Una riflessione sulle
contrapposizioni sociali e politiche, interne alle società occidentali,
connesse agli aspetti ambientali della crisi e della difficile transizione
verso un diverso sistema di produzione e consumo. La ricerca dei fondamenti per
una nuova solidarietà e le peculiarità del caso italiano, verificate su alcuni
aspetti della “manovra del popolo”.
Riassunto: ripartizione
conflittuale dei percorsi per il controllo climatico tra le diverse nazioni;
ripercussioni interne alle società occidentali: Trump, gilet gialli, “governo
del cambiamento”.
Le forze politiche
tradizionali ed i nuovi soggetti sovranisti e populisti di fronte alla
transizione ecologica: “ambientalisti da salotto”?
I fondamenti teorici
per una rifondazione del pensiero collettivo: verità scientifica, equità
sociale, nuovi modi di partecipazione.
Le difficoltà in Italia
in relazione alla parabola politica del MoVimento 5Stelle.
Appendice A: analisi di
alcuni aspetti nodali della Finanziaria per il 2019.
Appendice B: appello
per un’IVA ecologica
In
precedenti articoli di Fulvio Fagiani (ed altri) su UTOPIA211,2,3,4 ,
ed in questo stesso numero (“CLIMA, DISEGUAGLIANZA, CRESCITA”), si è
focalizzata la problematica della transizione dall’attuale modello
socioeconomico ad un sistema di produzione e consumi che divenga compatibile
con gli obiettivi di contenimento del cambio climatico e più in generale di
riequilibrio ecologico della biosfera.
Un
immagine sintetica di tali ragionamenti è quella del ristretto spazio tra un
“pavimento” di sviluppo minimo, per non deprimere le condizioni di vita della
specie umana, ed un “soffitto” massimo di risorse (non solo energie fossili) da
consumare, per garantire la sopravvivenza all’insieme delle specie viventi sul
pianeta Terra.
La
successione delle conferenze COP (l’ultima a Katowice alcuni giorni orsono, di
cui riferisce sempre Fulvio Fagiani in questo numero di UTOPIA21) ha messo in
esplicita evidenza i termini del conflitto tra i diversi Stati per posizionarsi
“lontano dal pavimento”, con il concreto rischio che molti di essi e l’insieme
dell’umanità splafonino oltre il “soffitto” (in questo caso riferito specificamente
al limite da porre alle emissioni di gas climalteranti in atmosfera).3
La
sottile speranza di un accordo positivo, in questo processo diplomatico
mondiale, differenzia correttamente i diversi percorsi che la comunità
internazionale intende assegnare alle nazioni più sviluppate (e più inquinanti,
sia ora sia nell’insieme della storia della “rivoluzione industriale”) rispetto
ai percorsi da consentire ai diversi gruppi delle nazioni meno sviluppate: ma
sorgono di continuo enormi problemi sulle modalità di conteggio e di controllo
sulle concrete dinamiche in atto ed in progetto nei singoli Stati.
Problemi
aggravati dal passaggio della leadership di importanti Paesi, come gli U.S.A.
ed il Brasile, a forze politiche che tornano a negare la verità del rischio
climatico, spalleggiati da altri paesi comunque interessati a difendere le
rendite petrolifere (Russia, Arabia Saudita, ecc.).
