giovedì 17 dicembre 2015

AUGURI - DICEMBRE 2015

RICERCA "TRA-I-LAGHI" - RIEPILOGO DEL FORUM DI BREBBIA 20-11-15 A CURA DI FULVIO FAGIANI

DALLA NEWS-LETTER DI "AGENDA 21 LAGHI"

Come siamo cambiati dal 2.000? Era la domanda a cui Anna Vailati ed Aldo Vecchi, autori della ricerca “tra-i-laghi” presentata al 16° Forum di Agenda21Laghi, hanno cercato di dare risposta attingendo ai censimenti del 2011 e del 2001 e ad altre fonti, come I.S.P.R.A., Camera di Commercio, Provincia, Agenzia delle Entrate e Regione.



Il territorio indagato è quello dei 17 Comuni di Agenda21Laghi più Bardello, Biandronno, Malgesso, Sangiano, Sesto Calende, Ternate e Travedona Monate.
Il territorio. Malgrado abbia subito negli anni un consistente consumo di suolo, le percentuali al 2012 segnalano una destinazione urbana del 13% (contro il 18% della media provinciale) ed una agricola utilizzata da aziende professionali del 9% (contro il 40% regionale e nazionale).
Tuttavia, considerando i boschi e le altre aree coltivate, permane nell’insieme un patrimonio verde consistente e di valore.
La popolazione. La popolazione è cresciuta in misura rilevante, +11% dal 2001 al 2011, anche se in modo molto disomogeneo tra Comune e Comune, con un contributo di stranieri quasi pari a quello di cittadini italiani. Una popolazione in cui la percentuale di diplomati e laureati è salita dal 30,8% al 38,8%, con alta quota di proprietà dell’abitazione, 74,7%, e con un pendolarismo fuori Comune passato dal 31,7% al 34,6%.
Lavoro. La crescita della popolazione residente ha comportato la crescita degli attivi, ma non ha trovato pari corrispondenza nell’occupazione all’interno dell’area. In breve, con 8.200 residenti in più, di cui 4.500 attivi, gli occupati sono cresciuti di 3.200 unità, quindi meno degli attivi con un conseguente aumento dei disoccupati, ma soprattutto con una contestuale   perdita netta di 400 posti di lavoro in loco. L’effetto della crisi, combinato con l’incremento demografico. è stato dunque un’accresciuta disoccupazione (7%) e soprattutto un maggiore pendolarismo verso l’esterno dell’area (+3600).
Il sistema economico. Il sistema economico locale ha avvertito i colpi della crisi, ma si è anche trasformato nella sua composizione interna. Ha perso posti di lavoro la manifattura (-3.500) solo parzialmente compensata dalle costruzioni e dal terziario (+2.700).
Il turismo. Il settore del turismo ha visto crescere il suo peso percentuale, almeno come numero di imprese, con una netta prevalenza di strutture extra-alberghiere rispetto a quelle alberghiere. Caratteristico per l’intera Provincia è il basso il numero dei pernottamenti pro-capite, 1,8, rispetto ad aree di maggior tradizione turistica come il Lago di Como (2,7) e soprattutto il Garda bresciano (4,8).
Articolazione interna. Difficile invece individuare dinamiche comuni entro il territorio analizzato, dove invece prevale la frammentazione e disomogeneità delle tendenze: un’area policentrica e centrifuga? Tuttavia si riscontrano una proporzionalità tra dimensione demografica dei comuni e flussi pendolari in uscita (oltre la metà dei residenti per i comuni più piccoli, attorno al 30% per i maggiori) e una convergenza di alcuni indicatori di benessere sociale per il territorio tra il lago di Monate ed il basso Verbano.       
Ai dati elaborati si è aggiunta anche l’esperienza di Agenda21Laghi, che in questi anni (proprio dal 2.000) ha condotto iniziative e progetti in collaborazione con soggetti locali.
Sono state prese in considerazione le azioni nel campo dell’efficienza energetica (progetto Distretto di Transizione Energetica dei Laghi, energia a km0, sportello energia), dei prodotti a km0 (censimento dei produttori e prodotti, ristorazione a km0) e del turismo.
In essi si è spesso rilevata una debolezza dell’offerta, con l’eccezione delle imprese operanti nel campo dell’energia.
In generale prevale la piccola dimensione e la frammentazione, aggravate dalla scarsa attitudine alla cooperazione. Le molte potenzialità presenti fanno così fatica a tradursi in realtà concreta.
Che lettura dare, soprattutto in una prospettiva futura?
Dai dati della ricerca emerge tra l’altro il dato della perdita di posti di lavoro, dovuta principalmente alla crisi della manifattura, cui non si capisce se il terziario possa rispondere in modo efficace e duraturo.
La dispersione e la piccola dimensione dei soggetti privati e pubblici fa intravedere una debolezza complessiva, incapace al momento di guidare la trasformazione, che viene invece subita.
Tra gli intervenuti molti hanno avanzato la richiesta che i Comuni trovino forme di aggregazione e di coordinamento per diventare il soggetto forte mancante e la sollecitazione a puntare molto sulle potenzialità turistiche, poggiate sulle qualità paesaggistiche, naturalistiche e storiche e sulla felice collocazione geografica, tra area milanese, Laghi e Svizzera.

La ricerca è consultabile e scaricabile dalla sezione “tra-i-laghi” del sito www.agenda21laghi.it (indirizzo www.agenda21laghi.it/vivere_tra_laghi.asp )
FULVIO FAGIANI

domenica 13 dicembre 2015

PRESEPI?

