IN ROSSO LE AGGIUNTE SUCCESSIVE AL 2013
3 - CONTRIBUTI
TEORICI FONDAMENTALI, IN FILOSOFIA ED IN ECONOMIA
4 - LE SOCIOLOGIE DELLA SOCIETA’ POST-MODERNA: MAFFESOLI, BAUMAN, CASTELLS
5 - IL FINANZ-CAPITALISMO SECONDO LUCIANO GALLINO OVVERO LA NECESSITA’ E L’IMPROBABILITA’ DI RADICALI RIFORME A LIVELLO SOVRANAZIONALE
4 - LE SOCIOLOGIE DELLA SOCIETA’ POST-MODERNA: MAFFESOLI, BAUMAN, CASTELLS
3 - CONTRIBUTI TEORICI FONDAMENTALI, IN FILOSOFIA ED IN ECONOMIA
Sergio Dellavalle AAVV-Fregolent 2002 rileva il diverso approccio tra chi, per orientare e giustificare l’agire umano, parte dalla soggettività (antropocentrismo) e chi invece rimanda ad un ordine naturale di valore autonomo (fisiocentrismo):
o
la
filosofia moderna e la concezione illuministica della società, che si fondano
sulla soggettività e sulla relatività del sapere, vengono accusati dagli ecologisti di essere
corresponsabili del degrado ambientale (utilitarismo economicista),
o
il
pensiero ambientalista, partendo da una visione complessiva della natura, di
cui l’uomo è solo una parte, tende però
a imporre una concezione assoluta
dell’etica ecologista, che rischia di prevaricare la libera dialettica tra i
soggetti sociali (fondamentalismo simile a quelli religiosi e che talora assume
aspetti passatisti/reazionari),
o
parte
della ricerca filosofica contemporanea tuttavia tende a superare questa
contraddizione, pur confermando i dubbi soggettivisti e relativisti su ogni
forma di conoscenza scientifica, mediante l’estensione del concetto di umanità
a tutti gli uomini presenti e futuri, ed ai loro bisogni non solo materiali ma
anche spirituali, tra i quali anche la ricerca di una buona armonia con gli
altri esseri viventi e con l’intero mondo naturale esterno all’uomo.
Sono rilevanti le
conseguenze di tale dibattito al di fuori dell’ambito strettamente filosofico,
quando si tratta di stabilire nel concreto fini e mezzi dell’agire umano, dalla
produzione al consumo, e soprattutto negli spazi della decisione politica, con
riguardo alle sue motivazioni, legittimazioni e modalità di convinzione delle
maggioranze e di organizzazione del potere
Silvano
Falocco AAVV-Fregolent
2002
approfondisce
gli aspetti sociali, economici ed ambientali della sostenibilità, considerandone
le connessioni e le tendenze ed evidenzia tra l’altro che:
o
la
domanda di sviluppo sociale non riguarda solo la ri-distribuzione del reddito, ma la libertà e la capacità di tutte
le persone,
o
le
leggi dell’economia non sono sufficienti per ottimizzare l’impiego ed il
rinnovo delle risorse naturali: occorre passare dall’economia del cow-boy
(impiego delle risorse come se fossero illimitate) a quella dell’astronauta
(consapevolezza dei limiti di spazio, materia, energia),
o
non
tutte le risorse sono riproducibili investendovi capitale e lavoro: alcune non
sono riproducibili (es. lo spazio), ed altre
per essere rigenerate, coinvolgono ulteriori apporti di energie o altre
forme di inquinamento,
o
(distinzione
quindi, secondo altri autori Matteraglia
2011, tra “sostenibilità forte”, che
prevede solo il reintegro di ogni singola risorsa e “sostenibilità debole”, che
consente sostituzioni e compensazioni)
o
i
processi di trasformazione, naturali ed artificiali, comportano la
contaminazione irrecuperabile di alcune materie prime, ed una tendenza
complessiva all’entropia, che degrada materia ed energia.
