APPENDICE I - estratto da IL DIFFICILE PERCORSO DALLA “CASA SOSTENIBILE” ALLA “CITTA’ SOSTENIBILE” Gennaio 2010, pubblicato in bozza non corretta su “Urbanistica Informazioni” n° 229 Autori:
APPENDICE II - appello per un'IVA ecologica - 2012
APPENDICE III - parte IV del saggio sulla Sostenibilità urbana (al tempo della crisi): PROPOSTE DI LEGISLAZIONE A SOSTEGNO DELLA SOSTENIBILITA’ URBANA
APPENDICE I - ESTRATTO DA
IL
DIFFICILE PERCORSO DALLA “CASA
SOSTENIBILE” ALLA “CITTA’ SOSTENIBILE”
Gennaio 2010,
pubblicato in bozza non corretta su “Urbanistica Informazioni” n° 229
Autori: Aldo Vecchi e Anna Maria Vailati
omissis
PROPOSTA DI ARTICOLAZIONE
DEI PROBLEMI CHE VANNO APPROFONDITI
Le
seguenti riflessioni tentano di articolare le problematiche in merito a densità
e tipologie, assumendo una griglia di variabili tipica di una “Valutazione
Ambientale Strategica”, e privilegiando l’attenzione verso gli indicatori più
sensibili agli agenti locali; con l’avvertenza che la necessaria analisi non
consente comunque mai di isolare i singoli fattori dal quadro complessivo di
interazione:
A) un
primo gruppo di valori risulta abbastanza neutro rispetto alle alternative di
progettazione urbana, nel senso che le “buone pratiche” possono consentire di
minimizzare comunque l’impatto insediativo, a prescindere dalle tipologie e
densità ipotizzate:
a. CONTROLLO DEI CONSUMI IDRICI
INTERNI ALLE ABITAZIONI (i consumi esterni, per irrigazione, giardinaggio,
lavaggio sono invece molto variabili);
b. QUALITA’ DEGLI SCARICHI
LIQUIDI;
c.
IMPIEGO
DI MATERIALI DA COSTRUZIONE TERMO-COIBENTI, SANI E RICICLABILI (con qualche
limite tecnologico: ad esempio, per case alte con struttura in legno);
d. CONTROLLO DELLE EMISSIONI
SONORE (mentre l’inquinamento acustico passivo risulta influenzato dalle
morfologie edilizie, a parità di materiali isolanti);
e. LIMITAZIONE DELL’INQUINAMENTO
ELETTROMAGNETICO (anche se insediamenti più compatti possono limitare le
interferenze con le reti di telecomunicazioni e di trasporto dell’energia
elettrica, facilitandone la razionalizzazione)
f.
LIMITAZIONE
DEGLI INQUINAMENTI DURANTE IL PROCESSO COSTRUTTIVO ED AL TERMINE DEL CICLO DI
VITA DEI FABBRICATI;
B) all’estremo
opposto, un gruppo di valori fondamentali, benché fortemente inter-agenti con i
contenuti progettuali quali-quantitativi, non sono riconducibili a valutazioni
generali, perché sostanzialmente condizionati dal “genius loci” e dalla
specificità delle condizioni socio-economiche locali:
a. TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO E DEI BENI
CULTURALI;
b. INSERIMENTO NEL CONTESTO
STORICO E GEOGRAFICO LOCALE;
c.
ESPRESSIONE
DI VALORI SIMBOLICI COLLETTIVI E DEL LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEI PROGETTISITI
C) nel
mezzo invece si collocano i valori per i quali più determinanti risultano gli
approfondimenti scientifici, con particolare attenzione alle reciproche
interferenze (anche con i valori del gruppo “B”), e quindi attraverso
comparazioni multi-criteri, e comunque con un’ottica di tipo olistico; si
tratta in parte di variabili fisicamente misurabili, in qualche misura proporzionali, o variamente funzionali, rispetto alle
grandezze edilizie:
a. CONSUMO DI SUOLO
AGRO-FORESTALE, proporzionale alla superficie complessiva occupata per usi
urbani (anche di verde pubblico);
b. PERMEABILITA’ DEI SUOLI, che è
funzione inversa della superficie coperta da edifici oppure variamente
impermeabilizzata;
c.
PERMEABILITA’
ECOLOGICA DEI TERRITORI NON URBANIZZATI, evidentemente maggiore con insediamenti
compatti (ma non si può escludere una virtuosa progettazione che consenta forme
di continuità della rete ecologica anche nelle maglie verdi dei tessuti urbani
meno densi)
D) Infine,
la parte restante, e più complessa, riguarda variabili che hanno grande rilevanza
ai fini della sostenibilità ambientale degli insediamenti, ma non rivestono
funzioni di carattere lineare rispetto alle singole grandezze edilizie:
a. BILANCIO IDRICO COMPLESSIVO,
sia relativo alle risorse idro-potabili sia al ciclo pluviale, considerando
l’insieme dei consumi umani (anche per irrigazione, giardinaggio e lavaggio),
la permeabilità dei suoli, l’estensione e le caratteristiche delle
pavimentazioni semi-permeabili, nonché la possibile introduzione di coperture
verdi (che influiscono sulla velocità di corrivazione, sulla evaporazione e sul
micro-clima);
b. EFFICIENZA ENERGETICA, che, non
solo può variare al mutare di densità e tipologie – a parità di materiali e
tecnologie -, ma anche esserne radicalmente condizionata, nel senso che
determinate tecniche costruttive ed impiantistiche risultano congruenti con
determinate tipologie e densità, e non con altre: in un contesto in rapida
evoluzione;
c.