Lungo la mia vita scolastica, dalle elementari al liceo, nelle scuole pubbliche di Borgomanero e poi di Arona (ad un’ora di treno da Milano), il ritmo delle stagioni non era scandito solo dai trimestri con le pagelle, ma dalla Messa di inizio d’anno, dalla Messa di Natale e da quella di Pasqua, quest’ultima con i plotoni di allievi condotti alle Confessioni: mi pare non ci fosse, o l’ho dimenticata, una Messa di fine anno (con Te Deum di Ringraziamento).
Quando eravamo più grandicelli alla fine d’anno aggiungemmo, di nostro, un primo bagno nel Lago, anche l’acqua era ancora fredda.
Fu un bel balzo approdare alla Facoltà di Architettura di Milano (non del tutto impreparato, perché preceduto da sorella e fratello) dove ben altri erano i riti, anch’essi in parte stagionali: l’assemblea e le occupazioni, le mozioni e gli emendamenti, i documenti con le dovute citazioni di De Saussure e di Marx (ma quello giovanile dei Grundrisse); e ancora non era arrivato il 68…
Quelle dunque erano le ”tradizioni”, fondate sulla concezione (totalitaria) di una comunità coesa attorno a comuni valori religiosi (e andando più indietro di qualche secolo non si disdegnava, per tradizione, di abbruciare talora qualche eretico e qualche strega).
Invece già eravamo allora, e a maggior ragione siamo adesso, in una società complessa e pluralista, e lo saremmo anche senza i corposi flussi di immigrazione straniera.
In tutta la polemica sui presepi, anche se ho letto con piacere diversi interventi equilibrati, mi ha colpito la deriva di commentatori come Gramellini e Michele Serra dietro al diffuso pensiero che “è sbagliato per rispettare l’identità degli immigrati mussulmani rinunciare alla nostra identità”, identificando tale identità con i presepi ed i canti natalizi.
Mi pare che si debba capire qual è la nostra identità, distinguendo tra i valori religiosi di una parte di noi (sia pure di una tradizionale rilevante maggioranza) ed i valori comuni a tutti gli italiani (e quindi valori nostri), che sono quelli costituzionali della libertà e pacifica coesistenza di tutte le religioni.
Anche se nella Costituzione è recepito il Concordato con la Chiesa Cattolica, non è più il testo del 1929 (coerente con lo Statuto Albertino, che si limitava a “tollerare” le altre religioni), bensì per l’appunto quello riformato nel 1984, che tra l’altro ha reso facoltativa l’adesione all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.
Questa è a mio avviso l’identità, costruita con fatica e tramite conflitti dentro alla storia dell’Occidente (sintetizzando eredità cristiane e non cristiane) e recepita da pochi decenni nelle istituzioni italiane, cui non si deve rinunciare di fronte agli attacchi terroristici del fondamentalismo jahidista come di fronte alle difficoltà di integrazione di masse di immigrati islamici e di altre religioni; tanto meno per ritornare al fondamentalismo cattolico.
Non è facile però tenere la barra dritta, perché gli attentati di Parigi vanno oltre le usuali ventate che piegano la barca della pubblica opinione di qua e di là (come in senso buonista è stato in agosto scorso con le foto del bimbo siriano affogato sulle sponde dell’isola greca): questa tempesta è in grado di scardinare l’assetto strutturale  di tutte le navi dell’intera flotta occidentale, spostandone per lungo tempo il baricentro.
Da un punto di vista evangelico, inoltre, ho apprezzato alcune frange del mondo cattolico che hanno rilevato elementi di blasfemia nel brandire crocefissi e presepi e nell’intonare canti natalizi da parte di personaggi politici che incarnano sostanzialmente programmi di egoismo sociale e di chiusura verso chi soffre (come i profughi ed i migranti); blasfemia che a mio avviso nella nostra società da decenni inoltre circonda il Natale soffocandolo nel peggior consumismo edonistico. 

martedì 24 novembre 2015

LA RICERCA "TRA-I-LAGHI" DI ANNA MARIA VAILATI E ALDO VECCHI - INTRODUZIONE



come si vive tra-i-laghi di varese e maggiore
- ricerca statistica 2000/15 per Agenda21laghi

il testo completo della ricerca è sul sito 
www.agenda21laghi.it/vivere_tra_laghi.asp
voce "tra-i-laghi"

1 – INTRODUZIONE

INDICE:

1– DOVE
2 - QUANDO
3 - COSA
4 - COME
5 - PERCHE’/PER CHI
6 - CHI SIAMO

1.1– DOVE

La presenza e persistenza dell’aggregazione intercomunale di Agenda 21 Laghi, che all’aprile 2015 raccoglieva 16 Comuni (cui poi si è aggiunto Caravate), ci ha suggerito di individuare questo territorio, anche in funzione della specifica attenzione alla socialità ed alla partecipazione che è propria di questo tipo di organizzazione con finalità ambientali.
I confini che abbiamo scelto, includendo altri Comuni contermini (in parte in passato già aderenti a AG21L), tendono a definire un’area di indagine consona al tipo di domande che ci poniamo, tenendo conto che l’area è geograficamente e amministrativamente ben delineata solo ad ovest, dal Lago Maggiore, mentre in altre direzioni si rilevano demarcazioni meno nette come i monti a nord di Laveno ed il fiume Ticino a sud/ovest; nelle restanti direzioni, cioè verso la Val Cuvia, verso Varese (a sud e a Nord del Lago omonimo) e verso sud/est (dove con Malpensa ed il Gallaratese si può forse leggere l’inizio dell’area metropolitana milanese), le interrelazioni sono invece molto più dense e continue, per cui il perimetro proposto tra “Lago Maggiore e Lago di Varese” comporta inevitabilmente scelte opinabili, costituite comunque ad Est in larga misura dai confini amministrativi di Agenda21Laghi (oltre che dal lago di Varese)

Già da queste brevi considerazioni sull’area di studio appare evidente il suo essere zona di cuscinetto tra due grandi assetti insediativi, quello montano-vallivo e quello metropolitano.

1.2 - QUANDO

Per capire le tendenze in atto ci è apparso utile concentrare l’attenzione sugli anni iniziali di questo secolo, considerando di poter disporre ampiamente dei dati dei censimenti 2001 e 2011 e di pochi altri dati più recenti; la ricerca comunque ha comportato alcuni approfondimenti con diversa scansione temporale.
Tale periodo ci risulta anche poco coperto da ricerche istituzionali alla scala locale; ad esempio il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale è stato approvato nel 2006 ed i dati di riferimento sono in parte precedenti ai censimenti del 2001; anche il primo ciclo dei Piani di Governo del Territorio è stato per lo più redatto prima della pubblicazione dei risultati del censimento 2011.
Il campo è stato esplorato in parte dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio, con una ricerca estesa all’intera Provincia e limitata a poche variabili sul censimento 2011, nonché dall’Ufficio Studi di Confartigianato con una elaborazione basata su indicatori multi-criteri, esteso anch’esso all’intera Provincia (ma non a tutti i comuni9 e ad una sola sezione storica di dati recenti,  nella logica delle “classifiche” (in analogia a come a livello nazionale procedono ad esempio “il sole- 24 ore” e Legambiente)

1.3 - COSA

Tenendo conto dell’insieme di studi che Agenda 21 Laghi ha promosso o raccolto, si può ritenere che di quest’area già si conosca molto riguardo al territorio ed all’ambiente (temi presenti anche nei PGT e connesse Valutazioni Ambientali Strategiche dei singoli Comuni), nonché a tematiche specifiche quali la mobilità, il turismo, i consumi energetici, ecc.
Ci è sembrato invece che manchino conoscenze di insieme riguardo agli abitanti ed alla loro vita, al sistema di relazioni che attraversa i territori e ne definisce la struttura identitaria, ai “paesaggi umani” che conferiscono senso e contenuti ai paesaggi fisici (urbani ed extraurbani).
Con questo studio non abbiamo alcuna pretesa di fornire risposte sistematiche, quanto piuttosto quella di contribuire a formulare domande più circostanziate, da cui potranno eventualmente scaturire ulteriori iniziative di ricerca.

1.4 - COME

La ricerca è stata condotta sui dati statistici disponibili: ISTAT, CCIAA, Provincia, I.S.P.R.A., ecc.; si è proceduto ad estrarre e confrontare i principali dati dei singoli Comuni e dell’intera area (nonché di altri Comuni esterni di riferimento) con i totali e le medie della Provincia di Varese, della Lombardia e dell’intera Italia, assumendo criteri aritmetici, cartografici ed espositivi il più possibile costanti, ma con i dovuti adeguamenti alle specificità dei tipi di dati.
In prospettiva la ricerca potrebbe proseguire, interagendo con altri soggetti, in direzioni che pertanto non intendiamo prefigurare, se non a titolo esemplificativo:
- acquisizione e sintesi degli studi già svolti da Ag21Laghi e da altri soggetti, e confronto con casi analoghi
- ricerca di altre fonti ed altri indicatori, attraverso il dialogo con le organizzazioni presenti sul  territorio
- indagini demoscopiche su tutti gli aspetti soggettivi coinvolti
- approfondimento delle ricerche territoriali con strumenti cartografici avanzati, tipo GIS.

