mercoledì 24 maggio 2023

UTOPIA21 - MAGGIO 2023: LA CITTA’ E I DESIDERI SECONDO GIANDOMENICO AMENDOLA

 

Un testo sulla complessità della città contemporanea, tra sogni e bisogni, immaginario e desideri, anche alla luce del percorso storico verso città ideali, utopiche o distopiche

 

Sommario:

-       premessa

-       la divaricazione delle domande sociali

-       carrellata storica sulle utopie (urbane)

-       recepire l’immaginario, costruire il futuro

 

 

PREMESSA

 

“Desideri di città. Utopie Speranze Illusioni” del sociologo Giandomenico Amendola, raccogliendo in parte testi già in precedenza elaborati, intesse alcuni ragionamenti sulla città come soggetto e come oggetto di “desideri”, che mi sembra opportuno suddividere in 3 parti:

-       una introduzione sulle domande sociali che oggi investono le città e i tentativi di pianificarle; 

-       una breve storia dell’utopia, con approfondimenti sui temi urbani;

-       una panoramica sul pensiero contemporaneo in materia di “città migliore”, con particolare attenzione all’immaginario.

 

Più volte, ma a mio avviso un po’ frettolosamente, l’Autore precisa che nelle città “la società si condensa”, trascurando perciò il resto del mondo, forse ridotto a contorno da cui si sogna e si desidera la città (come nel capitolo su “L’immaginario urbano degli italiani” – da pag. 122 - , che però si riferisce ai film di Fellini e all’Italia del 1961); mentre a mio avviso le tematiche trattate nel testo meriterebbero – parlando dell’Europa- una estensione “al territorio”, sia dove di fatto è comunque urbano, ancorché meno “denso”, sia dove forse ancora non lo è, le “aree interne”, altrimenti appannaggio della sola “mitologia dei borghi” (con tutto il rispetto per il “paesologo” Franco Arminio).

 

 

 

LA DIVARICAZIONE DELLE DOMANDE SOCIALI

 

Le domande sociali sono indagate da Amendola, partendo dalla constatazione della frammentazione dei soggetti e dalla difficoltà di ascolto per chi governa, anche nelle città medie che più facilmente potrebbero essere città “felix”, suggerendo una divaricazione tipologica tra le tendenze in atto, che contempla pertanto (astrattamente separate):

-       la “città della competizione” o “città-impresa”, che nel quadro della de-industrializzazione e della concorrenza globale, vede il “marketing urbano” convergere nella omologazione di “città-vetrina”;

-       la “città spettacolo”, dove prevalgono commercio e svago, apparentemente aperte ai desideri di tutti, gerarchizzando però nei prezzi chi può o non può permetterselo;

-       la ”città pachwork”, che combina variamente le differenze;

-       la “città delle possibilità”, che appare su misura come un esercizio di “zapping”;

-       la “città bella”, che punta sull’attrazione, rendendosi leggibile con la “narrazione”;

-       la “città sicura”, che rischia però di frantumarsi in isole sorvegliate, che espellono fuori dai confini ogni variabile indesiderata.

 

Nella fatica di comporre spinte divaricanti, Amendola accomuna un poco tutti i tentativi di pianificazione, dalla città industriale in poi (mettendo in un uno cesto, ad esempio, Haussman e Cerda, Geddes e Munford, Le Corbusier e tutto il CIAM), in quanto visioni “dall’alto” della città come sistema od organismo, contrapponendo loro l’esperienza soggettiva della “città dei cittadini”, vista “dal basso”, da scrittori e pensatori, attraverso una lunga linea che va da Poe/Baudelaire/Benjamin….   a Jane Jakobs, Debord e De Certau.

In questo ambito, addebitando agli urbanisti demiurghi gli insuccessi delle mega-strutture (emblematica la definitiva demolizione delle torri di Pruitt Igoe presso St.Louis, progettate da Minoru Yamasaki), l’Autore sembra attribuire una maggior saggezza alla nascente sociologia (superata la fase più determinista della scuola di Chicago): “Chi governa deve rispondere non solo ai bisogni, come nel passato, ma anche ai desideri. Richard Sennett, proclamandosi urban anarchist, contrappone nell’opera ‘La coscienza dell’occhio” la città di Apollo, regolata e perfetta, a quella di Dioniso, che rifiuta la routine e il banale come principio guida della progettazione” [1].

