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giovedì 15 dicembre 2016

DOPO IL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Dopo il referendum ed il conseguente sviluppo di commenti, non mi è così chiaro cosa desidera l’elettorato; certamente mostra disagio, non ha approvato la riforma Boschi e non apprezza più di tanto l’operato governativo di Renzi: orientamenti ancor più prevalenti tra i giovani ed al Sud.
Non mi sembra invece che se ne possa dedurre che tale elettorato sia pronto a farsi governare dalle singole frazioni politiche che hanno sorretto la campagna per il NO, perché i sondaggi collaterali agli exit-poll (misurati quindi su campioni più significativi di quelli formati con gli elenchi telefonici) e le diligenti analisi dei flussi compilate dagli specialisti mostrano tuttora una significativa polarizzazione alternativa tra gli avversari del PD, divisi tra centro-destra e M5Stelle, con frange minoritarie disperse a sinistra.
Decisamente quindi non si prospetta, a breve ed a medio termine, una qualche egemonia da parte di Zagrebelski-Smuraglia-Rodotà, né di Fratoianni-D’Alema-Bersani e neppure di Camusso-Landini-Cofferati; né tanto meno una miglior riforma costituzionale, ben scritta da Valerio Onida o Gianfranco Pasquino, con la congiunta consulenza di D’Alema e Quagliariello, Gasparri e Toninelli.
Poiché è ancora imperscrutabile la legge elettorale con cui si formeranno Camera e Senato, dopo il governo Gentiloni, è difficile anche capire se il 40% che ha votato SI (una apparente maggioranza relativa: qualcosa di più del “ridotto dei Parioli”, ma drammaticamente comprendente solo il 20% dei giovani) possa costituire una base politicamente significativa per una rivincita dello schieramento centrale finora guidato da Renzi, e che – a spanne – pare composto da 3 segmenti non troppo omogenei: una componente più identificata con il PD e/o con Renzi; una fascia di centro-destra, in parte rappresentata dai partitini di Alfano&C. ed in parte in libera uscita da ForzaItalia e dintorni, ed una fascia di centro-sinistra, piuttosto critica verso il Renzismo ma non fino a giungere all’auto-lesionismo (che ora Pisapia ed altri si sforzano di interpretare).
Renzi (e Boschi) avevano annunciato dimissioni e abbandono della politica, ma hanno ripiegato su semi-dimissioni, mentre  gli argomenti addotti mi sembrano validi per un più radicale passo indietro: se al governo hanno fallito, al partito anche di più; invece Boschi resta al Governo e Renzi per ora resta al Partito, con propositi di riscossa tramite un percorso (ancora non definito nei dettagli) di congresso-PD/primarie/elezioni, cercando di intestare al proprio gruppo dirigente il suddetto malloppo del 40%, senza manifestare fino ad oggi alcuna auto-critica sui contenuti sociali della propria linea politica (salvo l’immotivato licenziamento della ministra Giannini).
Il punto di forza del renzismo, al di là del rivendicare le cose fatte ed il piglio mostrato (nel bene e nel male) facendole, il che difficilmente inciderà fuori dal recinto del SI, pare essere ancora una volta (come già alle primarie del 2013 ed alle successive elezioni europee) il timore degli elettori benpensanti verso le raccapriccianti alternative esterne (governo Salvini-Meloni-Brunetta, ad esempio, oppure DiMaio-Muraro-Taverna) e la probabile assenza di credibili alternative interne all’area di centro o centro-sinistra.
Non certo Speranza, che con altri bersaniani ha votato NO al referendum dopo aver votato SI in Parlamento, più volte, alla stessa riforma, per inseguire elettori che già erano orientati verso il NO (oppure già allontanati dal PD) e quindi non credo riscuota fiducia presso i numerosi militanti ed elettori comunque affezionati all’unità del partito.
Se altri protagonisti emergeranno, consentendo alla base congressuale e primariale del PD di “rottamare il rottamatore” (o meglio mancato rottamatore: vedi Paita e De Luca), si potrebbe più facilmente ricucire un’area di centro-sinistra,  e riaprire un serio confronto sulle difficili prospettive del riformismo nel mondo odierno (personalmente lo gradirei): non è affatto detto però che un simile riassetto progressista del PD e dintorni sia in grado di conservare le poche ma elettoralmente utili simpatie guadagnate al centro dal renzismo. 

Scusate il pessimismo: gli auguri di buone feste li ho comunque espressi con separato messaggio.
              ANCHE QUEST’ANNO, AUGURI DI BUON SOLSTIZIO D’INVERNO


             (PUO’ SEMBRARE LO STESSO SOLSTIZIO DEL 2015, MA LA TINTA DEL CIELO E’ DIVERSA)

D’ALTRONDE, COME RISPONDE IL VENDITORE DI ALMANACCHI LEOPARDIANO AL PASSEGGERE:

Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo? 
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.

domenica 27 novembre 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE - 6 - GLI SCENARI DI AINIS

Il professore Michele Ainis disegna su Repubblica 4 scenari, per il prossimo post-referendum del 4 dicembre, non nel senso di ipotesi alternative (tipo: A-vince il No e Renzi si dimette; B-vince il No e Renzi non si dimette; C-vince il SI… ecc.), come altri ordinari commentatori/previsori/scenaristi, bensì suddivisi per temi, che di seguito mi permetto di riassumere e che considero stimolanti (ma non molto fondatI):
1 – modifiche costituzionali: se vince il SI comunque occorreranno poi alcune piccole modifiche per i vari errori ammessi anche dalla Boschi; se vince il NO nessuno farà riforme complesse (anche se taluni lo promettono, mia nota), ma si procederà alle piccole modifiche necessarie nel tempo; infatti anche in passato si è fatto così, con l’unica eccezione della Grande-Riforma-Berlusconi 2005, che pertanto era stata bocciata al referendum (a mio avviso non era piccola neanche la riforma del titolo V sulle autonomie regionali del 2001, all’inizio condivisa e poi votata dal solo centro-sinistra, seppur guidato da Amato e D’Alema, non sconfessata però da nessun referendum perché di fatto ai tempi non dispiaceva nemmeno alla nuova maggioranza di centro-destra);
2 – legge elettorale: se vince il SI occorre varare leggi applicative per l’elezione del Senato (che infatti non sarà di “nominati”, come falsamente affermano molti sostenitori del NO); se vince il NO occorre smontare l’Itlicum che risulterebbe incoerente con la vigente costituzione bi-cameralista (Ainis mi sembra trascuri l’ipotesi che comunque l’Italicum possa essere rivisto perché è assoggettato all’esame della Corte Costituzionale: se vince il NO, per le parti già impugnate presso diversi Tribunali; se vince il Si perché la riforma “Boschi” ne prescrive la verifica integrale; e l tempo stesso ad equiparare, scorrettamente, le enormi difficoltà di un intesa sull’Italicum, rispetto alle obiettivamente minori quisquilie delle modalità di scelta degli elettori per pescare i Senatori tra i Consiglieri Regionali che comunque si andrebbero ad eleggere);
3 – governo: secondo Ainis, vinca il SI oppure il NO, dopo Renzi c’è comunque Renzi o un Renziano, perché tale è l’orientamento della Direzione del PD, che controlla la maggioranza della Camera (grazie al premio conseguito nel 2013 con il Porcellum);
4 – elezioni anticipate nel 2017: probabili se vince il NO, ma anche se vince il Si, da un lato per l’interesse di Renzi di “andare all’incasso”, d’altro lato per la “obsolescenza” del Senato come organo sopravvissuto di una precedente forma costituzionale.
Commento: mentre i primi 2 scenari mi sembrano errati per difetti di rappresentazione della realtà storica ed attuale (come da me indicato in parentesi), gli ultimi 2  mi sembrano in realtà puri azzardi previsionali, assai controvertibili, in un campo di ipotesi che dovrebbe tener conto di numerose altre variabili, interne (ad esempio: le scelte di Matterella; come si comporterebbero le correnti di maggioranza del PD in caso di vittoria del NO; il congresso del PD in entrambi gli esiti del referendum costituzionale; l’incombere a primavera dei referendum sul lavoro promossi dalla Cgil) ed esterne (ad esempio: possibili turbolenze dei mercati, anche generate da altri fattori contemporanei come l’emergente presidenza Trump oppure le elezioni francesi, per non parlare di Medio Oriente).
Mi chiedo allora cosa serva l’esercizio mentale del professor Ainis, che sostanzialmente tende a banalizzare le differenze tra gli effetti del Si e del NO: probabilmente solo a rassicurare gli indecisi che propendono per il Si nel timore delle conseguenze destabilizzanti del NO?


mercoledì 23 novembre 2016

UTOPIA21 NOV16 - LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO: PARTE 2^

LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO: PARTE 2^ - LA LEGGE CATANIA E GLI SVILUPPI DELL’URBANISTICA ITALIANA
di Aldo Vecchi

Il tema del risparmio del suolo nel dibattito culturale italiano:
-      piani urbanistici comunali e consumo di suolo zero, in Italia ed altrove
-      le iniziative delle Regioni e il disegno di legge nazionale contro il consumo di suolo
-       luci ed ombre della nuova proposta di legge contro il consumo del suolo
-       agenda ambientalista d’autunno/inverno.