Le
convulsioni politiche interne a numerosi paesi occidentali, pur apparentemente
polarizzate su argomenti collaterali alla latente “crisi delle risorse”, quali
il contrasto alle migrazioni e l’insofferenza sovranista alle istituzioni
multilaterali (Europa, WTO, ONU&UNESCO, ecc.), tendono però a svelare anche
una serie di conflitti sociali interni ai singoli stati, più direttamente
legati al problema di “chi paga i costi della transizione” (verso un mondo
de-carbonizzato ecc.) oppure, ancora più a monte, di “chi accetta la
transizione” oppure cerca di rifiutarla:
-
il
presidente americano Trump, sia nella campagna elettorale, sia in parte delle
sue contradditorie effettive politiche, ha collegato una propaganda
negazionista sul cambio climatico ad una retorica nazionalista e protezionista,
raccogliendo consenso non solo tra le imprese più interessate a tali scelte, ma
anche presso una parte significativa dell’elettorato popolare, affezionato a ideologia,
lavori e consumi tradizionali;
-
il
movimento dirompente dei “gilet gialli” in Francia, pur sovrapponendo
rivendicazioni diverse e contraddittorie contro le élites (e contro il
presidente Macron, vessillo vivente dell’elitarismo), si è notoriamente mosso a
partire dal rifiuto di un pur modesto aumento delle accise sui carburanti, aumento
che era finalizzato a finanziare alcune innovazioni ecologiche, e solo
simbolicamente anche a scoraggiare i
consumi di benzina e gasolio, (perché l’entità dell’aumento, deciso – e poi
abrogato – dal governo di Macron, era di gran lunga inferiore alle frequenti
variazioni del prezzo dei carburanti derivante dalle oscillazioni del mercato
internazionale del petrolio);
-
nel
complesso, e forse tragicomico, tragitto del governo italiano “giallo-verde”, durante
il travagliato varo della Legge Finanziaria per il 2019, si
è assistito - tra le altre decisioni che meriterebbero approfondimento, e tra
un emendamento estemporaneo e l’altro – alla istituzione di una “eco-tassa”
sulle auto a combustibile fossile, con paralleli incentivi alle auto elettriche
ed ibride, eco-tassa che però, in base alle reazioni dell’opinione pubblica (e
delle case automobilistiche), è stata rapidamente concentrata sulle sole auto
di grossa cilindrata (SUV e simili), esentandone tutti i veicoli di fascia
media e bassa.
La
geografia sociale e politica di tali contrapposizioni risulta molto più
variegata e confusa rispetto alle divisioni internazionali tra paesi più o meno
sviluppati, anche se una sua volgarizzazione si potrebbe leggere nello schema
“esclusi” (rappresentati da sovranisti/populisti) contro “ambientalisti da
salotto”, che sarebbero ceti elitari di sentire cosmopolita, aperti alle
istanze ecologiste, ma ignari dei problemi della “gente comune”.
Poiché
tali ceti cosmopoliti sono variamente riconducibili ad esperienze di governo
con bandiere di tradizione liberaldemocratica e socialdemocratica (ma in parte anche
“verdi”), che nell’insieme hanno cavalcato o accettato la grande
globalizzazione di fine Novecento ed i
connessi flussi migratori (e subito la conseguente crisi finanziaria), in
questa contrapposizione schematica è incluso un giudizio negativo “a
prescindere” sui partiti tradizionali, ed in particolare sulle forze politiche
di sinistra (benché paradossalmente attardate dai retaggi di un industrialismo
operaista), da cui faticano a distinguersi anche le organizzazioni che più
stanno cercando opportune innovazioni, come i socialisti iberici oppure i Verdi
tedeschi.
Di
fronte ai rischi di una radicalizzazione a destra (cioè su contenuti nazionalisti,
xenofobi ed anti-egualitari, nonché potenzialmente anti-democratici) di
importanti segmenti delle masse popolari dei paesi occidentali, pur non avendo personalmente
alcuna pretesa di indicare soluzioni politiche né in termini di organizzazione (come
si fa politica oggi? servono ancora i partiti? quali?) né di comunicazione (con
quale linguaggio e strumenti intervenire?), mi sento di esprimere la mia intima
convinzione che per un (difficile) cammino virtuoso nella ricerca di una
salvezza collettiva dell’umanità e del suo habitat (su UTOPIA21 ci sia permesso
di puntare un po’ in alto) occorra passare attraverso:
-
il coraggio di dire la verità (per quanto
imperfettamente conoscibile, attraverso la ragione e le scienze) riguardo alla
crisi ecologica della biosfera terrestre, al nodo climatico, alla relativa
scarsità delle risorse naturali ed eco-sistemiche, alle crescenti
disuguaglianze nelle ricchezze e nei poteri, ai rischi di ulteriori crisi finanziarie;