E, per inciso, Amendola incrina anche il mito della “progettazione partecipata” sperimentata dall’architetto Giancarlo De Carlo a Terni, villaggio Matteotti (1969), rivelando che “i rapporti dei sociologi vennero consegnati solo quando i cantieri erano già in piena attività, e i giochi, quindi, già fatti.”

 

 

 

 

 

 

CARRELLATA STORICA SULLE UTOPIE (URBANE)

 

La carrellata storica[2] sulle Utopie (e Distopie, che in parte assomiglia ai riassunti già da me commentati dei filosofi Carlo Altini e Franco Mordacci), si sofferma in particolare sulle proiezioni architettoniche ed urbanistiche dei vari autori, a partire da Tommaso Moro (anno 1516: strade curvilinee larghe venti piedi, case di 3 piani con giardino fronte e retro, facciate da completare a cura degli utenti) attraverso Louis Sebastian Mercier (nel 1771 per l’anno 2440: strade ampie e illuminate, fontane, tetti verdi, veicoli solo per anziani e malati) fino a Giulio Verne (nel 1889 per l’anno 2890: strade larghe 100 metri con grattacieli alti 300, temperatura costante, aerei omnibus locali e intercontinentali a 1500 km/h), ed inoltre evidenzia (illustrando anche alcune parziali realizzazioni di progetti utopici):

-       il passaggio dalle città utopiche rinascimentali poste in “altri luoghi” ad “ucronie” proiettate in tempi futuri (anche perché nel frattempo l’intera Terra era stata esplorata);

-       nel percorso dal Settecento proto-industriale all’Ottocento pienamente industrializzato (nei paesi a capitalismo più sviluppato), una progressiva presa di distanza dagli entusiasmi per il progresso fino ad esplicite scelte anti-industriali ed “anti-urbane”, come le Garden Cities;

-       una specie di fuoco d’artificio finale nelle teorie di Lefebvre sul “diritto alla città”, che si intrecciano con gli slogan del ’68 parigino, quali “sotto l’asfalto, la sabbia”[3], liberando in qualche misura i sogni e i desideri dal confronto concreto con i bisogni e con le risorse (con il rischio a mio avviso di perdersi in vicoli ciechi di soggettivismo autoreferenziale, come accaduto per parte dei movimenti giovanili degli ultimi anni 70; come slogan rappresentativo suggerirei “vogliamo tutto”).

 

 

RECEPIRE L’IMMAGINARIO, COSTRUIRE IL FUTURO

 

Nei capitoli finali, mentre dà atto ad architetti ed urbanisti della loro intrinseca propensione a immaginare il futuro, in quanto professionisti del “progetto”, Amendola rivendica alle scienze sociali (superate le oscillazioni iniziali della sociologia verso una pura registrazione di leggi permanenti) una capacità di lettura critica della società, foriera di cambiamenti, ed intrecciata con l’inespresso, i sogni e l’immaginario.

Riproducendo anche  - senza commenti e quindi, suppongo, condividendola – la seguente citazione da Edgar Morin (che a mio avviso esprime un “caso limite” di una realtà più complessa in materia di libertà individuale e condizionamenti sociali): “Questo complesso di immaginari … costituisce una secrezione placentare che ci avvolge e ci nutre. Anche allo stato di veglia e anche fuori dallo spettacolo, l’uomo cammina, solitario, circondato da una nuvola di immagini, dalle sue ‘fantasie’. E non soltanto questi sogni da desto: gli amori che egli crede di carne e di lacrime sono cartoline postali animate, rappresentazioni deliranti. Le immagini scivolano fra la sua percezione e lui stesso, gli fanno vedere ciò che egli crede di vedere. La sostanza immaginaria si confonde con la nostra vita d’anima, la nostra realtà affettiva”.[4]

L’Autore constata che nel mondo contemporaneo, salvo alcuni tecnologi molto presi dalla propria specializzazione, scarseggiano proiezioni/previsioni compiute sul futuro e tanto meno su “città ideali”,

-       per la consapevolezza della complessità di tutti i fenomeni sociali ed a maggior ragione delle dinamiche urbane,

-       per la velocità di accavallamento di tecnologie sempre nuove,

mentre è diffusa una tensione critica sul presente che porta comunque a “costruire il futuro”.

