P. 4^: SUGGERIMENTI LEGISLATIVI


PARTE QUARTA: PROPOSTE DI LEGISLAZIONE  A SOSTEGNO DELLA SOSTENIBILITA’ URBANA
 Versione marzo 2013

INDICE DELLA PARTE QUARTA
19     - PREMESSA
20     – CASA
21     - MOBILITA’
22     - SUOLO URBANO
23     – ENERGIA



19     - PREMESSA

Con riferimento alle letture critiche di cui alle PAGINE, PARTI 1^-2^-3^ di questo blog, vorrei permettermi alcune conclusioni, anche propositive, aggiornandole al marzo 2013 (la versione 2012 viene riprodotta in appendice).


 Non mi sento assolutamente in grado di formulare proposte al livello globale e macroeconomico del ‘come uscire dalla crisi’ e del ‘come sconfiggere il neo-liberismo’ (o “fuori-uscire dal capitalismo”, come proponeva un tempo il gruppo del Manifesto: per ora nessuno ci lascia uscir fuori, e tanto meno gratis e in modo indolore, mentre i ‘comunisti’ cinesi e molti altri governi progressisti del terzo mondo continuano ad affollarsi per entrarci); su questo fronte, per il quale mi sfuggono le competenze tecniche e che mi sembra così immenso che ‘il cor [mi] si spaura’, mi accontento, come molti altri, di rivolgere benevoli auspici per una soluzione progressista praticabile, che – con TobinTax, EuroBond, controllo sui paradisi fiscali ed altri rimedi agli eccessi del “finanz-capitalismo – ci consenta a breve-medio termine di tenere in piedi Euro ed Europa, per cercare nel frattempo di avviare dal basso una effettiva umanizzazione della stessa Europa (le cui istituzioni, ad esempio dovrebbero far generalizzare, e non combattere, istituti di civiltà come l’art. 18 del nostro Statuto dei lavoratori, che vieta i licenziamenti discriminatori), e poi del mondo; nella consapevolezza che sono invece possibili esiti opposti, catastrofici oppure molto conflittuali, e che nella attuale gestione della crisi è ben lungi dall’essere assorbita la ‘grande bolla speculativa’, né è esclusa la formazione di ulteriori ‘bolle’ (vedi anche Post su Larroutouru).


Soluzione progressista che può essere inficiata, oppure sospinta, dallo scrollone elettorale italiano in favore del Movimento 5 Stelle, me che trova comunque la sua debolezza nella frammentazione e indecisione della sinistra moderata europea (labilità del programma di Hollande e timidità della socialdemocrazia tedesca), nella inconsistenza di una sinistra radicale europea, a fronte dell’incalzare di movimenti nazionalisti e populisti di vario segno.

E nemmeno intendo propormi di trarre conclusioni o di formulare proposte al livello teorico-operativo della pianificazione territoriale e della progettazione urbana, su cui auspicherei però nuovamente un maggior confronto dialettico tra le diverse scuole, e particolarmente tra gli autori esaminati nella precedente Parte Terza, perché secondo me tutte le posizioni trattate costituiscono significative interpretazioni della attuale situazione del territorio italiano (ed europeo) ed offrono ognuna elementi positivi, ma parziali, dei problemi individuati, e potrebbero giovarsi di una maggiore integrazione, facendo francamente i conti con gli elementi di conflitto concettuale che tale confronto comporta.

Mi sento invece di avanzare alcune proposte ad un livello intermedio, che è quello delle politiche nazionali (e forse però anche europee, ed anche regionali) che – non solo a mio avviso - sono necessarie a sostegno delle politiche locali di sostenibilità urbana, nonché per dare contenuti articolati e concreti al più complessivo sforzo di umanizzazione dell’economia capitalista; su questo terreno occorre costruire un programma sia di pratiche locali che di rivendicazioni specifiche di riforme legislative settoriali, come, ciascuno per proprio conto, propongono ad esempio:

-          l’INU, con le proposte dei congressi di Ancona (2008) e Livorno (2011), riguardo alla normativa sul governo del territorio, ma anche sul regime ed il consumo dei suoli, sull’energia,  sulla fiscalità locale, sulla metropolizzazione ed il trasporto pubblico di massa

-          il nuovo movimento “Salviamo il paesaggio” - a cui aderiscono tra gli altri SlowFood e tutte le principali associazioni ambientaliste nazionali (FAI, WWF, LegaAmbiente, Italia Nostra) -  riguardo al risparmio del consumo di suolo

-          i movimenti localisti, come interpretati da Guido Viale (vedi in PAGINA PARTE 2^ di questo blog), ancora in merito al consumo di suolo, a trasporti ed energia, nonché al “patto di stabilità” ed alla finanza locale,

e come per alcuni aspetti suggerisce anche Giancarlo Consonni (vedi in PAGINA PARTE 3^ di questo blog).

