domenica 26 maggio 2013

GENTILE PROFESSOR ZAGREBELSKI


Gentile professor Zagrebelski,

ho letto il Suo appello per la manifestazione del 2 giugno a Bologna, e condivido i timori per involuzioni oligarchiche e l’opposizione a metodi impropri di modifica della Costituzione (ed anche della legge elettorale).

Alcuni passi del testo, però, mi sembrano “sopra le righe”, e mi sembra che in questa fase di molto ci sia bisogno, ad esempio di chiarezza (e di speranza, forse) ma non di esasperare i toni del confronto.

La frase seguente, ad esempio, sembra negare al Parlamento la legittimità di procedere a modifiche della Costituzione; a chi tocca allora? Oppure la Carta diventa ai Suoi occhi immodificabile, malgrado l’art. 138 della stessa?

Soprattutto, a chi si propone di cambiare la Costituzione si deve chiedere: qual è il mandato che vi autorizza? Il potere costituente non vi appartiene affatto. Siete stati eletti per stare sotto, non sopra la Costituzione. Se pretendete di stare sopra, mancate di legittimità, siete usurpatori. Se proprio non vogliamo usare parole grosse, diciamo che siete come la ranocchia che cerca di gonfiarsi per diventare bue. Non è la prima volta. E’ già accaduto. Ma ciò significa forse che ciò che è illegittimo sia perciò diventato legittimo?

Ci sono anche buoni motivi per ritenere il Parlamento un po’ meno legittimo di quello che vorremmo: dallo strapotere mediatico di Berlusconi, dagli anni 80 ad oggi, alla vigente e porcella legge elettorale, a probabili casi diffusi di compra-vendita dei voti; ma non mi pare ci siano gli estremi, né giuridici, né politici, né sociali per proclamarne all’improvviso la illegittimità (ad essere conseguenti bisognerebbe allora proclamare una rivoluzione, o almeno una serrata campagna di disobbedienza civile).

Per conto mio non faccio più il rivoluzionario da un po’ di anni (e così molti miei coetanei), e ritengo anche per buoni motivi: Lei intende iniziare adesso? E con Lei tutto il gruppo di Libertà e Giustizia?

lunedì 20 maggio 2013

SINISTRA CHE SCAPPA


Caro Epifani,

sono iscritto alla CGIL da 38 anni, e quindi ho avuto modo di apprezzare in passato il Tuo stile.

Per questo Ti chiedo: chi è veramente la “sinistra che scappa”?

E’ SEL che nn appoggia il governo Letta (peraltro estraneo al programma Italia Bene Comune) oppure i 101 che nascostamente “non hanno appoggiato” Prodi?

Inoltre, non è forse meglio che una parte della sinistra svolga compiti di ragionevole opposizione, senza lasciarne il monopolio a Grillo?

giovedì 16 maggio 2013

IMU E MERCATO IMMOBILIARE

Secondo lo statista Silvio Berlusconi e l’economista Renato Brunetta, l‘eliminazione dell’IMU sulla prima casa rilancerebbe il mercato immobiliare ed il settore edilizio.
Più preoccupante che echeggino in qualche modo questa tesi anche altri soggetti, tra cui “LA STAMPA” del 15 maggio, con un servizio a pag.5 – con richiamo in prima pagina – di Sandra Riccio e Luca Fornovo, supportati l’una da una dichiarazione del presidente dell’ANCE Buzzetti (“la nuova tassa sulla casa è risultata una patrimoniale che ha provocato un enorme choc psicologico in un mercato che era già in difficoltà”) e l’altro da una specifica ricerca della Fondazione Hume (diretta tra gli altri da Luca Ricolfi e Giampiero Ostellino), il cui testo non risulta facilmente reperibile sul web (pertanto devo accontentarmi del riassunto su La Stampa).
In realtà sia Buzzetti che la Fondazione Hume  non si riferiscono esclusivamente all’IMU sulla prima casa, bensì all’IMU in genere (anche se il governo Monti per le case “non prime” si è limitato a consentire ai Comuni di aumentare le aliquote della preesistente ICI).
Buzzetti rimanda alla psiche, che nei mercati è un bel problema, difficilmente misurabile, ma che senz’altro viene influenzata anche da dichiarazioni e articoli del tipo di quelli in esame, così come dalla propaganda politica interessata (dall’ANCE mi aspettavo atteggiamenti più equilibrati ed in sintonia con le ragionevoli posizioni assunte di recente su molte questioni, in coerenza con la linea Squinzi della Confindustria sul fisco).
La Fondazione Hume invece ha fatto dei conti, ragionando però con il criterio “post hoc = propter hoc” (da Wikopedia: “locuzione latina che alla lettera significa dopo di questo, quindi a causa di questo”): ha scoperto che dal 2012 la crisi del mercato immobiliare si è aggravata, rispetto agli anni precedenti, quando la crisi già c’era, ma non c’era la nuova IMU; nessun dubbio invece sul fatto che la crisi, accumulandosi, sega sempre più le gambe ai potenziali acquirenti (con salti anche qualitativi) e che il credito effettivamente disponibile per i mutui fondiari si è ulteriormente ridotto nel 2012 (così come il credito alle imprese), malgrado i ribassi dei tassi  BCE ed i prestiti agevolati della stessa BCE alle banche (cose note e conclamate, ma ignorate dai seguaci di David Hume).
Guardando alla domanda di prima casa (perché è su questa IMU che si agita la metà di destra del governo , Letta), vorrei capire quale sia il ”padre di famiglia” che – disponendo del capitale e/o dell’accesso a un mutuo, per un valore medio, poniamo, di 200.000 € e non avendo una casa in proprietà – scelga di continuare a vivere in affitto (pagando un canone dell’ordine di grandezza di 500-1000 € al mese, anzichè impiegarlo per pagare il possibile mutuo – deducendone così l’importo dall’IRPEF -) anziché acquistare la propria potenziale prima casa, solo perché su di essa dovrà pagare un’imposta dell’ordine di grandezza di 500 € l’anno (considerando i valori catastali e le franchigie).
La psiche (di Buzzetti) gli giocherebbe invero brutti scherzi.
Più credibile (forse) che l’innalzamento delle aliquote IMU freni il mercato delle seconde case (non certo se destinate all’affitto, perché nel frattempo già premiate dalla cosiddetta “cedolare secca” : ma questo mi sembra più bene che male, e comunque non verrebbe scalfito (forse) neanche dal duo Berlusconi-Brunetta.