Riassunto: nell’ambito di una attenzione internazionale sul tema del risparmio nel consumo di suolo, il disegno di legge “Catania”, approvato dalla Camera dei Deputati, rappresenta un primo passo formale (seppur discusso e discutibile) in questa direzione, preceduto dal dibattito scientifico e dalle esperienze di alcuni Piani comunali e provvedimenti regionali in materia.

Il “Rapporto 2016” dell’ISPRA (vedi PARTE 1^ DEL SERVIZIO SU “UTOPIA 21”, settembre 2016) costituisce un punto avanzato di convergenza tra gli sviluppi delle ricerche condotte negli ultimi anni dallo stesso ISPRA (già in collaborazione con le Agenzie Regionali/Provinciali ARPA&APPA nella rete che la recente legge 166/2016 NOTA 1 formalizza come Servizio Nazionale di Protezione dell’Ambiente), dall’ISTAT, da importanti Poli di Ricerca connessi alle Università (in primis il CRCS – Centro di Ricerca Consumo Suolo – costituito da Politecnico di Milano/DAtSU, INU e Lega Ambiente; le elaborazioni del Politecnico di Torino con la ex-Provincia torinese; l’Università del Molise ed altri sul fronte agronomico e pedologico; ecc.), nonché dal movimento “Salviamo il Paesaggio”, coalizione tra le principali organizzazioni ambientaliste nazionali e numerosi comitati locali, che dal 2011 ha promosso “dal basso” una proposta di legge nazionale contro il consumo di suolo ed un censimento dei fabbricati inutilizzati, e nel 2015 ha promosso con ISPRA un importante “convegno scientifico”, i cui atti costituiscono premessa ed integrazione del Rapporto 2016.
Sarebbe interessante approfondire meglio, in altra occasione, le origini storiche in Italia di questa attenzione al tema del suolo, in parte indagate da alcuni interventi al suddetto Convegno del 2015 (con rimandi alle esperienze di Pierluigi Cervellati nel recupero del centro storico a Bologna nel 1970, fino al recente Piano Paesaggistico promosso da Anna Marson in Toscana).
Personalmente, e guardando dal versante urbanistico della questione, mi piace invece ricordare anche la personalità di Giovanni Astengo che – pur in un quadro generale di cultura razionalista e sviluppista, appena incrinato dalla crisi petrolifera e dal “Rapporto al Club di Roma ”, agli inizi degli anni ’70 – nel ‘77 volle intitolare “Tutela ed uso del suolo” la innovativa legge urbanistica  regionale del Piemonte, e finché poté gestirla personalmente (e tramite i suoi missi dominici nei comprensori), cioè fino alle successive elezioni del 1980, dimostrò la effettiva possibilità di evitare lo spreco del suolo, promuovendo anche la specifica ricerca dell’IPLA  sulla fertilità dei diversi suoli; dopo di che, sotto il cappello della stessa legge, opportunamente addomesticata, in Piemonte si è fatto di tutto in direzione opposta, dai grandi outlet di Serravalle, Vicolungo e Mondovì alle sbrodolate di capannoni e centri commerciali lungo gran parte delle strade nazionali, regionali e provinciali.
Analoghe contraddizioni tra il predicare buoni principi generali ed il razzolare assai male (o, almeno, consentire razzolamenti diffusi a fianco di pochi esempi virtuosi) si sono ripetute nelle leggi urbanistiche delle altre regioni, con poche eccezioni positive, come Trentino e Alto Adige, e con recenti ravvedimenti operosi negli ultimi anni, di cui tratterò più avanti nel testo.
L’esempio più clamoroso di schizofrenia in materia a mio avviso è stato realizzato dall’Expo 2015 a Milano/Rho, che mentre ha dato efficacia a svariati messaggi, in parte più generici e ambigui ed in parte pregnanti e quasi operativi, proprio sui temi del cibo, dell’agricoltura, dell’ambiente e sui bisogni dell’uomo e del pianeta Terra, si è compiuta distruggendo materialmente ed irreversibilmente un milione di m2 di terreno agricolo, già fertile e coltivato.
L’Expo ha costituito tuttavia una delle poche occasioni perché i temi attinenti agli usi del suolo raggiungessero la pubblica opinione, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, tra i quali ritengo che emergesse, per completezza e pacatezza, la trasmissione televisiva “Scala Mercalli” (che infatti pare sarà abolita, lasciando il campo in RAI da un lato ai racconti consolatori pomeridiani stile Geo&Geo e dall’altro alle inchieste sensazionaliste in stile Iacona&Gabanelli).

PIANI URBANISTICI COMUNALI E CONSUMO DI SUOLO ZERO: IN ITALIA ED ALTROVE
Nell’insieme, nella migliore tradizione dell’urbanistica riformista del secondo novecento ed anche nelle proposte di riforma dei Piani propugnate dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (congresso di Bologna del 1996: sdoppiamento tra piano strutturale e piano operativo; co-pianificazione; perequazione) ed in parte recepite da diverse Regioni, la preoccupazione ambientale per le sorti del suolo agricolo e naturale, pur presente in contrapposizione alle concezioni liberiste ed alle pianificazioni iper-trofiche, non ha mai assunto l’assetto categorico del “consumo di suolo zero”, che invece è emerso, con alcune esperienze pilota (il Piano di Governo del Territorio di Cassinetta di Lugagnano, promosso dal sindaco Finiguerra e redatto da Antonello Boatti nel 2007, alcuni piani di Cervellati “senza espansione”, ed altri) e, come parola d’ordine politica, solo all’inizio di questo secolo, ed in modo deciso solo in questo decennio.
L’emergere del “consumo zero” nella cultura urbanistica italiana può essere visto come processo evolutivo, constatando la sua affermazione all’interno dell’INU e nei connessi ambienti accademici: ad esempio il servizio di “Urbanistica” n° 154 su alcuni nuovi piani volti alla “rigenerazione urbana” si conclude esplicitando la necessità di un “cambio di paradigma” rispetto all’assetto culturale acquisito negli anni ’90 (Bertrando Bonfantini)
Il passaggio al “consumo zero” è proposto invece in termini più antagonistici da alcuni partecipanti al movimento Salviamo il Paesaggio, tra i cui i professori Guido Montanari e Paolo Berdini (recentemente divenuti assessori nelle nuove Giunte del Movimento5Stelle rispettivamente a Torino ed a Roma), che individuano nella continuità dei vigenti piani comunali un pericoloso concentrato di suoli liberi ancora trasformabili, evidenziandone la correlazione con le bolle finanziarie speculative che sorreggono ed affossano ad un tempo il sistema bancario: sarà da vedere quanto la visione radicale di questi urbanisti potrà essere sorretta dall’ecclettismo interclassista del Movimento che li ospita.
All’attenzione di tutti i teorici e gli operatori resta il nodo di fondo sul “consumo di suolo zero”, ovvero se il riuso dei fabbricati abbandonati e sottoutilizzati e delle aree degradate sia strategicamente sufficiente a soddisfare i bisogni futuri delle società urbane: se nell’Europa del 21° secolo l’accumulo di strutture urbane appare complessivamente sovradimensionato rispetto ad economie in ristrutturazione e a sviluppi demografici sorretti o sospinti solo dalle immigrazioni (il che può rendere credibile l’orizzonte 2050 per l’obiettivo europeo “consumo zero”, accettando però incrementi di densità edilizia da precisare NOTA 2), occorre verificare se questa ipotesi di “ciclo edilizio sigillato” sia esportabile anche nei paesi emergenti, ed in quelli sommersi dai risvolti negativi della globalizzazione, nell’insieme molto più esposti alle pressioni demografiche e migratorie, e meno attrezzati a sostenere elevati standard qualitativi di gestione del territorio.