E’ in questo quadro che mi permetto di avanzare una serie di proposte pratiche, in particolare sulle politiche fiscali-tariffarie e sugli incentivi finanziari pubblici, relativi al governo del territorio, considerando che in Italia ed Europa i conti pubblici coprono comunque una quota prossima alla metà del PIL, e che a parità di pressione fiscale sarebbe opportuno qualificare la spesa pubblica in senso ecologico ed egualitario, anziché al contrario.

Si tratta di proposte non contrastanti con l’insieme delle soluzioni avanzate dall’INU e da Salviamo il Paesaggio (ed anche da Viale e da Consonni), e con le istanze  nella prospettiva di un ‘riformismo radicale’ che a mio avviso è possibile ed auspicabile in Europa, se si riesce ad andare verso una soluzione politica e progressista della crisi dell’Euro.

Quanto un simile ‘riformismo radicale’ risulti politicamente possibile e come si intrecci con il ‘ritorno alla crescita’ oppure con l’inizio di una ‘decrescita virtuosa’ (vedi in PAGINA PARTE 2^ di questo blog), francamente non lo so; però mi sembra doveroso che il sapere tecnico fornisca proposte per una crescita culturale alternativa, sia a livello locale e ‘molecolare’ sia ad un livello più complessivo, per offrire ai movimenti locali un orizzonte rivendicativo e per immaginare una possibile politica statuale di segno positivo, nel tentativo di ricomporre fronti sociali più ampi della singola ‘tribù’ (vedi Maffesoli, in PAGINA PARTE 1^ di questo blog).

E per affiancare (o contrapporre?) alle ‘liberalizzazioni’ in atto adeguate ipotesi (non stataliste) di ‘socializzazioni’ e “ambientalizzazioni’; la triade rigore-equità-sviluppo va a mio avviso sottoposta a critica da un punto di vista ecologico e laborista:

-          il rigore, almeno in Italia, resterà necessario per un bel po’ di anni, anche in presenza di auspicabili politiche keinesiane dell’insieme europeo, per scontare il debito pregresso; potrebbe però essere un utile allenamento verso una volontaria austerità, o sobrietà, che prima o poi i consumatori occidentali dovranno affrontare, se si intende fare i conti con la scarsità delle risorse e con l’equità a scala mondiale (vedi Sachs, vedi PAGINA PARTE 2^ di questo blog)

-           l’equità va bene, ma deve essere intesa – sia su scala nazionale che globale – innanzitutto come riduzione delle diseguaglianze tra sfruttati e sfruttati, tra veramente ricchi (il famoso 1%, ed anche il contiguo 9% con cui  in Italia detengono il 50% della ricchezza) e veramente poveri, e non per spalmare al ribasso la povertà tra i poveri (come in parte ha comportato l’ultima riforma delle pensioni e connessa manovra fiscale)

-          sullo sviluppo è il momento di cominciare a chiedersi ‘quale sviluppo’, e di utilizzare la crisi come criterio di verifica, per non affannarsi a rilanciare un modello sviluppista che non funziona più.

Quanto sopra richiede uno sforzo di elaborazione politica e programmatica di vasto respiro, trasversale a tutti i settori (a partire da economia, finanza, lavoro), e capace di tradursi in crescita collettiva di soggetti sociali, attraverso attente considerazioni antropologiche e sociologiche, e non solo mediatiche, sui linguaggi idonei a tale maturazione.

Nel mio piccolo non ho evidentemente tali ambizioni, ma solo quella di esplicitare un mio specifico contributo di idee su singoli temi, di cui ho qualche conoscenza ed esperienza; nell’Appendice II, tuttavia, mi spingo ad ipotizzare anche una proposta di taglio più generale, ma di respiro più contingente, sotto forma di “appello verso un IVA ecologica”.

