ALTRI MIEI TESTI PUBBLICATI

INDICE:
IN GRASSETTO I TESTI DI SEGUITO RIPRODOTTI


1 - Intervento al convegno "La gestione urbanistica: la legge 56 e Programma Pluriennale di attuazione" - Torino 1978 - pubblicato su "Il Programma Pluriennale di Attuazione in Piemonte" - a cura di Barbieri-Bedrone-Corsico-Torretta - edito a cura di INU e Lega per le autonomie e i poteri locali - editrice "La cartostampa" - Torino 1978

2 - Articoli in materia urbanistica sulla stampa locale ("Il Sancarlone" - Arona, 1980-89 e 97-98)

3 - Partecipazione a volumi collettivi, relativi a Sesto Calende:
3.1  - “La dinamica degli insediamenti nel territorio di Sesto Calende attraverso la cartografia storica, tra Sette e Novecento”, con Cristiana Colombo (pubblicato nel volume collettivo “Sesto Calende e dintorni – studi storici in memoria di Elso Varalli” – Nicolini Editore, Gavirate  1998)
3.2 – “La morfologia urbana di Sesto Calende dal ‘700 ad oggi” (pubblicato nel volume collettivo "Architetture nel segno dell'acqua", a cura del prof. Luciano Crespi (Alinea Editrice - 1998)
3.3 – “Le ragioni di un progetto” (pubblicato nel volume “L’architettura della normalità -  progetti di case unifamiliari a Sesto Calende”,  a cura del prof. Luciano Crespi – Libreria CLUP, Milano 2003)

4 - Articolo su "Edilizia e Territorio" n° 9/Marzo ’99 (“Il sole/24 ore") in merito a sportello unico e semplificazione procedure edilizia privata (2000), con arch. Daria Mercandelli                                   
5 – Articolo su “Urbanistica Informazioni” N° 164/Aprile ‘98  “Il PTCP del Verbano Cusio Ossola”                                                                                                                                     

6  - Articolo su “Parco Ticino” n°2/2001 – Giugno 2001 “Piane del Lenza e di Oneda: le Prealpi nel Parco”                                                                                                    

7 – Articolo su “Urbanistica Informazioni” n° 181/2002 su destinazioni d’uso in LR 1/01, con arch. Daria  Mercandelli  

8 – Contributo tematico par il Seminario della Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti e I.N.U. Lombardia in data 15-11-2002 sulla nuova legge regionale per il Governo del Territorio, pubblicato su “AL – Mensile di informazione degli Architetti Lombardi”, n° 1/2003                                                                               

9 - Articolo su “Urbanistica Informazioni” n°  198/2004 su Piano Paesaggistico Comunale Sperimentale di Sesto Calende

10 - Articolo su “Urbanistica Informazioni” n°  217/2009 su Piano Territoriale e Paesaggistico Regionale lombardo


11 - Articolo su “Urbanistica Informazioni” n°  229/2010, con Anna Maria Vailati,   “Dalla casa sostenibile alla città sostenibile” 
RIPRODOTTO IN ESTRATTO NELLA PAGINA "APPENDICE - I"




TESTI:

3.3 – “LE RAGIONI DI UN PROGETTO” (PUBBLICATO NEL VOLUME “L’ARCHITETTURA DELLA NORMALITÀ -  PROGETTI DI CASE UNIFAMILIARI A SESTO CALENDE”,  A CURA DEL PROF. LUCIANO CRESPI – LIBRERIA CLUP, MILANO 2003)
Il tema dell’esercitazione svolta, se ho ben capito, è. ”Come costruire, come progettare”, facendo tesoro tra l’altro del testo di Luciano Crespi e Luigi Trentin ”Il meno e il più”. I progetti dei singoli fabbricati assegnati si fondano su di una sorta di “Piano Particolareggiato” o “Piano di lottizzazione” predisposto dai docenti, in (parziale) accordo con l’Amministrazione Comunale, ma non in attuazione del Piano Regolatore Generale vigente dal 1985, bensì come simulazione preventiva dei possibili esiti “fisici” della revisione dello stesso P.R.G., (che il Comune ha messo in cantiere dal 1996 – anche attraverso un pubblico “concorso per idee” – ma che non ha ancora concluso, per vari motivi, che più avanti illustrerò).
Attualmente questa zona, già classificata “agricola”, benché ricca di insediamenti extra-agricoli, risulta normata come zona “a verde privato vincolato”, cioè sta in una sorta di “limbo” tra le zone urbane e le effettive zone agricole, tutelate anche dal Parco del Ticino, che stanno più all’esterno. Ritengo opportuno cercare di impostare le risposte alle seguenti domande, che stanno a monte del come progettare, e però con esso si influenzano reciprocamente: “Perché costruire? Per chi costruire?”, ed anche “Perché e quando costruire qui?”.