1.5 - PERCHE’/PER CHI

La ricerca sarà divulgata tramite Il sito istituzionale di Agenda21Laghi, e pertanto disponibile a chiunque voglia leggerla ed utilizzarla, ma è pensata in funzione di un governo consapevole delle contraddizioni, ed in particolare delle finalità ambientali di Ag21Laghi, che per sua “costituzione” deve conseguirle mediante la partecipazione ed il consenso: riteniamo che una maggior conoscenza della struttura della popolazione e degli “stili di vita” possa essere utile in tale direzione (ad esempio, per capire meglio le difficoltà di adesione alle pratiche ed agli investimenti “ecologici”).

1.6 - CHI SIAMO

Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi, urbanisti in pensione, residenti a Sesto Calende, collaboratori, a titolo volontario, di Agenda 21 Laghi.

mercoledì 18 novembre 2015

DOPO PARIGI, NON HO TROPPE CERTEZZE


Di fronte al massacro di Parigi si rischia di cadere in uno stato depressivo, mentre i media, che fanno il loro mestiere, ci riempiono la mente di immagini, parole, pensieri, emozioni, che in gran parte sono anche le nostre, ma rischiamo di non saperlo con certezza.
E quindi ci può stare molto bene anche il silenzio, molto più di un minuto di silenzio (e niente applausi al passaggio delle bare, se possibile).

Tuttavia, mentre esprimevo molteplici “mi piace” ai pensieri solidali di molti corrispondenti su Facebook, e coltivavo in cuor mio tutti i dubbi di un pacifista costretto alla guerra dall’aggressione altrui (che già ho espresso nei miei precedenti commenti alle scorrerie del Califfato), mi sono apparse stonate non solo le ovviamente le sparate islamofobiche sulla linea Fallaci-Salvini-Santanchè, ma anche alcune prese di posizione di parte pacifista, che adombrano parziali verità, da me condivise, ma che mi sembrano del  tutto inadeguate alla sostanziale novità degli attentati di Parigi: ovvero al “salto di aberrante qualità” costituito dall’attacco indiscriminato alla popolazione civile di una metropoli europea (rispetto ai più mirati attacchi a “nemici dell’Islam” quali la rivista Charlie Hebdo oppure negozianti e clienti innocenti sì, ma ebraici).

Essendo istanze vicino al mio sentire, ritengo opportuno uscire dal silenzio per chiarirmi meglio con gli abituali interlocutori:
 - la solidarietà con le vittime di Parigi oscurerebbe (con implicito razzismo-colonialismo) la necessaria solidarietà con analoghe vittime di attentati, sempre di matrice fondamentalista-islamica, nel cielo del Sinai e prima in Libano Turchia Irak Pakistan India Kenia …..: mi pare che questa obiezione non consideri il dato umano, insopprimibile, per cui il lutto per la morte di chi mi è vicino pesa di più di quello per colui che mi è meno vicino, differenza che si può misurare analogamente nei casi di tragedie di origine naturale o tecnologica; e trascuri il dato politico che ci vede membri, con la Francia, della stessa Unione Europea; e ignori il dato storico per cui Parigi è la patria della libertà e la sua vita notturna è un emblema della nostra libertà (anche se l’Occidente è l’inventore del moderno colonialismo, dell’imperialismo economico-finanziario, ecc. ecc.)
- il Califfato usa armi occidentali, magari inviate in Siria per indebolire il dittatore Assad, oppure vendute ad Arabia ed Emirati, innanzitutto si ponga fine alla produzione ed esportazione delle armi: sono pienamente d’accordo, tranne che sull’”innanzitutto”, perché quando la casa brucia si chiamano i pompieri, e solo dopo si va  controllare se la costruzione era in regola con le norme di prevenzione incendi (ovvero, solleviamo sì l’enorme problema della diffusione delle armi occidentali, ma il Califfato che aggredisce i non-sunniti del Medio oriente e tutti i non-islamici d’Europa ormai di armi ne ha parecchie, occidentali o meno che siano, e sta usandole a man bassa;
- (in questo terzo casa è Famiglia Cristiana che parla, e quindi in particolare mi stupisco per il tono) “se vogliamo eliminare l’ Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi”, cioè troncare con la complicità di USA e NATO verso le potenze regionali sunnite, Arabia Saudita-Emirati-Turchia, che in vario modo proteggono il Califfato, per i loro interessi  politico-religiosi, che li contrappongono all’Iran sciita e ad Assad alauita: credo anch’io che sui vari fronti medio-orientali (ed anche tra gli islamici d’Europa) vi siano pesanti ambiguità (politiche, commerciali, militari) tra molti sunniti, che non intendono contrapporsi più di tanto ad altri “sunniti-che-sbagliano”,  ma non riesco ad assumere questa granitica certezza che ci sia un nodo gordiano da tagliare, e “puff” il fantasma dello “Stato Islamico” si dissolve, togliendo noi occidentali (ed ancor di più noi pacifisti od ex-pacifisti) dalla brace delle responsabilità di scelta tra pace e guerra, violenza o non-violenza, verso un nemico che aggredisce e al momento (e probabilmente per molto tempo) non intende trattare su alcunché (almeno con gli stati occidentali, l’ONU e via di seguito).

L'ENCICLICA "LAUDATO SI'" DI PAPA BERGOGLIO


L’Enciclica “Laudato sì”, emanata nel maggio 2015 da Papa Francesco, è stata trattata a mio avviso in modo alquanto superficiale dalla stampa generalista,  come uno dei vari aspetti innovativi della comunicazione di questo papato, senza coglierne le implicazioni profonde ed a suo modo rivoluzionarie; parimenti mi pare sia scivolata addosso senza conseguenze al mondo politico ed  al mondo cattolico (e quindi in particolare al mondo politico cattolico), che infatti non mostrano di dare avvio ad alcuna “rivoluzione”, nemmeno culturale.

Ed il limite principale della predicazione di papa Bergoglio è probabilmente proprio quello di non sviluppare, finora, gli strumenti per tradurre le sue parole in opere, né in gran parte della sua Chiesa (a partire dalla Curia romana), né attorno ad essa.

Tuttavia, stimolato anche dal riassunto pubblicato da Fulvio Fagiani sul sito www.agenda21laghi.it  (riassunto che allego IN APPENDICE, risparmiandomi la fatica di elaborarne uno mio), ho letto integralmente il testo dell’enciclica e l’ho trovato di grande interesse (anche per chi come me si colloca tra i laici-non-credenti) per i seguenti motivi:

1 – recepisce dalla scienza, con una apprezzabile umiltà, e con utile sintesi divulgativa, i termini attuali della crisi ambientale complessiva (e non solo climatica) del pianeta Terra;

2 – evidenzia le strette connessioni dei problemi ecologici con i problemi sociali, e cioè come i poveri (tanto nei paesi poveri quanto nei paesi ricchi) siano le principali vittime ad un tempo sia dello sfruttamento economico, sia del degrado urbano e ambientale; tanto che, riferisce Bergoglio, “i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamen­to ‘non uccidere’  quando « un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere »”.