 

Nella sua conclusione, piuttosto ottimistica, l’Autore postula che nel dialogo interdisciplinare e nel concreto ascolto delle frammentate domande sociali, anche inespresse, siano possibili percorsi inclusivi per progettare la trasformazione delle città, ma a mio avviso lascia aperte (anche utilmente) le contraddizioni tra

-       città e non città

-       bisogni oggettivi e desideri soggettivi

-       partecipazione democratica e strategie globali.

 

In particolare a mio parere oggi (nei paesi occidentali) le forme di partecipazione democratica sono sì molto compresse – dai condizionamenti sociali, pubblicitari e mediatici, ancor prima che dalla stratificazione dei poteri tecno-capitalisti e statuali –, ma la liberazione dei ceti e soggetti subordinati è un orizzonte insufficiente per fronteggiare i problemi strategici comuni all’intera umanità, che si possono compendiare nel concetto di crisi ambientale.

Il problema non è solo che oltre al pane vogliamo le rose: vogliamo un mondo che sia ancora in grado di offrire pane e rose, per tutti.

Rammentando anche le preoccupazioni di Hans Jonas circa la difficoltà delle democrazie nel perseguire finalità ecologiche: difficoltà aumentate dai fenomeni populisti e sovranisti, in cui le rappresentanze popolari sono inquinate da tonnellate di propaganda di varia origine.

 

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Giandomenico Amendola – DESIDERI DI CITTA’. UTOPIE SPERANZE ILLUSIONI – Progedit, Bari 2022

2.    Francesco Indovina - ORDINE E DISORDINE NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA – Franco Angeli, Milano 2017



[1] La contrapposizione Ordine/Disordine come chiave di reinterpretazione delle problematiche della pianificazione è anche al centro del testo di Francesco Indovina “Ordine e disordine nella città contemporanea” 2, da me recensito su Utopia21 ; Francesco Indovina è anche autore di una recensione 4 sul presente testo di Amendola.

[2] Non mi hanno convinto, in termini storici, né la sbrigativa affermazione che solo dal Rinascimento il futuro scende dal cielo/divino alla terra/umanità (smentita dallo stesso Amendola richiamando Platone prima e gli affreschi senesi del Lorenzetti poi), né l’audace accostamento delle costituzioni nate dalle rivoluzioni americana e francese con il pensiero di Adam Smith e con quello di Charles Darwin, per l’evidente anacronismo di quest’ultimo

[3] Secondo Amendola, slogan situazionista: “Nel dato c’è il possibile…. Nella città esistente c’è il possibile dei diritti”

[4] Tale rappresentazione a mio avviso corrisponde, ad esempio, al personaggio interpretato da Monica Vitti in “Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca”, film di Ettore Scola del 1970, o ad altri film, come “La rosa purpurea del Cairo” di Woody Allen (1985), che non alla realtà media dell’uomo medio.

UTOPIA21 - MAGGIO 2023: IL PRESUNTO “PIANO MATTEI”

 

Finora non è per nulla un “Piano”, ma solo una serie di annunci, dai contenuti poco precisi, salvo forse una certezza: la priorità alle energie fossili

 

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato spesso di un “Piano Mattei” per incrementare e qualificare i rapporti economici tra Italia (od Europa) ed Africa.

Tali dichiarazioni per lo più sono state assorbite dall’opinione pubblica, senza particolari commenti ed approfondimenti.

 

Ha fatto eccezione il quotidiano “Domani” del 17 aprile, che in un articolo di Davide Maria De Luca intitolato “Il piano Mattei di Giorgia Meloni non esiste (e se esistesse non funzionerebbe)” 1 esordisce affermando “ll governo dice di voler riscrivere i rapporti tra Italia e Africa, garantire nuove fonti di energia, fermare immigrazione e terrorismo. Ma a sei mesi dall’annuncio, del fantomatico piano non c’è una slide mentre la premier si limita a ribadire gli accordi già sottoscritti.”