Falocco
si misura inoltre dialetticamente, confutandole, con le principali obiezioni
rivolte agli ecologisti, quali:
o
la
sostanziale inefficacia degli sforzi di miglioramento ambientale nei paesi
sviluppati, perché resi possibili solo dal trasferimento dei costi ambientali
nei paesi poveri,
o
la
inutilità dei suddetti sforzi, perché l’economia di mercato ad un certo punto
troverà comunque più convenienti nuove soluzioni ambientali offerte dal
progresso tecnologico,
o
l’impossibilità
di ogni sviluppo, perché comunque nessuno sviluppo è seriamente sostenibile.
4 - LE SOCIOLOGIE
DELLA SOCIETA’ POST-MODERNA: MAFFESOLI, BAUMAN, CASTELLS
Rientrano
a mio avviso a pieno titolo nel confronto sulla sostenibilità urbana anche gli
approcci sociologici che – a monte della pianificazione – cercano di
interpretare le tendenze contraddittorie della società contemporanea, e
pertanto offrono chiavi di lettura indispensabili per orientare l’azione in
materia di politica economica e territoriale, dopo il tramonto delle grandi
ideologie (non solo il marxismo, ma
anche il liberismo, alla luce della palese crisi del modello
Reagan/Thatcher dopo oltre venti anni dalla caduta del Muro di Berlino); mentre
gran parte delle offerte sia politiche che disciplinari attualmente sul tavolo
né sembrano prive.
Il
confronto è stimolante, ma più difficile, con i portatori di un pensiero
sostanzialmente pessimistico, ma non certo immotivato, come Michel Maffesoli Maffesoli 1997, 2004 e 2007 o come Zygmunt Bauman Bauman 2006 e 2011 ; più consono alle altre
posizioni trattate in questo testo è invece il confronto con gli ampi affreschi
descrittivi/interpretativi (qui non riassumibili) e con le proposte ri-costruttive,
specificamente orientate anche allo spazio urbano, di Manuel Castells Castells 2002 e
2004.
-
Maffesoli,
sottraendosi provocatoriamente agli stilemi statistici della sociologia
accademica, ma recuperando a suo modo i maestri fondatori, da Max Weber a
Durkheim, da Simmel a Pareto, sviluppa invece un grande affresco storico ed
antropologico sull’andamento pendolare tra società organizzata e socialità
spontanea, tra monismo (e monoteismo) e pluralismo (e politeismo) ed in
sostanza coglie nella crisi della modernità un tramonto irrecuperabile del
razionalismo (e dello stesso individualismo), cui contrappone la ricerca di un
pensiero audace, meticcio e interattivo, utile a leggere le tendenze effettive
alla aggregazione sociale e all’orientamento collettivo dei comportamenti per
“tribu’”, religiose/estetiche/dionisiache (anche nelle forme contemporanee ed
effimere delle “reti” cibernetiche metropolitane).
In tale ambito legge “i gruppi
per i quali la natura è considerata come una partner” come “forze alternative,
che segnano il declino di un certo tipo di società chiamandola, allo stesso
tempo, a una irresistibile rinascita”: ma appare scettico sull’esito di tale
richiamo, perché “i membri delle classi popolari sono da sempre degli epicurei”
e la folla può essere “nello stesso tempo socialista e nazionalista”.
Pur
non condividendo appieno il pessimismo irrazionalista di Maffesoli (perché sono
troppo abituato al razionalismo), mi sembra però che i temi da lui sollevati
siano fondamentali e che sia piuttosto grave la scarsità di elaborazioni
alternative altrettanto approfondite sui rapporti individuo/gruppo/società e
quindi sull’argomento nodale della formazione del consenso popolare alle
proposte di riformismo radical-ecologico ovvero della possibile o impossibile
egemonia del pensiero ecologico; mi pare utile confrontare le considerazioni di
Maffesoli con l’impasse in cui mi sembrano incagliarsi a questo proposito le
proposte ecologiste più avvertite, illustrate nei successivi paragrafi.