nonché – a scala nazionale – sulla realtà del debito pubblico pregresso, sulla
intrinseca interdipendenza internazionale della nostra economia (con e senza
Euro), sul crescente deficit demografico (con e senza migranti) e sui
conseguenti problemi di distribuzione del lavoro e dei redditi; ed ancora sul
divario tra investimenti pubblici e bisogni dei territori (adeguamento sismico,
protezione idrogeologica, manutenzione infrastrutture), sulle carenze del
sistema di istruzione e dei servizi socio-sanitari;
-
l’attenzione ad una sostanziale equità sociale - a scala mondiale,
europea e nazionale – contro tutte le diverse forme di privilegio (non solo –
ad esempio – l’odiata casta dei politici, ma anche l’evasione fiscale, dai
paradisi finanziari off-shore al bottegaio sotto casa) e contro tutte le forme
di povertà, a partire dalla casa, dall’istruzione e dalla solitudine, e non
solo dal reddito;
-
l’invenzione di nuovi modi di partecipazione, che coinvolgano
effettivamente i “cittadini”, innanzitutto in quanto lavoratori, imprenditori,
studenti, utenti dei servizi pubblici, residenti nei loro quartieri, ed in modo
complementare in quanto consumatori di merci e di informazioni (e da ultimo in
quanto elettori), affinché le complesse scelte necessarie per superare la crisi
di sistema (ecologico e socio-economico) avvengano tenendo conto degli
interessi e delle sensibilità di quante più persone, famiglie, imprese,
associazioni sia possibile consultare: ad esempio per progettare il difficile
passaggio verso forme di mobilità, oppure di alimentazione, che siano compatibili
a lungo termine con gli equilibri ambientali.
Temo
però che in Italia una simile rifondazione complessiva del pensare collettivo,
in termini ambientalisti ed egualitari, sia resa più difficile, almeno a breve
termine, dalla parabola politica del MoVimento 5Stelle: un “non-partito” che da
un lato ha popolarizzato come mai in precedenza (e monopolizzato di fatto) alcuni
temi ambientalisti e iper-democratici, mentre dall’altro lato, nella sua
pratica contradittoria e demagogica, rischia di banalizzarli e cannibalizzarli,
come un Re Mida alla rovescia.
Basti
pensare, riguardo alla democrazia diretta, alla retorica dell’uno-vale-uno,
dello streaming-in-diretta di ogni trattativa politica, dei
cittadini-in-rete-che-decidono, a fronte della realtà di un “capo-politico”,
consacrato da poche migliaia di iscritti (mai più consultati sulle scelte
post-elettorali), che contratta nel segreto delle solite stanze programmi e
nomine con altre forze politiche (teoricamente antagonistiche).
E
basti guardare, sul fronte ambientale, agli arretramenti sulle “grandi opere”,
ai compromessi sull’ILVA, ed agli ammiccamenti elettoralistici (condono
edilizio postumo per Ischia), oppure a scelte inspiegabili anche in chiave
elettoralistica (elevazione a potenza del limite per scaricare in agricoltura i
fanghi di depurazione).
Di compromessi ed arretramenti è fatta la politica, per sua
natura, e ne ha fatto cattiva mostra negli scorsi decenni, per essere chiari,
anche il centro sinistra, in particolare sull’ambiente, e non solo con Renzi,
ma anche con Prodi (dalla stessa ILVA, con l’impensabile ma vigente – e
confermata… - “franchigia penale”, alle trivelle del “Salva Italia”, e andando
indietro con la base militare USA di Vicenza ed
il MUOS di Niscemi): ma mi pare che non ci fosse bisogno di proclamare
il ”governo del cambiamento” e la “manovra del popolo”, per fare poi altrettanto,
e talvolta di peggio, con l’aggravante dell’arroganza purista e
dell’aggressività comunicativa del MoVimento 5Stelle.
Come
ho già accennato in altri articoli 5,6, tale vaghezza di
elaborazione politica (e poi di comportamenti) deriva da un anti-elitarismo
superficiale, che ha cercato un suo nemico propagandistico:
-
nella “casta” (salvo scoprire che dal taglio dei famosi “vitalizi” dei politici
e dalle “pensioni d’oro” si possono ricavare pochi milioni all’anno),
-
nelle “grandi opere” (come se la corruzione e gli sprechi non abitassero anche
diffusamente nelle “piccole opere”),
-
nelle “banche” (in quanto tali?),
senza
nessuna articolazione di pensiero sul rapporto intrinseco tra sfruttamento dei
lavori, accumulazione capitalistica e concentrazione del potere finanziario,
nazionale ed internazionale, ed in particolare nella formazione di nuovi
monopoli globali nella stessa osannata “rete” (da Google a Facebook, da Amazon
ad Apple e Microsoft, fino alle “piattaforme” Uber, AirB&B, ecc., ed agli
omologhi cinesi), che solo un potere pubblico a scala europea – a mio avviso – può
forse contrastare.