Perché e per chi costruire
Anche se molti teorici dell’urbanistica sostengono la fine della fase espansiva delle città e ritengono che ci troviamo in una fase di prevalente ristrutturazione delle aree urbane metropolitane (additando il grandioso processo di riconversione delle aree industriali dismesse), è però vero che nel frattempo:
- sia nel centro che nella periferia della metropoli sono crescenti gli spazi agricoli trasformati per funzioni terziarie e di servizio, pubblici e privati, dagli aeroporti (da queste parti Malpensa ed indotto) alle autostrade, dai centri commerciali ai parchi tematici, dalle università agli impianti sportivi;
- mentre la funzione residenziale decresce nelle città grandi (es. Milano città) e medie (es. Varese, Gallarate-Busto-Legnano), parte della popolazione si sposta verso i piccoli centri, meglio se “ameni”, e cerca case per lo più nuove ed a densità medio-bassa (palazzine, villette a schiera, villini, e – per chi può – anche villoni); anche all’interno dei piccoli centri si riscontra una continua tendenza all’aumento del numero delle famiglie, molto maggiore del modesto incremento demografico (fondato, questo sulla immigrazione extra-comunitaria e su una debole ripresa della natalità):
- tale tendenza è affiancata da una ricerca di un miglior assetto abitativo privato, sia qualitativo che quantitativo, il che nell’insieme porta ad avvicinarci ad una media di 2 stanze per abitante, contro lo standard classico di 1 stanza per abitante, su cui si era fondato il razionalismo ed – in Italia – la lunga fase della ricostruzione, dal dopoguerra fino al “boom” degli anni ’60 ed alle lotte per la casa degli anni ’70;
- l’offerta immobiliare tende ad assecondare queste dinamiche dell’utenza, offrendo nuove case in proprietà nelle periferie (oppure nei recuperi qualificati) e riciclando l’usato, anche in affitto, per le fasce più deboli della domanda (immigrati, pensionati poveri, single marginali, ecc.).
Questi fenomeni appaiono inarrestabili, e comunque nessuno si sta cimentando per arrestarli sulla scala adeguata, che è almeno regionale, se non addirittura “globale” (su un dossier di “Urbanistica Informazioni” vi erano interessanti statistiche circa il processo di consumo del suolo nella stessa super-pianificata Emilia-Romagna); nel contempo altri paesi, regioni, nazioni, sono in declino e si spopolano (anche in molte valli a qualche decina di chilometri da qui).
(Non sarebbe forse impossibile affrontarli con una diversa politica economica e fiscale, mentre qualcuno si illude di far volare gli stracci - cioè le ultime code di questi processi - schierando la Marina Militare …..).
Pertanto qui, nei margini “ameni” dell’area metropolitana lombarda, ogni Comune cerca di arginarli come può e come vuole, nella consapevolezza che la restrizione dell’offerta di aree edificabili, tramite i Piani regolatori, può virtuosamente indirizzare la domanda verso il recupero del patrimonio edilizio pregresso (centri storici, cascinali ex-agricoli, aree industriali dismesse), ma soprattutto  determina lo spostamento dei flussi demografici ed edilizi verso i comuni vicini, che si fanno meno scrupoli, e ne incassano i benefici in termini di oneri di urbanizzazione ed ICI, cioè le più dinamiche fonti di sostentamento dei comuni stessi: ad esempio Sesto Calende, che aveva più di10.000 abitanti negli anni ‘70-80, sta lentamente riavvicinandosi a questa soglia, ma è quasi stata raggiunta dai comuni confinanti di Castelletto e Vergiate, che ne avevano 7.000 20 anni orsono. E’ quindi abbastanza chiaro, almeno per me, che si costruisce nelle periferie perché molti vogliono e possono abitare meglio, e che si costruiscono ville e villette per chi può permetterselo: famiglie giovani (con accumulazione inter-generazionale alle spalle) o meno giovani del ceto medio, allargato ai settori ricchi della classe operaia, che si riconosce ormai poco come “classe” (cioè con omogeneità di comportamenti e “sentimenti”), ma che continua ad esistere; al suo interno è poi molto diverso il caso di famiglie con pochi salariati (e – ad esempio – pochi studenti) o viceversa, tra chi ha l’eredità dello zio prete e chi invece una nonna invalida a carico.
Alla faccia del “risparmio del consumo di suolo”, si costruisce su aree agricole o ex-agricole, perché è ormai modesto il valore economico rurale di tali aree – qui nella pianura asciutta e nelle prime colline (mentre nella bassa Lombardia i centri abitati sono molto più compatti e contenuti – e sia perché la domanda di abitazioni di una certa qualità supera l’offerta derivante dall’insieme delle città consolidate, e sia perché – alla faccia della qualità dell’aria – tutti continuano a contare sull’automobile per muoversi tra casa e lavoro, tra casa e servizi, tra casa e divertimenti. Nel nostro caso però, quando ci sentiremo costretti o maturi per nuovi insediamenti periferici, speriamo almeno di limitare i danni, rendendo conveniente - con opportuni parcheggi ed anche con nuove fermate ferroviarie, di cui una vicina a questo quartiere, (se la Regione e le aziende ferroviarie ci assecondano con una adeguata offerta di corse e realizzando queste stazioni, come già si fa non solo oltre le Alpi ma anche a Roma ed in Veneto) il trasbordo sul treno, almeno quando il lavoro o i servizi sono nel cuore delle aree urbane inquinate; più in generale questa politica è possibile, aumentando il pedaggio di certe tratte autostradali – ad esempio la barriera di Lainate  - e diminuendo il prezzo dei biglietti ferroviari (ma si sta facendo l’opposto).