Il
testo di Maffesoli è orientato soprattutto a contrapporre i legami “tribali” a
quelli universali, più astratti ed idealistici (classe, nazione, umanità
intera); ma la sua contemplazione del comportamento collettivo “tribale”
critica anche radicalmente le premesse individualistiche sia del “borghesismo”,
come ideologia, sia delle teorie economiche neo-liberiste; tale filone sarebbe
interessante da sviluppare in relazione al recente risorgere di movimenti
culturali e politici anti-capitalistici.
-
Bauman,
descrivendo molti aspetti della società contemporanea con ottica originale e
disincantata, sostiene in sintesi che nella “società liquida” chi sta ai
vertici domina volatilizzandosi (come capitali iper-dinamici e come persone e
ceti dalla vita ormai ubiquamente internazionale), mentre cresce l’emarginazione
delle masse precarizzate ed escluse dal potere e sfruttate in quanto
“consumatrici” ancor più che in quanto “produttrici”.
Le resistenze locali ai
problemi planetarie offrono poche speranza di riscatto ed anche i recenti movimenti
di opposizione alle conseguente della crisi finanziaria non riescono a ‘mordere’
perché non riescono a maturare “rivendicazioni chiare, specifiche e
realistiche”.
Se alcuni anni addietro Bauman
riteneva di vedere qualcosa di chiaro nel buio, ma dubitava profondamente nella
possibilità di comunicazione tra intellettuali occidentali e masse sfruttate
del terzo mondo, immaginando come unico esito positivo del proprio lavoro (sulla
scia di Adorno) il “lanciare messaggi in una bottiglia”, a possibile uso dei
posteri, e altrove, in una recente intervista pare sprofondare in un pessimismo
ancora più integrale.
Pur postulando la necessità di
“promuovere un’azione collettiva per rifondare l’agorà che stata privatizzata
---, scegliere tra affidarsi al fato o avere un orizzonte. Tra la deriva e il
viaggio” ed anche “Capire come fare a distinguere la deriva dal viaggio.
Attraverso quali mappe orientare la nostra navigazione”, alla domanda “quali
sono i problemi sociali oggi” risponde “Se mi avessi fatto questa domanda
trenta anni fa, avrei saputo di cosa parlare --- Oggi devo confessarti che non
so di cosa parlare. Tutto quello che posso fare è brancolare insieme nel buio.
--- non soffriamo di una mancanza di conoscenza, ma di un eccesso di saperi –
il problema --- è --- come faccio a trovare qualcosa di sensato in questa
spazzatura”.
Nell’analisi
di Bauman non mi convince, oltre l’eccesso di pessimismo (ma la mia opposizione
è soprattutto psicologica), l’accento prioritario posto sullo sfruttamento
delle masse in quanto consumatrici, perché trascura l’evidente fatto che le
merci e i servizi che tali masse ‘alienate’ consumano, c’è pure qualcuno che da
qualche parte le produce, e tuttora è costretto a produrle tramite forme di
sfruttamento, antiche e nuove, che meritano di essere indagate.
La
mia impressione, pur non suffragata da approfondimenti scientifici originali, è
che le tensioni sociali in atto nel mondo occidentale, con l’attacco al lavoro
ed al welfare, tendano a generalizzare nel mondo globalizzato l’affiancamento
tra ampie élites di super-consumatori e ancor più ampie masse precarie di
esclusi, sostituendo, come sbocco commerciale, le nuove fasce superiori dei
paesi emergenti al “ceto medio” sprofondante dell’Occidente; ma in questo
processo la contrapposizione tra sfruttatori e sfruttati, innanzitutto nella
fase della produzione, si riproduce, con forme nuove, su scala planetaria e
finirà per produrre (con o senza il messaggio di Bauman nella bottiglia) nuove
forme di conflitto di classe, sia pure con esiti non marxianamente
prevedibili.