Ed
infatti mi pare che – nella concretezza del “Contratto di Governo” e della sua controversa
attuazione - l’accozzaglia ambiental-demagogica del programma a 5Stelle, si
dimostri priva di una visione di insieme e di un baricentro di politica
economica: la decrescita? l’economia circolare? l’esaltazione delle piccole
imprese? l’intervento pubblico e nel contempo le privatizzazioni?
Cosicché
la voglia di governare di DiMaio&C. è stata attirata soprattutto dalla
contrapposizione all’establishment europeo ed italiano (salvo imbarcare per
necessità manager e funzionari di variegate esperienze), ed è approdata senza
particolari problemi ad una condivisa convergenza con il socio xenofobo (ed
anti-egualitario) “Noi-con-Salvini”, approvando e apprezzando misure come:
-
la chiusura dei porti alle Organizzazioni Non Governative umanitarie,
-
la restrizione dell’accoglienza sia ai profughi che agli altri emigranti,
-
l’introduzione di un balzello dell’1,5% sul “money transfer”, cioè sulle
rimesse dei migranti (quelli “da aiutare a casa loro”..).
Accettando
anche l’ideologia della micidiale “Flat Tax” (eliminazione della progressività
delle tasse sul reddito, in favore dei più ricchi), per ora solo enunciata, ma
con un assaggio già applicato in favore delle “partite IVA” (vedi oltre in
Appendice A): proprio il contrario di quella politica di progressivo
riequilibrio fiscale in termini di reddito e di patrimonio che sarebbe a mio
avviso necessaria sia per ridurre le inaccettabili e crescenti disuguaglianze
sociali, sia per finanziare un serio programma di investimenti pubblici a lungo
termine.
Anche
se il “reddito di cittadinanza” risponde – in modo forse scorretto, lo vedremo
poi nei dettagli – ad un disagio effettivo e primario, come in parte la
correzione della legge Fornero sull’età pensionabile, e perciò la validità
elettorale ed economica della Finanziaria 2019 andrà misurata nei suoi effetti
macro-economici complessivi, nonché specificamente sulla efficacia e sostenibilità
di queste due misure “di bandiera” (misure che sarà difficile per qualsivoglia
governo successivo rimettere in discussione, come questo governo non ha potuto
toccare decisioni come l’esenzione fiscale degli “80 euro” per i salari più
bassi, oppure l’”Ape social” per il prepensionamento di categorie disagiate di
lavoratori, ancorché varate dai governi a guida PD).
E
pertanto mi riservo di tornare su tali argomenti quando le proposte-bandiera
saranno definite ed avviate, e con un occhio alla tenuta del bilancio sui
mercati finanziari, da un lato, alla effettiva misura degli investimenti
pubblici, in particolare per il risanamento del territorio, dall’altro.
Dedico
invece le seguenti appendici, per chi voglia seguirmi in alcuni
approfondimenti,
-
da
un lato ad una analisi di alcuni aspetti nodali della Finanziaria per il 2019,
che mi sembrano emblematici, per quanto contrastano i bisogni di Verità, Equità
e Partecipazione a cui sopra mi sono richiamato (anche se di questo sito è
vocato soprattutto alle strategie politico-culturali di più ampio respiro, non
possiamo concentrarci sull’Utopia e non vedere quanto di abnorme accade qui ed
ora)
-
dal
lato opposto riproducendo una mia proposta del 2013 (rimasta evidentemente
inascoltata…) in materia di IVA, che si colloca in una direzione esattamente
opposta al presente stato di cose.
APPENDICE
A: ANALISI DI ALCUNI ASPETTI NODALI DELLA FINANZIARIA PER IL 2019.