E più avanti precisa:

-       “Ispirato al fondatore dell’Eni Enrico Mattei … il piano dovrebbe garantire all’Italia nuove fonti di energia tramite la stipula di accordi con paesi come Algeria e Libia. Ispirato alla visione ‘terzomondista’ di Mattei, che puntava ad accordi favorevoli alle élite locali dei paesi produttori di materie prime per battere la concorrenza dei giganti petroliferi del dopoguerra, il piano dovrebbe includere un generale ripensamento delle politiche di aiuto internazionale così da ‘aiutare i migranti a casa loro’.

-       Nato come una generica promessa elettorale nel programma di Fratelli d’Italia per le elezioni 2022 … e poi promosso a obiettivo di governo nel discorso di insediamento di Giorgia Meloni lo scorso 22 ottobre, oggi il piano Mattei è diventato uno degli elementi centrali della comunicazione del governo. Il problema è che a sei mesi dal suo annuncio, del piano non c’è traccia.

-       Intanto però, il Def taglia le risorse per la cooperazione internazionale nei prossimi tre anni, mentre la legge di Bilancio fallisce di nuovo l’obiettivo Onu di portarle ad almeno lo 0,7 per cento del Pil.”

 

In effetti proprio a metà aprile la Presidente del Consiglio ha reso noto che il “piano”, da concordare a livello europeo, verrà presentato in autunno; ed ha specificato che i nuovi rapporti Europa/Africa non dovranno avere gli antichi caratteri predatori.

 

Al che mi permetto di rilevare:                                                                                         

-       che le risorse per non essere “predatori”, sono tutte da inventare, sia sul fronte interno (vedi sopra il richiamo di De Luca al DEF), sia sul fronte europeo, dove – stanti i precedenti della ritrosia italiana ad approvare il Fondo anti-crisi bancarie MES e della crescente diffidenza europea sull’uso nostrano del PNRR – non pare così facile suscitare la formazione di nuovi fondi, da finanziare con tasse o debito comunitari;

-       che i buoni propositi anti-predatori (a parte l’oggettiva ironia del provenire da chi ha sconfessato del fascismo solo l’abominio delle leggi razziali, e mai invece l’abominio coloniale e bellicista) dovrebbero fare i conti con l’insieme degli scambi commerciali in senso lato (e quindi brevetti, prestiti, noli, assicurazioni, ecc.): una svolta epocale che – qualora gli stati e le imprese europee la accettassero – non si può improvvisare da qui ad ottobre.

 

De Luca, inoltre, riportando anche il parere di Marco Giusti, esperto di politiche energetiche, sostiene che “se anche il governo dovesse riuscire a mettere in piedi il suo piano, difficilmente potrà raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si è posto … non siamo più ai tempi di Mattei. Non si tratta di estrarre gas e petrolio a condizioni più vantaggiose per i paesi produttori. Da quella fase siamo usciti da molto tempo.

Nel caso dell’Algeria, ad esempio non stiamo parlando di un paese che viene rapinato sul gas. Anzi, trattenere i profitti energetici del paese fa parte della mitologia della classe dirigente. Il problema è semmai di redistribuzione, ossia il fatto che in molti paesi ricchi di materie prime i profitti delle esportazioni vengono monopolizzate dalle élite locali in modo predatorio, senza portare benefici alla popolazione.

Ma il governo Meloni non sembra intenzionato a ridiscutere il modo in cui i governi di Algeria, Libia o Nigeria utilizzano i profitti della vendita di gas e petrolio. Si è limitata a ribadire gli accordi già sottoscritti all’epoca del governo Draghi”.

 

Di mio aggiungerei qualche ulteriore considerazione:

-       gli accordi commerciali promossi da Mattei erano segnali di modernità, però in senso nazionalista, rispetto all’ortodossia atlantica e alla connessa egemonia monopolistica delle cosiddette “sette sorelle” sul mercato degli idrocarburi; il governo Meloni, che ribadisce fedeltà atlantica ad ogni piè sospinto[A], intende ancora correggerla in senso nazionalistico, con l’Europa come mero sfondo?