3 – sottopone, non solo ai fedeli, ma a tutti gli uomini, non credenti e credenti di ogni fede, la necessità di un piano di azione radicale per la salvezza del pianeta (ivi compresa la decrescita dei consumi opulenti), “prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecnico-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia”;

4  - coglie i limiti e l’inefficacia di una “ecologia evasiva” e di facciata, da parte di governi e  imprese, che è prevalente in quanto è intrinsecamente diffuso, nel sentire comune dei paesi dominanti, il modello culturale consumista ed il mito della crescita infinita (malgrado l’evidenza delle crisi);

5 – tenta di fondare una nuova etica della sobrietà (derivante per i cristiani dai valori religiosi), da applicare anche a livello personale, ma finalizzata alla cooperazione solidale, arrivando ad esempio ad un utilizzo consapevole del potere collettivo dei consumatori; tale etica include anche le raccomandazioni pratiche per la vita quotidiana, che riproduco in appendice (e che non mi risulta siano ancora diventate pratica prevalente in ambito cattolico occidentale).



Di minor interesse operativo per i non-credenti, ma comunque rilevanti sotto il profilo culturale, sono ampie parti del documento, di impostazione più strettamente religiosa:
sia dove Bergoglio allinea a suo sostegno numerose citazioni dalle Sacre Scritture, dal pensiero di teologi e santi del passato (Francesco d’Assisi in primis) e soprattutto dalle encicliche dei suoi ultimi 4 o 5 predecessori e dalle conferenze episcopali di varie parti del mondo (con qualche citazione anche di testi laici),
- sia dove il Papa parla da Papa ed afferma apodittiche manifestazioni su questa terra della presenza di Dio, nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (nonché della Sacra Famiglia), tutte convergenti verso l’eco-teologia.
Ad esempio : “Le Persone divine sono relazioni sussi­stenti, e il mondo, creato secondo il modello divi­no, è una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni esse­re vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intreccia­no segretamente.

Mi convince meno il testo del Papa laddove, criticando la cultura consumista e sviluppista, ne individua le radici in un eccesso di antropocentrismo, diffidando nel contempo dal “bio-centrismo” di quegli ecologisti che pongono la natura al di sopra dell’attenzione per il benessere di tutti gli uomini
Anch’io, nel mio piccolo, vedo dei pericoli nel bio-centrismo, in quanto comunque interpretato da uomini e non direttamente dai lombrichi, dai batteri e dai fenicotteri (vedi un questo blog  la scheda su “Dellavalle: L’ecologia tra soggettività e fondamentalismo”, oppure la "pagina 1" del saggio sulla sostenibilità urbana).
Ma la condivisibile visione umanistica e rispettosa verso la natura, illustrata dal Papa, si fonda soprattutto nel rapporto (subordinato) dell’uomo con la divinità: “Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo finiremmo per adorare altre potenze del mondo o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà da Lui creata, senza conoscere limite”.
Pur rilevando che sono difficili e poco praticate le strade alternative al paradigma tecnocratico/sviluppista a partire dai deboli presupposti dei pensieri scettici e relativisti (di chi è agnostico o comunque non credente), mi permetto rispettosamente di rivendicarne la dignità concettuale.
Proprio perché non abbiamo certezze, nemmeno più sappiamo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, nella laica ricerca del bene comune ci viene difficile cadere nel delirio di onnipotenza che pone l’uomo al di sopra della natura.
Il riconoscimento dell’interdipendenza tra tutti gli uomini e dei fragili equilibri e squilibri degli ecosistemi, mi sembra possano essere premessa sufficiente per la cooperazione fraterna verso la possibile salvezza del pianeta.
Ben vengano le religioni a mettersi alla guida della necessaria e pacifica “rivoluzione” ecologica, vista l’esiguità delle forze non-religiose in campo (ed invece di incitare al reciproco sgozzamento come spesso hanno fatto, e talune tuttora fanno).
Ma nel perseguire l’idea di fratellanza tra tutti gli uomini, e tra gli uomini e gli altri viventi, mi pare che ci siano spazio e motivazioni per tutti, anche per i laici, gli agnostici ed i non credenti.

IL DECALOGO DELLE RACCOMANDAZIONI ECOLOGICHE QUOTIDIANE DI PAPA FRANCESCO

coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento,
evita­re l’uso di materiale plastico o di carta,
ridurre il consumo di acqua,
differenziare i rifiuti,

cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare,
trattare con cura gli altri esseri viventi,
utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone,
piantare alberi,
spegne­re le luci inutili,
riutilizzare qualco­sa invece di disfarsene rapidamente.



ESTRATTO DA FULVIO FAGIANI SU ENCICLICA “LAUDATO SI’”


L’enciclica è articolata su un’introduzione e sei capitoli che delineano questo percorso:

1.    Quello che sta accadendo alla nostra casa. Si ricapitolano le principali emergenze ambientali e sociali e si stigmatizza la debolezza delle reazioni;

2.    Il Vangelo della creazione. Si ragiona sul ruolo della religione, rifacendosi a testi biblici e ad eminenti commenti;

3.    La radice umana della crisi ecologica. Si riconducono le due crisi, ecologica e sociale, viste come intreccio inestricabile, alla dominanza del “paradigma tecnocratico”, a sua volta manifestazione di una profonda crisi culturale;

4.   Un’ecologia integrale. La sfida complessa richiede una risposta di pari complessità, ecologica, sociale e culturale;

5.    Alcune linee di orientamento e di azione. Vengono proposte soluzioni puntuali, ricavate dal vasto campo dell’esperienza, ma soprattutto è condotta una critica sferzante al dominio dell’economia sulla politica e della finanza sull’economia e al mito della crescita illimitata;

6.    Educazione e spiritualità ecologica. E’ il tema della “rivoluzione culturale” sollecitata dal Papa, con l’invito ad uscire da individualismo e consumismo a favore di una “cultura della cura”.

Colpisce innanzitutto la modernità di un approccio alla crisi ambientale non settoriale, in cui ogni singola crisi (i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, l’inquinamento, ecc.) sono visti in modo integrato, come parti di un’unica azione di pressione esercitata sulle risorse del pianeta. Chi ha familiarità con la newsletter di Agenda21Laghi ricorderà il modello dei “confini planetari” molte volte richiamato, che esamina i nove processi biofisici essenziali per la vira sul pianeta.

La crisi ecologica, poi, viene associata alla crisi sociale, particolarmente all’inequità, come è proprio del pensiero più evoluto, che non a caso ha incoraggiato le Nazioni Unite a dar vita ad un sistema di obiettivi ambientali e sociali insieme, chiamati SDG (Sustainable Development Goals).

Le cause delle due crisi sono attribuite a fattori economici e politici, la dominanza del cosiddetto paradigma tecnocratico, che si fonda sulla potenza della tecnica e diffonde il mito della crescita infinita e le abitudini consumistiche. Il Papa si scaglia più volte contro questo pensiero, invocando il limite che deve essere opposto, la subordinazione della proprietà privata agli interessi pubblici, la necessità di riconoscere e proteggere i beni comuni.

E’ interessante osservare che anche nel capitolo più dottrinale, il secondo, le argomentazioni principali sono dedicate a confutare l’idea antropocentrica dell’uomo dominatore (“Noi non siamo Dio”) e a sottolineare il “valore intrinseco del mondo”. Sembra di ascoltare una lezione di Scienza del Sistema Terra (Earth System Science), che studia il pianeta come un sistema complesso, con le sue regole di funzionamento, non manipolabile a piacimento come invece vorrebbe la scienza economica corrente.