LE INIZIATIVE DELLE REGIONI E IL DISEGNO DI LEGGE NAZIONALE CONTRO IL CONSUMO DI SUOLO
In questo contesto, la necessità di procedere ad una profonda correzione di rotta sul consumo di suolo al di sopra dei singoli contesti comunali ha cominciato ad affacciarsi anche nel dibattito politico, prima a livello provinciale (con alcuni più coraggiosi Piani di Coordinamento Territoriale, a Torino ed in Emilia Romagna) e regionale (con modifiche delle leggi urbanistiche e con i Piani Paesaggistici, come in Toscana ed in Puglia e da ultimo in Calabria; ed in modo più esplicito e completo in Lombardia, con la apposita legge 31 del 2014, e con la connessa revisione dei Piani Regionali: operazione che però ha il gravissimo difetto di rinviare ogni effetto ai futuri Piani di Governo del Territorio dei singoli comuni, blindando nel contempo le previsioni vigenti, anche le più “consumose”, ed anzi addirittura vietandone varianti al ribasso durante la vigenza degli attuali PGT, in nome dell’intangibilità dei diritti edificatori “acquisiti” NOTA 3) e da ultimo anche a livello nazionale, con il disegno di legge promosso dal ministro dell’Agricoltura Mario Catania, all’interno del governo “tecnico” di Mario Monti (2011-2013), governo che aveva evidentemente altre priorità ed emergenze, e quindi non sostenne più di tanto in Parlamento l’iniziativa del Ministro.
Tuttavia, in un quadro politico tuttora complesso ed ”emergenziale”, ed in assenza di più organiche ed autorevoli proposte governative in materia di pianificazione territoriale, come anche di riconversione ecologica dell’economia (ed anzi dopo la sbandata in direzione opposta del decreto “Sbocca-Italia” del 2014), il disegno di legge “Catania” è riuscito a riprendere il suo cammino parlamentare, arrivando di recente all’approvazione da parte della Camera dei Deputati, con un testo un po’ arricchito ed un po’ stravolto, a colpi di emendamenti (e con un destino incerto nel passaggio al Senato, dove i problemi politici e numerici della maggioranza governativa sono notoriamente più acuti, e ancor più lo saranno nei prossimi mesi, e con altre priorità in agenda).

LUCI ED OMBRE DELLA NUOVA PROPOSTA DI LEGGE CONTRO IL CONSUMO DEL SUOLO

La proposta iniziale di Catania, recependo alcuni aspetti del dibattito nazionale ed internazionale, puntava soprattutto alla tutela dei suoli agricolo produttivi (con il sostegno su questo fronte delle organizzazioni di categoria dei coltivatori), prospettando un rallentamento progressivo della crescita urbana da gestire per quote ridistribuite localmente dalle Regioni, contestualmente ad un censimento dei fabbricati inutilizzati (come sollecitato da Salviamo il Paesaggio).
Il testo approvato dalla Camera conserva questo impianto (conservando comunque una logica addizionale, che rinvia quindi l’effettivo stop al consumo di suolo), ed inserisce alcune norme finalizzate ad una prospettiva di “rigenerazione urbana” delle aree dismesse e degradate, in parte operative ed in parte delegate a successivi decreti governativi, includendo incentivi contributivi a favore degli interventi di recupero.
Inoltre – accogliendo finalmente le richieste degli urbanisti e dei movimenti - metterebbe fine alla scandalosa deviazione degli “oneri di urbanizzazione” a favore selle spese correnti dei Comuni, in atto dal 2001, che ha spinto molte amministrazioni a “svendere” il territorio per raddrizzare i bilanci comunali dell’oggi, a scapito di un probabile indebitamento futuro, quando emergeranno le necessità di ampliamento e manutenzione delle reti di urbanizzazione (e spesso anche in danno ai comuni confinanti, che possono subire gli effetti negativi di un insediamento, senza poter compartecipare ai benefici contributivi e fiscali, poiché mancano opportune norme di perequazione territoriale sovracomunale, pur sperimentate in Emilia Romagna).

Il testo della Camera però attenua l’efficacia della nuova normativa contro il consumo di suolo, con una serie di differimenti ed esenzioni, in favore di “tutti i servizi di pubblica utilità di livello generale e locale, le infrastrutture e gli insediamenti prioritari, le aree funzionali all’ampliamento di attività produttive esistenti, i lotti interclusi, le zone di completamento, gli interventi connessi in qualsiasi modo alle attività agricole”.
Lo stesso ISPRA, nel Rapporto 2016, lamenta che tali esenzioni incidono addirittura sulla definizione di “suolo consumato”, rendendo assai più complicate le operazioni di rilevamento e comparazione dei dati.
L’INU inoltre segnala una sorta di estemporaneità delle norme sulla rigenerazione urbana, non inserite in un insieme più organico di norme nazionali sulla gestione del territorio e sulla edificabilità, ancora ferme – come principi - alla Legge Urbanistica del 1942.
“Salviamo-il-Paesaggio” e la galassia delle associazioni ambientaliste connesse hanno giudicato molto negativamente le ambiguità ed i passi indietro del testo legislativo (anche in relazione alle modalità di consultazione svolte ed all’evidente peso di contrapposte lobbies più “cementizie”), ma non possono trascurare l’aspetto positivo costituito dalle affermazioni di principio sui valori del suolo quale “bene comune” e sull’orizzonte (un po’ rinviato al futuro) dell’azzeramento del suo consumo.
Ultimamente “Salviamo-il-Paesaggio” ha comunque ritenuto opportuno rilanciare un suo testo alternativo, da gestire come legge di iniziativa popolare, per la cui stesura definitiva (in corso in queste settimane) ha raccolto un prestigioso gruppo di esperti, che include tra gli altri Anna Marson e Luca Mercalli, Paolo Berdini e Giorgio Ferraresi, Paolo Pileri e Paolo Maddalena, oltre ai promotori Mortarino e Finiguerra.


AGENDA AMBIENTALISTA D’AUTUNNO/INVERNO

Nei prossimi mesi, quindi, mentre dovrebbe svilupparsi anche in Italia la campagna People-4-soil” per chiedere all’Europa una vera direttiva cogente in materia di risparmio del suolo (ma si oppongono Stati importanti, tra cui Francia e Germania, che intendono l’argomento come “nazionale”), i soggetti interessati ai temi ambientali (ed in particolare alla tutela del suolo), dentro e fuori Salviamo-il-Paesaggio, dovranno precisare una posizione sul disegno di legge ex-Catania, criticandolo come “bicchiere mezzo vuoto”, difendendolo (e rivendicandone l’approvazione) come “mezzo pieno”, oppure – ma mi sembra poco praticabile in questo quadro politico/parlamentare – battendosi per un suo sostanziale miglioramento in Senato (e ritorno alla Camera); salvo crisi di governo e/o elezioni anticipate per effetto del possibile esito negativo del referendum confermativo sulla riforma costituzionale.