Parte delle seguenti proposte sono incluse o compatibili con i programmi elettorali di PD, SEL e ultra-sinistra, Movimento5Stelle, e di quelli post-elettorali (8punti del PD); mi permetto di rivendicare la necessità di una maggior organicità, sia all’interno di ogni settore, sia con l’insieme delle politiche sociali ed ambientali.


20     – CASA

(Vedi anche POST “IMU ed equità”)

Anche se tale rivendicazione è sollevata da minoranze, essendo l’80% degli italiani allocato in case di proprietà, il dibattito recente sull’Housing Sociale (vedi ad es. Urbanistica Dossier n° 119/2010 e Urbanistica Informazioni n°  238/2011) ha riabilitato l’obiettivo del “diritto alla casa” come condizione minima per la dignità del vivere, esteso universalmente (anche agli immigrati ed agli ex-nomadi), come può consentirlo una società che comunque è complessivamente ricca (ed in particolare ricca di volumi edificati).

La necessaria attenzione ai nuovi bisogni (giovani coppie precarie, single, fuori sede, nuove povertà) non deve far trascurare infatti il fabbisogno primario di residenze a canone sociale.

La rigidità del dualismo proprietà/affitto, alquanto incoerente con la crescente precarietà dei rapporti di lavoro e degli stessi legami familiari, induce inoltre problemi di tipo nuovo, all’interno della crisi economica in atto: mutuatari morosi, divorziati senza casa, difficoltà di trasferimento e reperimento di case temporanee per inseguire le offerte lavorative.

Per introdurre equità e flessibilità nell’abitare,  ed anche per reperire una  parte delle risorse necessarie alla estensione del diritto alla casa, ritengo sia necessario includere in un unica valutazione, complessiva ed organica, la politica economica e fiscale per la residenza, tuttora sbilanciata in favore delle famiglie residenti in alloggi di proprietà che godono per tali abitazioni di una fascia di esenzione dall’ICI (ora IMU) e dall’IRPEF, prevedendo:

-      per tutti i soggetti bisognosi, l’offerta di case sociali a canoni adeguati, affiancata   - in mancanza ed in attesa di una casa sociale – da un congruo e permanente contributo per gli affitti;

-      per tutti gli inquilini, la detraibilità dalle imposte sul reddito delle spese per l’affitto della prima casa, fino ad una soglia massima ‘ragionevolmente elevata’, prossima al “canone concordato” comparabile con la fascia di esenzione dall’IMU per i proprietari;

-      per i residenti in alloggi di proprietà, la completa de-tassazione delle transazioni relative alla prima casa

-      per gli acquirenti di abitazioni gravati da mutui divenuti temporaneamente o definitivamente insostenibili, la garanzia di permanenza nell’abitazione, con formule differenziate, dal congelamento del mutuo alla conversione definitiva in locazione;

-      per i redditi da locazione di abitazioni, la cosiddetta ‘cedolare’ (20%), ma limitata al “canone concordato”, con tassazione normale degli affitti superiori ad esso;

-      per gli immobili sfitti e inutilizzati, la conferma e l’inasprimento di tassazioni più elevate, crescenti progressivamente con il protrarsi del mancato utilizzo, affiancata da incentivi alla vendita di tali alloggi a prezzi calmierati alle Agenzie Pubbliche (vedi es. ATER Veneto, su “Edilizia e territorio” n° 6/2011);

-      sperimentazione di interventi degli ex-IACP per favorire traslochi temporanei e scambi di alloggi in funzione dei trasferimenti per lavoro.

Limitati ritocchi all’insù, in senso progressivo, dell’IMU e dell’IRPEF sulle case non usufruite dai proprietari (e loro parenti stretti, e trattando in modo specifico le case di origine degli emigrati), dovrbbero essere sufficineti a compensare le maggiori spese derivanti dagli altri punti della proposta.
 

