(veci anche simile post del 2014)
Un ampio manuale che
propone una lettura storica ed analitica – a scala macro-economica ed anche
micro-economica – delle attuali tendenze del capitalismo, rammentando che non
esistono mai le condizioni di equilibrio su cui si fondano gli economisti
“classici”
(in corsivo i commenti
personali del recensore)
Paolo Leon, economista di ispirazione keynesiana mancato nel 2016, ha
proposto in una delle sue ultime opere, “Il capitalismo e lo stato” una analisi
dettagliata delle trasformazioni del capitalismo e del ruolo
economico-finanziario dello stato dal dopoguerra ad oggi, con i necessari
richiami alle vicende della prima metà del novecento, prima e dopo la
precedente “grande crisi”, quella deflagrata nel 1929.
La visione storica, articolata nelle seguenti fasi (come da me schematizzate):
·
1945-1971 “postumi del compromesso
roosveltiano”
·
1971-1987 “la grande inflazione”
·
1987-2007 “globalizzazione e
finanziarizzazione”
·
dal 2007 crisi e permanenza del modello
global-finanziario,
serve a Leon anche per contrapporsi a tutte le teorie economiche
astratte, fondate su un “equilibrio” che in realtà non è mai esistito, mentre
occorre comprendere le specificità del funzionamento del sistema capitalistico
nelle sue costanti trasformazioni, da uno stato di squilibrio ad un altro stato
di squilibrio.
Trasformazioni che sono incessanti anche a livello molecolare, così da
rendere inservibili strumenti concettualmente semplici, come la matrice
dell’interscambio tra i diversi settori, ideata da Leontieff, se la si volesse
utilizzare come strumento previsionale e non come semplice consuntivo; a
maggior ragione scendendo alla scala delle singole imprese.
Altro tema cardine per Leon è per l’appunto quello della “scala”, e
cioè l’impossibilità di proiettare le teorie aziendalistiche e micro-economiche
alla scala della macro-economia, perché l’assetto complessivo dell’economia non
consiste nella sommatoria dei comportamenti “razionali” delle singole
imprese+consumatori, bensì coinvolge variabili specifiche, che ruotano comunque
attorno al ruolo dello stato, seppur tendenzialmente costretto dall’egemonia
neo-liberista ad uno spazio minimo-residuale.
Inoltre Leon, riprendendo con diversi accenti Adam Smith e Carlo Marx,
batte e ribatte sulla “cecità” del singolo capitalista, i cui interessi non
coincidono mai con quelli generali dello stesso capitalismo (trascurando un poco, a mio avviso, i
comportamenti dei conglomerati oligopolistici ed il ruolo delle associazioni
categoriali degli imprenditori, nonché dello stesso stato, quando guidato da
forze filo-padronali, che forse non sono sempre e del tutto ciechi in materia
di macroeconomia, almeno nell’interesse loro).
Il testo costituisce un amplio manuale (direi una summa del pensiero
neo-Keynesiano), che non è quindi né possibile né utile riassumere con questa
recensione in tutti i suoi aspetti, ed è
invece utile comunque leggere, soprattutto per i profani, per capire il mondo
in cui viviamo (anche nei passi più ostici, come ad esempio quando spiega che è
l’entità degli impieghi bancari a determinare l’entità dei depositi, e non
viceversa):
·
le singole fasi storiche vengono
sistematicamente esaminate dall’Autore riguardo a tutte le seguenti questioni:
moneta – banca – finanza – forza lavoro – spesa pubblica – import export –
stato – impresa;
·
dentro l’impresa Leon illustra i diversi ruoli
che assumono le varie direzioni aziendali:
ricerca&sviluppo-acquisti-gestione-personale-finanza-marketing ecc.;
·
inoltre nel capitolo IV analizza con
precisione i “fondamenti macro-economici della micro-economia”, dai vari
“moltiplicatori” alla “moneta fiduciaria”, dalla legge di Engel sull’evoluzione
dei consumi alla “regola aurea” che assegnerebbe ai salari gli incrementi di
produttività e che – ovviamente – costituisce una condizione di equilibrio,
impossibile nel contesto della globalizzazione, ed impossibile anche perché
sgradita ai capitalisti stessi.
Mi limito quindi a segnalare, oltre alle premesse generali su
equilibri/squilibri e su macro/micro-economia, i seguenti elementi peculiari:
- la lettura della fase
global-finanziaria come trasferimento della supremazia dal profitto alla
valorizzazione patrimoniale, comunque conseguita, e quindi della
competizione tra capitalisti come sfida (senza limiti) nella accumulazione
della ricchezza (e del debito), in quanto strumento di potere in se, quasi
a prescindere dal possesso dei mezzi di produzione (non capisco però, in questo quadro, la mancata citazione del concetto
di “finanz-capitalismo” e dell’omonimo testo scritto da Luciano Gallino nel
2008, nonché l‘assenza di “7° - Non rubare” di Paolo Prodi nella bibliografia)
- le conclusioni,
aperte in più direzioni (invero assai poco rassicuranti) che da un lato non
escludono un eventuale resipiscenza verso un approdo keynesiano (non mi sento di condividere, in tal senso,
la certezza che un maggior deficit oggi rientrerebbe automaticamente come
maggior gettito fiscale domani, in questo oggi ed in questo
domani) ed in alternativa profilano, oltre alla prospettiva di un
disordinato disastro anarco-capitalista, possibili scenari di compromesso
autoritario tra stato e mercato, di cui l’attuale Cina costituirebbe un
laboratorio sperimentale.
Fonti:
1.
Paolo Leon “IL CAPITALISMO E LO STATO: CRISI E TRASFORMAZIONE DELLE STRUTTURE ECONOMICHE” – Castelvecchi
editore, Roma 2014
2.
Luciano Gallino “FINANZCAPITALISMO” – Einaudi, Torino 2008
3.
Paolo Prodi - “SETTIMO NON RUBARE. Furto e
mercato nella storia dell’Occidente”– Il Mulino 2009 e Paolo Prodi “IL TRAMONTO
DELLA RIVOLUZIONE” - Il Mulino, Bologna 2015
4.
Recensioni sui precedenti testi nel blog di
Aldo Vecchi “relativamente, sì” – aldomarcovecchi@blogspot.it
in appositi POST e nella pagina ULTERIORI LETTURE, e/o su “UTOPIA21” https://www.universauser.it/utopia21.html
, Quaderno n°2 RECENSIONI, sul numero 5 di settembre 2018 per Prodi/”7° Non
rubare” e sul Quaderno n° 4, capitolo 3, per “Finanz-capitalismo” di Gallino
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