Dove e quando costruire
Nelle tavole elaborate da uno studio fatto dal Comune di Sesto Calende, che è stato messo a disposizione di questo corso si possono leggere i principali fenomeni nella trasformazione del territorio comunale negli ultimi tre secoli (elementi in parte illustrati anche all’interno del volume “Architetture nel segno dell’acqua”, relativo al laboratorio curato dal prof. Luciano Crespi in questo Comune):
I fenomeni più rilevanti messi in luce sono:
- il crescente frazionamento delle proprietà dei suoli, dopo il tramonto del potere nobiliare e dei grandi Enti di beneficenza, e la faticosa crescita della città pubblica (la ricchezza privata delle ville e villette non è accompagnata da un equivalente crescita dei servizi urbani);
- la decrescente importanza ed articolazione delle attività agricole (gli agrimensori austro-ungarici davano molta importanza a sottili differenze fiscali tra una coltura ed un'altra, ad esempio il “prato liscato” oppure il “prato vitato”);
- il rapporto tra insediamenti e vie di comunicazione, dapprima naturali, come il fiume ed il lago, e poi sempre più artificiali, dalla sistemazione delle strade alzaie per il traino dei barconi alla “ferrovia a cavalli” (per lo stesso scopo), fino alle moderne ferrovie ed autostrade: nel mezzo l’asse del Sempione napoleonico (con grande importanza per Sesto come luogo di traghetto, persa invece con la costruzione del Ponte, che però rappresenta tuttora la principale ”icona” del ns. territorio);
- nel secondo Novecento, fino ai primi strumenti urbanistici degli anni ’70, il rapporto tra motorizzazione, rete stradale, ed esplosione degli insediamenti (sprawl urbano);
- l’industrializzazione e (anche se apparentemente “non si vede”) la de-industrializzazione. Si vedano: il settore tessile storico (ai margini della seta comasca/prealpina e del cotoniero di Gallarate/Busto), ormai scomparso, salvo nel comparto confezioni, ed i “Mulini” che danno il nome al quartiere in esame (non so bene cosa macinassero), ambedue legati ai salti d’acqua dei corpi idrici minori; il vetro, con origine nei sassi silicei e nelle vie d’acqua, con una sua storia eroica (vedi testo sul recupero area AVIR), ma con poco indotto; l’aeronautica, il cui insediamento è legato al lago per la scelta degli Idrovolanti, tipica di un Italia povera, che nacque (e si sviluppò con oltre 10 stabilimenti SIAI nel raggio di 30 chilometri, e migliaia di operai, durante la guerra) e morì come “industria protetta”, prima per il protezionismo e la connessione al militarismo fascista, poi nell’ambito dell’industria di stato: con un maggior indotto, e gemmazione di piccole e medie imprese metalmeccaniche, ma anche tutto sommato con una scarsa dinamica imprenditoriale complessiva a livello urbano, proprio per l’inerzia della grande industria “ministeriale”;
- de-industrializzazione: gli insediamenti tessili sono stati sostituiti per lo più da attività meccaniche (tra queste una parte del ciclo degli orologi Swatch); la Vetreria, chiusa nel 1996, è oggetto del suddetto libro “Architetture nel segno dell’acqua”, dove si può anche leggere, nel contributo di Mario Varalli, come la vendita dei pacchetti azionari degli antichi cooperatori vetrai, negli anni ‘60 abbia accelerato la costruzione di villette e villini nei quartieri periferici; gli stabilimenti SIAI-Marchetti e connesse strutture militari hanno avuto diverse sorti: la grande crisi del dopoguerra fu ammortizzata dal Consiglio di Gestione, che cercò di riconvertire le fabbriche a produzioni civili, e di ammorbidire l’atterraggio dei lavoratori espulsi (prima chi aveva due mucche, una mucca, ecc.: anche da ciò un certo sviluppo di aziende artigianali nell’intorno); la sede centrale SIAI è anch’essa dismessa dal ’96, ed il suo recupero può apparire meno urgente di quello della Vetreria, perché l’area è più defilata e racchiusa, ed i fabbricati sono meno cadenti;
- l’avvento della pianificazione urbanistica e territoriale: con il Programma di Fabbricazione del 1976, che costituisce soprattutto un momento di contenimento dopo la grande fase di espansione disordinata; il Piano  Territoriale di Coordinamento del Parco Ticino, che traccia attorno ai centri abitati un perimetro massimo di espansione (perimetro di Iniziativa Comunale), per fermare i processi di saldatura e “conurbazione” tra i diversi nuclei urbani; il Piano Regolatore del 1985, che restringe ulteriormente il suddetto perimetro di Iniziativa Comunale e si incentra sul completamento dei vuoti interni al precedente processo espansivo, con concentrazione della “città pubblica” a nord del capoluogo; la revisione del PRG, in parte realizzata con alcune varianti-stralcio (zone produttive, idrogeologia e paesaggio agrario, commercio e aree per servizi), che si dovrà occupare  soprattutto dei vuoti residui nelle zone B ecc. dell’attuale P.R.G., cercando una nuova qualità, - dei margini sbocconcellati verso le aree agricole (zone I come quella in esame), - dei nuovi vuoti costituiti dalle suddette (ed altre) aree industriali dismesse, - di viabilità, ambiente, rumore.
C’è evidentemente un rapporto tra il possibile completamento urbano nelle attuali zone I ed il recupero delle aree industriali dismesse, : in particolare, poiché in aree come l’ex-Vetreria si ipotizza di introdurre anche una discreta quota di residenza (variando il PRG attuale, che prevede solo terziario,  mediante programmi complessi quali il PRUSST ed i P.I.I., da approvare con Accordo di Programma), i tempi per investire nelle zone I si allungano. Tuttavia, poiché i ragionamenti che intendiamo avviare sulle attuali zone I sono piuttosto complessi, ci interessa elaborarli con vasto anticipo, ed in questo quadro ci viene utile la simulazione progettuale effettuata dal corso, anche per le impressioni che potrà suscitare nella popolazione interessata.
L’attuale normativa delle zone I a “verde privato” consente in teoria anche la realizzazione di nuove attrezzature sportive e simili, ma in pratica è utilizzata solo per i recuperi e gli ampliamenti degli edifici preesistenti, residenziali od artigianali. Questo assetto non garantisce che permangano aree verdi “di qualità”: i terreni che non servono come diretta pertinenza delle costruzioni rischiano di rimanere incolti e di degenerare in boscaglia marginale. L’equilibrio cui si tende con la revisione del PRG, attraverso gli istituti della “perequazione” (indice di edificabilità territoriale, piuttosto basso, assegnato a tutti i terreni che non siano colpiti da oggettive inedificabilità per vincoli idrogeologici o di altra natura), comporta: per un verso la progettazione di limitati completamenti edilizi, che contribuiscano a dare un senso alle sfrangiature periferiche (e ad assorbire i diritti volumetrici assegnati nell’intero quartiere); per l’altro verso la promozione di forme giuridiche precise per conservare stabilmente le restanti aree verdi come prati o giardini (o anche boschi, quando è il caso,  oppure aree attrezzate per il gioco e lo sport): in parte come verde privato condominiale (ci sono pochi istituti immutabili quanto i regolamenti condominali), in parte come “standard” verde di uso pubblico (ma non necessariamente di proprietà pubblica e con manutenzione comunale).
Nella riqualificazione dei margini periferici entrano anche altri temi che non si possono qui approfondire, come il completamento delle reti di urbanizzazione primaria, sia in sottosuolo (fognature, acquedotti, metano, ecc.) sia in superficie (strade, parcheggi, illuminazione, percorsi ciclo-pedonali). L’area della via Impiove è già stata interessata dalle esemplificazioni progettuali di due tra i quattro vincitori del concorso di idee per il P.R.G.: il gruppo dell’arch. Montagna, che ha privilegiato l’aspetto della continuità del verde come “rete ecologica” (nell’ambito più ampio della continuità “post-agricola” del verde peri-urbano) ed il gruppo Giuliano-Tosi, che ha proposto una ricucitura in termini di “città rada”.
L’argomento che mi aspetto venga affrontato, oltre al tema più generale delle abitazioni a bassa densità, è quello della ricerca di “identità” del quartiere, sia come spazi e funzioni collettive, sia come tipolgia edilizia e morfologia urbana caratterizzanti. Lo schema planivolumetrico elaborato dai docenti del corso va in questa direzione, anche se non lo condivido pienamente (ma sia la proposta che il mio commento rientrano nella libertà di pensiero propria delle attività accademiche), per i seguenti motivi: il rapporto con il paesaggio è in prevalenza quello “attivo”/consumistico (fruire del paesaggio da parte dei nuovi insediamenti) e non quello “passivo”/sostenibile (come i nuovi insediamenti mutano il paesaggio percepibile in loco); il “fuso verde” tra via Impiove e l’alveo della roggia (disseccata dalle opere autostradali) potrebbe anche rimanere tutto verde, compensando (nelle suddette modalità perequative) edificazioni complementari alle sfrangiature sul lato opposto della via Impiove, ma nel rispetto del “corridoio paesaggistico” tra SS 33 e Cascina Impiove (un siffatto intervento potrebbe finanziare ed utilizzare una nuova viabilità, parallela a Nord alla via Impiove, probabilmente necessaria: vedi schema Giuliano-Tosi); gli insediamenti proposti invece trascurano il problema della accessibilità (la via Impiove difficilmente può essere allargata; meglio sarebbe ridurla a senso unico, ricavando nella carreggiata attuale una banchina ciclo-pedonale: ma per fare questo occorre individuare idonei percorso di ritorno, non troppo lunghi); da ultimo, nel dettaglio, mi sembra che la fila delle villette sul lato ovest della corte maggiore, di fronte alla cascina Impiove, dovrebbe essere traslato all’esterno, allineandosi con le propaggini rustiche ivi esistenti.