-       i ruoli  dei partner mediorientali e africani (estrazione di materie prime) e dell’Italia (importazione e prima trasformazione) nella divisione internazionale dei cicli produttivi erano però cristallizzati da quegli accordi in posizioni che oggi delineano il passato (energie fossili e “predazione attenuata”) e non il futuro (energie rinnovabili e partenariato veramente non-predatorio);

-       in particolare, l’ipotesi di intensificare l’importazione di gas africano tramite metanodotti (unito al Gas Naturale Liquefatto tramite navi e rigassificatori) mira a configurare l’Italia come una sorta di “hub” delle energie fossili a servizio dell’Europa, incrementando investimenti destinati a prossima dismissione ed in settori a basso lavoro aggiunto, cioè un ruolo subalterno nelle strategie della transizione energetica e digitale;

-       Mattei non è ricordato come un campione di neutralità rispetto alla stampa, ai partiti e alle loro correnti, in un sistema che complessivamente si poteva denominare “regime democristiano”; forse era l’ENI ad affidare missioni allo Stato, più che non lo Stato ad affidarle all’ENI. Riproporre un Piano (se e quando sarà un vero Piano, con obiettivi, importi, scadenze) denominandolo Mattei indica un rimpianto per quel tipo di intrecci tra politica ed aziende di Stato? Allora non si farebbe prima a chiamarlo “Piano Descalzi”?.

 aldovecchi@hotmail.it

 

 

 

Fonti:

1.    Davide Maria De Luca - IL PIANO MATTEI DI GIORGIA MELONI NON ESISTE (E SE ESISTESSE NON FUNZIONEREBBE) – su “Domani” del 17 aprile 2023 - https://www.editorialedomani.it/politica/italia/piano-mattei-giorgia-meloni-africa-rqdureiy

 

 



[A] Al punto di inviare 2 navi da guerra, accodate alla flotta U.S.A:, nell’Oceano Pacifico (leggasi: crociera dimostrativa anti-cinese), al di fuori di qualsivoglia mandato della NAT0, e di qualsivoglia confronto parlamentare

UTOPIA21 - MAGGIO 2023: IL RAPPORTO B.E.S. 2022

 

Il rapporto ISTAT “BES 2022”, attraverso gli indicatori del Benessere Equo e Sostenibile, attesta contradditorie tendenze nella fase di ripresa dalla crisi pandemica.

 

Sommario:

-       premessa

-       l’andamento complessivo degli indicatori dopo la pandemia

-       il bilancio tra miglioramenti e peggioramenti ed i divari trasversali

-       una mia selezione “statica” su come stanno gli italiani

-       appendice: estratti sistematici dai capitoli introduttivi (e riassuntivi) di ogni “dominio” e selezione di alcuni grafici rappresentativi

 

nota: in Calibri gli estratti e le citazioni dal Rapporto; in corsivo le considerazioni più personali

 


PREMESSA

 

Anche nell’affrontare l’edizione relativa al 2022 del rapporto ISTAT sul “Benessere Equo e Sostenibile” 1, come lo scorso anno, confermo le mie valutazioni generali su questo tipo di ricerche multifattoriali e sulle correlazioni con i “Goals ONU 2030” (rapporti ASviS), valutazioni che ho espresso in particolare in un precedente articolo del maggio 20212 (ed in altri attinenti all’ASviS3).

 

Per riepilogare cos’è il Rapporto BES, riporto il brano iniziale della “Presentazione”, a cura di Francesco Maria Chelli, Consigliere Istat (in questa fase di sede vacante per la Presidenza dell’Istituto); le parti in grassetto sono una mia scelta:

“Il confronto con gli andamenti e con gli standard internazionali e l’articolazione delle misure per ambiti regionali e, dove appropriato, per sesso, età e titolo di studio, fanno del Bes uno strumento di misurazione accurato delle disuguaglianze e delle aree di criticità e mettono in luce i maggiori bisogni di intervento e di investimento pubblici in politiche e servizi.

Le serie di dati, quasi tutte ormai decennali, che accompagnano come appendice statistica ogni Rapporto, tracciano, oltre il semplice raffronto tra un anno e il successivo, progressi, ristagni, e involuzioni di medio e di lungo periodo.

È in fase di sperimentazione l’introduzione di un nuovo dominio [cioè capitolo] sulla democrazia, che arricchirà ulteriormente l’insieme delle misure. Per le sue caratteristiche di sistema informativo di grande respiro per quadro di riferimento e al tempo stesso di grande dettaglio nei fenomeni tracciati, il Bes si è rivelato uno strumento particolarmente sensibile per registrare l’impatto sul Paese degli ultimi tre, drammatici anni, dominati dalla pandemia, dalle crisi ambientali, e dallo scoppio della guerra in Ucraina.”