Le soluzioni indicate sono certamente quelle veicolate dal pensiero della sostenibilità (fonti rinnovabili, efficienza energetica, protezione, agricoltura sostenibile, e così via), ma accompagnate da limiti e vincoli posti all’operare economico, fino a propugnare una forma di decrescita nei paesi più ricchi per lasciare spazio alla crescita dei più poveri.

Anche la politica è chiamata alle sue responsabilità, con la sollecitazione ad una governance dei beni comuni e al rafforzamento delle istituzioni internazionali, vista la sottomissione degli Stati nazionali agli imperativi della finanza.

Trovo però che il cuore del documento sia il capitolo finale, il sesto, che reclama una “rivoluzione culturale”, una “conversione ecologica”. Una sollecitazione ad uscire dal dominio delle ideologie consumiste ed individualiste per approdare a nuovi stili di vita, ispirati alle virtù della sobrietà e della semplicità, a ricercare l’equilibrio con l’ambiente, con sé e con gli altri, ad impegnarsi nell’azione sociale con lo spirito di apertura al mondo che viene dal rendersi conto che viviamo in un pianeta interdipendente e che condividiamo con l’intera umanità (e con le future generazioni) un destino comune.

Non manca, infine, una strigliata ai cristiani, alcuni dei quali “spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi”, invitati a “rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell’agire”.

In poche parole: gesti quotidiani, grandi strategie, cultura della cura.

                                                                                Fulvio Fagiani




lunedì 9 novembre 2015

MOSTRE CHE NON MOSTRANO


In alcune delle mostre che abbiamo recentemente visitato mi ha colpito la sostanziale disattenzione dei curatori rispetto alla effettiva fruizione di parte del materiale o dei messaggi esposti:
“ROMA E LE GENTI DEL PO”, a Brescia/Santa Giulia: didascalie e testi con colori a scarso contrasto, male ubicate e peggio illuminate; ottimi testi scientifici sulle audio/video-guide, ma sempre con l’immagine fissa dell’Archeologo o Sovrintendente (non sempre brillante dicitore) e pochissime immagini “extra”;
“MITO E NATURA. DALLA GRECIA A POMPEI”, a Milano/Palazzo Reale: parte iniziale con vetrinette in corridoi angusti e potenzialmente pericolosi; bellissimi affreschi con rappresentazione di giardini, da Pompei, visibili solo parzialmente e  indirettamente attraverso varchi verso una stanza attigua; gran finale con confronto tra reperti di cibi (sotto vetrina) ed immagini affrescati degli stessi, al di sopra delle vetrine, sostanzialmente invisibili per visitatori più bassi di metri 1,70;
“GAUGUIN” al nuovo Museo delle culture MUDEC di Milano/ex-Ansaldo: prima sala con pavimento, soffitto e pareti bruno-scure e seconda sala rosso-scura, talmente scure che – al di là delle opere, specificamente e ben illuminate – risulta praticamente impossibile leggere e talvolta anche solo scorgere i testi delle didascalie e dei commenti (ma con rischi anche per la deambulazione); i testi e le didascalie hanno gli stessi colori e la stessa illuminazione diretta nelle ultime due sale, con pareti e soffitti chiari, che pertanto riflettono e distribuiscono luce a sufficienza per la lettura di tutto quanto esposto.

La fatica ed il disagio che ne derivano a molti visitatori fa sfumare in secondo piano l’oggettiva qualità scientifica e spettacolare delle esposizioni (molto probabile nelle prime due mostre) e non consente di verificare la bontà dei criteri, come ormai spesso accade, NON-cronologici, assunti per la mostra su Gauguin, già non eccelsa quanto a rappresentatività dei pezzi raccolti.

PASOLINI


Nelle recenti commemorazioni di Pier  Paolo Pasolini, 40 anni dopo la sua uccisione, mi è sembrato che prevalessero gli atteggiamenti agiografici e santificatori (ben s’intende più facili ex post).

Riflettendo su talune sue affermazioni (non solo quelle in favore dei poliziotti e contro gli studenti di Valle Giulia), mi è parso che il suo anti-consumismo e la sua critica alla società fossero strettamente intrecciati a posizioni anti-moderne e talora francamente reazionarie:   Quelle che che amo di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Non lo dico per retorica, ma perché la cultura piccolo borghese, almeno nella mia nazione(ma forse anche in Francia e in Spagna), è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni, a delle impurezze. Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice. 

Accade di vedere talvolta negli archivi RAI (o di rammentarlo direttamente, per chi ha vissuto negli anni 50) il popolo genuino intervistato da Soldati, Gregoretti o Zavoli (o dallo stesso Pasolini, in “Comizi d’amore”), e di condividere istintivamente tale giudizio di Pasolini, soprattutto se confrontato con campioni di popolo televisivo contemporaneo, dal Grande Fratello in giù.

Ma le persone semplici degli anni 50/60 indubbiamente ambivano, per se e/o per i propri figli, andare oltre la quarta elementare, e dimenticare un presente e un passato di miseria-fatica-sfruttamento, e nell’insieme hanno avuto un certo successo nell’impresa (sia pure al costo di peggiorare il paesaggio umano delle successive tele-trasmissioni).

Persone semplici che facevano anche a meno dell’amore di Pasolini per il loro stesso “essere semplici” e che invece, magari, per come sono diventati “meno semplici”, hanno imparato ad apprezzarne di Pasolini i libri e i film (taluni dei quali, a mio avviso, di altissima poesia).


Resta il problema, per quasi tutte le correnti del pensiero anti-capitalista ed anti-consumista (ed oggi anti-globalista), di non riuscire ad essere molto popolari (da Marcuse a Latouche e Pallante), ed al contempo di rischiare di confondersi con l’anti-modernità dei populisti (penso al variegato schieramento anti-Euro ed anti-Europa), a cui però il capitalismo, purché “locale”, va estremamente bene (è di questi giorni Salvini a braccetto con Berlusconi, anche se quest’ultimo si intende parecchio di capitali, in Italia ed anche  all’estero).

HALLOWEEN E ALTRI RITI


A cavallo del week-end dei Santi&Morti ho seguito con interesse sia il confronto mediatico tra Gramellini e l’Arcivescovo di Torino sul deposito delle ceneri dei defunti (in casa propria oppure al cimitero: libertà individuale contro condivisione comunitaria del dolore), sia uno scambio locale di e-mail tra cattolici credenti riguardo ad Hallowen, di cui si biasimava il carattere mercantil-scherzoso e di importazione, rivendicando invece la bontà ed autenticità dei riti cattolici tradizionali (su cui ho purtroppo opportunità di ripasso in occasione dei funerali, dove mi pare di cogliere una modernizzazione della Chiesa, rispetto a modelli cultuali più macabri e ultra-terreni del passato).



Da sponde laiche ho letto la facile risposta “chi la fa l’aspetti”, riferita al vario sovrapporsi storico di feste e riti cristiani ai preesistenti feste&riti di altre religioni pre-cristiane.

Dentro a questo sovrapporsi stratificato nei secoli, negli ultimi decenni e dalle nostre parti la ritualità cristiana sembra perdere terreno rispetto ad usi e costumi consumistici (non solo Halloween: Natale, Pasqua, Ferragosto e tutte le stesse Domeniche), veicolati dai mass media e trainati dal principali modelli e produttori in materia, cioè gli USA, e quindi da una alternativa che è cresciuta all’interno di un mondo formalmente cristiano, ma fortemente secolarizzato e de-sacralizzato.