21     - MOBILITA’

Pare difficile agevolare il passaggio dal trasporto automobilistico privato al trasporto pubblico e dalla gomma al ferro agendo solo sull’offerta di un miglior trasporto pubblico e ferroviario (opportunamente integrato al primo e all’ultimo miglio, come teorizzato ad esempio da Fabio Casiroli – vedi in PAGINA PARTE 2^ di questo blog -) ed ancor più difficile trovare le risorse per tale offerta, se non si procede (su scala europea?) a ‘re-internalizzare’ sulle tasse e tariffe per il trasporto privato una parte crescente dei costi che l’attuale sistema dei trasporti scarica sulla collettività, in termini di salute - qualità dell’aria, stress, incidenti (e conseguenti  costi sanitari), inquinamento dei mari e delle altre acque navigabili –, nonché i costi per gli indispensabili contributi pubblici alla ricerca&sviluppo sul fronte dei mezzi e delle modalità di trasporto a minor inquinamento.

Un graduale aumento dei prezzi del trasporto, così motivato e così finalizzato (sull’esempio di Alp Transit), potrebbe raffreddare gli eccessi della globalizzazione, favorendo in termini non protezionistici le produzioni locali, soprattutto agricole, (con un parallelismo concettuale alla proposta di una tassazione sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe raffreddare i movimenti speculativi).

Oltre alle grandi variabili di livello nazionale ed internazionale (accise sui carburanti, tasse di possesso dei veicoli, tariffe basilari per autostrade e ferrovie) occorre individuare un livello regionale di autorità tariffaria che possa combinare ed adeguare la concreta articolazione delle singole tariffe allo sviluppo dell’offerta di modalità alternative ed integrate di trasporto: ad esempio rendendo gratuiti i parcheggi di interscambio gomma/ferro e penalizzando le tariffe autostradali per le tratte parallele alle linee ferroviarie efficienti e servite dai suddetti parcheggi (e dagli interporti per le merci), ecc. ecc.

Analoga razionalità complessiva andrebbe introdotta nella comparazione dei costi-benefici per gli investimenti infrastrutturali relativi ai trasporti, su gomma e su ferro, e per le politiche di incentivo al rinnovo del parco mezzi.
 

22     - SUOLO URBANO

A mio avviso occorre intrecciare la problematica del recupero della rendita urbana e del controllo sul consumo di suolo con una miglior disciplina dello strumento della perequazione e con un ripensamento complessivo della fiscalità sull’attività immobiliare ed edilizia.

La rendita va tassata principalmente nel momento in cui si realizza la trasformazione urbana e solo in misura complementare come rendita di attesa, se e quando i Piani divengono effettivamente “conformativi” e  matura un interesse pubblico ad accelerarne l’attuazione e ad evitare ritardi strumentali finalizzati ad una eccessiva valorizzazione degli immobili.

Un apparato comunale efficiente dovrebbe saper riconoscere la differenza di valore tra un terreno  ex-agricolo ed un terreno edificabile, tra una fabbrica dismessa ed un nuovo centro commerciale: il prelievo sulla rendita, finalizzato a trasferire su di essa tendenzialmente tutti i costi per i servizi urbani (inclusa l’edilizia residenziale a canone sociale ed a canone concordato), desumibili dai Piani comunali dei Servizi ed in archi temporali ragionevoli, dovrebbe essere fortemente differenziato tra il residuale consumo di suoli liberi ed extraurbani ed il riutilizzo di suoli già edificati (da detassare ed agevolare, tranne in presenza di forti incrementi di valore per cambio d’uso o elevata densificazione).

Si delinea cioè un prelievo unico (inglobando le attuali tassazioni statali sulle traslazioni e sulle plus-valenze), più simile (ma con aliquote assai più elevate) alla vecchia “INVIM” (imposta sull’incremento di valore degli immobili) che all’ICI/IMU, concettualmente inclusivo degli oneri di urbanizzazione (fermo restando il principio che le opere necessarie in loco ricadano comunque sugli operatori).

Il problema della ricerca del punto di equilibrio tra interessi pubblici ed interessi privati (ovvero la massimizzazione del prelievo monetario o comunque dei benefici a vantaggio pubblico senza arrivare ad annullare la convenienza degli investimenti e cioè ad annullare gli investimenti stessi) può in parte essere affidata allo stesso mercato, fissando soglie ragionevoli di prelievo ed aprendo sopra di esse gare al rialzo tra i diversi operatori, sviluppando i meccanismi concorrenziali, come quelli proposti dal compianto Fausto Curti Curti 2008 e quelli che ha tentato di sperimentare a Monza ed altrove Massimo Giuliani.