Mi sembra infatti interessante focalizzare
l’attenzione su alcuni aspetti della “manovra del popolo” (in parte funzionali
a finanziare le suddette “misure di bandiera”):
VERITA’/IVA:
PREMESSA. Le cosiddette “clausole di
salvaguardia”, cioè la promessa di innalzare l’IVA (tassa sul valore aggiunto,
pagata infine dai consumatori) nel bilancio dell’anno successivo, fatta per
legge, su richiesta della Commissione Europea (ed a tutela dei creditori dei
titoli di stato), per garantire il contenimento della dinamica del debito
pubblico, sono state introdotte per la prima volta nel 2011 dal governo
Berlusconi/Tremonti, anche per effetto del “fiscal compact” sottoscritto in
precedenza da quel governo, con l’impegno verso l’Europa ad un rapido
azzeramento del deficit di bilancio annuale italiano.
I successivi governi Monti e Letta hanno in
parte alzato effettivamente l’IVA (l’aliquota massima è passata prima dal 20% al
21% poi al 22%), ed in parte confermato nuove “clausole di salvaguardia” per
gli anni successivi, come poi anche i governi di Renzi e di Gentiloni,
procedendo per i bilanci operativi (cioè quelli dell’anno immediatamente
successivo alla approvazione della legge finanziaria) a scongiurare l’aumento
dell’IVA mediante complesse operazioni con altre entrate e/o altri tagli di
spese e soprattutto con qualche grado di complicità della Commissione Europea
nel concedere “flessibilità” nella progressiva riduzione del deficit (riduzione
che si è man mano attuata nelle previsioni, ed un po’ meno nei consuntivi).
Ciò premesso, Gentiloni ha lasciato in eredità
al Governo Conte una previsione di aumento dell’IVA per 12 miliardi di € nel
2019, che il nuovo Governo ha provveduto a “sterilizzare”, ma – in un primo e
lunghissimo tempo, da settembre a metà dicembre (mentre lo “spread” volava alto
ed il valore dei risparmi “degli italiani” si riducevano in proporzione) –
puntando su un palese aumento del deficit di bilancio (il famoso “2,4%” del
brindisi sul balcone) e su un meno palese eccesso di ottimismo sulla crescita
del PIL nel 2019 (1,5%), il tutto “alla faccia dell’Europa” e degli impegni ivi
assunti (e confermati anche in giugno dalla nuova maggioranza).
Il compromesso da ultimo concordato con la
Commissione Europea (per evitare o rinviare una procedura di infrazione
comunitaria, che avrebbe immediati effetti sui costi del debito pubblico) ha ricondotto il deficit più in basso (2,04%)
e così anche l’ottimismo sul PIL (1%), e – per confermare la sterilizzazione
dell’IVA, a fianco delle nuove “misure bandiera” (reddito di cittadinanza e
pensioni anticipate) – ha comportato per il 2019, sia una riduzione e
differimento delle suddette bandiere, sia una serie di rinvii di spesa (assunzioni negli
enti pubblici) ed altri tagli improvvisati, il più cospicuo dei quali ai danni
dei pensionati del ceto medio (vedi oltre).
Ma per il 2020 e 2021, andando a regime le due
bandiere (e mezza, quella della “Flat tax” per le partite IVA), nonché le
assunzioni differite a novembre 2019, le “clausole di salvaguardia” sull’IVA si
ripresentano, ma raddoppiate, da 12 miliardi di € ad oltre 25 miliardi di € medi
annui.
E’ evidente che si tratta di una ipotesi
impercorribile, perché comporterebbe di innalzare l’aliquota principale verso
il 25%, con riflessi probabilmente anche sugli scaglioni IVA più bassi
(prodotti agevolati e di prima necessità).
Ma è questo il modo ipocrita con cui sia il
Governo Italiano sia la Commissione Europea hanno deciso di “nascondere lo
sporco sotto il tappeto” aspettando gli esiti delle elezioni europee del maggio
2019, quando la Commissione scadrà e dovrà essere rinnovata, nell’ambito di
nuovi equilibri politici ed internazionali, in cui la maggioranza giallo-verde
ipotizza di guadagnare nuovi margini di consenso per politiche, ancora oscure,
di maggior deficit o di uscita dall’Euro o di dissoluzione dell’Europa nei suoi
singoli Popoli e Governi (mentre gli
avversari in Europa del Governo giallo-verde si augurano di avere maggior
forza, rispetto ad una Commissione uscente, per imporre la disciplina
comunitaria).