NOTE
1 - legge poco nota, forse proprio perché votata quasi all’unanimità dal Parlamento, senza le consuete contrapposizioni tra le forze politiche, che tanto piacciono invece ai giornalisti
2 - nel concreto si aprono diverse strade nell’interpretazione del “consumo di suolo zero” (in parte testimoniate nel Convegno ISPRA/SiP del 2015 ed in parte enunciate anche nel “Rapporto 2016”), tra cui quella della “compensazione preventiva” (Paolo Pileri) nel riuso prioritario delle aree già occupate e/o dismesse, in un’ottica di “economia circolare, più attenta ai flussi nell’uso dei suoli e negli effetti ecologici, e quella della ”densificazione” entro nuove “mura verdi”, con recupero e ri-naturalizzazione dei frammenti dispersi (come proposto da Ennio Nonni a Faenza), più orientata alla creazione di nuovi valori urbani.


FIGURA: SCHEMA PER FAENZA, DA “UNA NUOVA URBANISTICA: E’ POSSIBILE” DI ENNIO NONNI
3 - in teoria nella legge regionale lombarda n° 12/2005 “per il governo del territorio” gli ambiti di trasformazione individuati dai piani di Governo del Territorio non dovrebbero comportare effetti giuridici fino alla approvazione degli strumenti esecutivi: ma la mancanza di una adeguata legislazione nazionale sul regimo giuridico dei suoli edificabili determina nei fatti condizioni opposte, a partire dall’assoggettamento di tali ambiti al pagamento dell’I.M.U.

Fonti:
  1. I.S.P.R.A. – CONSUMO DI SUOLO, DINAMICHE TERRITORIALI E SERVIZI ECOSISTEMICI edizione 2016 www.isprambiente.gov.it
  2. I.S.P.R.A. & SALVIAMO-IL-PAESAGGIO & SLOW FOOD ITALIA – CONVEGNO “RECUPERIAMO TERRENO” – MILANO 06-05-2015 – atti, sessione poster, Volume I e II www.isprambiente.gov.it
  3. SALVIAMO IL PAESAGGIO www.salviamoilpaesaggio.it
  4. CENTRO RICERCA CONSUMO SUOLO (Istituto Nazionale di Urbanistica & Dipartimento DAStU del Politecnico di Milano & LegaAmbiente) – “RAPPORTO 2014” tramite www.inuedizioni.com (a pagamento)
  5. Mauro Giudice e Fabio Minucci - “GOVERNARE IL CONSUMO DI SUOLO” - Alinea editrice 2013 (è distribuito insieme con il volume “IL CONSUMO DI SUOLO DALLA PROVINCIA DI TORINO ALL’ARCO MEDITERRANEO” (sempre a cura di Giudice e Minucci), che riassume la ricerca europea “OSDDT-MED
  6. Pier Luigi Cervellati e Roberto Scannavini – “POLITICA E METODOLOGIA DEL RESTAURO” – Il Mulino 1973
  7. www.regione.toscana.it/-/piano-di-indirizzo-territoriale-con-valenza-di-piano-paesaggistico
  8. Eduard Pestel – “OLTRE I LIMITI DELLO SVILUPPO. RAPPORTO AL CLUB DI ROMA” – ISEDI 1988
9.    Bruno Dolcetta, Michela Maguolo, Alessandra Marin – “GIOVANNI ASTENGO URBANISTA. PIANI PROGETTI OPERE” - Il Poligrafo, 2015
19. www.archivio.eddyburg.it/article/articleview/12003/0/332/ Una breve recensione del Pgt di Cassinetta di Lugagnano scritta per eddyburg.
110.  Bertrando Bonfantini – “RITORNO ALLA SOSTANZA DEL PIANO” in “Urbanistica n° 154 luglio-dicembre 2014 (edito in primavera 2016)
111.  http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/testi/46877_testi.htm testo disegno di legge Catania, già Camera 2039 ora Senato 2383
112. http://www.inu.it/26566/in-evidenza/legge-sul-consumo-di-suolo-come-cambia-lurbanistica/ intervista alla Presidente dell’INU Silvia Viviani alla rivista INGENIO n° 43 del 16-05-2016 a cura di Andrea Dari
113. Ennio Nonni ed altri - “BIOURBANISTICA – ENERGIA E PIANIFICAZIONE” - Comune di Faenza 2013
114. Ennio Nonni - “UNA NUOVA URBANISTICA: E’ POSSIBILE” – INU Edizioni 2015
16. I testi di cui a n° 4-5-11-14 sono stati recensiti su questo  blog in appostiti POST (il n° 11 sotto il nome “Urbanistica 154”).






martedì 8 novembre 2016

LEGGE DI BILANCIO 2017

Commentando la legge Finanziaria dello scorso anno, mi appariva chiaro al centro il nodo della soppressione della tassa sulla prima casa, esteso ai ricchi ed ai ricchissimi, per un importo complessivo di quasi 4 miliardi (nonché la significativa estensione dell’uso dei fino contanti a 3.000 €), che oscurava accenni di politiche sociali positive – periferie, povertà, ecc. - contenute ciascuna in qualche centinaio di milioni (a parte la prosecuzione degli sgravi fiscali e contributivi su tutte le nuove assunzioni, che a consuntivo non paiono avere conseguito i risultati sperati, ed infatti quest’anno vengono riproposti in misura e modalità selettive, solo per i giovani stagisti e/o solo per il Sud).
Tutte scelte comunque di importo abbastanza limitato, dati i vincoli esterni (debito pregresso, mercati, Europa) ed interni (consenso per i ceti di riferimento alla maggioranza governativa) cui è legato il Governo, tanto per il 2016 quanto per gli anni successivi, ed a cui tenta di sfuggire scommettendo su una più intensa ripresa economica, che però permane assai difficile per varie tensioni internazionali (finanziarie, politiche e militari) e forse improbabile data la crisi strategica di alcuni aspetti del corrente modello di sviluppo.
Tuttavia alternative facili non c’erano e non vi saranno, a parte quelle avventuristiche di abbandono dell’Euro e/o di incremento/non-pagamento del debito pubblico, finchè non maturi una nuova base sociale e politica che sia valida per aggredire sia l’accumulazione dei ricchi (patrimoni finanziari ed immobiliari) sia l’evasione fiscale diffusa dei ricchi&poveri, insieme abbracciati nei settori sommersi dell’economia (che l’ISTAT riesce comunque a fotografare con una certa precisione); nonché, forse, valida anche  per  impostare una equa austerità finalizzata a orientare produzione e consumi in senso più rispettoso della natura e del resto del mondo.
Ciò premesso, valutare la proposta di legge di bilancio per il 2017 (e seguenti) non appare facile, sia per la complessa articolazione della manovra, sia per la labilità persistente di alcune cifre (sintomatiche le lamentele lombarde sui fondi per dopo-EXPO e le rassicurazioni del lombardo ministro Martina), che la persistenza delle scosse sismiche in centro-Italia rischia di rendere ulteriormente variabili nelle prossime settimane.
Mi pare comunque di capire che le principali partite da considerare, in attesa di capire le evoluzioni della manovra nel suo iter politico a livello europeo e parlamentare, siano:
-          una serie di entrate una-tantum (semi condoni assai discutibili anche sotto il profilo della par condicio, perché restano per confronto puniti non solo i contribuenti onesti e puntuali, ma anche quelli in precedenza sanzionati fino all’ultima maggiorazione di sopratassa), che giustamente preoccupano la Commissione Europea più dello scostamento del deficit di 0,1 o 0,2%, e che implicano per il 2018 e anni seguenti ulteriori acrobazie oppure troppo ottimistiche speranze nella suddetta ripresa;
-          un corposo trasferimento di risorse alle imprese (ed in parte anche alle partite IVA), orientato, più che al sostegno diretto alle assunzioni (vedi sopra), al sostegno degli investimenti (con qualcosa anche per la ricerca), sempre nella speranza della ripresa, e con l’avvio di un minimo di “politica industriale” nella chiave della innovazione (che non è quella della riqualificazione ambientale, ma  è sempre meglio del “tutto-fa-brodo” del non rimpianto decreto Sblocca-Italia); a fianco anche maggiori incentivi fiscali alla contrattazione aziendale integrativa (che personalmente continuo a considerare iniqui rispetto ai lavoratori meno fortunati), ad imitazione  di un modello che pare abbia riscosso successo in Germania da Schroeder in poi;tassa
-          un insieme di provvidenze sociali da tempo attese (correzione degli eccessi dei tagli pensionistici Monti-Fornero; maggiori fondi e riorganizzazione del contrasto alla povertà; qualcosa per le famiglie ed anche finalmente per il diritto allo studio), pur in parte discutibili e discusse nel merito (vedi ad esempio Tito Boeri, che limiterebbe gli aumenti di pensione ai soli pensionati più poveri), ma indubbiamente finalizzate ad un recupero di consenso sui versanti sindacali e solidaristici della società;
-          un timido, ma riconoscibile, avvio di investimenti pubblici e privati mirati alla prevenzione dei danni sismici ed idrogeologici (“Casa-Italia”), mi par di capire vicino ai 2 miliardi di € (anche se tra le opposizioni c’è chi sostiene che tali risorse non sono indicate), e che forse rischia di essere fagocitato dai crescente fabbisogno per le emergenze del terremoto.  
Su quest’ultimo punto, che ho già analizzato nel mio articolo per UTOPIA21 di Settembre, e che il Governo ha promesso di illustrare meglio con una prossima presentazione di Casa-Italia, mi sembra interessante registrare l’evoluzione della posizione del Governatore toscano Enrico Rossi,  che in settembre invocava maggiori investimenti in deficit (ed in barba all’Europa), mente il 30 ottobre quantifica l’impegno necessario in 10 miliardi annui, da convogliare attraverso un apposito nuovo  Ministero, ma da reperire con il fisco, “a costo di chiedere un sacrificio a chi è più ricco”; in parallelo il candidato-figliol-prodigo Gianni Cuperlo ha proposto qualcosa di simile, specificando che sarebbe auspicabile tassare appositamente i grandi patrimoni immobiliari (ovvero, aggiungerei, ripristinare gran parte della tassa sulla prima casa). 
Renzi continua rassicurare che per il terremoto i soldi ci sono, sfida l’Europa a considerare la sicurezza delle scuole prima del pareggio di bilancio  (e per uno/due anni  a mio avviso ci può anche stare), ma prima o poi dovrà chiarire se Casa-Italia si fa davvero, quanto costerà negli anni  e se si potrà finanziarla solo confidando nella ripresa e abbassando le tasse, oppure aumentando ancora il debito nazionale (o moltiplicando i pani ed i pesci).