-
Castells,
nel contesto della evoluzione della “società in rete”, che trasforma - pur
conservando frammenti del passato -
lavoro, famiglia, comunicazione, tempo e spazio, e determina un
urbanesimo frammentario (con i nodi emergenti inclusi nelle reti globali ed
enclaves – remote o vicine -
caratterizzate da esclusione ed emarginazione – vedi in proposito le
ricerche di Saskia Sassen Sassen
2010), ed anche
una parallela frammentazione della vita umana (interpretazione non dissimile da
quella antropologica di Marc Augé - Augé 2005), non ritiene impossibile la
formazione – da parte di autorità locali volonterose, sospinte da movimenti dal
basso, pur spesso effimeri, e sorrette da quel che resta dei poteri nazionali
- di “progetti strategici” di
riqualificazione degli spazi urbani e sociali:
o
fondati
sul funzionamento democratico delle istituzioni locali (raramente organizzate
alla corretta scala metropolitana)
o
articolati
sui livelli della pianificazione, del disegno urbano e dell’architettura
o
finalizzati
a creare ponti tra lo spazio globale dei flussi e lo spazio fisico dei luoghi
ed a coinvolgere i cittadini nel dare un senso agli spazi pubblici, reali e
virtuali.
Il
limite della proposta, oltre alla verificabilità/falsificabilità del grande
schema interpretativo di Castells sulla società “informazionale”, mi sembra
stia nella questione della democrazia, che risulta al tempo stesso condizione necessaria ed
esito sperato dei progetti di trasformazione, mentre mi sembra alquanto
sottovalutato l’aspetto socio-economico, malgrado le ampie e raffinate analisi
(ed i documentati quadri statistici) di Castells e dei suoi interlocutori
proprio anche sulla questione – a mio avviso cruciale – della trasformazione
dei rapporti di lavoro (laddove Castells ha individuato come esito non
lineare e non irreversibile della “società informazionale” la crescente
polarizzazione sociale tra nuovi lavori elitari creativi e lavori di base
precari e de-qualificati).
5 - IL FINANZ-CAPITALISMO SECONDO LUCIANO GALLINO
OVVERO LA NECESSITA’ E L’IMPROBABILITA’ DI RADICALI RIFORME A LIVELLO
SOVRANAZIONALE
Tra
sociologia e macro-economia, Luciano Gallino, in “Finanzcapitalismo” Gallino 2008, svolge una vivida ed efficace
lettura ed interpretazione delle degenerazioni finanziarie del capitalismo
mondiale negli ultimi 3 decenni, sotto l’egemonia ideologica del neo-liberismo,
divenuto “pensiero unico”, non solo in materia economica, e che pervade le
classi dirigenti (di banche ed imprese così come di partiti ed istituzioni, dei
singoli stati e sovranazionali), benché si riveli ideologia sorda a fronte
delle sonore smentite che provengono dalle crisi parziali e globali che si
susseguono (contraddicendo le previsioni di incessante sviluppo, e disseminando
povertà e disuguaglianze crescenti), e sordamente tenda a ribadire - ‘a prescindere’ - i principi
astratti della razionalità dei mercati e della allocazione dei capitali
(adiuvata da scienze economiche sempre più asservite alla logica della
estrazione di “valore” finanziario a breve termine, tramite algoritmi
auto-referenziali, ed incapaci di mettere in discussione propri presupposti).
(In proposito è
utile anche la lettura di Joseph Stiglitz Stiglitz 2011
, anche per la sua autorità di premio Nobel per l’economia e di ex-consulente
di Clinton, nonché ex vice presidente della Banca Mondiale: riflettendo sulla
crisi nel sud-est asiatico nel 96-97 e sull’attuale crisi mondiale, dimostra la
irragionevolezza dei dogmi liberisti ed afferma che “la ragione per la quale la
mano invisibile di Adam Smith appariva spesso invisibile era che in realtà non
esisteva affatto: gli equilibri dei mercati non erano efficienti in senso
paretiano non appena vi erano informazioni imperfette ed asimmetriche e un
mercato dei rischi imperfetto: vale a dire sempre”.)