Mentre mi sembrano in disarmo tutti i tentativi di ritualità alternativa sorti in forme più antagoniste in Occidente, dal Settecento in poi, con matrici laico-socialiste o laico-nazionali: sia sul terreno più strettamente civile e politico (dal 4 novembre al 25 aprile al 1° maggio: gli ultimi 2 restano festivi, ma sono fruiti in prevalenza come ponti e week-end allungati), sia ancor di più nelle loro proiezioni sul terreno della sacralità, dalla Dea Ragione al Milite Ignoto, dai funerali civili  fino alle caricature dei “matrimoni comunisti” in voga negli anni ’70 tra i marx-leninisti di Servire-il-Popolo.



Si tratta comunque di processi non lineari, dove però mi pare che non vince chi sta fermo a difendere le trincee delle tradizioni in quanto tali, bensì chi le innova e contamina, dai Concertoni del 1° maggio alle Giornate Mondiali della Gioventù al cospetto del Papa, dai salmi e canti di Comunione e Liberazione alle iniziative molecolari di matrice ecologista, che trasformano la manifestazione in azione (puliamo qui e là, camminiamo parecchio, andiamoci in bici).



In questo ambito a mio avviso andrebbero monitorate specificamente le trasformazioni antropologiche che riguardano il “banchetto”, momento di congiunzione tra materia (cibo) e spiritualità (come già era in origine il rito cristiano poi confluito nella messa), non solo nella forma della identificazione collettiva (dove il parziale declino delle feste di partito è affiancato dalla continua crescita delle sagre locali, spesso fondate su “tradizioni” inventate ex-novo), ma anche nel fenomeno del culto della cucina, dei cuochi stellati, del prodotto genuino, che oltre ad imperversare in televisione,  permea di una nuova aura, quasi sacrale, anche il consumo privato, a casa ed al ristorante.  









  




lunedì 26 ottobre 2015

ANCORA SULLA TASI


Della tassazione della casa mi sono già occupato a lungo, per cui rischio di ripetermi; tuttavia mi girano per la testa alcune ulteriori considerazioni.



1 - La soppressione della tassa sulla prima casa costituisce ora il fulcro della legge di stabilità impostata dal governo Renzi e la cosa appare ormai praticamente decisa, perché l’opposizione annunciata dalla minoranza del PD, rimanendo nelle aule parlamentari, non potrà avere successo, non godendo di solide sponde esterne all’area governativa (come invece è stato in parte nel dibattito sulla riforma costituzionale).

Diverso sarebbe l’esito se la battaglia fosse condotta dentro la base elettorale del PD (a maggior ragione  se abbinata allo sconcertante tema della soglia per gli acquisti in contante innalzata a 3.000 €), ma non certo chiedendo a Renzi un referendum che non verrà concesso, bensì con una iniziativa autonoma e capillare dal basso, che però mancherà, come mancò sul cosiddetto “Job act”, e che  enuncio accademicamente, perché con questa sinistra Dem (ma anche con l’attuale sinistra extra-Dem) è pura fantapolitica.



2 - Sul merito della questione mi hanno colpito le argomentazioni in difesa del Governo portate non da NCD (cui basta rammentare che è una scelta di destra, come in effetti è), né dai Renziani-Doc, che possono anche permettersi di usare alti concetti quali “la sinistra Dem cerca occasioni di rivincita sul Congresso” (trascurando il fatto che la mozione di Renzi non scopriva le carte di tali futuri capovolgimenti di linea, seppur annusabili nelle varie Leopolde), bensì da vari Renziani-Di-Complemento, che cercano di sollevare la decisione all’ambito razionale (anche per far dimenticare il diverso orientamento assunto in passato): tra questi, il vice-ministro Morando, il responsabile economico della Segreteria Taddei, la vice-presidente del Senato Valeria Fedeli (VEDI DETTAGLIO IN APPENDICE).

Tutto questo zelo conformista nella maggioranza PD mi sembra preoccupante: qualunque coniglio Renzi estragga dal suo cappello a cilindro (e non certo dalle tesi approvate dal congresso) trova un immediato e bulgaro consenso nell’intero gruppo dirigente, probabilmente non previamente consultato, ed anche a costo di esporre argomentazioni contorte, tipiche dei preti-senza-fede, ma ben allineati alla Chiesa.

Sarebbe più onesto se i filo-governativi dicessero: con gli 80 € in busta paga del 2014 abbiamo aiutato lo strato medio-basso dell’elettorato; adesso andiamo a cercare i voti di ceti medio-alti, perché ci serve il loro consenso (si potrebbe forse nobilitare la manovra come “politica delle alleanze”). Continuerei a non concordare, ma almeno non mi sentirei preso in giro da tali grossolane mistificazioni.



3 – Qualcuno degli zelanti sostenitori si era spinto anche a  difendere la soppressione dell’IMU per grandi ville e castelli, classificate dal vigente zoppicante Catasto come A1 A8 A9, che poi Renzi demagogicamente  ha invece confermato (mentre giustamente i proprietari di storiche magioni sono sorretti da esenzioni fiscali quando restaurano beni vincolati).

La abortita riforma del Catasto avrebbe forse raddrizzato l’attuale guazzabuglio (che nasconde nella classe A2, ed anche più in basso, abitazioni in realtà signorili e rustici e casali molto ben ristrutturati).

In sua assenza, il problema non è di dare in pasto all’opinione pubblica la permanenza di una tassazione su poche prime case classificate ufficialmente di lusso, bensì di chi si avvantaggerà dei quasi 4 miliardi di € di esenzione della restante TASI: non certo i senza-casa, né gli inquilini, né i proprietari di case modeste (cioè la grande maggioranza della popolazione, che intanto, malgrado i famosi 80 €, paga la maggior parte delle tasse sul reddito). 



4 – Quasi nessuno parla più dell’aspetto centralistico della soppressione della TASI, con il conseguente finanziamento indiretto dei Comuni da parte dello Stato; in particolare sembra che non ne parlino i Sindaci e l’ANCI, che appaiono soddisfatti  della conferma per il prossimo anno dei trasferimenti dallo Stato senza ulteriori tagli (e senza nessuna garanzia per il futuro).

A me invece la abolizione  dei più consistenti tributi propri in favore degli enti locali pare una grave regressione rispetto ai modesti livelli di “federalismo fiscale” (e conseguente responsabilizzazione di bilancio per i Sindaci) che si erano raggiunti dopo decenni di retorica sul decentramento dei poteri, retorica non solo leghista (penso alla quasi omonima “Lega delle autonomie locali” che univa ed unisce comuni e provincie di sinistra dai tempi della Prima Repubblica).   