Alcuni cenni sul come
A conclusione di queste considerazioni vorrei toccare brevemente alcuni  altri temi che ritengo di un certo rilievo.
Uniformità e varietà: apprendo che i docenti, oltre alle prescrizioni plani-volumetriche,  dimensionali ed alle correnti normative igienico-edilizie, hanno imposto il solo vincolo uniforme della modalità costruttiva con muri portanti (anche se vigileranno, forti del loro potere di valutazione, sulla qualità dei risultati); ho qualche timore, perché la eterogeneità delle soluzioni, in un assemblaggio di oggetti edilizi di piccola dimensione, rischia di produrre chiassose dissonanze e nessuna armonia o comunque composizione di insieme (non sono contrario che ognuno si vesta come gli pare, ne deriva una folla variopinta e simpaticamente colorata, che però ad una cert’ora va a casa, e lascia il paesaggio nel silenzio; invece le costruzioni di tutti i geometri e gli architetti delle periferie restano lì a stonare ogni ora di ogni giorno per molti anni); la faticosa ricerca del Comune, con i singoli piani attuativi dell’attuale PRG, ed a maggior ragione con la revisione, è invece quella di guidare le variazioni sul tema, imponendo di volta in volta alcuni caratteri tipologici comuni (coperture, paramenti, serramenti, pertinenze e recinzioni, ecc.), anche perché nella rincorsa a posteriori ai singoli progettisti ed ai loro committenti, l’ufficio tecnico e la commissione edilizia hanno molto meno influenza di quella esercitata dai docenti sugli studenti.
Riferimenti tipologici 1: non so se è corretto cercare esempi virtuosi alla scala dell’intero comune: noi lo abbiamo fatto per alcuni piani particolareggiati (PIP e PEEP), che però avevano come oggetto interventi di dimensioni più rilevanti che non singole villette, come la soluzione progettuale “a capannoni seriali in blocchi a vista” per la zona industriale (che ha alle spalle una ricerca su tutti gli insediamenti industriali nel territorio comunale), e qualcosa di analogo abbiamo fatto per l’edilizia pubblica residenziale (comunque con soluzioni più “massicce”, come le villette a schiera). Per interventi più minuti ritengo invece importante ricercare in loco le regole morfologiche dell’aggregazione urbana (con il metodo del Caniggia) ed anche alcuni possibili riferimenti tipologici.
Riferimenti tipologici 2: tuttavia vorrei segnalare: che gli insediamenti di ville singole di inizio secolo si presentano come “eccezioni” piuttosto che non come ”tessuto edilizio” (anche se presenti in prevalenza nel comparto Nord-Est del centro storico e verso il lungo-fiume, non definiscono un vero “quartiere” e neanche un modello di lottizzazione); che – progettando il PEEP del quartiere S.Anna (case a schiera del’arch. Cuccuru) – abbiamo riscontrato in questo quartiere la presenza piuttosto omogenea del tipo della “villetta rurale”, forse legata al personale tecnico-militare della SIAI e dell’Aviazione, che costituisce una evoluzione della cascina a schiera, alleggerita dalla dimensione contenuta, dalla posizione isolata, ed ingentilito dalla copertura a padiglione e da modeste decorazioni (ringhiere, cornici alle finestre); che un edilizia simile (almeno nella modestia), ma progettata come seriale è presente nel cosiddetto “villaggio Quartiere” (all’inizio della strada per Cocquo), realizzato dalla SIAI per sfollare dirigenti ed uffici al tempo dei bombardamenti bellici; che la soluzione della “corte verde” (condominale, ma non recintata) è stata positivamente adottata dall’arch. Enrico Buzzi nell’intervento di edilizia convenzionata di via Adige (villette a schiera), e ripresa, come verde pubblico, nel PEEP di via valle Perosa (anche qui con villette a schiera, ma molto “sobrie”).



6  - ARTICOLO SU “PARCO TICINO” N°2/2001 – GIUGNO 2001 “PIANE DEL LENZA E DI ONEDA: LE PREALPI NEL PARCO”    
L’estremo Nord del territorio del Parco del Ticino Lombardo si differenzia dal resto, caratterizzato soprattutto dal rapporto tra il solco vallivo del Fiume ed i diversi terrazzamenti della pianura lombarda, per la sua appartenenza ad un ambito prettamente pre-alpino.

            Nell’ambiente pre-alpino, gli scenari più noti e più singolarmente caratterizzati sono i laghi “maggiori” e la valli dei fiumi principali, dove il paesaggio assume connotati spesso grandiosi, con accenti drammatici oppure romantici, e con ampie viste verso le vette alpine.

Il tessuto connettivo tra queste valli principali, in un  ampio arco collinare piemontese e lombardo, che va all’incirca dalla Dora Riparia all’Adda, è accomunato da una transizione   morbida tra la pianura padana ed i rilievi montani, con una varietà di conformazioni strutturali geo-morfologiche (glaciali ed erosivo/alluvionali), che converge però in una gamma piuttosto costante di assetti paesaggistici,  punteggiati da laghi e laghetti minori, torbiere, piccoli corsi d’acqua.

            Il carattere dominante di questi paesaggi è in prevalenza dolce e quieto; le viste si aprono spesso solo sulle conche e valli locali, sia pure con improvvise aperture d’orizzonte verso la catena alpina o verso i terrazzamenti sottostanti.

In contrappunto discreto con le grandi valli ed i grandi laghi, questa fascia ondulata, costituisce una sorta di sottofondo musicale, piuttosto unitario e dotato di un suo specifico fascino, (quando l’edificazione diffusa degli ultimi 50 anni non lo cancella): dai laghi di Avigliana e del  Canavese ai laghi minori Varesini ai più celebri laghetti brianzoli, dal Biellese al Triangolo Lariano, dalla valle dell’Agogna a quella dell’Olona,  dai lagoni di Mercurago alle paludi Brabbia e di Biandronno.
           
Tali paesaggi sono per lo più connotati dalla dialettica tra fasce più scoscese a copertura arborea e ripiani e declivi più calmi condotti a colture erbacee.
- da un lato (per lo più a monte) boschi, frutteti attivi, frutteti abbandonati (castagni, noci, ma anche meli e vigne), più rari floridi vigneti: Serra, bassa Valsesia),
            - dall’altro lato (per lo più a valle) coltivazioni erbacee, con alternanza o rotazione di prato e seminativo, spesso comunque “arborati”: tali colture sono favorite da una umidità e fertilità del suolo – naturale o appena accentuata da modeste opere di irrigazione - nettamente superiore a quelle delle “baragge” e “brughiere” che si estendono appena più a valle, sui terrazzamenti più elevati ed “asciutti” della pianura padana.