EFFICIENZA
DEI TRASPORTI, considerando le alternative, i conflitti e le possibili
integrazioni tra le diverse modalità di spostamento, con mezzi pubblici o
privati, ed i limiti di accettabilità sociale alle eventuali limitazioni o
accentazioni della mobilità: i campi di variabilità differiscono in funzione di
altimetria e clima, per esempio riguardo alla fattibilità ed usabilità delle
piste ciclabili, come anche per le distanze pedonali massime ammissibili; anche
questo settore è fortemente influenzato dal modificarsi degli elementi
tecnologici, così come del contesto sociale ed economico, anche a scala globale
(es. prezzi dei carburanti);
d. QUALITA’ DELL’ARIA, per quanto
deriva dai fattori locali, sia riguardo alle emissioni dirette dagli
insediamenti, per la climatizzazione artificiale (vedi sopra punti D/a e D/b),
sia indirettamente dal sistema dei trasporti (vedi D/c)
e. BENESSERE BIOCLIMATICO (interno
alle abitazioni) E MICRO-CLIMA URBANO, risultante dalla combinazione di fattori complessi;
f.
CLIMA
ACUSTICO, anch’esso derivante da molti elementi, locali e sovra-locali;
g. RACCOLTA DEI RIFIUTI SOLIDI:
gli insediamenti compatti riducono i percorsi di raccolta, ma la raccolta
differenziata risulta più efficiente negli insediamenti, radi, che impongono
maggiore responsabilizzazione ai singoli utenti, e dove gli orti rendono
possibile una riduzione del consumo di imballaggi e la pratica del compostaggio
diretto dei rifiuti umidi;
h. EFFICIENZA ECONOMICA
COMPLESSIVA, considerando i costi diretti ed indiretti degli insediamenti, in
tutto il loro ciclo – dal cantiere alla dismissione finale – e passando per la
durata delle possibilità di manutenzioni ed adattamenti, per il cumulo dei
costi energetici
i.
EFFICIENZA
ED ACCETTABILITA’ SOCIALE, che risulta di assai difficile misurazione, sia per
una certa labilità delle discipline sociologiche ed antropologiche, sia per la
complessità delle mediazioni tra i soggetti coinvolti nelle decisioni
(politici, tecnici, agenzie immobiliari, promotori, imprese) ed i diversi
segmenti dell’utenza finale della città: insediamenti ad alto costo iniziale ma
di lunga durata e bassi costi di gestione e manutenzione (e limitato
inquinamento ambientale) possono essere acquisiti direttamente solo dai ceti
più abbienti, mentre latita una domanda organizzata dai potenziali eslusi, o
perché non rappresentati (o non rappresentabili istituzionalmente, come le nuove
minoranze degli immigrati), o perché paradossalmente rappresentati da esponenti
politici degli stessi ceti più abbienti.
E) non si considera in questo testo l’IMPRONTA
ECOLOGICA COMPLESSIVA degli insediamenti, comprensiva cioè di tutte le risorse
primarie utilizzate nel ciclo di vita degli insediamenti, rapportate alle aree
necessarie per produrle e riprodurle – a scala globale - , inclusi energia,
alimenti ed altre materie prime, perché da un lato si coinvolgono comportamenti
indipendenti dalla conformazione urbana (ad esempio cosa si mangia e come si
coltiva, sotto casa od in altro continente; come si produce la quota di energia
importata), dall’altro si investono variabili macro-economiche
internazionali - dal prezzo del petrolio
alla tassazione dei trasporti -, il cui controllo, anche concettuale, non può
che esulare da queste poche pagine: con l’auspicio però che qualcuno se ne occupi, dalle forze politiche
ai governi, e soprattutto ad esempio la Comunità Europea ).
Nella
seguente tabella 1 si evidenziano alcuni importanti temi settoriali della sostenibilità urbana, su cui alcuni
autori, su Urbanistica Informazioni n° 226/09, sono pervenuti a formulare una
sorta di standard in merito agli indici di densità insediativa minimi e
massimi:
TABELLA 1: DENSITA’ MASSIME E
MINIME IN FUNZIONE DI SINGOLI ASPETTI DELLA SOSTENIBILITA’
|
|||
Densità residenziale minima
|
Densità edilizia massima
|
Note
|
|
Efficienza dei sistemi di
captazione passiva dell’energia solare
|
4,5
m3/m2
|
Per
case in linea orientate est-ovest
|
|
Efficienza dei sistemi di
teleriscaldamento, in particolare con centrali elio-termo-dinamiche
|
Elevata,
non
quantificata
|
||
Efficienza del sistema dei
trasporti, con efficacia della mobilità pedonale
|
170
abitanti/ettaro
|
||
Efficienza delle nuove
centralità rispetto alla vitalità urbana
|
2,5
m3/m2, ovvero
120
abitanti/ettaro
|
Con
allineamenti dei fabbricati sui fronti di strade e piazze, funzioni
commerciali ecc.
|
UNA SIMULAZIONE DELLA CASISTICA
CONCRETA IN MATERIA DI DENSITA’ E TIPOLOGIE
Per compiere una comparazione dei possibili effetti ambientali tra schemi di composizione urbana caratterizzati da diverse tipologie edilizie e densità insediative, occorre considerare che non vi è una correlazione lineare tra “tipologie” e “densità”, bensì una discreta sovrapponibilità ed intercambiabilità (anche se mediamente un quartiere di case a torre è più denso rispetto ad un quartiere di villette).
Nella
seguente tabella 2 si propone una simulazione sugli effetti quantitativi, in
termini di densità fondiaria, densità territoriale e superficie coperta, tra le
tipologie più diffuse, assumendo nella premessa una griglia di condizioni
“ragionevoli” comune a tutti i tipi di tessuto urbano selezionati, ed
esplorando una gamma di densità compresa tra 1 e 10 m3/m2..