Appendice: ARGOMENTI PRO E CONTRO LA TASI

Senza ripercorrere le singole esposizioni della maggioranza PD, rilevo la presenza ricorrente di alcuni argomenti ed affianco  di seguito le mie risposte, che mi sembra sgorghino con facilità (e che assomigliano molto ai concetti espressi da  molti commentatori indipendenti e non anti-governativi, ad esempio su La Repubblica e su La Stampa):

A - Quanto poco pesano i 4 miliardi di € della TASI rispetto all’intero ciclo delle leggi di stabilità Renziane, dal passato (con i gloriosi 80 € in busta-paga) alle promesse per il futuro
A -  mi sembra che discutendo la stabilità per il 2016, i suddetti 4 miliardi siano il piatto forte, da cui non si scappa

B - Quanto i suddetti 4 miliardi siano contornati da tutta una serie di misure, per i poveri, per le case popolari, per le imprese, ecc. ecc.,  ognuna delle quali è quotata per meno di mezzo miliardo
B - quindi a mio avviso non contiene nessun segnale forte in alternativa (personalmente avrei apprezzato, invece del taglio ad alcune tasse, un grande intervento per il risanamento idrogeologico del paese) 

C -  Quanto poco sia affidabile il catasto, su cui si fonda la graduazione della TASI, per cui è meglio non farla pagare a nessuno
C - argomento irricevibile da parte di un governo  che ha appena affossato (senza pubbliche motivazioni né indicazioni alternative) la riforma del catasto, decreto delegato a cui i governi hanno lavorato per anni e che era pronto per essere applicato (portando un po’ di equità anche nelle seconde e terze case)

D - Quanto sarebbe erroneo mischiare criteri di reddito, in una ipotetica conservazione e riforma di una TASI più equa, perché i furbi che evadono/eludono l’IRPEF ne sarebbero avvantaggiati
D -  sopprimendo del tutto la TASI (e non riformando il catasto) sono comunque ancor piu’ avvantaggiati

E - Quanto sia estesa la proprietà della casa, per cui diffusi saranno i benefici ed i conseguenti aumenti dei consumi, volti a compensare il probabile calo della domanda estera
E - ma la TASI pesava in modo progressivo in funzione al valore delle case, per cui la sua soppressione libera risorse soprattutto per i ceti medio-alti, la cui propensione ai consumi è frammista al risparmio e alla speculazione finanziaria (come si è già visto con le precedenti sospensioni berlusconiane dell’IMU) 

F - Quanto i benefici siano estesi anche agli inquilini, per la loro piccola quota di TASI
F - si trascura il fatto che la spesa per gli affitti non è detraibile dall’IRPEF (come invece sono i costi dei mutui)

G -  Per finire, sull’Unità del 24 ottobre, un trafiletto anonimo riporta in modo parziale alcuni dati statistici elaborati dalla (solita) CGIA di Mestre, evidenziando che la maggioranza dei proprietari di casa sono “pensionati-operai-impiegati” ma omettendo quanto la CGIA espone riguardo alla quota parte di proprietari tra i ceti medio-alti (prossima al 100%) e la minor quota tra i suddetti “pensionati-operai-impiegati” (tra i quali molti di più sono gli inquilini)
G - si veda la stessa fonte CGIA come riportata da Repubblica; e soprattutto si rammenti che l’attuale esenzione TASI già raggiunge buona parte dei ceti medio-bassi, per cui il premio della soppressione del tributo va quasi totalmente in tasca ai medio-alti, che ovviamente hanno case di maggior valore


domenica 25 ottobre 2015

EXPO E CODE


Sto continuando a non andare all’Expo.

Mi congratulo con il successo organizzativo e l’imponente afflusso, nonché con la contestuale brillante vivacità di Milano.

Tuttavia mi sembra che non sia redimibile il peccato originale di sacrificare un chilometro quadrato di residuo verde agricolo proprio per celebrare il tema della nutrizione del pianeta.

Tema che risulta sia stato affrontato ed approfondito anche correttamente in parte dei padiglioni e delle manifestazioni connesse all’Expo (penso ad esempio all’iniziativa di Carlin Petrini), ma che complessivamente ne esce sfuocato e slabbrato, sia per le ambiguità e genericità della “Carta di Milano” (come ha puntualmente criticato la Caritas), sia per il prevalente carattere di fiera&mercato della manifestazione nel suo insieme.

D’altronde non mi commuove l’insediamento seriale di una accozzaglia di capannoni variamente personalizzati come esempio di urbanistica o di architettura per il futuro delle città.

L’esperienza mi è sembrata invece valida sotto il profilo della ”gestione grandi eventi”, ammesso che di grandi eventi ci sia bisogno e concesso che comunque se ne faranno ancora (Expo, Olimpiadi, Fiere, Giubilei).

In particolare mi ha colpito l’enorme dimensione, disciplina ed efficienza delle code, sopportate da gran parte dei visitatori per riuscite ad entrare (chi poi ci riesce) oltre che nell’area Expo, anche nei padiglioni più prestigiosi.

Buon motivo di riflessione antropologica: chi accetta le code mi appare assai diverso dagli automobilisti sempre più nevrotici che incontro assai spesso, dalle piazze incazzate dei servizi giornalistici televisivi, dall’anti-politica che sprizza dai sondaggi; chissà se chi aspetta disciplinato il suo turno fuori dal padiglione Italia pensa anche, come il compianto ministro Padoa Schioppa, che pagare le tasse sia bello?

Le code sono un altro buon motivo, per me, per continuare a non andare all’Expo.

Malgrado possano essere occasione per interessanti indagini sociologiche.

Perché comunque non mi piace stare in coda per ore (mentre sono tra quelli che pagherebbero volentieri ancora la TASI).

SABOTAGGIO ?


Superato l’aspetto penale e accantonata la difficile questione dei limiti alla libertà di espressione, poiché Erri De Luca ha tirato in ballo, per difendersi lessicalmente, Mandela e Ghandi, sul tema del “sabotaggio”,  mi permetterei di porre all’attenzione un problema di sostanza politica.

Mi pare di ricordare che per Ghandi (da sempre) e per Mandela (da una sua svolta politica in poi) fosse discriminante la non-violenza come necessario metodo di lotta, anche arrivando al “sabotaggio” contro il potere avverso.

Non mi sembra invece che tale discriminante sia considerata né da Erri De Luca (da sempre), né dalla parte più combattiva del movimento NoTav.

Conservo qualche dubbio sull’efficacia della non-violenza di fronte a poteri assolutistici quali il Nazismo e l’odierno Califfato Islamico.

Ma se ha funzionato contro il colonialismo inglese e contro l’apartheid sudafricana, dovrebbe a maggior ragione essere applicabile nei confronti di “democrazie  occidentali”, seppur dedite a grandi opere ferroviarie invise a parte della popolazione di una valle (la stessa valle dove tra l’altro si sta pacificamente concludendo il raddoppio di un traforo autostradale).


martedì 13 ottobre 2015

QUALCOSA DI DESTRA


Quando rischio di dimenticarmi la mia distanza dal renzismo, perché governo e maggioranza propongono  cose di sinistra (ius soli, proposta di ammortizzatori sociali europei) o almeno di centro (unioni civili, discreto raddrizzamento della riforma costituzionale), Matteo Renzi arriva puntuale a ricordarmelo, dicendo o facendo qualcosa di destra: dopo la ribadita abolizione della TASI sulle prime case dei ricchi, l’innalzamento a 3.000 € del limite per gli acquisti in contanti.

venerdì 18 settembre 2015

POLITICA-SPETTACOLO


1 -  La politica-spettacolo non è una novità.

Soprattutto le tirannie degli antichi regimi (e connesse religioni) e le moderne dittature hanno utilizzato ampiamente sfarzo, imbonitura e propaganda per affiancare, al timore, il consenso tra gli strumenti del potere (vero in parte pure per gli oppositori).

Ed anche le moderne democrazie non hanno disdegnato di valorizzare ed esaltare elementi simbolici ed irrazionali nella ricerca ed aggregazione del consenso; penso ad esempio a Churchill, Roosevelt, De Gaulle, ma anche a personalità più austere e riservate come De Gasperi o Togliatti.