 

 

L’ANDAMENTO COMPLESSIVO DEGLI INDICATORI DOPO LA PANDEMIA

 

Sempre dalla Presentazione del Consigliere Chelli traggo questo riepilogo super-sintetico sulle variazioni in meglio e in peggio riscontrate dal Rapporto:

“Questa edizione del Rapporto è stata pensata per rendere evidenti al lettore le trasformazioni del Paese rispetto al 2019, l’ultimo anno prima della pandemia. L’accostamento degli indicatori restituisce in modo efficace i processi sociali, economici e culturali che hanno resistito agli sconvolgimenti, senza risentirne troppo profondamente, e che oggi sono caratterizzati da un segno decisamente positivo. Da questa comparazione emergono anche i processi che hanno subito battute d’arresto, ma poi sono ripresi, anche se con qualche cedimento.

Infine, il raffronto mette in luce quegli ambiti che, già deboli e incerti prima del 2019, nel 2022 ancora non esprimono segni di ripresa significativi e restano indietro rispetto ai valori precedenti alla pandemia.

Le misure del Bes ci mostrano come i divari territoriali, molti dei quali di lungo periodo, siano aumentati, e, a mano a mano che ci si sposta dal Nord verso il Sud e le Isole, prevalgano indicatori con segno negativo rispetto al periodo precedente.

Dalla lettura per genere degli 88 indicatori che consentono questa disaggregazione, il Rapporto sul 2022 fa emergere che, per le donne, la maggior parte (52,8%) delle misure mostra un miglioramento a fronte del 38,9% riferito agli uomini, per i quali invece sono più numerose le misure in peggioramento rispetto al 2019. Tuttavia, il 39% degli indicatori fotografa ancora uno svantaggio netto per la popolazione femminile rispetto a quella maschile. E particolarmente un tasso di occupazione femminile così lontano dalla media europea e così basso da vedere esclusa dalla indipendenza economica quasi la metà delle donne.

Ci sono differenze anche tra generazioni.

Se più della metà degli indicatori riferiti agli adulti ha registrato un miglioramento del benessere tale da superare, nell’ultimo anno disponibile, il livello precedente alla pandemia, per i giovani con meno di 24 anni, invece, è migliorato solo il 44% degli indicatori e una quota quasi equivalente (43%) è peggiorata. “

 

 

IL BILANCIO TRA MIGLIORAMENTI E PEGGIORAMENTI ED I DIVARI TRASVERSALI

 

Il capitolo introduttivo “Il benessere equo e sostenibile in Italia, una visione di insieme” sviluppa più sistematicamente:

-       sia il “bilancio” tra miglioramenti e peggioramenti, che è rappresentato anche dalla seguente Figura 1 (a pagina 4) e che esprime graficamente una sorta di “equilibrio” tra tali dinamiche (contabilizzando quanti indicatori risultano in miglioramento (più o meno costante) e quanti invece risultano in peggioramento,

-       sia l’andamento dei principali divari “trasversali”, enunciati già dalla “Presentazione”,

per territorio (soprattutto tra Nord e Sud), per genere e per generazione.

 

All’interno del primo capitolo si ritrova anche la seguente Figura 2 (sempre a pagina 4) sul confonto diretto tra Italia ed Europa riguardo agli “indicatori di benessere” disponibili, che vede l’Italia “in vantaggio” per cinque voci ed “in svantaggio” per altre diciannove (mentre due risultano “in pareggio”):

 

 

 

 

 

 

Rinvio all’Appendice per gli estratti sistematici dai capitoli intoduttivi (e riassuntivi) di ogni “dominio”, e cioè:

1. Salute

2. Istruzione e formazione

3. Lavoro e conciliazione dei tempi di vita

4. Benessere economico

5. Relazioni sociali

6. Politica e istituzioni

7. Sicurezza

8. Benessere soggettivo

9. Paesaggio e patrimonio culturale

10. Ambiente

11. Innovazione, ricerca e creatività

12. Qualità dei servizi,

nonché per una selezione dei grafici che ho ritenuto più facilmente leggibili e più significativi.