TABELLA 2: DENSITA’ E
TIPOLOGIE
|
||||
Premessa:
simulazione sviluppata per
destinazioni residenziali, con taglio di alloggi medio di
- ricerca della massima
densità fondiaria possibile, nel rispetto delle altre condizioni assunte
- doppio affaccio per ogni
alloggio
- manica edilizia non
superiore a
- altezza convenzionale
interpiano di metri 3 ed esclusione di sottotetti abitabili
- altezze dei fabbricati non
superiori alle reciproche distanze tra pareti finestrate (ad esclusione della
tipologia a torre, dove si dimezza data la discontinuità delle ombre portate)
- distanza minima dai confini
dei lotti e dalle strade metri 5 (zero per il tipo a corte)
- esclusione di distribuzione
a ballatoio
- superficie territoriale
“ristretta” intesa come minimo necessario con la sola sommatoria di
residenza, strade carrabili e ciclo-pedonali, parcheggi, verde elementare (e
l’esclusione di parchi, servizi ed altre funzioni, che si ipotizzano astrattamente
costanti con i diversi tessuti tipologici esaminati)
- superficie coperta,
calcolata sulla superficie territoriale, al lordo di scale ed androni
|
||||
N°
piani
|
Densità
fondiaria
max
m3/m2
|
Densità territoriale
“ristretta” (v.sopra) m3/m2
|
Superficie
coperta
(sulla
superficie territoriale)
m2/m2
|
|
Ville
singole
|
2
|
1,33
|
1,18
|
0,34
|
Ville
binate
|
2
|
1,88
|
1,56
|
0,28
|
Case
a patio
|
2
|
2,07
|
1,52
|
0,44
|
Villette
a schiera
|
2
|
2,00
|
1,61
|
0,31
|
Palazzine
|
4
|
2,40
|
1,98
|
0,19
|
Case
alte in linea
|
6
|
3,00
|
2,40
|
0,15
|
Corti
|
8
|
5,80
|
4,03
|
0,34
|
Torri
|
10
|
7,87
|
6,14
|
0,22
|
Inoltre,
combinando le tipologie edilizie, il taglio degli alloggi e le modalità di
aggregazione in tessuti urbani, si determinano diversi fabbisogni quantitativi
di aree stradali, di parcheggi ed autorimesse e di aree ad uso pubblico e/o
sociale; ad esempio:
-
gli
spazi per gli autoveicoli possono essere progettualmente dilatati o compressi,
in relazione al ruolo che si ipotizza o si affida alla mobilità ciclo-pedonale
ed al trasporto pubblico, con modalità coattive oppure consensuali;
-
i
quartieri con giardini privati comportano una minor domanda di parchi pubblici
ed in generale di spazi di aggregazione;
-
l’introduzione
di un mix funzionale con le attività produttive, commerciali e di servizio, più
consono alla città compatta e favorevole a percorsi di mobilità più brevi, ma
più intensi, influisce ovviamente sul consumo di suolo urbanizzato, sia in caso
di stretto intreccio con le funzioni residenziali, sia in caso di separazione
da tessuti più omogeneamente residenziali, perché le destinazioni non
residenziali da qualche parte vanno comunque collocate, e conteggiate (così
come le funzioni sgradite e respinte ai margini dei quartieri, dai cimiteri
agli ospizi, dagli ospedali alle carceri, dai depuratori agli impianti di
riciclaggio e smaltimento dei rifiuti, dagli impianti per la produzione di
energia alle altre fabbriche, dalle
infrastrutture di trasporto alla logistica delle merci).
Si
rammentano inoltre nella tabella 3 le
seguenti caratteristiche peculiari delle tipologie edilizie più diffuse (come
individuate nella precedente tabella 2), che non sono correlate
strettamente ai valori dimensionali:
TABELLA 3: ALCUNE
PECULIARITA’ NON DIMENSIONALI DELLE DIVERSE TIPOLOGIE EDILIZIE
|
||||||
Esposizione eliotermica
|
Ventilazione *
|
Immissioni acustiche
|
Autonomia costruttiva
e
flessibilità
|
Privacy
|
Sicurezza
**
|
|
Ville
singole
|
Massimo
|
Elevato
|
Elevato
|
Massimo
|
Massimo
|
Minimo
|
Case
a patio
|
Medio
|
Minimo
|
Minimo
|
Elevato
|
Medio
|
Basso
|
Case
a schiera
|
Elevato
|
Medio
|
Medio
|
Elevato
|
Medio
|
Basso
|
Palazzine
|
Elevato
|
Elevato
|
Elevato
|
Minimo
|
Basso
|
Massimo
|
Case alte in
linea
|
Elevato
|
Medio
|
Medio
|
Minimo
|
Basso
|
Elevato
|
Corti
|
Minimo
|
Basso
|
Basso
|
Minimo
|
Minimo
|
Medio
|
Torri
|
Medio
|
Massimo
|
Massimo
|
Minimo
|
Basso
|
Elevato
|
Note:
* valore
positivo o negativo secondo luoghi e
stagioni ** valore influenzato da molti
altri fattori complessi
|
ALCUNE VALUTAZIONI SULLE
PROPOSTE IN CAMPO
Il
campo delle esperienze e delle proposte concrete in materia di “quartieri e
città sostenibili” appare abbastanza ricco in Europa (anche se l’accento è
posto ancora molto più sulle singole “architetture sostenibili”) e molto meno
in Italia.
Da
una rassegna sommaria di esempi europei, si ricava nella tabella 4 la seguente
comparazione, che evidenzia densità medie relativamente elevate, comprese tra
110 e 220 abitanti per ettaro, tranne il caso limite di Amsterdam quartiere
GWL, che presenta densità largamente superiori ai 10 m3/m2 (presumibilmente
attorno a 600 abitanti per ettaro).