A meno che venga travolto dal referendum costituzionale e che tale chiarimento ci sia dovuto da altri futuri governanti (D’Alema-Quagliariello-DeMita oppure Grillo-DiMaio-Muraro oppure Brunetta-Salvini-Meloni).

LODO CUPERLO

LODO CUPERLO

Gentile Cuperlo,
talvolta mi sono permesso di criticare le Sue posizioni, ma ora potrei complimentarmi perché l’accordo abbozzato con i vice-vertici del PD rappresenta un indubbio successo politico, che denuda la pretestuosità preconcetta della sinistra bersaniana nel votare NO al referendum costituzionale (dopo aver votato SI alla riforma stessa) ed al tempo stesso pare ottenere dai Renziani l’impegno a profonde modifiche dell’Italicum (mediazioni cui ultimamente Renzi è talvolta costretto, e già ne dovette accettare alcune sulla stessa riforma costituzionale – esempio emendamento Finocchiaro sulla elettività dei Consiglieri-Regionali/Senatori - mentre la sua linea originaria era assai più spavalda, vedi rifiuto degli emendamenti Damiano sulla riforma del lavoro e di qualsivoglia limitazione verso l’alto nella cancellazione della tassa sulla prima casa).
Nel merito del “lodo Cuperlo”, invece, mi sento di lodare solo parte delle proposte.
Positiva mi sembra la esplicitazione della scelta dei Consiglieri-regionali/Senatori direttamente da parte degli elettori, tramite la proposta Chiti, e cioè con schede elettorali parallele a quelle per l’intero Consiglio regionale, da applicare a collegi uninominali proporzionali (come era un tempo per i consiglieri provinciali)
Molto migliorativo mi appare l’abbandono dei capilista bloccati per la Camera (e connesse candidature multiple) con l’opzione ancora imprecisata dei collegi, che immagino dovranno essere, come sopra, uninominali/proporzionali (“Provincellum”); (VEDI DETTAGLI IN NOTA 1)
Non riesco invece ad apprezzare la riduzione del premio “di governabilità” a quote non decisive per conseguire una maggioranza assoluta alla Camera, e la sua attribuzione senza ballottaggio, ma come esito di una stessa unica votazione, cui sarebbero forse già ammesse le coalizioni. Continuo a pensare (come nella tradizione ulivista e nella esperienza dei comuni) che il doppio turno sia il modo più trasparente per conferire sovranità agli elettori, e legittimare un serio premio di maggioranza alle coalizioni che eventualmente si formano dopo il primo turno (nell’Italicum si possono introdurre altri tipi di correttivi per evitare la “minoranza pigliatutto” ed eccessive frammentazioni – VEDI DETTAGLI IN NOTA 2).
Cordiali saluti e soprattutto molti auguri per il difficile ruolo che La attende, sia politico (come residuo di una sinistra ufficiale dentro il PD) sia istituzionale (come suggeritore di una nuova legge elettorale).
Aldo Vecchi 




NOTA 1: anche se le candidature saranno scelte dai vertici dei partiti (salvo eventuali primarie), oggi in Italia è abbastanza difficile pensare a “collegi sicuri”, per cui dovrebbe scaturirne una effettiva competizione, diretta rispetto ai candidati degli altri partiti nel collegio, e indiretta come gara ad ottenere la migliore percentuale nella concorrenza tra i candidati dello stesso partito nell’ambito della stessa circoscrizione, il tutto nell’ambito di collegi della dimensione “umana” di 100.000 abitanti e quindi con spese relativamente contenibili e maggiori possibilità di conoscenza diretta tra elettori e candidati; con un certo obbligo per eletti (e futuri candidati) di “coltivare” il collegio (qui c’è qualche rischio di campanilismo e clientelismo); con maggiori possibilità di successo per nuovi movimenti anche a scala regionale, ma con limitati rischi di formazione di ras locali “assoluti”, come sarebbe invece con il collegio uninominale maggioritario (il rpimo arrivato prende il seggio). 
NOTA 2: come ho già avuto occasione di argomentare, potrebbero essere inserite ulteriori soglie, oltre a quella (innalzabile) del 40% con cui si vince al primo turno:
-          Introdurre gli apparentamenti al secondo turno se la somma delle prime due liste non raggiunge (ad esempio) il 60%
-          Introdurre il ballottaggio a 3 liste, oltre alla possibilità di apparentamento, se la somma delle prime due liste non raggiunge (ad esempio) il 40%

-          nonché, butto lì come provocazione (e cambiando però la Costituzione), ridurre il numero dei Deputati in proporzione (attenuata) alla affluenza complessiva degli elettori (restano senza rappresentanti i collegi dove vi è minore affluenza