Appartengono a pieno diritto a tale sequenza le principali aree agricole dei territori comunali di Sesto Calende, Vergiate e Golasecca, e della parte settentrionale del comune di Somma Lombardo, la cui morfologia è determinata in prevalenza dai depositi morenici glaciali e dalla loro successiva modellazione anche ad opera di piccoli corsi d’acqua locali, quali i torrenti Lenza e Strona ed alcune rogge minori (Livello, Capricciosa, Molinara e Impiove/Meregino), che confluiscono nel Ticino poco a valle del Lago Maggiore, e  costituiscono in realtà i principali affluenti naturali dell’intera sponda sinistra del nostro Fiume.

Nel territorio di Sesto Calende, la Piana della Lenza e la piana Quadra-Oneda-Legnate (bacino della roggia Molinara), sono entrambe molto leggibili nella loro struttura paesaggistica, grazie ad un fortunato rallentamento della pressione edificatoria, benché all’interno di aree economicamente forti e molto urbanizzate, come le direttrici Novara-Cusio e le due sponde del Verbano ad Ovest, e la concatenazione insediativa varesina e comasca ad Est.

            La Piana della Lenza è un fondo-valle largo mediamente --- metri e lungo 4-5 chilometri, con giacitura a quote da--- a --- m.s.l.m.m. sita a nord dei nuclei abitati di Sesto/Abbazia/S.Giorgio, in direzione nord-sud. affiancato sui due lati da una serie di rilievi collinari di altitudine max ---; percorsa dalla strada provinciale Sesto-Taino-Angera e dalla comunale Sesto-Lentate-Osmate è sempre rimasta in epoca storica una direttrice minore rispetto alle parallele percorrenze Nord-Sud del Verbano e dei  laghi di Varese e Comabbio; al termine della Piana, oramai ai margini dei nuclei abitati di Sesto il torrente Lenza ha determinato nel terrazzamento  una più stretta valle erosiva, denominata Perosa, che è individuata dalla variante del Piano territoriale di Coordinamento del Parco Ticino come Zona di Riserva parziale biogenetica, per le sue particolari caratteristiche di area igrofila .

            La Piana Quadra-Oneda-Legnate è una conca di 2 km di diametro, sita a quota ---- e cirondata a nord, est e sud da rilievi collinari di altezza massima ---, attraversata nel suo margine inferiore dagli assi stradale e ferroviario del Sempione (mentre l’antica via Varesina praggiungeva Vergiate da Sesto proprio attraverso Legnate Vecchia).

            Per analoghi sviluppi storici delle vicende fondiarie ed agricole negli ultimi due secoli, queste aree sono rimaste piuttosto ai margini dello sviluppo industriale ed insediativo che ha trasformato radicalmente il territorio del comune di Sesto Calende, così come quello dei comuni contermini.

            In particolare, esaminando congiuntamente la serie storica delle colture e delle proprietà, come emergono dalla documentazione catastale (Colombo, Vecchi 1998), si può osservare:
-          un processo di frazionamento delle proprietà, a partire da forti agglomerazioni di possedimenti di famiglie aristocratiche (Frapolli, Della Porta) e di enti caritativi (Ospedale maggiore di Milano, Luogo Pio di S.Corona, convento delle Benedettine di S.Margherita), ma con una notevole permanenza fino ad oggi di grandi proprietà, quali quelle dell’Ospedale Maggiore ed altre private
-          una crescente semplificazione delle varietà colturali, sia arboree che erbacee, ed una meno fitta alternanza di boschi e radure, con una tendenza alla prevalenza dei boschi, ma con una tuttora netta percezione dello stesso  binomio boschi-radure, riassumibile nello schema “piane coltivate/colline boscte”, che costituisce la chiave più elementare e macroscopica di lettura del paesaggio in questione, anche se in realtà non mancano nelle zone coltivate pianeggiante filari arborei, boschi di ripa ed altre macchie boscose; mentre sulle ondulazioni collinari vanno purtroppo scomparendo le radure minori, già coltivate e spesso presidiate da cascine isolate.
-           
Il paesaggio, comunque fortemente antropizzato in ambito vegetale, è altresì definito da insediamenti edilizi, che in parte hanno conservato i caratteri storici, rurali (Legnate, Oneda,  Piana, S.Fe e Pignone; Lentate) e non solo rurali (ex-convento e poi Castellaccio di Lentate) , anche se inframmezzati o circondati  (Oneda; margini Nord ed Est della conurbazione sestese) da edificazioni più recenti e spurie, sia rurali che residenziali o produttivi (insediamenti Atos e Rialti lungo la Provinciale per Taino).

Sotto il profilo tipologico gli insediamenti più significativi sono il Castellaccio di Lentate e l cascine Legnate Vecchia e Legnate Nuova: quest’ultima, visibile dalla SS 33 poco dopo l’uscita dall’Autostrada è una cas colonica “tipo” dell’ospedale Maggiore risalente alla prima metà del Novecento, con progetto della casa colonica ripetuto modularmente in altre due località sestesi - Abbazia e Sciuino _ ed in altri comuni lombardi.

A cavaliere tra le due Piane in esame, sono molto interessanti gli insediamenti storici di Oriano sopra (borgo con ville patrizie in posizione dominante) ed Oriano Sotto, con insediamento di Mulini presso la Lenza.

L’equilibrio colturale e quindi paesaggistico si è finora conservato mediante aziende zootecniche tradizionali (bovini), fondate su poderi del’Ospedale Maggiore affittati in forma cooperativa (dal 1919), ed affiancate di recente da attività ippiche ed agri-turistiche – non senza qualche conflitto reciproco in merito all’uso di suoli e strade).

Fino ad oggi la zootecnia è riuscita a resistere alle congiunture avverse, dalle “quote-latte” alla “mucca-pazza”; uno sviluppo sostenibile di questo (pregevole) assetto paesaggistico sarà possibile solo se troverà anche in futuro idonei interpreti sul fronte delle aziende agricole, sia pure innovate sul versante bio-colturale e agri-turistico.

La normativa urbanistica che ha aiutato a preservare queste parti di territorio da altre forme di pressione insediativa (industrie, superstrade, centri commerciali) non è infatti in grado di impedire la trasformazione in boschi dei terreni coltivabili degradati od abbandonati, con conseguente e negativa “omologazione” paesaggistica.