TABELLA
4: DENSITA’ E TIPOLOGIE IN ALCUNI
“QUARTIERI SOSTENIBILI” EUROPEI
(dati disponibili in biblioteche
ed Internet)
|
|||||
Estensione
ettari
|
Alloggi
|
Abitanti
|
Alloggi/ettaro
|
Abitanti/ettaro
|
|
OLANDA
|
|||||
Amersfoort,
Quartiere
Nieuwland
|
70
|
4.700
|
15.000
|
67
|
215
|
Alphen
aan der Rijn,
Quartiere
Ecolonia
|
2,7
|
300
|
111
|
||
AUSTRIA
|
|||||
Linz
Quartiere
Solar City
|
32
|
1.317
|
41
|
||
SVEZIA
|
|||||
Malmo,
Oresund/Expo
Quartiere
Bo01
|
12
|
800
|
67
|
||
GERMANIA
|
|||||
Stoccarda
Quartiere
Burgholzhof
|
10,5
|
950
|
90
|
||
Friburg
im Breisgau
Quartiere
Rieselfeld
|
70
|
4.200
|
11.000
|
60
|
157
|
Friburg
im Breisgau
Quartiere
Vauban *
|
34
|
5.000
|
147
|
||
FRANCIA
|
|||||
Toulouse
Quartiere
Malepere
|
7.000
|
15.000
|
169
|
||
Nota: * del quartiere Vauban
di Friburg im Breisgau sono note anche le seguenti densità fondiarie:
- ville unifamiliari 1,88
m3/m2, bifamiliari 3,34
- schiera da
- palazzine 1,77 m3/m2
|
In
Italia si segnalano le proposte di Federico Oliva e collaboratori, che –
teorizzando le esperienze compiute in diversi piani Comunali, con Campos Venuti
ed altri - propone una precisa gamma di densità edilizie e formula nuovi
standard specifici di verde pubblico
e privato (con quantità minime di piantumazioni, arboree ed arbustive), al fine
di raggiungere un equilibrio tra emissioni ed assorbimento di CO2, assumendo
frontalmente parte della tematica ecologica nella prassi urbanistica.
Gli
indici applicati nel vigente PRG di Reggio Emilia sono così schematizzati nella
seguente tabella 5.
TABELLA 5 – INDICI
CARATTERIZZANTI DEL PIANO STRUTTURALE DI REGGIO EMILIA
|
||||
Utilizzazione territoriale
m2/m2
|
Densità edilizia
m3/m2
|
Verde pubblico e privato
% su sup. territoriale *
|
Tipologie suggerite
|
|
Aree di trasformazione urbana
|
0,4
|
1,2
|
50%
|
A
blocco o in linea con 6 piani di altezza e mix funzionale 20-25% di terziario
|
Nuclei frazionali
|
0,2
|
0,6
|
60%
|
|
Aree di trasformazione
ambientale
|
0,1
|
0,3
|
80%
|
Ville
a 2 piani, mono o bifamiliari oppure a
schiera
|
Note:
* con precisi obblighi di permeabilità e piantumazione (non risultano
espliciti vincoli di continuità ecologica)
|
omissis
APPENDICE II - APPELLO PER UN’IVA ECOLOGICA
Governo, partiti
e parti sociali si affannano soprattutto sulla ripresa della crescita, cercando di superare i colpi
che il tradizionale modello di sviluppo subisce, sia per la crisi più generale,
sia per gli effetti recessivi specifici delle manovre finanziarie correttive
approvate dal Parlamento.
Tra
queste incombe, per il 4° trimestre del 2012, anche un ulteriore pesante aumento di 2 punti percentuali dell’IVA, su
gran parte dei prodotti, esclusi quelli con la tariffa agevolata del 4%
(articoli di prima necessità), che avrà evidenti effetti inflazionistici sui
prezzi e depressivi sui volumi complessivi di consumo.
Mi
chiedo se non sia il caso di utilizzare questo intervallo temporale non
trascurabile (se nel frattempo tengono Euro, Italia ed Europa) per lanciare e
approfondire una seria proposta alternativa (preferibilmente a scala europea),
finalizzata ad un superamento della spirale oscillatoria tra recessione e
tentativi di rilancio (sempre più difficoltosi) del vecchio modello di
sviluppo, ed orientata, invece che a contenere o rilanciare i consumi, a riqualificare produzione e consumi, a partire per l’appunto dalla leva
fiscale ed in particolare dalla differenziazione “ecologica” delle aliquote
IVA, generalizzando una logica da “carbon tax”.
Si
tratterebbe ad esempio di introdurre una
quarta aliquota, nettamente superiore, verso il 30% o 33% (e rivedendo nel
contempo con i medesimi criteri la ripartizione degli altri prodotti nelle 3
aliquote inferiori, magari riportando al 20% l’aliquota ordinaria) per i prodotti di lusso e/o particolarmente
superflui (od inutilmente esotici), e per tutti quelli che presentino negativi
risvolti ambientali, sia nelle fasi di produzione e commercializzazione,
sia nelle fasi di utilizzo e smaltimento finale, riguardo a:
-
consumo di suolo agricolo (fabbricati, impianti produttivi ed energetici)
-
consumo di energia (veicoli ed elettrodomestici, ed anche fabbricati, con
consumi elevati; merci con eccessivi consumi energetici per i trasporti)
-
emissioni di inquinanti (liquidi, aeriformi, acustici, luminosi)
-
produzione di imballaggi e di rifiuti residuali.
Una
incentivazione e disincentivazione fiscale, decisa (ma, volendo, anche con
gradualità) ed esplicitamente orientata, potrebbe innescare virtuosi processi di selezione dei consumi (limitando il peso
inflazionisitico per i redditi più bassi e per i consumatori più saggi) e di
riorganizzazione produttiva.
Con
questa ipotesi di rimodulazione ecologica dell’IVA, se nel frattempo le
promesse di revisione della spesa pubblica improduttiva e di lotta all’evasione
fiscale dessero buoni risultati, se ne potrebbero utilizzare i benefici non sul
fronte IVA, bensì su quelli più strategici del “cuneo fiscale”, sia agendo
sull’IRAP (Anche qui con discriminanti qualitative, legate anche
all’innovazione) sia soprattutto sull’IRPEF a carico degli scaglioni di reddito
più bassi, restituendo in permanenza il “fiscal drag”, che raddoppia in beffa
il prelievo improprio costituito dall’inflazione, e rappresenta un costante
insulto al concetto di “equità”.