Secondo me però sono necessari tre corollari, al fine di rendere effettiva la limitazione del consumo di suoli extraurbani, superando alcune importanti rigidità del mercato immobiliare (che risultano del tutto incoerenti in un mondo sempre più flessibile e “liquido”):

1 - la corrispondenza quantitativa tra volumi “in decollo” ed “in atterraggio” (per evitare nuove disparità), nonché l’obbligatorietà dell’”atterraggio” dei diritti di edificabilità in tutti i processi di perequazione, e  cioè l’obbligo per i proprietari di aree con effettiva edificabilità locale di acquistare od ospitare i diritti edificatori che “decollano” altrove (aree ad uso pubblico/sociale o altrimenti vincolate), come sostiene tra gli altri  Fortunato Pagano;

2 - una più facile espropriabilità (pur a prezzi di mercato, ma tenendo conto dei deprezzamenti dovuti ai periodi di inutilizzo prolungato) di tutti i beni immobili da coinvolgere nei piani di rinnovo urbano, da intrecciare con una tassazione specifica sugli immobili inutilizzati, con incrementi progressivi nel tempo: dagli spazi con “decollo” di diritti edificatori alle aree produttive dismesse, dai lotti in possesso di “minoranze dissenzienti” (i cui interessi possono essere tutelati anche privandole del possesso immobiliare) agli immobili inutilizzati per vertenze ereditarie e fallimentari – vedi proposte di Viale in PAGINA PARTE 2^ di questo blog – vedi qualche positivo embrione, ancora poco attuato, nella Legge Regionale lombarda sulle aree industriali dismesse – art. 7 della L.R. n° 1/2007);

3 - il conferimento alle Province (o chi per esse), per scopi di perequazione territoriale, da articolare nei Piani Territoriali di area vasta, e non ai singoli Comuni interessati alla trasformazione, di parte significativa dei prelievi sulla rendita relativa al consumo residuale dei suoli liberi.

E’ inoltre necessario imporre ai Piani comunali una valutazione analitica e periodicamente aggiornata sulla dimensione  e sulla qualità dello stock di abitazioni inutilizzate (sfitto, invenduto, seconde case, ecc.), - vedi iniziativa di censimento ad hoc avanzata da  “Salviamo il Paesaggio” (vedi www.salviamoilpaesaggio.it) da connettere anche al trattamento fiscale di cui più sopra.



23     – ENERGIA

La complessa partita degli incentivi per la produzione  di energia e per il risparmio energetico relativo ai fabbricati va secondo me ripercorsa e resa organica, finalizzandola prioritariamente al tema della riqualificazione delle periferie urbane, con i seguenti criteri, rispettosi verso ambiente e paesaggio:

-      vietare (e non solo ‘non incentivare’) pratiche assurde come la copertura delle aree agricole con impianti fotovoltaici, quando ci sono milioni di ettari disponibili sui tetti dei fabbricati esistenti e su quelli da sostituire (la redditività dei suoli agricoli va nel contempo comunque sostenuta con ben altri strumenti, per le sue specifiche finalità ambientali ed anche alimentari);

-      subordinare gli incentivi per gli impianti eolici al rispetto delle direttive paesaggistiche;

-      rendere permanenti gli incentivi per la riqualificazione edilizia (attuale 36%) e per il risparmio energetico (55%), con una programmazione pluriennale che articoli meglio gli scaglioni di agevolazione (anche diminuendone alcuni nel tempo, ma con congrui preavvisi), in modo tale da privilegiare gli interventi più incisivi, anche se costosi, e soprattutto cercando di creare reciproche convenienze tra imprese e proprietà diffuse, anche condominiali, per aggredire  il grosso dell’edilizia dequalificata ed energivora realizzata nel secondo ‘900 (senza di che diviene improbabile raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2: vedi in merito anche le sollecitazioni del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. –“Urbanistica Informazioni” n° 232/2010);

-      i possibili incentivi con gli indici edilizi vanno gestiti esclusivamente DENTRO i piani urbanistici, in funzione di specifici progetti di rinnovo urbano, e non a pioggia CONTRO i Piani (come nel cosiddetto “Piano-Casa”, il cui sostanziale fallimento in funzione anti-ciclica, non ne esclude la potenziale pericolosità, in una fase congiunturale diversa).  
 

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