BIBLIOGRAFIA:
-          Piano Territoriale Paesistico Regionale della Lombardia
-          “Quaderni della pianificazione” della Regione Piemonte
-          Piano Territoriale Regionale del Piemonte
-          Piani Territoriali Provinciali di Torino, Biella, Vercelli, Novara, Verbano-Cusio-Ossola (proposta), Lecco
-          Elaborati per Piano Territoriale Provinciale di Varese
-          Atlante della Regio Insubrica
-          Touring Club Italiano ”Guida Rossa” Piemonte e Lombardia
-          Elso Varalli “Cooperazione e cooperatori a Sesto Calende” , Quaderni Sestesi n° 5
-          Cristiana-Colombo/Aldo Vecchi “La dinamica degli insediamenti nel territorio di Sesto Calende” in “Sesto Calende e dintorni – studi storici in memoria di ElsoVaralli” – Nicolini editore – 1998


9 - ARTICOLO SU “URBANISTICA INFORMAZIONI” N°  198/2004 SU PIANO PAESAGGISTICO COMUNALE SPERIMENTALE DI SESTO CALENDE

Il Piano Paesaggistico Sperimentale Comunale di Sesto Calende si inserisce all’incrocio tra due processi, uno locale e specifico,il processo di revisione del Piano Regolatore Generale Comunale, e l’altropiùe generale, cioè la formazione dei Piani Paesaggistici (dalla legge Galasso del 1985 al  dibattito in corso sul nuovo “Codice Urbani”.

Il Piano Regolatore di Sesto Calende, redatto negli anni 80 dagli architetti Lucchesi e Malara era fortemente interrelato con il primo Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Ticino (una delle poche esperienze di piani di area vasta effettivamente operanti negli anni ‘80 in una regione a statuto ordinario); le attuali elaborazioni per la sua revisione si confrontano con il nuovo Piano Territoriale e Paesaggistico. del Parco Ticino, formato negli anni ’90, ed approvato nel 2001.Riguardo alla revisione del P.R.G. si ritiene utile segnalare che il suo avvio è stato preceduto da una
una Delibera Programmatica (istituto non previsto in Lombardia) e da un concorso di idee per la selezione di consulenti urbanisti, da affiancare all’ufficio tecnico comunale ed ai consulenti specialistici (idro-geologia; traffico; foreste), selezionati in tempi diversi e con metodi più tradizionali.
Il Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R) – già descritto a suo tempo su Urbanistica Informazioni - è un documento molto ricco e complesso, che – malgrado sia stato adottato nel 98 ed approvato nel 2001, è ancora piuttosto sconosciuto e poco applicato, e non figura al centro del dibattito regionale sulla nuova “legge per il governo del territorio”; tale marginalità verrà forse superata per effetto del Codice Urbani, che subordina al rinnovamento ed alla efficacia dei Piani Paesaggistici le promesse di superare la rigidità geografica degli attuali vincoli e la procedura di potenziale annullamento statale delle autorizzazioni paesaggistiche regionali e sub-delegate agli enti locali..


Il Comune di Sesto Calende ha ritenuto di dare avvio ad un Piano Paesaggistico Comunale, adottato ad aprile ed approvato nel mese di settembre del 2004, in applicazione dei criteri analitici ed operativi formulati dal P.T.P.R., che si articola nei seguenti elementi:

1 – abaco della sensibilità paesaggistica per tutte le zone e sub-zone del P.R.G.  (sviluppato dallo scrivente applicando i valori sintetici ed i criteri aritmetici del P.T.P.R. – scala di valori da 1 a 5 come sintesi di 3 scale relative agli aspetti strutturali, simbolici e percettivi - e fondata sulla sedimentazione soggettiva delle conoscenze del territorio comunale da parte dei tecnici comunali, implementata dalle ricerche seguenti)

2 - bozza di nuova normativa paesaggistica (sviluppata dall’arch. Roberto Pozzi e collaboratori - uno dei gruppi vincitori del Concorso per Idee del 1997 [1] – a partire dagli elaborati di concorso), che si fonda sui seguenti principi:
Poiché la percezione del paesaggio è soggettiva, le scelte progettuali corrette non sono totalmente determinabili in modo scientifico .
Occorre pertanto fornire ai progettisti (ed ai Committenti) un quadro generale di riferimento, e dei criteri con cui – in modo “auto-didattico”- possa crescere la consapevolezza del rapporto tra i bisogni insediativi privati (che in passato erano molto più lineari ed omogenei) e l’equilibrio tipologico e morfologico dell’insieme degli insediamenti.
Il territorio deve essere interpretato per “unità di paesaggio”, intesi come ambiti ampli e “sfumati” ( non coincidenti con le ristrette e definite “zone omogenee”), differenziando la stessa “intensità” delle norme in funzione dei caratteri insediativi preesistenti, da quelli più densi e consolidati (come i centri storici nei quali le norme dovranno controllare la tipologia edilizia) a quelli più “porosi” ed indefiniti, nei quali sono sufficienti indicazioni morfologiche relative al rapporto tra edifici e spazi aperti circostanti.
Quando non vi siano valori paesaggistici eccezionali da tutelare, non è opportuno esprimere prescrizioni vincolanti sui materiali e sulle finiture degli  edifici.
L’obbiettivo non deve essere l’omologazione dei progetti  ma la crescita – necessariamente lenta – di una cultura dei progettisti verso la complessità dei valori che costituiscono il paesaggio, nella sua progressiva trasformazione.

3        - schedatura sistematica degli Elementi del Paesaggio extra-urbano (sviluppata dall’arch. Claudio Scillieri e collaboratori – un altro dei gruppi vincitori del Concorso per Idee del 1997 [1] – a partire dagli elaborati di concorso), che muove dalle seguenti considerazioni:
Le principali innovazioni insite nel P.T.P.R sono
-          l’attenzione all’intero territorio
-          il confronto sui progetti concreti e non solo  sui “Piani Urbanistici”
-          l’importanza della conoscenza dei luoghi.

Le Schede sugli Elementi del paesaggio, già previste dalla Legge Regionale n 18/97 sull’esercizio da parte dei Comuni della delega di competenze regionale in materia paesaggistica, devono indagare il territorio da diversi punti di vista, considerando sia gli aspetti geografici naturali (orografia, idrografia, vegetazione) sia gli interventi antropici stratificati nel tempo ( insediamenti abitativi e produttivi, strade, manufatti, coltivazioni)
La ricerca conseguente tende a classificare questo tipo di lettura del territorio “extra-urbano” (compresi i “nuclei radi” di Cocquo, Lentate e Oriano) con strumenti grafici, fotografici e testuali.
In particolare, per quanto riguarda gli insediamenti storici di carattere rurale, emerge la tipicità della cascina “alto-lombarda- varesotta”, articolato in diversi schemi tipologici ricorrenti, sia per le parti abitative che per i rustici, ma in questo quadro di ritmica ripetitività, sono rilevanti anche la specificità dei singoli fabbricati, che costituiscono le “variazioni sul tema”.