PARTECIPAZIONE, PARTITI, MASSE

Nella contrapposizione politica, cristallizzata da un paio di anni, tra l’area governativa e le diverse opposizioni (cui si vanno aggiungendo in piccole rate vari frammenti della sinistra PD), mi sembra che un dato emergente sia la scarsa partecipazione dei cittadini, oltre che alle scadenze elettorali e referendarie, anche alle iniziative promosse dai vari partiti e movimenti.
Ne sono testimonianza recente la ridotta presenza dei militanti PD in Piazza del Popolo, il mancato convergere di popolo al presidio del M5S in piazza Montecitorio a sostegno del dimezzamento degli stipendi dei parlamentari ed ancor di più il mancato raggiungimento del quorum del 75% nella consultazione on-line certificata dello stesso M5S sulle modifiche del suo non-statuto.
Nei mesi precedenti, diversi soggetti hanno tentato la scalata alla soglia delle 500.000 firme su proposte referendarie; la soglia del Mezzo Milione è stata superata solo (ed  fatica) dal PD per la conferma della riforma costituzionale (sarebbe forse un bel boomerang, se il referendum non fosse già stato innescato dalla raccolta delle firme dei parlamentari di opposizione) e dalla grande CGIL, che ha raggiunto il milione di firme su 3 quesiti contro la riforma Renzi del lavoro (se mi è consentito, non molto per un sindacato che conta tuttora oltre 4 milioni di iscrizioni, tra cui la mia).
Non hanno invece superato la prova, tra 2015 e 2016:
-          la scheggia “Possibile”, uscita dal PD con Civati, che ha fallito su 8 quesiti riguardanti la legge elettorale “Italicum”, lavoro, scuola, ambiente e grandi opere;
-          il Comitato contro la “Buona Scuola” (CGIL, Cobas e altre sindacatini autonomi degli insegnanti, nonché associazioni di studenti e di genitori), che ha mancato il traguardo, seppur per poche firme su 4 quesiti specifici;
-          il Comitato contro la conferma della riforma costituzionale.
A tale smobilitazione delle masse, corrisponde però un iper-attivizzazione delle minoranze militanti, sia in manifestazioni medio-piccole, sia soprattutto sui social media, dove la speranza di affossare Renzi con il NO al referendum costituzionale ha un effetto di sovra-eccitazione, echeggiato, ai margini del Palazzo, da molti anziani politici già rottamati od in via di rottamazione; mentre il fronte del SI, pur raccogliendo variegate adesioni (tra cui gli inopinati “Sessantottini per il SI”, che hanno su di me un indubbio richiamo affettivo), sembra attivizzarsi nella sola persona di Renzi.
L’insieme di questi fenomeni, al di là della scadenza referendaria, il cui esito comunque influirà pesantemente anche su questo terreno (e la cui stessa celebrazione acuisce la lontananza di molti elettori dalla “politica”, data la complessità degli argomenti e la rissosità dei confronti), tende a mio avviso a rafforzare sul piano organizzativo i piccoli partiti alle ali estreme del paesaggio politico (Sinistra Italiana, Lega Nord) e ad approfondire  invece la crisi organizzativa dei due principali raccoglitori del consenso di massa, ovvero PD e M5S.
Il dibattito tra sordi alla Camera sugli stipendi dei parlamentari è stato in tal senso paradigmatico: il M5S incapace di uscire da una dimensione propagandistica, che non ha avuto il successo propagandistico sperato; il PD incapace di formulare una contro-proposta operativa immediata, a rischio di confermarsi come difensore dei privilegi della casta (forse perché - stando ai conti pubblicati ad esempio dalla Stampa - non sa rinunciare a 8 milioni annui di € dai contributi dei propri parlamentari, nel momento in cui con la nuova virtuosa norma del 2% dell’IRPEF ai partiti, riesce a raccogliere solo mezzo milione di €, e non sa più contare sulla generosità di iscritti e simpatizzanti).
Per cui, dietro alla mancata occasione per ricondurre gli emolumenti dei parlamentari ad equità e trasparenza (soprattutto riguardo ai rimborsi spese ed ai compensi dei portaborse precari), secondo me senza necessità di infierire con demagogiche mortificazioni (non concordo per nulla con la nostalgia per lo Statuto Albertino, con deputati a loro spese, ma necessariamente solo se già ricchi, che è comparsa in questi giorni su Facebook), è ricomparsa in realtà l’annosa questione del finanziamento ai partiti, confermata dalla cospicua entità dei rimborsi maturati da Di Maio ed altri aspiranti leaders del M5S, che hanno misurato sul campo quanto può costare semplicemente “fare politica” (cioè spostarsi sul territorio e organizzare confronti e convegni).
E, dietro al tema del finanziamento, ricompare il tema di fondo degli stessi partiti di massa:
-          che il M5S continua a negare, nascondendosi dietro le sembianze del movimento e le favole dei cittadini-uno-vale-uno, mentre è costretto a riconfermare una leadership a-priori (Grillo e Casaleggio, di padre in figlio) e si svela privo di una decente regolamentazione interna per la selezione dei quadri dirigenti e la risoluzione dei conflitti (come la sospensione o meno degli indagati e la espulsione o meno dei dissidenti), pienamente dimentico della famosa trasparenza-in-streaming;
-          che il PD trascina dietro alle ombre di gloria delle primarie, da un lato, e delle migliaia di iscritti nelle “sezioni”, dall’altro, mentre, trascinato dalla vigorosa leadership governativa e mediatica di Renzi, ha sprecato l’occasione del ricambio generazionale post non-vittoria del 2013 per rifondarsi su nuove basi (perché Renzi ha preferito imbarcare vecchie correnti e vecchi notabili); ora circolano al vertice timide proposte di ri-organizzazione, a cui sembra credere solo Fabrizio Barca (forte, ma in realtà debole, della sua sperimentazione di un partito nuovo in una ventina di circoli);
-          che difficilmente affronterà con successo Stefano Parisi, sul versante di un centro destra ragionevole, in un campo minato dalla uscente leadership aziendale di Berlusconi, dai fallimenti di Monti e di ogni altro centrista e dalla incombente concorrenza populista di Salvini,
-          che forse è irrisolvibile, un po’ in tutto il mondo, in questa fase storica di globalizzazione e “società liquida”, ma nella cui assenza si vedono consolidare ed estendersi prospettive ben peggiori, dai partiti personali ai meri comitati elettorali, dalla frantumazione delle rappresentanze alla crescente disaffezione dei cittadini verso il voto e le istituzioni.

E se intanto negli U.S.A. vincesse Trump…. 

REFERENDUM COSTITUZIONALE - 5 – TEMPI CERTI PER LE LEGGI PROGRAMMATICHE

Mentre si allarga e non si placa l’infarto sismico, che ha colpito il cuore geografico e simbolico della penisola italiana, bisognerebbe forse concentrarsi sulle tante o poche cose utili che ognuno di noi può fare per solidarietà alle popolazioni colpite.
Ma intanto la vita ordinaria fuori dal sisma continua a procedere, e perciò  mi permetto di sottoporre all’attenzione alcune miei pensieri che attengono all’ordinaria attualità politica.


L’ultimo frammento della propaganda per il NO che mi ha raggiunto su FaceBook racconta che “se vincesse il SI, il nuovo art. 72 ecc. consentirebbe al Governo di imporre al Parlamento di approvare qualsiasi legge in 70 giorni (compresi i festivi);  --- potrà imporre al Parlamento cosa, come e quanto legiferare” (segue l’elenco delle nefandezze che verrebbero imposte da suggeritori esteri e altre lobbies).
Mi pare che l’argomento si elevi al di sopra delle falsità e meschinerie del tipo “consiglieri-senatori nominati per cercarsi l’immunità parlamentare” (altre rozzezze però non mancano dal fronte del SI) e che perciò richieda qualche approfondimento, per i pochi che cerchino di entrare nel merito delle questioni referendarie.
Innanzitutto a mio avviso occorre ricordare che attualmente (ed è così da decenni) l’attività dei 2 rami del Parlamento è spesso soverchiata dall’ingorgo dei Decreti-Legge emanati dal Governo, che – già entrati in vigore con pesanti effetti giuridici e materiali – devono essere convertiti entro 60 giorni (sempre compresi i festivi), in doppia lettura Camera/Senato e possibili “staffette” per gli emendamenti giustamente possibili: tale distorsione viene eliminata dalla Riforma in esame con una più stringente regolamentazione per i Decreti-legge, nonché con l’introduzione di un maggior tempo per l’ascolto di eventuali richiami del Presidente della Repubblica sui Decreti stessi.
Le norme ed i regolamenti vigenti inoltre assegnano tempi definiti per l’approvazione delle leggi di bilancio, e le maggioranze parlamentari, attraverso le Conferenze dei Capi-gruppo, dispongono dei poteri per contingentare i tempi di discussione per qualunque legge.
Ciò premesso, venendo alla nuova norma proposta per le leggi fondamentali dei programmi governativi, mi sembra francamente che si tratti di una ragionevole innovazione, che detta tempi certi alla Camera dei Deputati, per una parte della sua attività, ma non le toglie il fondamentale potere di APPROVARE oppure EMENDARE oppure NON APPROVARE i disegni di legge governativi: in caso di gravi divergenze tra il Governo e la Maggioranza parlamentare che gli aveva in precedenza accordato la fiducia, si apre comunque una crisi politica, che può generalizzarsi ed assumere (come ora) la forma della Fiducia/Sfiducia oppure rimanere limitata alla singola legge programmatica, la cui eventuale bocciatura entro il 70° giorno (sempre compresi i festivi, che mediamente incidono per 12 giorni su 70) può comunque consentire al Governo una possibile ripresentazione e/o riformulazione della proposta.
Si può immaginare che in una simile dialettica, che si configura ordinariamente come fisiologica e che coinvolge l’intera Camera (e non solo la maggioranza), durante i 70 giorni si inseriscano utilmente nel confronto, sia all’interno dei Palazzi Parlamentari (consultazioni) che all’esterno (manifestazioni, molto utili a tal fine anche i giorni festivi), i più diversi soggetti portatori di idee ed interessi, e non solo oscuri lobbisti e Poteri Forti Sovranazionali.