Il che comunque significa prorogare
l’intrinseca instabilità dei conti pubblici.
Tutto ciò non ha niente a che fare con la
verità contabile che andrebbe raccontata ai cittadini italiani affinché
compiano correttamente le loro scelte, non solo politico-elettorali, ma
economiche e sociali, e di vita quotidiana (che studi percorrere, dove cercare
lavoro, come investire, come tutelare i risparmi).
Si determina invece una sorta di
precarizzazione di gran parte del paese (mentre si tranquillizzano, ma solo
temporaneamente, e quindi precariamente, i precari storici con il reddito di
cittadinanza).
Aggiungo che in materia di IVA, a mio avviso,
si potrebbe aprire ben altro tipo di dibattito (vedi Appendice B).
EQUITA’/PENSIONI: Accertato che – sedimentato
il polverone propagandistico – dalla fustigazione dei privilegi (vitalizi dei
parlamentari e poche migliaia di “pensioni d’oro) si ricava un magro bottino,
il Governo del Cambiamento ha escogitato all’ultimo minuto e disattendendo
accordi raggiunti con i Sindacati (vedi sotto alla voce “partecipazione”) una
proroga nel congelamento dell’adeguamento all’inflazione di gran parte delle
pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS (da 1.500 € mensili lordi in su,
sia pure con incidenza progressiva ed inizialmente blanda), già colpite in tal
senso negli anni precedenti (e con una pronuncia della Corte Costituzionale che
ammetteva tali interventi solo come temporanei ed eccezionali).
Si può convenire che per fortuna in questi
anni l’inflazione è contenuta, e che i redditi superiori a 1.500 € iniziano a corrispondere
ad una fascia sociale di relativo benessere, cui potrebbe essere giusto
chiedere (ulteriori) sacrifici.
Mi pare però che stoni parecchio la
contestuale scelta di estendere il regime forfettario, con aliquota al 15%, per
i lavoratori autonomi e le micro-imprese fino a 65.000 € di ricavi annui, cioè
oltre 5.000 € al mese.
(Con il corollario di incentivare la
trasformazione apparente di rapporti di lavoro dipendente in false partite
IVA).
Per cui se confrontiamo 3 casi con reddito
mensile di 4.000 € lorde, la partita IVA pagherà il 15%, il lavoratore
dipendente pagherà circa il doppio, il pensionato pure il doppio, ma sarà
penalizzato – per sempre – di una ulteriore ventina di Euro al mese per la
mancata rivalutazione (in aggiunta al centinaio di € perduto negli anni scorsi)
e senza speranza né forza contrattuale per garantirsi in futuro l’adeguamento
all’inflazione.
E’ vero che si tratta di piccole cifre
(riguardo alla pensioni congelate: non all’assaggio di Flat Tax, che nel caso
indicato misura circa 600 € al mese in favore degli autonomi), ma è la scelta
di “togliere poco a tanti, senza mai chiedere tanto ai pochi che hanno molto”,
che rende iniqua l’imposizione di sacrifici, sia che al governo ci sia Monti,
sia che vi siedano Conte, Di Maio e Salvini.
PARTECIPAZIONE/MAXI-EMENDAMENTO:
PREMESSA. E’ da molti anni che la procedura di
approvazione della Legge Finanziaria viene accelerata e conclusa con un voto di
fiducia e quindi con la stesura di un “maxi-emendamento” che riprende tutte le
decisioni, o gran parte, in unico articolo di centinaia di commi (che per altro
diventa tecnicamente illeggibile).
Fino a quest’anno escluso, però, si trattava
di un taglio alla discussione parlamentare (per lo più solo nel ramo del
Parlamento che aveva esaminato la Finanziaria per secondo), con una sintesi
governativa di un ampio dibattito – interno ed esterno alla maggioranza ed
interno ed esterno al Parlamento – su proposte iniziali governative abbastanza
chiare e con i saldi complessivi già verificati con l’Europa e con gli organi
nazionali di consulenza e controllo (Banca d’Italia, INPS, Autority varie,
Uffici Parlamentari).