 

 

UNA MIA SELEZIONE “STATICA” SU COME STANNO GLI ITALIANI

 

Come mia personale rielaborazione, senza pretese di scientificità, considerando che il Rapporto è orientato prevalentemente a evidenziare le trasformazioni e le tendenze, ritengo opportuno estrapolare dal Rapporto BES 2022 i seguenti dati “statici”, che costituiscono una sorta di “istantanea” sulle condizioni complessive della società italiana, ordini di gandezza che talvolta si rischia di dimenticare; limitandomi ad indicatori di tipo oggettivo ed ai solo primi quattro “domini” del rapporto:

 

SALUTE

Nel 2021 l’Italia si attesta nuovamente al terzo posto dopo Spagna e Svezia nella graduatoria dei paesi Ue per livello di vita media (82,5 anni: 84 anni in Provincia di Trento, 79 in Campania)

Circa la metà degli anziani con almeno 75 anni è in cattive condizioni di salute, con una quota maggiore di donne (ciò anche in funzione della maggior longevità).

 

ISTRUZIONE

Sul totale dei 15-29enni la quota di NEET (ovvero non studiano e non lavorano) è pari al 19,0% (media Europa circa 14%)

Nel 2022, il 63,0% delle persone di 25-64 anni ha almeno una qualifica o un diploma secondario superiore (+0,3 punti percentuali rispetto al 2021) rispetto a una media europea di circa il 79,5%.

Le regioni con la quota più alta di persone con competenze digitali almeno di base sono il Lazio (52,9%), seguito dal Friuli Venezia Giulia (52,3%) e dalla Provincia Autonoma di Trento (51,7%), all’opposto di collocano Calabria (33,8%), Sicilia (34,0%) e Campania (34,2%).

 

LAVORO

Il tasso di occupazione italiano è di circa 10 punti inferiore a quello medio europeo (74,7%). A determinare questa distanza è soprattutto il tasso di occupazione femminile, più basso di quello della media europea di oltre 14 punti.

Nel 2022, i lavoratori a termine arrivano a 3,3 milioni (su un totale di 18,2 milioni di lavoratori dipendenti).

La quota di occupati che possiede un titolo di studio superiore a quello più frequente per svolgere la professione si attesta al 26,0%. Il fenomeno, più diffuso tra le donne (28,1%), è particolarmente concentrato nella classe dei più giovani tra i 15-24 anni (44,3%).

(Gli) occupati in part time che dichiarano di esserlo perché non sono riusciti a trovare un lavoro a tempo pieno (part time involontario): rappresentano il 10,2% degli occupati

il tasso di infortuni mortali e di inabilità permanente è pari a 10,2 ogni 10 mila occupati.

 

BENESSERE ECONOMICO

Profonde differenze territoriali sono messe in evidenza … dall’indicatore di rischio di povertà, calcolato sui redditi del 2020: a fronte del 20,1% di persone con un reddito netto equivalente inferiore o pari al 60% del reddito equivalente mediano, in Sicilia e Campania il fenomeno arriva a interessare circa il 38% della popolazione.

Nelle regioni del Mezzogiorno il rischio di povertà più elevato si associa anche a valori più alti dell’indice di disuguaglianza (rapporto tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero) che supera il valore medio dell’Italia (5,9 …) in Sardegna (6,1), Calabria (6,4), Sicilia e Campania (7,2 e 7,5 rispettivamente).

Nel 2021, la percentuale di persone che vivono in grave deprivazione abitativa, cioè in abitazioni sovraffollate o in alloggi privi di alcuni servizi e con problemi strutturali (soffitti, infissi, ecc.) è del 5,9%.

 

Per concludere, rilevo che il Rapporto BES non indaga dentro quel “20% più ricco”, che include in particolare un 1% ricchissimo, con concentrazioni patrimoniali tali da condizionare molti assetti del Paese, e la cui equa tassazione consentirebbe forse di risolverne parte dei problemi.

 

 

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

 

APPENDICE: ESTRATTI SISTEMATICI DAI CAPITOLI INTRODUTTIVI (E RIASSUNTIVI) DI OGNI “DOMINIO” E SELEZIONE DI ALCUNI GRAFICI RAPPRESENTATIVI:

 OMISSIS: RIMANDO AL SITO ISTAT