4        ricerca storica e percettiva sugli elementi e le unità del paesaggio urbano – per ora limitata ai quartieri di Lisanza e S.Anna (e dintorni), che si affacciano sul Lago Maggiore – (sviluppata nell’ambito dell’ufficio tecnico comunale dall’arch. Deborah De Ambroggi e dallo scrivente, sulla scorta del lavoro pregresso di Cristiana Colombo ed altri collaboratori), comprendente:
-          una sintesi sulle trasformazioni storiche degli insediamenti e dei percorsi
-          la schedatura.sugli Elementi del Paesaggio, con particolare attenzione alle tipologie edilizie ed ai monumenti e manufatti di rilevanza storica (con raccolta di materiale storico, cartografico e fotografico)
-          la individuazione delle Unità di Paesaggio, con articolazione delle valutazioni sul grado di sensibilità paesistica dei luoghi, riguardo alla visibilità attiva e passiva, ai percorsi, alla genesi della morfologia urbana, alle tipologie edilizie, ai vincoli e norme vigenti (con alcune prime indicazioni sui criteri di ricomposizione progettuale).
Nel territorio urbano diviene rilevante, infatti,  oltre all’analisi dei singoli elementi, la lettura sintetica delle relazioni, storiche e geografiche, che si instaurano tra le singole parti degli insediamenti, in supporto alla trasformazione ed al significato dei diversi percorsi.

5        - elaborazione sulla visione dinamica. del territorio comunale (sviluppata dall’arch. Nicoletta Ancona), come può essere percepita “nell’insieme” percorrendo i principali assi stradali mediante una sede sistematica di riprese fotografiche geo-referenziate, anche per superare la parcellizzazione della lettura analitica del territorio alla scala locale, del singolo Elemento e/o della singola Unità di Paesaggio.
Tale ricerca, che si ispira all’esempio formulato dal P.T.P.R. - ad altra scala -  per l’asse autostradale Milano-Bergamo, può essere estesa alle linee ferroviarie, ed è mirata anche ad affinare le fasce di rispetto paesaggistico del P.R.G. vigente, oggi definite solo mediante parametri dimensionali.

6        repertorio del materiale documentale, cartografico, bibliografico ed iconografico,  disponibile, seppur disomogeneamente, per l’intero territorio comunale (e quindi anche per la conurbazione del capoluogo, con i quartieri Centro/Abbazia/S.Giorgio/Mulini/Sciuino e Oneda), comprendente in particolare le recenti ricerche sul reticolo idrico minore e le prime riflessioni sui “corridoi biologici”.
Tale materiale – in attesa di un completamento delle elaborazioni da parte del comune (con necessaria implementazione di metodo per le aree urbane più dense di volumi edilizi e di palinsesto sostitutivo dei volumi stessi) – è messo a disposizione di tutti i soggetti coinvolti nella progettazione e nella valutazione dei singoli interventi, per lo sviluppo di elaborazioni parziali, analoghe a quelle sviluppate negli altri elementi del Piano Sperimentale.
La presenza dei vincoli paesaggistici derivanti dalle leggi 1497/39 e 431/85 sul 90% del territorio comunale, rende facoltativa in gran parte dei casi la nuova procedura prevista dal P.T.P.R., rispetto alla tradizionale “autorizzazione paesaggistica”.

Traendo un primo bilancio critico della esperienza incorso si può rilevare che il Piano Paesaggistico Sperimentale Comunale – proponendo nuovi modi e criteri di lettura dei valori da tutelare - tende ad incentivare una più larga applicazione di nuovi modi di progettare e nel contempo di avviare verifiche sul campo utili per superare la sua stessa sperimentalità ,
D’altra parte la relativa complessità della procedura e dei contenuti,fa  temere che gli operatori preferiscano adagiarsi sulla prassi consolidata dell’autorizzazione paesaggistica (anche se a rischio di bocciature unilaterali da parte della Commissione Edilizia integrata dagli Esperti Ambientali),  con qualche rischio che l’ingente lavoro avviato dall’amministrazione comunale rimanga in parte inutilizzato, almeno fino all’entrata in vigore della nuova legge regionale e/o del Codice Urbani.


[1] – Nota: gli altri due gruppi vincitori del concorso di idee furono rappresentati dal gruppo dell’arch. Mauro Montagna (contributo principale: il verde urbano ed extraurbano) e da quello degli archh. Fabio G. Tosi e Paolo Giuliano (contributo principale: qualificazione tipologica degli spazi pubblici e semi-pubblici nei tessuti urbani recenti e radi)



