento ambientale, il riscaldamento
globale, e lo sfruttamento sconsiderato delle risorse energetiche e
naturali sono dei problemi seri che se affrontati in modo scientifico, e
con una nuova visione globale e transdisciplinare, potrebbero non solo
far risparmiare ingenti risorse economiche al paese, ma generare nuova
ricchezza.

Per i nostri figli e nipoti vogliamo immaginare un’Italia figlia di un
nuovo Rinascimento in cui le città sono verdi e silenziose perchè le
auto sono sospinte da motori ibridi elettrici e a idrogeno che emettono
solo vapor acqueo. Gli edifici in cui viviamo e lavoriamo sono
efficienti dal punto di vista energetico e non richiedono dispendiosi
sistemi di riscaldamento e aria condizionata, ma anzi estraggono dal
sole e dal vento l’energia necessaria per alimentare gli
elettrodomestici e le nostre automobili. Un’Italia in cui l’aria e
l’acqua emesse dalle industrie sono più pulite di quelle che erano
entrate, in cui le discariche sono state eliminate e un innovativo
sistema agricolo ecosostenibile produce cibo sano in abbondanza.
Un’Italia in cui la pressione fiscale è stata abbondantemente ridotta
poiché una buona parte della spesa pubblica improduttiva è stata
finalmente eliminata e quella produttiva è stata limitata poiché i
cittadini sono sani e laboriosi, le reti sociali sono state migliorate,
e l’attuale modello di produzione si è trasformato in direzione di
un’economia sostenibile riconducendo la disoccupazione a livelli
fisiologici. E infine, un’Italia che i turisti provenienti da ogni
angolo del mondo vogliono visitare e prendere a modello perché è
diventata il Giardino dell’Eden.

Tutto ciò non è un’utopia o il sogno di visionari. Molte delle
conoscenze scientifiche per azzerare l’inquinamento, per prevenire con
adeguati stili di vita la maggior parte delle malattie croniche (e i
costi sociali connessi), per costruire case super coibentate che non
consumano ma producono energia, automobili super-leggere in fibre di
carbonio a trazione elettrica/idrogeno, e molti altri miglioramenti
necessari per vivere una vita lunga, sana e felice sono già disponibili
e sono state proficuamente applicate in una misura che va ben oltre la
sperimentazione prototipale. Il passo successivo deve essere
l’applicazione integrata di queste conoscenze a favore della salute dei
cittadini e dell’ambiente, garantendo un nuovo sviluppo economico e
industriale che valorizzi, e non distrugga, le risorse naturali.
Purtroppo, una visione riduzionistica e arretrata di questi problemi ha
impedito finora che ciò accadesse.

E’ ora di invertire la rotta per uscire dall’attuale crisi economica e
di valori secondo una logica non convenzionale. Abbiamo idee, capitale
umano e tecnologie per farlo. L’Italia può e deve diventare leader nel
mondo su queste tematiche, investendo massicciamente in questi settori e
promuovendo programmi e progetti di ricerca armonici ed
interdisciplinari cha abbiano un risvolto applicativo immediato sulla
popolazione, l’ambiente e sulle industrie locali e nazionali.

Il Nuovo Rinascimento italiano deve partire da un nuovo approccio alla
soluzione dei problemi mediante un disegno sistemico, integrato e
transdisciplinare con una visione di lungo periodo. Il pensare in
maniera sistemica spesso rivela interconnessioni e soluzioni d’insieme,
che sono più semplici, economiche e capaci di risolvere problemi
complessi con un unico investimento.

Le condizioni di partenza del Tardo Medievo in Italia non erano certo
migliori di quelle che abbiamo oggi, ma i nostri antenati furono capaci
con le loro idee di influenzare e cambiare il mondo. Le ingenti risorse
accumulate fino a quel punto furono investite per costruire palazzi,
chiese e monumenti, per commissionare dipinti, statue e opere
letterarie, determinando così un fermento culturale e la
creazione/attrazione di capitale umano. La situazione oggi si ripete.
Esistono ingenti capitali che aspettano solo di essere diretti da una
visione strategica e non da interessi di breve periodo. L’eredità che ci
è stata lasciata dai nostri avi in termini di patrimonio storico e
culturale e il patrimonio di conoscenze scientifiche e tecniche che
abbiamo acquisito negli ultimi 150 anni, se propriamente impiegati, ci
potrebbero permettere di fare un altro balzo in avanti e di vivere
stabilmente in un mondo meraviglioso in armonia con noi stessi e la
natura. E’ ora di riprovare a ripartire, i nostri posteri ce ne saranno
grati.

 
*Per un ulteriore approfondimento sul tema si consiglia di leggere:*
Fontana L., Atella V., Kammen D.M. “Energy and resource efficiency as a
unifying principle for human, environmental and global health”
<http://f1000research.com/articles/2-101/v1/pdf>. F1000Research 2013.

_________________________
¹ The economy of Renaissance Florence, di Richard A. Goldthwaite – Johns
Hopkins University Press, p. 672.

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/Prof. Luigi Fontana/
Professore Ordinario di Scienze della Nutrizione presso il Dipartimento
di Medicina dell’Università di Salerno; Visiting Professor presso il
Centro di Nutrizione Umana della Washington University in St.Louis, USA;
Group Leader della piattaforma “Healthy Aging” presso l’Istituto di
Ricerca “CEINGE” di Napoli.

/Prof. Vincenzo Atella/
Direttore del CEIS Tor Vergata, Professore Associato di Economia presso
il Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università di Roma Tor
Vergata e Direttore Scientifico della Fondazione Farmafactoring.

/Prof. Sergio Pecorelli/
Professore Ordinario di Clinica Ostetrica e Ginecologica e Rettore
dell’Università degli Studi di Brescia, membro dello High Level Steering
Committee della Commissione Europea per la European Innovation
Partnership for Active and Healthy Ageing.

/Prof. Riccardo Pietrabissa/
Presidente Netval, Professore Ordinario di Bioingegneria Industriale,
Politecnico di Milano e Università degli Studi di Brescia.

/Prof. Francesco Salvatore/
Professore di Biochimica Umana Ateneo Federico II di Napoli, Emerito
nell‘Università, Presidente e Coordinatore Scientifico del
CEINGE-Biotecnologie Avanzate di Napoli.

/Prof. Umberto Veronesi/
Direttore Scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia.