ANCORA SULL’UTOPIA DELL’URBANITA’
DI GIANCARLO CONSONNI
di Aldo
Vecchi
In questo numero di Utopia21,
Adriano Parigi inquadra l’ultimo libro di Giancarlo Consonni nell’insieme del
suo percorso ed in flusso di pensiero convergente sull’elogio della città
compatta e conviviale, contro le tendenze dissipatorie della contemporanea
città post-fordista. Condividendo la critica allo stato delle cose presenti,
esprimo i miei dubbi sugli orizzonti alternativi formulati da Consonni.
Sommario:
- breve recensione
- mie
riflessioni
in corsivo le parti più
personali; in corsivo sottolineato i corsivi riportati dal testo in
esame
BREVE RECENSIONE
L’utopia urbana di Giancarlo Consonni nel libro “Non si salva il
pianeta se non si salvano le città“ mi sembra una utopia ‘elevata a potenza’.
Nell’ambito di un auspicato contrasto alle
pratiche predatorie in atto sia nelle campagne (con il consumo del suolo e con
il super-sfruttamento delle risorse agronomiche) sia nelle città (con la
concentrazione delle funzioni di pregio ove maggiore è l’accessibilità e la
dispersione delle altre nel territorio), Consonni mira più in alto, alla
ricostruzione della ‘bellezza urbana’, intesa come sequenza di fabbricati
polifunzionali allineati su strade, piazze, giardini e cortili (con
intersezione di spazi pubblici e privati), scenario propizio ad un recupero
delle relazioni sociali.
Una visione della città che contrappone nel
medioevo i portici conviviali e affabulatori di Bologna alle torri orgogliose e
autoreferenziali di San Gimignano (e in modo controverso della stessa Bologna),
nella modernità Louis Kahn (“ la strada come stanza comunitaria”) a Le
Corbusier (nemico della strada-corridoio), Jane Jacobs a Lewis Mumford (e –
ricorda Consonni, che dell’archivio Bottoni è uno dei fondatori e curatori -
Piero Bottoni seconda maniera, quello della “strada vitale”, autocritico rispetto
al primo Piero Bottoni puramente razionalista).
In precedenza ho brevemente considerato ed apprezzato le posizioni di
Giancarlo Consonni (e di Graziella Tonon, e di altri)2 ; in questo testo (rielaborazione di recenti conferenze e interventi) l’Autore
procede da diverse direzioni a questa prospettiva:
-
la rievocazione di un intervento di Giorgio La
Pira nel 1955 in difesa delle città, il cui senso è così riassunto da Consonni:
“… Si è a tutti gli effetti abitanti di un luogo, di una città e di un
territorio solo in quanto soggetti che se ne prendono cura così da trasmetterli
alle generazioni future integri e, possibilmente, migliorati“ [A]
-
gli insegnamenti di Leon Battista Alberti: “le
manifestazioni dei più vari campi della vita pubblica: diritto, vita militare,
religione, etc. --- senza le quali la società civile cessa sostanzialmente di
esistere, una volta private della magnificenza dell’ornamento [qui sinonimo di
bellezza, nota di Consonni] si riducono ad operazioni vuote e insulse” [B] ed, in sintesi “… La bellezza civile e la società
esistono in virtù di uno stesso principio: la concertazione tra componenti
diverse al fine di conseguire sinergie in un assetto quanto più possibile
equilibrato ed armonico”
-
la ripresa, da una distanza assai critica,
della “Questione delle abitazioni” di Frederich
Engels, e le riflessioni dell’Autore sull’estinzione, in Italia, di una
adeguata politica sulla casa 3
-
e soprattutto la critica ai processi storici[C]
che hanno portato in Occidente, e in particolare in Italia, a smantellare la
preminenza degli interessi pubblici nel governo degli spazi urbani, con gravi
responsabilità in questa involuzione anche da parte degli intellettuali e delle
università, a partire dalla innaturale separazione tra ‘architettura’ e
‘urbanistica’, ed a seguire con l’abbandono
delle esercitazioni di ‘progettazione urbana’ e con il ritiro della didattica a
pur apprezzabili posizioni critiche.
L’Autore ben spiega gli effetti stranianti di
gran parte degli interventi edilizi contemporanei sul tessuto urbano, con
l’autoreferenzialità dei progetti architettonici più ambiziosi (arrivando a
“stravaganza… eccesso … urlo”), ‘dove la città si disfa’ e la banalità delle
funzioni disperse nelle periferie metropolitane, ‘dove non si fa città’, con l’esito
tra l’altro di:
- “… costruzione di contenitori edilizi ancorati
alle reti di trasporto, ma del tutto indifferenti all’intorno
- … formazione di gated communities più o meno camuffate”.
Consonni segnala e critica in particolare la
soppressione dei tradizionali elementi di transizione tra spazi pubblici e spazi
privati (ad esempio i portici oppure i cortili): “… in questi paesaggi o si è
dentro o si è fuori, con la sensazione dominante, negli spazi aperti, di essere
sempre e comunque fuori posto“.
Segnalando i rinnovati pericoli, anche per le
città europee, di distruzione fisica per il ritorno delle guerre [D]
l’Autore afferma però: “Contro le città
non c’è dunque solo l’azione devastante della guerra. I contesti urbani sono
fortemente aggrediti da processi divenuti ordinari: un’azione capillare che
minaccia il cuore della convivenza sociale costituita dall’urbanità.”
Un insieme di spinte, derivanti dall’assetto
economico-finanziario dell’attuale capitalismo, che esalta le rendite, ed a cui
non si contrappone (più) il potere pubblico, perché si verifica:
-
“l’esclusione del progetto urbano … dalle
prestazioni professionali in ambito urbanistico;
-
l’esautoramento dei tecnici della Pubblica
Amministrazione …
-
l’impoverimento, quando non l’azzeramento, del
governo della Cosa pubblica sul fronte della definizione di strategie di
intervento in fatto di città e territorio” [E],
mascherato da “retoriche …” e” narrazioni edulcorate del reale”.
Consonni previene e cerca di neutralizzare alcune possibili critiche: la nostalgia dell’ancien regime, il mito identitario della piccola
comunità, la pretesa che la bellezza urbana comporti una ‘bontà’ di
comportamenti:
-
“Si dirà che dai riferimenti alla città
storica qui enunciati emerge un quadro edulcorato e idilliaco in cui non si
tiene conto che le città sono sempre state, oltre che teatro di conflitti
(anche violenti) un terreno di distinzione sociale, fino alla segregazione.
Come negarlo? …”
-
“che si sappiano creare gli anticorpi contro
le derive autoritarie che si ingenerano nei microcosmi comunitari”, anche
perché “la società civile è essenzialmente un insieme esteso di comunità e che
ogni abitante appartiene lui stesso a più comunità” [F]
-
“molti fatti … ci mostrano come sia
insostenibile la tesi per cui come “…riteneva Alberti … ‘la bellezza fa sì che
l’ira distruggitrice del nemico si acquieti’…ma questo non ci autorizza a
qualificare la bellezza come un fatto inutile, tanto più quanto più essa si fa
manifestazione civile: corpo e anima della città.”
Inoltre l’Autore prende atto che “mentre la
sostenibilità ambientale è questione divenuta quasi di dominio comune (tanto
che ormai non può essere ignorata dalla politica), la questione della
sostenibilità sociale è ignorata a tutti i livelli… Ma ancor più sorprendente è
l’assenza di una adeguata presa di coscienza … da parte di coloro che lo vivono
direttamente sulla propria pelle, ovvero i cittadini. E questo per il diffuso
analfabetismo sui legami che intercorrono tra polis e politica, tra urbs
e civitas, tra gli assetti insediativi
e i sistemi relazionali… Non abbiamo assistito solo al disgregarsi delle
comunità: si è smarrito il senso di essere parte di un consorzio civile. … Il
vuoto derivante è stato occupato dal mercato, che non si è limitato ad
incamerare risorse collettive sotto forma di rendita ma è stato lasciato libero
di plasmare i quadri di vita prosciugandoli dalle relazioni vitali.”
L’immane compito di invertire le tendenze in
atto si profila, nelle conclusioni del testo come “… una profonda rivoluzione culturale…
ma che non parte da zero. Si tratta in primo luogo di riconoscere e sostenere
sia le forze che svolgono un ruolo attivo nella conservazione, valorizzazione e
promozione dei luoghi dotati di urbanità, sia i conduttori agricoli che hanno
cura della terra e del suo potenziale produttivo.
In secondo luogo si tratta di alimentare una
consapevolezza individuale e collettiva circa le valenze squisitamente
politiche assunte dalle scelte urbanistiche e in generale dalle pratiche di
trasformazione dell’ambiente fisico.”
Ed in precedenza Consonni auspica tale
rinnovamento culturale “… per il cui innesco le scuole di ogni genere e grado
potrebbero svolgere un ruolo primario.”
MIE RIFLESSIONI
Per esplicitare i miei dubbi sull’utopia di Consonni, a fronte di una
realtà complessa, mi permetto di semplificarla concettualmente in successivi
gradi di avvicinamento, come se fossero i livelli di competizione di un
video-game (o almeno così ricordo video-games quando ero un giovane papà, nel
secolo scorso).
(Non approfondisco gli argomenti che ho già affrontato in recenti
articoli, che richiamo.)
Al primo livello occorre assicurarsi di raggiungere il consumo di
suolo zero 4 , enunciato dall’Europa[G] con
precise scadenze, ma ancora solo vagamente prospettato in Italia, sia per tutelare
i suoli agricoli (da difendere nel contempo anche dalle pratiche agricole
predatorie, come ricorda Consonni, e come è materia di scontro – in Italia ed
in Europa - tra il primo ed il secondo mandato di Ursula von der Leyen), sia
per impostare correttamente la cosiddetta ‘rigenerazione urbana’: su questo
fronte i pericoli non stanno solo nelle inerzie e nelle ambiguità di Governo e
Parlamento, e nelle abituali pressioni speculative, ma anche nelle fameliche
esigenze dei settori logistica e data-center, i magazzini di merci e di dati in
cui pesa materialmente l’apparente smaterializzazione derivante dalla
‘transizione digitale’; nonché dalle infrastrutture variamente qualificate come
di pubblica utilità (con l’incombente minaccia di un esautoramento politico
delle Commissioni per le Valutazioni Ambientali, finora abbastanza
indipendenti).
Al secondo livello è quanto mai aperta la partita se sia ancora
praticabile una effettiva pianificazione territoriale e urbanistica, non solo
in rapporto allo svuotamento di fatto derivante dal quadro descritto da
Consonni ed al progressivo indebolimento di Comuni e Province, ma anche per
effetto delle iniziative legislative di recenti approvate (decreto
“salva-casa”) od avviate, dal decreto “salva-Milano” e all’aggiornamento delle
norme edilizie nazionali, fino allo stesso dibattito parlamentare sulla
rigenerazione urbana 5 , dove
pare prevalere un orientamento anarco-liberista, con diritto di ricostruzione
ed ampiamento di ogni fabbricato esistente e progetti riferiti ai singoli
“lotti”.
A questo livello occorre confrontarsi anche con la oggettiva
difficoltà di progettare alle diverse
scale, sia urbanistiche che architettoniche, in contesti socio-economici
suscettibili di possibili variazioni pure nel breve termine, e poco prevedibili
negli scenari di lungo termine: considerazione da cui muove anche Luciano
Crespi, con l’articolo su questo numero di UTOPIA21, in cui riprende e sviluppa
le sue proposte sul riuso anche transitorio degli ‘avanzi urbani’. E da cui l’INU
trae la sua proposta di legge-quadro per l’urbanistica, inserendo la “coerenza”
in luogo della “conformità” 6: in direzione contraria ai venti dominanti,
come sopra accennato.
Al successivo terzo livello, si deve ricostruire, o forse, in Italia,
costruire ex-novo la capacità e la volontà di spingere la pianificazione
urbanistica a regia pubblica alla scala del disegno urbano, cioè alla definizione
non solo delle quantità e delle funzioni, ma anche delle tipologie dei
fabbricati e della morfologia degli spazi pubblici e privati: il che comporta
un rafforzamento istituzionale dei Comuni e dei loro Uffici Tecnici (intercomunali
per i piccoli comuni, salvo aggregare per davvero i Comuni stessi) 6
ed anche una adeguata formazione per una nuova generazione (oppure
‘ri-generazione’) di funzionari (tema in parte affrontato, sotto il profilo
dell’offerta didattica, nel recente dibattito in sede INU e dintorni 7).
A questo ipotetico livello, occorre considerare che in generale non si
tratta di progettare ex-novo interi quartieri o porzioni organiche di città, ma
di cercare urbanità (cioè come dice Consonni, “ospitalità” e “convivialità”)
innanzitutto in quei tessuti urbani esistenti, in parte disfatti e sfilacciati
dai fenomeni da Consonni descritti, e su cui qualcosa si può rimediare
affrontando la crisi climatica ed energetica dell’intera rete delle
urbanizzazioni (acquedotti, fognature, strade e trasporti, illuminazione) e dei
servizi (verde, parcheggi e scuole i più diffusi), in termini non solo
ingegneristici o meglio bio-ingegneristici, ma di ripensamento complessivo di
architettura, urbanistica, socialità, nonché di ‘ripascimento’ degli
eco-sistemi tra città e campagna: non per rifugiarsi nella “città pubblica”(come
paventa l’Autore in un passo del testo), ma per provare a riqualificare attraverso gli spazi pubblici
anche la ‘città privata’. E’ anche (o soprattutto?) su questo fronte che ‘si salva
il pianeta se si salvano le città, parafrasando il titolo del testo di Consonni.
Senza dimenticare, a questo proposito, la contestuale urgenza di adeguare
l’intero patrimonio edilizio sotto gli aspetti energetico e climatico.8
Al quarto livello (e mi pare che siamo già molto in alto) potrebbe
aprirsi la sfida su quale morfologia perseguire nella regia pubblica della
rigenerazione urbana, laddove vi siano significativi spazi edificati da
trasformare: e qui occorre capire quanto siano praticabili gli orizzonti
prospettati da Consonni rispetto alle diverse committenze possibili (private,
cooperative, pubbliche) ed a fronte di quella pervasiva mutazione antropologica
verso il consumismo e verso l’individualismo, riscontrate dallo stesso Autore.
Tale per cui oggi sul mercato immobiliare risultano certamente più
appetibili le tipologie ‘chiuse’, dalla villetta alla palazzina con giardino,
fino alla torre con accessi blindati, rispetto alle soluzioni ‘aperte’, con
portici piazze e cortili 2: china assai difficile da risalire,
fintanto che non abbiano cumulato grandiosi effetti le rivoluzioni culturali
auspicate da Consonni (e da me pienamente condivise) dalle scuole di ogni ordine
e grado fino a quelle di architettura e urbanistica (meglio se di nuovo unite,
e con specializzazioni per la pubblica amministrazione).
Nel concreto, nella domanda privata i singoli clienti hanno voce in
capitolo solo come utenti finali, per cui le scelte sono ampiamente determinate
dalle varie forme di intermediazione aziendale (e quindi capitalista), dalle
imprese edilizie alle agenzie immobiliari, fino ai moderni ‘sviluppatori’ (con
il loro stuolo di urbanisti, architetti e designer, talora ben qualificati, ma
su tendenze culturali per lo più avverse alla linea propugnata da Consonni).
Le cooperative, estremamente indebolite dall’esaurirsi dei fondi
Gescal e dintorni (si vedrà se le aree che il Comune di Milano finalmente sta
offrendo in questi giorni daranno occasione di ripresa), da tempo non figurano
come un soggetto significativo, e d’altronde -nella curva discendente della
sfera pubblica dagli anni 80 in poi - si sono facilmente adeguate rinunciando
alla ‘proprietà indivisa’ e quindi alla continuità intergenerazionale
collettiva (sostituita dalla frammentazione nelle eredità familiari).
Qualche spiraglio verso tipologie comunitarie è forse presente nel
cosiddetto ‘housing sociale’ (che promana in generale dalle fondazioni bancarie
e che come le cooperative si rivolge ad una fascia di ceto medio-basso), che
presentano il vantaggio di una possibile partecipazione degli assegnatari alle
fasi di progettazione, ma con il rischio di esiti sociali e fisici non
esattamente ‘inclusivi’ (anche qui ‘gated communities’?).
Resterebbero – ma solo in teoria – le ‘case popolari’ a finanziamento pubblico,
prive però al momento proprio del finanziamento…: si porrebbe comunque anche
qui il problema della legittimazione delle scelte progettuali rispetto al
comune sentire dell’utenza potenziale (ancorché priva di rappresentanza): penso
che la battaglia culturale per una ‘città urbana’ sia positiva e doverosa, ma
non fattibile ‘sulla pelle degli assegnatari’ (nell’arco dell’esperienza
novecentesca delle case popolari non mancano esempi negativi di imposizione di
tipologie inadatte, anche se per lo più nella direzione opposta,
tardo-razionalista, da Scampia al Corviale).
Quanto alla direzione che dovrebbe assumere questa ‘rivoluzione
culturale’, molto dice Consonni, affiancando “urbis cultura” ad “agri cultura”;
e molto si è detto (e si dirà) su UTOPIA21, nel senso della consapevolezza
della dimensione globale e complessa della ‘poli-crisi’ e della necessità di
superare euro-centrismo ed anche antropo-centrismo.
Fonti:
1.
Giancarlo
Consonni - NON SI SALVA IL PIANETA SE NON SI SALVANO LE CITTÀ – Quodlibet,
Macerata 2024
2.
Aldo
Vecchi - QUADERNO 5 DI UTOPIA21 – PROBLEMATICHE DELLA SOSTENIBILITÀ DAL
FABBRICATO AL TERRITORIO – pubblicato nel settembre 2018 – vedi in particolare
paragrafi 3.12. e 3.15 -
https://drive.google.com/file/d/1hTCkTv9CJUUV2JLYKGZ4AGWYCu-VGF0P/view?usp=sharing
3.
Aldo
Vecchi – L’UTOPIA (ITALIANA) DI UNA
CASA, PER TUTTI – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing
4.
Aldo
Vecchi - QUADERNO 3 DI UTOPIA21 – LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO –
pubblicato nel settembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/1GEBa35-GB05i8ZklTqkW4BpyUkzjDwBZ/view?usp=sharing
5. Aldo
Vecchi - NON SI FERMA IL CONSUMO DI SUOLO – su Utopia21, gennaio 2024 - https://drive.google.com/file/d/1zOz4i3IekmCXguXLpc3mcoS_EhdvhAYY/view?usp=drive_link
6. Aldo
Vecchi – RIFORMARE L’URBANISTICA? – su Utopia21, gennaio 2023 - https://drive.google.com/file/d/16jPw7iqPb7D5vJosaMOcCYghJEtNdlT_/view?usp=sharing
7. Urbanistica
Informazioni n° 312/2024 e n° 315/2024 – https://r.search.yahoo.com/_ylt=AwrkOhIZmiZnfy8ALApHDwx.;_ylu=Y29sbwMEcG9zAzEEdnRpZAMEc2VjA3Ny/RV=2/RE=1730611865/RO=10/RU=http%3a%2f%2furbanisticainformazioni.it%2f-312-.html/RK=2/RS=yLO8AJZXXFY0CHrimBLtaVHMJug-
8. Fulvio
Fagiani – QUADERNO 41 DI UTOPIA21 - LA RIQUALIFICAZIONE DEGLI EDIFICI –
pubblicato nel settembre 2024 https://drive.google.com/file/d/1W6QnHFN0KHwHzXiPfbtiUp3xUio-Cc9t/view?usp=drive_link
[A]
mio
dubbio: forse La Pira si preoccupava più di difendere la città storica che di
progettare quella contemporanea
[B] mio dubbio: non è che però anche Leon
Battista Alberti, nel progettare nuove chiese a Mantova, ad esempio, si
comportava un poco da ‘archistar’, trascurando l’inserimento nel contesto?
[C] Consonni segnala in particolare, come
fasi di svolta neo-liberista in Italia, la soppressione della ‘scala mobile’ in
difesa dei salari nel 1984 e la soppressione dei contributi Gescal per le case
popolari nel 1993: aggiungerei, come altro elemento specifico relativo a
casa/città/territorio, la soppressione tra il 1992 ed il 1998 del cosiddetto
equo canone sul livello dei canoni di affitto, forse ingestibile in un contesto
di libero mercato, ma proprio per questo assai significativo
[D] sull’argomento guerra, Consonni rileva
una specifica afasia dei movimenti ambientalisti, che dal mio punto di vista
invece, anche a causa delle guerre, sono divenuti in po’ afasici su
qualsivoglia argomento
[E]
Su
questo fronte l’Autore attribuisce un contributo negativo alla riforma del
titolo V della Costituzione del 2001; mi permetto di osservare che una netta
svolta liberista si registra già con i “Programmi Integrati di Intervento”
derivanti da una legge nazionale “per l’edilizia residenziale” del 1992, già
sperimentati in Lombardia dal 1986 e perfezionati in senso de-regolatorio nel
1999
[F] Mi pare una importante riflessione, già
presente in Marc Augé, che ne vede un connotato della “surmodernité”, tale però
da disgregare la preesistente compattezza delle classi sociali
[G] Rammento quanto già da me segnalato, che
tale obiettivo non può essere esteso automaticamente ad altri continenti, quali
l’Africa e l’Asia, in cui ancora forte è la pressione demografica