10 - ARTICOLO SU “URBANISTICA INFORMAZIONI” N°  217/2009 SU PIANO TERRITORIALE E PAESAGGISTICO REGIONALE LOMBARDO

Nei 30 anni di vigenza della propria Legge Regionale “di prima generazione”, la n° 51/1975, la Regione Lombardia – diversamente da altre Regioni – non è mai pervenuta a dotarsi del previsto Piano Territoriale Regionale, malgrado alcuni tentativi e la formazione invece di numerosi Piani Regionali di Settore.
In un territorio nel frattempo profondamente modificato, ed anche assai pianificato da strumenti di tutte le entità sotto-ordinate (comuni, province, parchi), tutti approvati dalla Regione stessa, ma non per questo brillanti per coerenza, la Regione sta ora impegnandosi rapidamente a formare la strumentazione del Piano Territoriale Regionale, come  previsto dalla nuova Legge Regionale per il Governo del Territorio, n° 12/2005: alla fine del 2007 è stata conclusa una prima consultazione (trasparente, ma alquanto tiepida) sul “Documento di Piano” e sui fondamentali allegati: il “Rapporto sullo Stato dell’Ambiente” e l’adeguamento del vigente Piano Paesaggistico Regionale (aspetto di cui per brevità non si tratta in questo commento).
Nel gennaio 2008 i testi sono stati adottati dalla Giunta Regionale, per avviarli al confronto in ambito consiliare.   
A)  STRUTTURA DEL DOCUMENTO DI PIANO
Il Documento di Piano enuncia la propria “Mission” in questi termini: “migliorare la qualità della vita dei cittadini lombardi” il testo, pur manifestando apertura verso l’immigrazione, tende concettualmente a privilegiare “i cittadini lombardi”  (si confronti il PTR dell’Emilia Romagna, che invece propone la “Costruzione di una società aperta, multiculturale e multietnica”).
La “Mission” viene articolata in tre macro obbiettivi: “ proteggere e valorizzare le risorse”,“riequilibrare il territorio”,“rafforzare la competitività dei territori”.
I tre macro obbiettivi si suddividono in 24 obbiettivi di dettaglio, a loro volta specificati in Misure Operative (corrispondenti ad azioni della Regione stessa, secondo una prassi già codificata nei precedenti del “Piano Regionale di Sviluppo), ma in assenza di una quantificazione dei bisogni, delle risorse e della entità degli interventi pubblici e regionali, per cui non è possibile verificare ne le priorità di intervento effettive ne monitorare successivamente l’efficacia del piano.
I 24 obbiettivi di dettaglio sono raggruppati sia per Temi che per Aree: i temi sono da un lato  l’ Ambiente, il Paesaggio ed il  patrimonio culturale, e d’altro lato gli aspetti economico-produttivi e sociali, con nel mezzo l’Assetto territoriale.
Le Aree, definite “sistemi territoriali”, sono da intendere a geometria variabile e quindi in parte sovrapponibili, e non necessariamente estese nell’insieme all’intera regione: comprendono l’Area metropolitana (estesa quantomeno fino alle nuova Gronda Est e alla “Pedegronda”, ma forse anche oltre), la   Montagna, l’Area pedemontana ed i  Laghi  (con ampi intrecci tra queste 3), nonché la Pianura irrigua ed il “Po e grandi fiumi” .
Il PTR, si sviluppa tramite strumenti operativi, non ancora pienamente delineati, alcuni dei quali corrispondono a circolari già emanate, che includono anche indirizzi diretti ai Piani di Governo del Territorio e/o ad altre competenze di livello Comunale.
B)  PRINCIPALI CONTENUTI
Procedendo soprattutto attraverso analisi SWOT (forza/debolezza, opportunità/minacce) il Documento di Piano avanza i seguenti contenuti descrittivi e ottativi:
-La Lombardia va, aiutiamola a correre: collocazione della Lombardia e di Milano rispetto ai corridoi europei (con tendenziale assimilazione dei nodi di Novara e di Verona) e nel pentagono delle aree metropolitane più forti, con Parigi, Londra e l’asse del Reno. Visione limitativa ed ottimistica dei fenomeni di degrado, disagio e congestione.
- Il policentrismo lombardo è un valore positivo, da incentivare, ma senza penalizzare Milano.
- L’auspicabile terziarizzazione “di eccellenza” può essere favorita dalla qualità urbana e paesaggistica; la Regione comunque sostiene tutti i settori produttivi.
- La diffusione degli insediamenti (SPRAWL), il connesso consumo di suolo e la scarsa qualità dell’architettura sono preoccupanti: occorre incentivare la polarizzazione urbana in forme compatte.
- Le “Reti” sono individuate come chiave progettuale degli assetti territoriali: rientrano in questo discorso sia le nuove reti telematiche, sia la “rete verde ecologica regionale” come infrastruttura prioritaria, con la ricerca di una compatibilità tra la rete verde e le reti dei trasporti e dell’energia, anche verso la formazione di “nuovi paesaggi” (progettazione integrata); per quanto riguarda più specificamente le classiche reti dei trasporti, si propone (genericamente) una complementarietà del sistema aeroportuale regionale, il completamento della rete logistica con il quadrilatero delle merci fuori Milano ed una generica priorità al trasporto su ferro,  ma SENZA penalizzare il trasporto su gomma.
Nel complesso il rilevamento delle tendenze e le analisi SWOT appaiono condivisibili, ma sono prive di dati (salvo quelli del Rapporto sull’Ambiente) e  mancano di scenari alternativi alti/medi/bassi, connessi a diverse ipotesi (anche meno ottimistiche) sul ruolo e la competitività della Lombardia e dell’Italia nel mondo e su possibili crisi dell’economia globale.
Si riscontra inoltre una sostanziale ambiguità tra obbiettivi contraddittori, quali: policentrismo ma “viva Milano”; ferro ma anche gomma; verde ma anche cemento. Mancano chiare opzioni verso strumenti di segno definito quali ad esempio un rafforzamento fisico e funzionale della maglia ferroviaria per il trasporto passeggeri tra i poli esterni a Milano, oppure un uso programmato di tutte le leve tariffarie relative ai trasporti (autostrade, ferrovie e Trasporto Pubblico Locale, parcheggi) ben al di fuori della “cerchia dei bastioni”.
C) RAPPORTO SULLO STATO DELL’AMBIENTE E AVVIO DELLA VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA
Il Rapporto, sulla scorta delle poderose strutture regionali preposte all’Ambiente, espone una descrizione ampia e analitica di tutti i fenomeni ambientali (meno di quelli socio-economici), ma non uniforme nella dotazione di dati.
Assumendo ad esempio le criticità relative alla qualità dell’aria, per il Biossido di Azoto (NO2) il limite di legge risulta superato a Milano e Como Lecco Bergamo Pavia, ma non si dice quante volte e di quanto; per l’Ozono (O3) la situazione critica estiva, urbana ed anche extraurbana, viene segnalata ma NON quantificata; per le Piogge acide si comunica che il fenomeno in diminuzione, ma  senza quantificarlo.
Per il Rumore viene documentata solo la (scarsa) diffusione dei Piani comunali di azionamento acustico, ma non figura nessun dato sull’effettivo inquinamento acustico (malgrado la diffusione di centraline ARPA ed anche SEA).
Nel Rapporto si legge una trasparente esplicitazione:
- di importanti obiettivi non raggiungibili (es. qualità dell’aria – particolato, Ozono, Biossido di Azoto – e soprattutto “gas climalteranti” ed emissione di CO2, con previsione di elevato scostamento dagli obiettivi di Kioto, anche al 2015), con rassegnata neutralità (vedi pagg. 130-132), e clamorosa divergenza dalla accelerazione che nel frattempo sta maturando nell’ambito della Comunità Europea: alla faccia delle velleità di leadership ambientale connesse alla candidatura milanese per l’EXPO
- di incoerenze e contraddizioni tra diversi obiettivi, soprattutto riguardo alle infrastrutture stradali (che potrebbero indurre aumenti del traffico e dell’inquinamento, vanificando la propria stessa efficacia), con piena delega (e forse eccessiva fiducia) verso i procedimenti di mitigazione e compensazione
Gli indicatori sono forse troppi, senza gerarchia in funzione del monitoraggio degli elementi fondamentali del processo di Piano; non sempre risultano ben definiti in termini di riferimenti spazio-temporali dei fenomeni indagati (es.: Ozono: “concentrazione media giornaliera”: dove?, su tutto l’anno? Solo nei mesi estivi?) e senza esplicitazione sintetica dei valori storici, iniziali ed attesi.
Inoltre più di un indicatore può essere influenzato da fattori fisici o normativi esogeni; non vi è una distinzione preventiva sistematica su cosa ci si attende dal PTR, cosa dall’evoluzione autonoma oppure dai fattori esogeni.
Nell’insieme si rileva una corretta descrizione degli elementi critici più devastanti (congestione del traffico, inquinamenti, stress urbano, segregazione e disagio sociale, degrado paesaggistico ed ambientale), ma stemperati in un affresco ottimistico, che rende il tutto più contemplativo che operativo. 

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