La Finanziaria per il 2019 invece, come è
abbastanza noto, è stata totalmente riscritta all’ultimo momento, sia nei saldi
finalmente concordati con Bruxelles, sia nei pesanti “dettagli” necessari a far
tornare in qualche modo i conti complessivi.
Dopo che il Parlamento aveva inutilmente
discusso analiticamente la precedente versione temeraria della ”manovra del
popolo”, è stato espropriato non solo della possibilità di discuterne la
versione finale ed effettiva, ma addirittura, per quanto riguarda il Senato, di
avere il tempo di leggere tutti i commi (dall’esaltazione del bi-cameralismo ad
una situazione di fatto “zero-camerale”).
Quello che mi preme sottolineare è che –
insieme all’oltraggio al corretto funzionamento delle istituzioni – questo modo
di procedere ha impedito ogni forma di organica consultazione e di espressione
per tutte le organizzazioni sociali e categoriali interessate dalla nuove
decisioni (escluse forse alcune lobbies con rapporti diretti con i vertici
governativi).
Con alcuni risultati emblematici, tra cui ad
esempio:
- il
suddetto taglio per 1,5 miliardi di € alle pensioni medie, alla faccia di
CGIL-CISL-UIL che pochi giorni addietro gioivano per essere state “ascoltate
finalmente” (ma invano) nei Palazzi Governativi,
- il
raddoppio dell’IRES a carico del Terzo Settore dal 12% al 24%, cui non a caso pare
che stia seguendo una poderosa marcia indietro, frutto immediato della carenza
di consultazioni preventive,
- la proroga
di 15 anni delle concessioni balneari: un regalo corporativo nel senso della
privatizzazione dei beni pubblici, quali le spiagge demaniali (con canoni
spesso modestissimi), in radicale contrasto con tutta la retorica del MoVimento
5Stelle sull’acqua pubblica, sui paesaggi da salvare, sulle concessioni
(autostradali) da rivedere, ecc.
- l’affidamento
diretto, senza gara, degli appalti per lavori fino a 150.000 €: mentre si
inaspriscono le pene sulla corruzione e si sopprime la prescrizione nei
relativi processi, si consentono ponti d’oro al clientelismo se non alla
corruzione stessa (che però diventa non punibile, “non-reato”) in una
vastissima platea di appalti di non lieve entità.
APPENDICE
B: APPELLO PER UN’IVA ECOLOGICA (primavera 2013)
Nell’assenza
di un governo, incombe, per luglio 2013,
anche un ulteriore aumento di un
punto percentuale dell’IVA, su gran parte dei prodotti, esclusi quelli con
la tariffa agevolata del 4% (articoli di prima necessità), che avrà evidenti
effetti inflazionistici sui prezzi e depressivi sui volumi complessivi di
consumo.
Mi chiedo se sia possibile, in questa
difficile situazione politica, e per prevenire una più grave caduta
socio-economica, approfondire una seria proposta alternativa (da inquadrare a
scala europea), finalizzata ad un superamento della spirale oscillatoria tra
recessione e tentativi di rilancio (sempre più difficoltosi) del vecchio
modello di sviluppo, ed orientata, invece che a contenere o rilanciare i consumi, a riqualificare produzione e consumi, a partire per l’appunto dalla leva
fiscale ed in particolare dalla differenziazione “ecologica” delle aliquote
IVA, generalizzando una logica da “carbon tax”.
Si tratterebbe ad esempio di introdurre una quarta aliquota, nettamente
superiore, verso il 30% o 33% (e rivedendo nel contempo con i medesimi
criteri la ripartizione degli altri prodotti nelle 3 aliquote inferiori, magari
riportando al 20% l’aliquota ordinaria) per
i prodotti di lusso e/o particolarmente superflui (od inutilmente esotici), e
per tutti quelli che presentino negativi risvolti ambientali, sia nelle
fasi di produzione e commercializzazione, sia nelle fasi di utilizzo e
smaltimento finale, riguardo a:
-
consumo di suolo agricolo (fabbricati, impianti produttivi ed energetici)
-
consumo di energia (veicoli ed elettrodomestici, ed anche fabbricati, con
consumi elevati; merci con eccessivi consumi energetici per i trasporti)
-
emissioni di inquinanti (liquidi, aeriformi, acustici, luminosi)
-
produzione di imballaggi e di rifiuti residuali.