Gallino
affronta i vari aspetti della sistematica follia dell’economia globalizzata, in
cui i capitali finanziari circolanti superano di oltre 10 volte il valore
dell’intero Prodotto Lordo Mondiale: moltiplicazione abnorme del debito tramite
la sua “cartolarizzazione”, emissione incontrollate di nuove forme di denaro,
mercati finanziari di “derivati” complessi ed oscuri gestiti al di fuori dei
bilanci ufficiali, commistione tra banche commerciali, di investimento ed imprese
sempre meno “industriali”, moltiplicazione di “fondi di investimento” di dubbia
trasparenza, acquisizioni-fusioni-scorpori di imprese per finalità puramente
finanziarie, poteri manageriali svincolati da criteri etici e sociali, e
strettamente subordinato alla creazione di ”valore” a breve termine.
Ed
evidenzia in parallelo i risvolti sociali (ed antropologici), territoriali e
ambientali di questo processo di globalizzazione e finanziarizzazione, pur
senza addentrarsi nei dettagli delle problematiche urbane né di quelle
ecologiche:
-
nei
paesi sviluppati: perdita di peso dei salari ed indebolimento dei sindacati,
disoccupazione e precarietà del lavoro, impoverimento e perdita della casa per
le fasce sociali più deboli
-
nei
paesi meno sviluppati: espulsione dalle campagne e concentrazione di
popolazioni povere negli slums, accelerazione delle migrazioni, peggioramento
delle condizioni di salute ed alimentazione
-
ovunque:
inquinamento e sfruttamento irreversibile delle risorse naturali.
Le
proposte alternative avanzate da Gallino per un auspicabile “incivilimento” del
finanz-capitalismo, con un sostanziale ritorno, si scala mondiale, a normative
analoghe a quelle americane anti-trust di fine ‘800 e poi del “New Deal”,
derivano coerentemente dalle sue analisi: ridurre le dimensioni dei
conglomerati finanziari (se nell’attuale crisi sono stati considerati “troppo
grandi per poter fallire”, in futuro potrebbero rivelarsi “troppo grandi per
essere salvati”); ricondurre a forme di controllo ed a proporzioni ragionevoli
il debito e l’emissione di denaro; riportare nei bilanci le operazioni “fuori
portafoglio”; limitare e semplificare i
“derivati” e impedire il commercio diretto fuori dalle borse.
Una
svolta riformista (ricondurre ad un capitalismo compatibile con l’umanità), ma
piuttosto radicale, e quindi probabilmente non graduale né indolore (comunque
assai più concreta dell’utopia della ‘decrescita felice’, vedi il seguente
paragrafo 6).
(Sui passaggi
intermedi, e però traumatici, per uscire dalla attuale crisi, partendo da
analoghe premesse critiche sulla finanza internazionale, è interessante la
proposta provocatoria di Loretta Napoleoni Napoleoni 2011 in favore della
insolvenza programmata di stati indebitati come la Grecia, l’Italia ed altri,
con conseguente svalutazione monetaria competitiva, sull’esempio recente
dell’Islanda e meno recente dell’Argentina): uscire dall’Euro, se si è convinti
e se ne ha il coraggio, è l’unica alternativa concettuale a quanti invece si
sforzano di salvarlo e ‘umanizzarlo’).
Ma
lo stesso Gallino non vede in campo attualmente i soggetti capaci di imporre
una simile svolta, che pure è stata prospettata in Inghilterra e molto
debolmente echeggiata nelle timide riforme introdotte dall’amministrazione di
Obama negli USA, e assai poco presa in considerazione nell’Europa Unita.
Gallino
riscontra embrioni di atteggiamenti etico-sociali nella gestione di alcuni
fondi pensione in area anglosassone (che si sono posti il problema di anteporre
gli interessi generali ed a lungo termine dei loro affiliati, in quanto
lavoratori e cittadini, al mero conseguimento di risultati finanziari –
d’altronde incerti sul lungo termine - per gli stessi affiliati in quanto
futuri pensionati), e presta attenzione alle teorie ottimistiche di Polanyi
(già negli anni 40) e recentemente di Bresser Perreira e di Benjamin R. Barber,
che – pur negando il fideismo marxista - ritengono probabile la formazione
“ciclica” o ”pendolare” di anticorpi interni allo stesso assetto
socioeconomico.
Però
ritiene probabilmente necessario un ulteriore inasprimento della crisi
(inevitabile senza i seri correttivi normativi di cui sopra) perché si
determini una riscossa, innanzitutto soggettiva, degli strati sociali oppressi
dalla globalizzazione finanz-capitalista, che nei paesi sviluppati Gallino vede
pesantemente subordinati, anche a livello antropologico, all’assoggettamento
culturale del dominio capitalista e neo-liberista, con interiorizzazione
soggettiva degli stessi “valori”: economismo, consumismo, individualismo, ecc..
Gallino
enumera tra i potenziali soggetti alternativi “le organizzazioni non
governative; il movimento alter-mondista; i governi di sinistra dell’America
Latina; gli accademici critici [pochi] ---, i sindacati [in parte] ----; quanto
rimane dei partiti di sinistra-sinistra nei paesi europei; le associazioni
contadine di resistenza in Africa ed in Asia”, ma ne constata l’attuale
impotenza al livello delle modifiche legislative secondo lui necessarie a
livello dei governi nazionali ed internazionali (questi ultimi attualmente
privi di controllo democratico).
(Simile all'interpretazione di Gallino è la articolata analisi di Paolo Leon su "Il capitalismo e lo stato" Leon 2014, da me recensito nella PAGINA "ULTERIORI LETTURE"; coerente, anche nelle proposte, l'ampio e celebrato affresco di Thomas Piketty "Il Capitale nel XXI secolo", mi recensione ibidem)
D’altronde la sua
visione del finanz-capitalismo quale ‘testa del serpente che sta strangolando
l’intero mondo’ contempla necessariamente rimedi solo ‘dall’alto’, e mostra
scarso interesse alle modifiche introducibili dal basso a livello locale.
Ciò non esclude
però che chi – per mestiere o per vocazione – a queste pratiche dal basso
risulta più portato, faccia tesoro del quadro interpretativo e rivendicativo
lucidamente espresso da Luciano Gallino, perché probabilmente non è possibile
un “incivilimento” delle città, che le renda sostenibili, senza affiancare i
mutamenti locali con un’azione complessiva per incivilire gli assetti
socio-economici mondiali.
In proposito
qualche attenzione si era già riscontrata negli anni scorsi, anche in Italia,
al di fuori del recinto della sinistra-sinistra, da parte di poche personalità,
quali Alfredo Reichlin e Silvano Andriani; il recente ri-esplodere della crisi
finanziaria internazionale, dopo al “ripresina” del 2010, sembra invece attualmente
richiamare l’attenzione di molti più attori, sia nei movimenti – indignados –
sia nei quadri dirigenti di sindacati e partiti europei, PD compreso, come si
può leggere ormai frequentemente su l’Unità e in particolare sulla rivista
on-line TAM TAM DEMOCRATICO n° 5 del gennaio 2012 dove abbondano finalmente
analisi sul capitalismo finanziario, però finalizzate alla ripresa dell’attuale
modello di sviluppo e scarseggiano riflessioni sui limiti delle risorse
planetarie e sulla sostenibilità ambientale della crescita.
A margine si può
infatti rilevare quanto scarsi siano i riferimenti bibliografici di Gallino ad
autori italiani, in campo scientifico: una sorta di fuga dallo studio del
capitalismo, dopo decenni di intensa attività, con risultati anche originali ed
anche al di fuori dal marxismo ufficiale (da un lato ad esempio Raniero
Panzieri, dall’altro Federico Caffè).
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