Non so se il
risultato sarebbe una “decrescita felice”, ma mi accontenterei che si cercasse
di evitare una recessione stupida oppure un rilancio miope.
Credo
che si debba cogliere positivamente
l’occasione di una crisi evidentemente strutturale (connessa anche alla
saturazione di alcuni settori
merceologici nei paesi avanzati, ed all’orizzonte di scarsità di alcune materie
prime a fronte della crescente domanda mondiale) per mettere in discussione
(sfidando le lobbies di settore ad un confronto esplicito sui costi e benefici
sociali e ambientali di ogni prodotto) i contenuti della realtà economica
italiana ed europea; all’opposto di chi vuole modificare l’art. 41 della
Costituzione per consentire tutto ciò che non è vietato: è più che mai necessario verificare socialmente cosa, come e dove
produrre (e trasportare) merci.
Altrimenti
parlare di ambiente, ecologia e “green economy” continuerà a rimanere un
orpello decorativo per i programmi dei governi e dei grandi partiti, ed una
mera nicchia di rendita propagandistica per i piccoli partiti verdi e per i
movimenti di opposizione radicale.
PARTE QUARTA: PROPOSTE DI LEGISLAZIONE A SOSTEGNO DELLA SOSTENIBILITA’ URBANA
versione 2012
La costruzione di un programma legislativo dovrebbe essere anche compito primario dei partiti, ed in questa fase di ‘tregua armata’ costituita dal governo ‘tecnico’, imposto dalla crisi del Berlusconismo e dalla tempesta finanziaria internazionale, maggiore dovrebbe essere lo sforzo dei diversi soggetti interessati ad una alternativa progressista (nel senso dell’equità sociale e della compatibilità ambientale) per ricomporre uno schieramento credibile, anche sul terreno programmatico.
(Mi sembra invece che ci siano vaste assenze, e poco dialogo: il PD appare pago dello sforzo di avanzamento nei contenuti sviluppato dopo il congresso, e non produce ancora formulazioni adeguate all’avanzare della crisi; i Verdi – quasi scomparsi ma sempre rissosi e poco consistenti - propongono ragionevoli ricette di green economy, senza farsi carico di conflittualità e compatibilità complessive; l’Italia dei Valori gioca alla rincorsa demagogica sulle smagliature del governo Monti; Sinistra Ecologia e Libertà predica buone indicazioni generali contro il minoritarismo, ma non mi pare attenta a elaborazioni programmatiche conseguenti; la Federazione della Sinistra ed il Movimento 5 Stelle sembrano compiaciuti di godere di una rendita di posizione estremista, dove i contenuti assumono un ruolo in prevalenza propagandistico.)
Pare difficile agevolare il passaggio dal trasporto automobilistico privato al trasporto pubblico e dalla gomma al ferro agendo solo sull’offerta di un miglior trasporto pubblico e ferroviario (opportunamente integrato al primo e all’ultimo miglio, come teorizzato ad esempio da Fabio Casiroli – vedi paragrafo 12 -) ed ancor più difficile trovare le risorse per tale offerta, se non si procede (su scala europea?) a ‘re-internalizzare’ sulle tasse e tariffe per il trasporto privato una parte crescente dei costi che l’attuale sistema dei trasporti scarica sulla collettività, in termini di salute - qualità dell’aria, stress, incidenti (e conseguenti costi sanitari), inquinamento dei mari e delle altre acque navigabili –, nonché i costi per gli indispensabili contributi pubblici alla ricerca&sviluppo sul fronte dei mezzi e delle modalità di trasporto a minor inquinamento.
La complessa partita degli incentivi per la produzione di energia e per il risparmio energetico relativo ai fabbricati va secondo me ripercorsa e resa organica, finalizzandola prioritariamente al tema della riqualificazione delle periferie urbane, con i seguenti criteri, rispettosi verso ambiente e paesaggio:
PARTE QUARTA: PROPOSTE DI LEGISLAZIONE A SOSTEGNO DELLA SOSTENIBILITA’ URBANA
INDICE DELLA PARTE QUARTA
19 - PREMESSA
20 – CASA
21 - MOBILITA’
22 - SUOLO URBANO
23 – ENERGIA
19 - PREMESSA
19 - PREMESSA
20 – CASA
22 - SUOLO URBANO
Giunto provvisoriamente al termine di questa carrellata di letture critiche, vorrei permettermi alcune conclusioni, anche propositive.
Non mi sento assolutamente in grado ne’ di trarre conclusioni, né di fare proposte al livello globale e macroeconomico del ‘come uscire dalla crisi’ e del ‘come sconfiggere il neo-liberismo’ (o “fuori-uscire dal capitalismo”, come proponeva un tempo il gruppo del Manifesto: per ora nessuno ci lascia uscir fuori, e tanto meno gratis e in modo indolore, mentre i ‘comunisti’ cinesi e molti altri governi progressisti del terzo mondo continuano ad affollarsi per entrarci); su questo fronte, per il quale mi sfuggono le competenze tecniche e che mi sembra così immenso che ‘il cor [mi] si spaura’, mi accontento, come molti altri, di rivolgere benevoli auspici per una soluzione progressista praticabile, che – con TobinTax, EuroBond, controllo sui paradisi fiscali ed altri rimedi agli eccessi del “finanz-capitalismo – ci consenta a breve-medio termine di tenere in piedi Euro ed Europa, per cercare nel frattempo di avviare dal basso una effettiva umanizzazione della stessa Europa (le cui istituzioni, ad esempio dovrebbero far generalizzare, e non combattere, istituti di civiltà come l’art. 18 del nostro Statuto dei lavoratori, che vieta i licenziamenti discriminatori), e poi del mondo; nella consapevolezza che sono invece possibili esiti opposti, catastrofici oppure molto conflittuali, e che nella attuale gestione della crisi è ben lungi dall’essere assorbita la ‘grande bolla speculativa’, né è esclusa la formazione di ulteriori ‘bolle’.