Una incentivazione e disincentivazione
fiscale, rilevante (ma, volendo, anche da introdurre con gradualità) ed
esplicitamente orientata, potrebbe innescare
virtuosi processi di selezione dei consumi (limitando il peso inflazionistico
per i redditi più bassi e per i consumatori più saggi) e di riorganizzazione
produttiva.
Con questa ipotesi di rimodulazione
ecologica dell’IVA, se nel frattempo i tentativi di revisione della spesa
pubblica improduttiva e di lotta all’evasione fiscale dessero buoni risultati,
se ne potrebbero utilizzare i benefici non sul fronte IVA, bensì su quelli più
strategici del “cuneo fiscale”, sia agendo sull’IRAP (anche qui con
discriminanti qualitative, legate anche all’innovazione) sia soprattutto
sull’IRPEF a carico degli scaglioni di reddito più bassi, restituendo in
permanenza il “fiscal drag”, che raddoppia in beffa il prelievo improprio
costituito dall’inflazione, e rappresenta un costante insulto al concetto di
“equità”.
Non
so se il risultato sarebbe una “decrescita felice”, ma mi accontenterei che si
cercasse di evitare una recessione stupida oppure un rilancio miope.
Credo che si debba cogliere positivamente l’occasione di una
crisi evidentemente strutturale (connessa anche alla saturazione di alcuni settori merceologici nei paesi
avanzati, ed all’orizzonte di scarsità di alcune materie prime a fronte della
crescente domanda mondiale) per mettere in discussione (sfidando le lobbies di
settore ad un confronto esplicito sui costi e benefici sociali e ambientali di
ogni prodotto) i contenuti della realtà economica italiana ed europea;
all’opposto di chi vuole modificare l’art. 41 della Costituzione per consentire
tutto ciò che non è vietato: è più che
mai necessario verificare socialmente cosa, come e dove produrre (e
trasportare) merci.
E
rendere, così, strategica la riflessione sulla “economia verde”: non solo un
aggettivo ed un colore per la solita economia.
Fonti:
- Fulvio
Fagiani “LIMITARE IL RISCALDAMENTO DEL CLIMA A 1,5°C” https://drive.google.com/file/d/17OKFysYzhhggtmWfQg876N2yVP2wIFi/view?usp=sharing
– Pubblicato su “UTOPIA21” nel 2018
- Fulvio
Fagiani – Quaderno n.6 di “UTOPIA21” “CRESCITA O DECRESCITA?” https://drive.google.com/file/d/1Lo2eWnqu_Ge_aR-A81Ln2BudLUPdcu7l/view?usp=sharing.
Articoli pubblicati su “UTOPIA21” nel 2017 e 2018.
- Fulvio
Fagiani “IDEE E PROSPETTIVE PER LA TRANSIZIONE DI FULVIO FAGIANI” https://drive.google.com/file/d/12V6iBTJQkOfM69VDbgvpbeqPzsiIphdo/view?usp=sharing
– Pubblicato su “UTOPIA21” nel 2018
- Fulvio
Fagiani e Marco Bertaglia – Quaderno n.1 “LE EMERGENZE AMBIENTALI” https://drive.google.com/file/d/1JGiAP3FbkEv42w56nmHBc-4fFL2QqeYG/view?usp=sharing
Articoli pubblicati su “UTOPIA21” nel 2016, 2017 e 2018
- Aldo
Vecchi “LETTURA CRITICA DEI PROGRAMMI ELETTORALI PER IL4 MARZO 2018”https://drive.google.com/file/d/1-pOGmRevCBAEFoVD79kPcjPurVoAPYMM/view?usp=sharing
Articolo pubblicati su “UTOPIA21” nel Marzo 2018
- Aldo
Vecchi e Fulvio Fagiani “GOVERNO DEL CAMBIAMENTO?” https://drive.google.com/file/d/12WwtrNlr_wgxWxVC97wqxwZ6PPzjBF_V/view?usp=sharing Articoli
pubblicato su “UTOPIA21” nel Settembre 2018
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