Con l’avvento della televisione (e poi di Internet) è stato ampiamente verificato e teorizzato lo strapotere dei nuovi media nella formazione del consenso, elettorale e para-elettorale (sondaggi) in regimi considerati democratici, dalle Americhe (del Nord e del Sud) all’Estremo Oriente, passando anche per l’Europa, con Berlusconi tra i paradigmi sommi.

Tuttavia la spregiudicatezza di Renzi su questo fronte riesce ancora a stupirmi, soprattutto quando va oltre la messinscena ed intacca la sostanza programmatica dell’azione di governo.

Mi riferisco ancora una volta all’iper-annunciata abolizione della tassa sulla prima casa (TASI, già IMU ed ICI), abolizione della cui iniquità ed inefficacia (come già ho scritto) sono assai convinto, confortato dall’opinione di importanti commentatori ed autorità indipendenti, o addirittura abbastanza filo-renziani, come l’industriale e politico  Riccardo Illy.

Qualche giorno addietro, al convegno di Cernobbio, rispondendo alle sensate obiezioni di Illy, Renzi avrebbe argomentato che la TASI  va abolita per come è percepita dai contribuenti e perché così la sua abolizione creerà fiducia nella ripresa economica.

La percezione pertanto diviene più importante della realtà, e la fiducia viene cercata – esplicitamente – sulle emozioni e non sulle ragioni.

Ed il Governo, di fronte ad altre valide alternativa, e comunque sempre in carenza di mezzi, si prepara a togliere 5 miliardi – e responsabilità fiscali dirette - ai Comuni (quindi a tutti i cittadini, compresi inquilini, sfrattati, senza casa) per regalarne 4 ai cittadini più ricchi e più propensi a consumi di lusso e ad investimenti speculativi (senza benefici per il ciclo economico, come hanno dimostrato le precedenti cancellazioni berlusconiane dell’IMU sulla prima casa); e torna  a far dipendere gli enti locali dalle elargizioni del governo centrale (con tasse pagate da tutti quelli che le pagano, lavoratori dipendenti e pensionati in testa a tutti).

(Affossando nel contempo la riforma del catasto, che avrebbe dovuto portare equità anche nella tassazione di tutti i fabbricati, comprese le seconde e terze case).

Mi chiedo se il ruolo di un leader (di una moderna sinistra europea) sia quello di correre dietro ai pregiudizi, per avere voti e fiducia, oppure quello opposto di acquisire fiducia perché dimostra, con la ragione, di avere giudizio.










2 – Spinto dalla tragedia dei rifugiati e degli altri migranti in viaggio verso il cuore dell’Europa, ed in parte anche grazie agli ambigui contenuti dell’EXPO sulla nutrizione del pianeta, il tema del rapporto tra la ricchezza dell’Occidente e dell’Europa e la povertà di troppi popoli degli altri mondi è tornato in qualche misura di attualità, dopo anni di sostanziale eclissi, accentuata a seguito della crisi che dal 2007 ha colpito anche del nostro mondo, soprattutto a danno dei meno ricchi.

Eclissi che ha significato, per i governi di centro-destra del ciclo berlusconiano, un drastico taglio degli aiuti alla cooperazione internazionale, in spregio agli impegni assunti ed alla faccia degli slogan anti-migranti “aiutiamoli a casa loro”.

E che ha significato, per le forze del centro-sinistra, una sostanziale disattenzione, a parte forse Romano Prodi (e Tabacci), come ho potuto più volte rilevare studiando e criticando le mozioni ai vari congressi del PD, dopo Valter Veltroni ed i suoi iniziali vagheggiamenti filo-africani (presto dimenticati da Veltroni stesso): argomento totalmente assente nella mozione vittoriosa di Renzi (e – mi pare – più in generale nelle retoriche della Leopolda), ma anche in quella di Civati, e solo ritualmente richiamato in quelle di Cuperlo e di Pittella.

Quindi non posso che rallegrarmi nel vedere riaffiorare una corposa corrente solidale nell’opinione pubblica europea, anche se nasce dalle emozioni (anziché attraverso ragionate mozioni), e posso addirittura apprezzare perfino il duetto mediatico tra Renzi e Bono Vox contro la fame nel mondo.

Vedo però il rischio che ci si fermi ad una momentanea politica-spettacolo (oppure alla valutazione sui possibili interessi dell’Italia a posizionarsi bene commercialmente in relazione ai frammenti più dinamici del continente africano), e che continui a mancare, tra le forze politiche italiane ed europee(*)  una riflessione profonda sui nessi tra la prosperità (diseguale ed indebitata) dell’Occidente e la miseria dei popoli più subordinati od emarginati nella globalizzazione, nonché tra tale groviglio di contrapposizioni sociali e la crisi ecologica del pianeta, arrivando a mettere in discussione il dogma della continua crescita del PIL.

Nessi che invece sono ben chiari, pur in assenza di una alternativa complessiva e capace di egemonia, presso singoli intellettuali e organizzazioni minoritarie, da Carlin Petrini a Serge Latouche, alla galassia della sinistra; e mi sembra siano molto chiari anche nella recente enciclica di papa Bergoglio (testo su cui mi riservo di tornare analiticamente).    

(*) basti pensare che tra i paesi dell’est-Europa più contrari ai rifugiati e migranti vi sono Cekia e Slovacchia, ai cui governi partecipano i locali partiti aderenti al PSE!




3 – Autocritica?

Trovandomi a criticare l’altrui politica-spettacolo, mi viene da riflettere sull’esperienza di politica attiva che in varia forma ho vissuto lungo il decennio 67-77, nei movimenti e nei gruppi della sinistra di allora.

E devo ammettere che – dapprima inconsapevolmente, facendo spettacolo dei nostri stessi bisogni esistenziali - e poi più consapevolmente, inventando slogan, immagini, manifestazioni, in quei movimenti ed in quei gruppi molto spesso abbiamo puntato sulle emozioni e non solo sulle ragioni, o meglio sulle emozioni per promuovere le ragioni, costruendo, con mezzi poveri e militanza capillare, con il contagio dell’esempio tra simili, una macchina comunicativa poderosa, anche se infine perdente o comunque storicamente sconfitta.

Mi sembra di ricordare, però, che ci fosse tra noi l’attenzione ad un limite nella possibile demagogia, un dibattito sulle rivendicazioni (che non tutte fossero comunque buone, anche se avevano un potenziale seguito), e soprattutto un rifiuto della strumentalità e della confusione tra i fini ed i mezzi: sia che si trattasse di opporsi a talune mediazioni tipiche della sinistra tradizionale (svendendo le lotte per posizioni di potere), sia di esibire o non esibire il disagio ed il dolore delle persone in funzione della propaganda (il cinismo dei talk shaw televisivi è venuto dopo e spero non da noi).

I miei ricordi sono corretti o distorti da un’ansia senile di auto-assoluzione?

E certamente non è esistito più di tanto un “noi” la storia di quel decennio deve essere analizzata studiando correnti e  frammenti, ben oltre lo spazio di questo testo.

E poi, perché siamo stati sconfitti? (innanzitutto dall’estremismo armato cresciuto al nostro fianco). Perché il progetto era sbagliato (probabile) o anche perché eravamo troppo sinceri?