Quanto questa proposta si combini o si complichi con una legge elettorale maggioritaria, quale l’Italicum, può essere oggetto di ulteriori riflessioni, che mi riservo di elaborare prossimamente (anche perché la legge elettorale pare in evoluzione).

sabato 15 ottobre 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE - 4 - ZAGREBELSKI E LE ISTITUZIONI APERTE VERSO I CONFLITTI SOCIALI

Nell’ambito di una discussione alquanto accademica con Eugenio Scalfari sui concetti di “oligarchia” e di “democrazia”, Gustavo Zagrebelski ha recentemente esposto su LA REPUBBLICA i seguenti concetti, per me abbastanza condivisibili:
“Dal punto di vista degli esclusi dal governo, la democrazia non è una meta raggiunta, un assetto politico consolidato, una situazione statica. La democrazia è conflitto. Quando il conflitto cessa di esistere, quello è il momento delle oligarchie. In sintesi, la democrazia è lotta per la democrazia e non sono certo coloro che stanno nella cerchia dei privilegiati quelli che la conducono. Essi, anzi, sono gli antagonisti di quanti della democrazia hanno bisogno, cioè gli antagonisti degli esclusi che reclamano il diritto di essere ammessi a partecipare alle decisioni politiche, il diritto di contare almeno qualcosa.
Le costituzioni democratiche sono quelle aperte a questo genere di conflitto, quelle che lo prevedono come humus della vita civile e lo regolano, riconoscendo diritti e apprestando procedimenti utili per indirizzarlo verso esiti costruttivi e per evitare quelli distruttivi.”
Quello che non capisco è l’ostilità di Zagrebelski al “combinato disposto” tra la riforma Boschi e la legge elettorale “Italicum”, perché, a mio avviso, per aprire gli assetti oligarchici della società e dello stato alle spinte “outsider” (di cui il M5Stelle è secondo me un recente esempio, seppure da me non apprezzato) giovano molto di più:

-    -   Una legge elettorale maggioritaria con ballottaggio (migliorabile, ad esempio re-introducendo i collegi), che mette aria nel sistema dei partiti e offre agli elettori la possibilità di una scelta finale sull’assetto di governo, rispetto alle leggi elettorali proporzionali, che affidano la formazione delle maggioranze alle alchimie tra le segreterie dei partiti e consegnano spesso un enorme potere di interdizione a formazioni politiche minoritarie (cosa c’è di più oligarchico del poco compianto Ghino di Tacco? o anche del suo emulo Bertinotti?);

-       -     Il superamento del bicameralismo paritario, rispetto al suo mantenimento, che spesso rende opache le modalità secondo cui i disegni di legge accelerano o (più spesso) rallentano nei cassetti delle Commissioni, durante il defatigante ping-pong legislativo;

-    -   I (seppur modesti) miglioramenti in materia di sovranità diretta (introduzione del principio del referendum propositivo, abbassamento del quorum per i referendum abrogativi, obbligo di esame dei disegni di legge di iniziativa popolare) rispetto a quanto previsto in materia dalla Costituzione vigente.


Fuori dalle materie della contesa in atto, a mio avviso l’apertura del sistema attuale dei poteri si gioverebbe di straordinarie spinte democratiche attuando gli articoli della Costituzione vigente relativi ai partiti ed ai sindacati, per renderli trasparenti e contendibili (tutti, compreso il M5S di non-statuto assai privatistico); articoli non a caso inattuati tanto nella “prima repubblica” quanto nella “seconda”.

lunedì 10 ottobre 2016

UTOPIA21 OTT16 - LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO - PARTE 1^

LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO: PARTE 1^ - RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016 E INDIRIZZI SOVRANAZIONALI
di Aldo Vecchi

Il rapporto I.S.P.R.A. 2016:
-  misurare il consumo di suolo
-  come e dove avviene il consumo del suolo
-  le trasformazioni dei suoli e le valenze eco-sistemiche
-  ipotesi di valutazioni monetarie
Indirizzi sovranazionali e iniziativa people-4-soil


Riassunto: nel quadro di una crescente ma contradditoria sensibilizzazione degli organismi europei e dell’ONU sul tema del risparmio nel consumo di suolo, il Rapporto 2016 dell’I.S.P.R.A. costituisce un punto fermo nei criteri di misurazione, localizzazione e qualificazione del fenomeno, con attenzione alle molteplici valenze eco-sistemiche del suolo stesso.


IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016 - MISURARE IL CONSUMO DI SUOLO
La pubblicazione del “Rapporto 2016” sul suolo a cura di ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, organo del Ministero dell’Ambiente), dal titolo “CONSUMO DI SUOLO, DINAMICHE TERRITORIALI E SERVIZI ECOSISTEMICI” (edito nel luglio 2016 e disponibile on-line come tutti i documenti e materiali di ISPRA) segna un passaggio alla maturità della consapevolezza scientifica su queste tematiche, sia riguardo alla definizione ed alla misurazione del consumo di suolo, sia riguardo alle interrelazioni qualitative con i numerosi fenomeni connessi.
Per suolo consumato si intende l’insieme delle superfici terrestri che - in quanto cementificate, impermeabilizzate, compresse (esempio: cortili, depositi e strade sterrate) o scorticate (esempio: cave, miniere, cantieri) – hanno perso totalmente od in gran parte le capacità naturali di scambio tra atmosfera e sottosuolo che invece caratterizzano i suoli, liberi o coltivati, che ospitano varie forme di vegetazione.
La misurazione avviene attraverso l’interpretazione delle immagini satellitari della superficie terrestre, che consentono di rappresentare la situazione con reticoli sempre più stretti, ormai anche solo di 5 metri per 5, integrata con rilievi a campione e con informazioni cartografiche e data-base da diverse fonti (con più difficoltà viene misurata la situazione nei precedenti decenni, sulla scorta delle riprese aeree disponibili negli archivi).
L’approssimazione del dato riguarda condizioni ibride od incerte, come ad esempio i vialetti dei giardini, pubblici e privati, gli impianti sportivi, le coperture a verde di volumi edilizi interrati, ecc.: ma le tecniche di misurazione si vanno affinando in tutta Europa (pur senza raggiungere ancora una omogeneità assoluta) e soprattutto, con la stabilizzazione delle metodologie, offrono valide possibilità di comparazione geografica (essendo costante il margine di errore al variare dei luoghi) ed anche di confronto diacronico e transcalare (anche se cambiando tempo e scala l’incidenza degli errori non è costante, è però controllabile).  
Il rapporto 2016 indica per l’Italia un consumo di suolo medio superiore al 7% (sul totale del suolo), [FF1] con regioni quali Lombardia e Veneto collocate oltre il 10%, e con punte del 40% nella provincia di Monza e Brianza (i dati sono disponibili fino al livello comunale), e segnala un abbondante raddoppio rispetto alla situazione degli anni 50, ed una progressione ulteriore, tra 2012 e 2015 (in conclamato stato di crisi economica e di stagnazione demografica) stimata pari ad un decimo del precedente livello di consumo (dal 6,9% al 7,6%, cioè più 0,7%), corrispondente a 15.000 ettari; il dato medio di consumo di suolo nell’Unione Europea è invece del 4,3% e l’Italia figura al 5° posto tra i maggiori consumatori, dopo i 3 paesi del BeNeLux, che risultano oltre il 10% e la Germania, poco superiore al 7%.

IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016  - COME E DOVE AVVIENE IL CONSUMO DEL SUOLO
La gravità di questi numeri, e della tendenza espansiva finora inarrestabile, si coglie compiutamente osservando la dislocazione dei suoli consumati, che ricadono in prevalenza nelle aree pianeggianti, fertili ed in precedenza coltivate, e che sono enormemente frazionati lungo le maglie di una rete infrastrutturale ipertrofica (essa stessa protagonista del consumo di suolo), secondo logiche insediative anarco-individualiste non solo dove regna  l’abusivismo edilizio, ma anche all’ombra di compiacenti piani urbanistici che di fatto assai poco hanno pianificato (secondo alcuni interpreti, ospitati nel “Rapporto 2016” la situazione e la dinamica italiana vanno oltre lo “sprawl ” urbano – tipica espansione a macchia d’olio lungo gli assi stradali, indotta dalla motorizzazione privata - per raggiungere invece una condizione di “sprinkling”: qualcosa che, si potrebbe dire, va oltre lo stato liquido, rasenta il gassoso).
L’impatto indiretto di infrastrutture ed insediamenti moltiplica così i suoi effetti negativi sul circostante suolo agricolo o naturale, minandone la continuità e l’efficacia ecologica; da un approfondimento presentato nel “Rapporto 2016”, attribuendo ad ogni porzione di suolo consumato una fascia circostante (buffer) di larghezza di 100 metri quale “suolo disturbato” (per i potenziali effetti indotti), viene coinvolta oltre la metà del territorio nazionale.
L’analisi del consumo di suolo è inoltre declinata dal “Rapporto 2016” per le parti più delicate del territorio, quali le fasce costiere del mare e delle acque interne, i parchi e le aree protette, le aree montane o comunque a forte declivio, le zone a rischio sismico ed idrogeologico.
Il “Rapporto 2016” propone inoltre varie forme di classificazione degli insediamenti urbani e di quelli dispersi, suggerendo criteri interpretativi derivanti da algoritmi, che a mio avviso non sono immediatamente significativi, ma che potrebbero utilmente stimolare gli studiosi del territorio (geografi, urbanisti, sociologi, ecc.) per aggiornare e incrociare le rispettive chiavi di lettura degli odierni rapporti tra città e campagna.

IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016 - LE TRASFORMAZIONI DEI SUOLI E LE VALENZE ECO-SISTEMICHE
Il “Rapporto 2016” analizza altresì, in termini qualitativi e quantitativi, i flussi di trasformazione tra i diversi usi del suolo (le aree coltivate si riducono non solo per effetto diretto e indiretto della “cementificazione”, ad esempio per l’abbandono in attesa di utilizzi più redditizi, ma anche per il puro e semplice abbandono, per  motivi socio-economici, nelle aree montane e collinari più marginali, a vantaggio di una riforestazione spontanea di modesta qualità) e soprattutto le molteplici valenze ambientali del fenomeno “suolo”, ovvero i servizi eco-sistemici che le aree non trasformate rendono a beneficio degli insediamenti umani, tra cui:
            sequestro del carbonio e filtro di altre componenti atmosferiche (particolato, ozono, ecc.),
            assorbimento della pioggia e protezione dall’erosione,
            depurazione delle acque,
            biodiversità e impollinazione,
            produzione agricola e di biomasse forestali,
            mitigazione dei micro-climi,
            riequilibrio psico-fisico per la specie umana.
Tutti questi argomenti, approfonditi nel ”Rapporto 2016”, meriterebbero anche riassunti e commenti altrettanto approfonditi, qui impossibili per motivi di spazio (con riserva di ritornarci).

IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016  - IPOTESI DI VALUTAZIONI MONETARIE
Meno maturo e convincente mi sembra invece il tentativo del “Rapporto 2016” di tradurre in moneta la quantificazione dei suddetti “servizi ecosistemici” ovvero dei costi ambientali occulti, che comporta il consumo di suolo, a danno delle comunità umane, attuali e future: operazione ancora esplicitamente embrionale, come dichiarato dagli stessi ricercatori, indubbiamente utile per richiamare l’attenzione sulle diverse qualità dei suoli potenzialmente vittime delle trasformazioni, ma ancora da sviluppare non solo nei suoi aspetti  concreti (ad esempio l’effetto cumulativo tra i diversi “servizi” resi dal suolo libero), ma soprattutto nel nocciolo teorico sostanziale del rapporto con il mercato, che al momento ignora tali valori, mentre potrebbe riconoscerli esso stesso, a mio avviso, all’interno di un sistema di regole fiscali poste dalla mano pubblica (ad esempio rendendo cogenti forme di compensazione ambientale preventiva per ogni tipo di intervento di trasformazione urbanistica, anche nella rigenerazione dei suoli già consumati, in funzione del carico ambientale, positivo o negativo, analiticamente derivante per ogni parametro ecologico considerato).
In mancanza di un effettivo sforzo per “internalizzare” nei valori di mercato i costi sociali ed ambientali, la valutazione monetaria astratta può apparire una inutile rincorsa alla moda anglosassone di voler tutto quantificare (e monetizzare) in campo scientifico.
La valutazione in € dei singoli “servizi eco-sistemici” comporta tra l’altro qualche paradosso, come quello emergente al paragrafo 43 (e nella tabella 52.1), dove risulta che ai fini della “purificazione delle acque” i consumi di suolo di tipo urbano sarebbero più virtuosi di quelli agricoli; il che dovrebbe spingere ad una maggior attenzione a quell’altro importante capitolo che è la sostenibilità di molte attuali attività agricole, in termini di consumo di acqua e di energia, di carichi inquinanti, di resilienza ai fenomeni atmosferici ed idrogeologici, di esaurimento delle capacità naturali di riproduzione biologica, ecc.

INDIRIZZI SOVRANAZIONALI E INIZIATIVA PEOPLE-4-SOIL
L’attività scientifica sul tema del suolo condensata nel “Rapporto ISPRA 2016” si inquadra nell’ambito  delle ricerche ed esperienze internazionali, rappresentate da ultimo  nei convegni “Global Soil Week Berlin” del  2013 e 2015, ed in gran parte recepite in documenti di indirizzo degli organismi mondiali (Conferenza “Rio+20” del 2012; indirizzi ONU del 2015) e soprattutto dell’Unione Europea, già dal 2002 e nel 2006, ed in modo più serrato dal 2011, con la delineazione di obiettivi anche quantitativi per il 2020 e 2030, culminanti nel traguardo di “consumo di suolo zero al 2050” (traguardo già tradotto in normative cogenti nella sola Germania).
Tuttavia la Commissione Europea nel 2014 – nell’ambito dell’incertezza decisionale e della debolezza politica che si euro-diffondono negli ultimi anni - ha ritirato una proposta di Direttiva, che avrebbe reso operativi tutti gli studi e gli auspici di cui sopra: pertanto le associazioni ambientaliste si propongono di rilanciare dal basso queste proposte con l’iniziativa “PEOPLE-4-SOIL” che si svilupperà nel prossimo autunno.

Fonti:
  1. I.S.P.R.A. – CONSUMO DI SUOLO, DINAMICHE TERRITORIALI E SERVIZI ECOSISTEMICI edizione 2016 www.isprambiente.gov.it
  2. I.S.P.R.A. & SALVIAMO-IL-PAESAGGIO & SLOW FOOD ITALIA – CONVEGNO “RECUPERIAMO TERRENO” – MILANO 06-05-2015 – atti, sessione poster, Volume I e II www.isprambiente.gov.it
  3. SALVIAMO IL PAESAGGIO www.salviamoilpaesaggio.it
  4. CENTRO RICERCA CONSUMO SUOLO (Istituto Nazionale di Urbanistica & Dipartimento DAStU del Politecnico di Milano & LegaAmbiente) – “RAPPORTO 2014” tramite www.inuedizioni.com (a pagamento)