E nemmeno intendo propormi di trarre conclusioni o di formulare proposte al livello teorico-operativo della pianificazione territoriale e della progettazione urbana, su cui auspicherei però nuovamente un maggior confronto dialettico tra le diverse scuole, e particolarmente tra gli autori esaminati nella precedente Parte Terza, perché secondo me tutte le posizioni trattate costituiscono significative interpretazioni della attuale situazione del territorio italiano (ed europeo) ed offrono ognuna elementi positivi, ma parziali, dei problemi individuati, e potrebbero giovarsi di una maggiore integrazione, facendo francamente i conti con gli elementi di conflitto concettuale che tale confronto comporta.
Mi sento invece di formulare alcune proposte ad un livello intermedio, che è quello delle politiche nazionali (e forse però anche europee, ed anche regionali) che – non solo a mio avviso - sono necessarie a sostegno delle politiche locali di sostenibilità urbana, nonché per dare contenuti articolati e concreti al più complessivo sforzo di umanizzazione dell’economia capitalista; su questo terreno occorre costruire un programma sia di pratiche locali che di rivendicazioni specifiche di riforme legislative settoriali, come, ciascuno per proprio conto, propongono ad esempio:
- l’INU, con le proposte dei congressi di Ancona (2008) e Livorno (2011), riguardo alla normativa sul governo del territorio, ma anche sul regime ed il consumo dei suoli, sull’energia, sulla fiscalità locale, sulla metropolizzazione ed il trasporto pubblico di massa
- il nuovo movimento “Salviamo il paesaggio” - a cui aderiscono tra gli altri SlowFood e tutte le principali associazioni ambientaliste nazionali (FAI, WWF, LegaAmbiente, Italia Nostra) - riguardo al risparmio del consumo di suolo
- i movimenti localisti, come interpretati da Guido Viale (vedi paragrafo 8), ancora in merito al consumo di suolo, a trasporti ed energia, nonché al “patto di stabilità” ed alla finanza locale,
e come per alcuni aspetti suggerisce anche Giancarlo Consonni (vedi paragrafo 17).
E’ in questo quadro che mi permetto di avanzare una serie di proposte pratiche, in particolare sulle politiche fiscali-tariffarie e sugli incentivi finanziari pubblici, relativi al governo del territorio, considerando che in Italia ed Europa i conti pubblici coprono comunque una quota prossima alla metà del PIL, e che a parità di pressione fiscale sarebbe opportuno qualificare la spesa pubblica in senso ecologico ed egualitario, anziché al contrario.
Si tratta di proposte non contrastanti con l’insieme delle soluzioni avanzate dall’INU e da Salviamo il Paesaggio (ed anche da Viale e da Consonni), e con le istanze nella prospettiva di un ‘riformismo radicale’ che a mio avviso è possibile ed auspicabile in Europa, se si riesce ad andare verso una soluzione politica e progressista della crisi dell’Euro.
Quanto un simile ‘riformismo radicale’ risulti politicamente possibile e come si intrecci con il ‘ritorno alla crescita’ oppure con l’inizio di una ‘decrescita virtuosa’ (vedi Parte Seconda), francamente non lo so; però mi sembra doveroso che il sapere tecnico fornisca proposte per una crescita culturale alternativa, sia a livello locale e ‘molecolare’ sia ad un livello più complessivo, per offrire ai movimenti locali un orizzonte rivendicativo e per immaginare una possibile politica statuale di segno positivo, nel tentativo di ricomporre fronti sociali più ampi della singola ‘tribù’ (vedi paragrafo 4).
E per affiancare (o contrapporre?) alle ‘liberalizzazioni’ in atto adeguate ipotesi (non stataliste) di ‘socializzazioni’ e “ambientalizzazioni’; la triade rigore-equità-sviluppo va a mio avviso sottoposta a critica da un punto di vista ecologico e laborista:
- il rigore, almeno in Italia, resterà necessario per un bel po’ di anni, anche in presenza di auspicabili politiche keinesiane dell’insieme europeo, per scontare il debito pregresso; potrebbe però essere un utile allenamento verso una volontaria austerità, o sobrietà, che prima o poi i consumatori occidentali dovranno affrontare, se sintende fare i conti con ,la scarsità dele risorse e con l’equità a scal mondiale (vedi Sachs, al paragrafo 7)
- l’equità va bene, ma deve essere intesa – sai su scala nazionale che globale – innanzitutto come riduzione delle diseguaglianze tra sfruttati e sfruttati, tra veramente ricchi (il famoso 1%, ed anche il contiguo 9% con cui in Italia detengono il 50% della ricchezza) e veramente poveri, e non per spalmare al ribasso la povertà tra i poveri (come in parte ha comportato l’ultima riforma delle pensioni e connessa manovra fiscale)
- sullo sviluppo è il momento di cominciare a chiedersi ‘quale sviluppo’, e di utilizzare la crisi come criterio di verifica, per non affannarsi a rilanciare un modello sviluppista che non funziona più.
Quanto sopra richiede uno sforzo di elaborazione politica e programmatica di vasto respiro, trasversale a tutti i settori (a partire da economia, finanza, lavoro), e capace di tradursi in crescita collettiva di soggetti sociali, attraverso attente considerazioni antropologiche e sociologiche, e non solo mediatiche, sui linguaggi idonei a tale maturazione.
Nel mio piccolo non ho evidentemente tali ambizioni, ma solo quella di esplicitare un mio specifico contributo di idee su singoli temi, di cui ho qualche conoscenza ed esperienza; nell’Appendice II, tuttavia, mi spingo ad ipotizzare anche una proposta di taglio più generale, ma di respiro più contingente, sotto forma di “appello verso un IVA ecologica”.
20 – CASA
Anche se tale rivendicazione è sollevata da minoranze, essendo l’80% degli italiani allocato in case di proprietà, il dibattito recente sull’Housing Sociale (vedi ad es. Urbanistica Dossier n° 119/2010 e Urbanistica Informazioni n° 238/2011) ha riabilitato l’obiettivo del “diritto alla casa” come condizione minima per la dignità del vivere, esteso universalmente (anche agli immigrati ed agli ex-nomadi), come può consentirlo una società che comunque è complessivamente ricca (ed in particolare ricca di volumi edificati).
La necessaria attenzione ai nuovi bisogni (giovani coppie precarie, single, fuori sede, nuove povertà) non deve far trascurare infatti il fabbisogno primario di residenze a canone sociale.
La rigidità del dualismo proprietà/affitto, alquanto incoerente con la crescente precarietà dei rapporti di lavoro e degli stessi legami familiari, induce inoltre problemi di tipo nuovo, all’interno della crisi economica in atto: mutuatari morosi, divorziati senza casa, difficoltà di trasferimento e reperimento di case temporanee per inseguire le offerte lavorative.
Per introdurre equità e flessibilità nell’abitare, ed anche per reperire una parte delle risorse necessarie alla estensione del diritto alla casa, ritengo sia necessario includere in un unica valutazione, complessiva ed organica, la politica economica e fiscale per la residenza, tuttora sbilanciata in favore delle famiglie residenti in alloggi di proprietà che godono per tali abitazioni di una fascia di esenzione dall’ICI (ora IMU) e dall’IRPEF, prevedendo:
- per tutti i soggetti bisognosi, l’offerta di case sociali a canoni adeguati, affiancata - in mancanza ed in attesa di una casa sociale – da un congruo e permanente contributo per gli affitti;
- per tutti gli inquilini, la detraibilità dalle imposte sul reddito delle spese per l’affitto della prima casa, fino ad una soglia massima ‘ragionevolmente elevata’, prossima la “canone concordato” comparabile con la fascia di esenzione dall’IMU per i proprietari
- per i residenti in alloggi di proprietà, la completa de-tassazione delle transazioni relative alla prima casa
- per gli acquirenti di abitazioni gravati da mutui divenuti temporaneamente o definitivamente insostenibili, la garanzia di permanenza nell’abitazione, con formule differenziate, dal congelamento del mutuo alla conversione definitiva in locazione
- per i redditi da locazione di abitazioni, la cosiddetta ‘cedolare’ (20%), ma limitata al “canone concordato”, con tassazione normale degli affitti superiori ad esso
- per gli immobili sfitti e inutilizzati, la conferma e l’inasprimento di tassazioni più elevate, crescenti progressivamente con il protrarsi del mancato utilizzo, affiancata da incentivi alla vendita di tali alloggi a prezzi calmierati alle Agenzie Pubbliche (vedi es. ATER Veneto, su “Edilizia e territorio” n° 6/2011)
- sperimentazione di interventi degli ex-IACP per favorire traslochi temporanei e scambi di alloggi in funzione dei trasferimenti per lavoro.
21 - MOBILITA’
Pare difficile agevolare il passaggio dal trasporto automobilistico privato al trasporto pubblico e dalla gomma al ferro agendo solo sull’offerta di un miglior trasporto pubblico e ferroviario (opportunamente integrato al primo e all’ultimo miglio, come teorizzato ad esempio da Fabio Casiroli – vedi paragrafo 12 -) ed ancor più difficile trovare le risorse per tale offerta, se non si procede (su scala europea?) a ‘re-internalizzare’ sulle tasse e tariffe per il trasporto privato una parte crescente dei costi che l’attuale sistema dei trasporti scarica sulla collettività, in termini di salute - qualità dell’aria, stress, incidenti (e conseguenti costi sanitari), inquinamento dei mari e delle altre acque navigabili –, nonché i costi per gli indispensabili contributi pubblici alla ricerca&sviluppo sul fronte dei mezzi e delle modalità di trasporto a minor inquinamento.
Un graduale aumento dei prezzi del trasporto, così motivato e così finalizzato (sull’esempio di Alp Transit), potrebbe raffreddare gli eccessi della globalizzazione, favorendo in termini non protezionistici le produzioni locali, soprattutto agricole, (con un parallelismo concettuale alla proposta di una tassazione sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe raffreddare i movimenti speculativi).
Oltre alle grandi variabili di livello nazionale ed internazionale (accise sui carburanti, tasse di possesso dei veicoli, tariffe basilari per autostrade e ferrovie) occorre individuare un livello regionale di autorità tariffaria che possa combinare ed adeguare la concreta articolazione delle singole tariffe allo sviluppo dell’offerta di modalità alternative ed integrate di trasporto: ad esempio rendendo gratuiti i parcheggi di interscambio gomma/ferro e penalizzando le tariffe autostradali per le tratte parallele alle linee ferroviarie efficienti e servite dai suddetti parcheggi (e dagli interporti per le merci), ecc. ecc.
Analoga razionalità complessiva andrebbe introdotta nella comparazione dei costi-benefici per gli investimenti infrastrutturali relativi ai trasporti, su gomma e su ferro, e per le politiche di incentivo al rinnovo del parco mezzi.
22 - SUOLO URBANO
A mio avviso occorre intrecciare la problematica del recupero della rendita urbana e del controllo sul consumo di suolo con una miglior disciplina dello strumento della perequazione e con un ripensamento complessivo della fiscalità sull’attività immobiliare ed edilizia.
La rendita va tassata principalmente nel momento in cui si realizza la trasformazione urbana e solo in misura complementare come rendita di attesa, se e quando i Piani divengono effettivamente “conformativi” e matura un interesse pubblico ad accelerarne l’attuazione e ad evitare ritardi strumentali finalizzati ad una eccessiva valorizzazione degli immobili.
Un apparato comunale efficiente dovrebbe saper riconoscere la differenza di valore tra un terreno ex-agricolo ed un terreno edificabile, tra una fabbrica dismessa ed un nuovo centro commerciale: il prelievo sulla rendita, finalizzato a trasferire su di essa tendenzialmente tutti i costi per i servizi urbani (inclusa l’edilizia residenziale a canone sociale ed a canone concordato), desumibili dai Piani comunali dei Servizi ed in archi temporali ragionevoli, dovrebbe essere fortemente differenziato tra il consumo di suoli liberi ed extraurbani ed il riutilizzo di suoli già edificati (da detassare ed agevolare, tranne in presenza di forti incrementi di valore per cambio d’uso o elevata densificazione).
Si delinea cioè un prelievo unico (inglobando le attuali tassazioni statali sulle traslazioni e sulle plus-valenze), più simile (ma con aliquote assai più elevate) alla vecchia “INVIM” (imposta sull’incremento di valore degli immobili) che all’ICI, concettualmente inclusivo degli oneri di urbanizzazione (fermo restando il principio che le opere necessarie in loco ricadano comunque sugli operatori).
Il problema della ricerca del punto di equilibrio tra interessi pubblici ed interessi privati (ovvero la massimizzazione del prelievo monetario o comunque dei benefici a vantaggio pubblico senza arrivare ad annullare la convenienza degli investimenti e cioè ad annullare gli investimenti stessi) può in parte essere affidata allo stesso mercato, fissando soglie ragionevoli di prelievo ed aprendo sopra di esse gare al rialzo tra i diversi operatori, sviluppando i meccanismi concorrenziali, come quelli proposti dal compianto Fausto Curti Curti 2008 e quelli che ha tentato di sperimentare a Monza ed altrove Massimo Giuliani.
Secondo me però sono necessari tre corollari, al fine di rendere effettiva la limitazione del consumo di suoli extraurbani, superando alcune importanti rigidità del mercato immobiliare (che risultano del tutto incoerenti in un mondo sempre più flessibile e “liquido”):
1 - la corrispondenza quantitativa tra volumi “in decollo” ed “in atterraggio” (per evitare nuove disparità), nonché l’obbligatorietà dell’”atterraggio” dei diritti di edificabilità in tutti i processi di perequazione, e cioè l’obbligo per i proprietari di aree con effettiva edificabilità locale di acquistare od ospitare i diritti edificatori che “decollano” altrove (aree ad uso pubblico/sociale o altrimenti vincolate), come sostiene tra gli altri Fortunato Pagano;
2 - una più facile espropriabilità (pur a prezzi di mercato, ma tenendo conto dei deprezzamenti dovuti ai periodi di inutilizzo prolungato) di tutti i beni immobili da coinvolgere nei piani di rinnovo urbano, da intrecciare con una tassazione specifica sugli immobili inutilizzati, con incrementi progressivi nel tempo: dagli spazi con “decollo” di diritti edificatori alle aree produttive dismesse, dai lotti in possesso di “minoranze dissenzienti” (i cui interessi possono essere tutelati anche privandole del possesso immobiliare) agli immobili inutilizzati per vertenze ereditarie e fallimentari – vedi proposte di Viale al paragrafo 8 – vedi qualche positivo embrione, ancora poco attuato, nella Legge Regionale lombarda sulle aree industriali dismesse – art. 7 della L.R. n° 1/2007);
3 - il conferimento alle Province ( o chi per esse), per scopi di perequazione territoriale, da articolare nei Piani Territoriali di area vasta, e non ai singoli Comuni interessati alla trasformazione, di parte significativa dei prelievi sulla rendita relativa al consumo dei suoli liberi.
E’ inoltre necessario imporre ai Piani comunali una valutazione analitica e periodicamente aggiornata sulla dimensione e sulla qualità dello stock di abitazioni inutilizzate (sfitto, invenduto, seconde case, ecc.), - vedi iniziativa di censimento ad hoc avanzata da “Salviamo il Paesaggio” (vedi www.salviamoilpaesaggio.it) da connettere anche al trattamento fiscale di cui più sopra.
23 – ENERGIA
- vietare (e non solo ‘non incentivare’) pratiche assurde come la copertura delle aree agricole con impianti fotovoltaici, quando ci sono milioni di ettari disponibili sui tetti dei fabbricati esistenti e su quelli da sostituire (la redditività dei suoli agricoli va nel contempo comunque sostenuta con ben altri strumenti, per le sue specifiche finalità ambientali ed anche alimentari);
- subordinare gli incentivi per gli impianti eolici al rispetto delle direttive paesaggistiche;
- rendere permanenti gli incentivi per la riqualificazione edilizia (attuale 36%) e per il risparmio energetico (55%), con una programmazione pluriennale che articoli meglio gli scaglioni di agevolazione (anche diminuendone alcuni nel tempo, ma con congrui preavvisi), in modo tale da privilegiare gli interventi più incisivi, anche se costosi, e soprattutto cercando di creare reciproche convenienze tra imprese e proprietà diffuse, anche condominiali, per aggredire il grosso dell’edilizia dequalificata ed energivora realizzata nel secondo ‘900 (senza di che diviene improbabile raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2: vedi in merito anche le sollecitazioni del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. –“Urbanistica Informazioni” n° 232/2010);
- i possibili incentivi con gli indici edilizi vanno gestiti esclusivamente DENTRO i piani urbanistici, in funzione di specifici progetti di rinnovo urbano, e non a pioggia CONTRO i Piani (come nel cosiddetto “Piano-Casa”, il cui sostanziale fallimento in funzione anti-ciclica, non ne esclude la potenziale pericolosità, in una fase congiunturale diversa).
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