venerdì 10 maggio 2013

DEMOCRAZIA ITALIANA

¼ non votano e mostrano quindi di non apprezzare la democrazia, almeno quella parlamentare che abbiamo a disposizione

1/5 votano per Silvio Berlusconi e per un PdL dove è giusto non fare le primarie, e quindi per traslato votano “Ruby nipote di Mubarak” e “Silvio perseguitato dalla giustizia”, perché nel centro-destra non circolano altri contenuti strategici (del tipo liberismo o viceversa, europeismo o viceversa, ecc.), né si ravvisano più leadership alternative potenziali come potevano apparire Casini, Fini o Bossi/Tremonti: tutto ciò non ha molto a che fare con la democrazia

1/5 votano per Grillo, in nome di una integrale democrazia diretta, in cui però non si riesce a controllare chi vota e chi verifica le votazioni, dove sono di fatto irrevocabili i supremi vertici Grillo/Casaleggio, e da cui si aspira ad una totale sostituzione del sistema di rappresentanza: anche questo, in sostanza, ha poco a che fare con la democrazia

1/5 votano per il PD, che della Democrazia ha fatto stendardo, ha inventato e praticato le primarie, ma dove 101 supremi rappresentanti su 400 nascostamente disattendono alle decisioni assunte da loro stessi all’unanimità e dove le decisioni fondamentali di indirizzo (ad esempio con chi stare al governo) vengono assunte ignorando i chiari orientamenti della stragrande maggioranza dei militanti e degli elettori (che nessuno si sogna di consultare): quanto ha a che fare con la democrazia?

(non intendo sottrarmi al confronto sullo “stato di necessità”: quando c’è uno stato di necessità, ovvero una Necessità di Stato, un gruppo dirigente serio se ne accorge per tempo, non si ostina ad illudere se stesso, gli alleati e gli elettori sulla possibilità di “un governo di cambiamento”, e cerca di anticipare e gestire il compromesso assumendo l’iniziativa, circoscrivendolo nel tempo e nei temi – esempio “governo di scopo”, spiegandolo da subito alla “base”: il contrario che – dopo l’elezione di Grasso e Boldrini - proporre formalmente “all’intero Parlamento una rosa di candidati al Quirinale che può piacere solo a Berlusconi, ed in fatti non piace ai propri grandi elettori, con tutti i disastri seguenti, che non dovevano sorprendere chi cnosce tutti i suoi polli, compresi gli ultii 101: più “stato di calamità” che di necessità)

Il restante % ha votato in gran parte per liste personalizzate (Monti, Ingroia), formate dall’alto senza la delega di  un effettivo corpo elettorale intermedio

Pare proprio che gli italiani ultimamente abbiano poco a che fare con la democrazia

LA CASA E LA CASTA


Nei giorni scorsi sull’Unità si è svolto un interessante dibattito sul futuro del PD e dintorni.

Più che un “dibattito”, però, è sembrato un “battito “, un libero battimento di ali di farfalle, senza  risposte reciproche, senza autorevoli tentativi di sintesi, senza apparente rapporto con la preparazione dell’assemblea nazionale del PD (che sembra invece limitata ad una contrattazione tra correnti per farsi meno male possibile, evitare votazioni “palesi” e trovare una sorta di “prestanome”, meglio se anziano o malato, che sostituisca Bersani fino al congresso, senza ipotecarne la definitiva successione).

E’ da tempo, per altro e un po’ ovunque, che non si usa più molto confrontarsi a fondo sulle argomentazioni, limitandosi, verso il pensiero altrui, alla battuta da talk shaw, allo sberleffo da twitter o all’allusione per iniziati, salvo poi proporre (per quanto riguarda il PD, ma non solo) prodigiose sintesi in forma di ”cordata” (es. Veltroni+Franceschini, oppure Bersani+Letta e un domani forse Barca+Renzi), ma senza produrre mai alcun chiarimento serio sui contenuti.

Tornando all’Unità, i contributi più innovativi riguardavano il Partito, il che in questo momento non so se mi interessa (a meno che il nuovo a sinistra sia Goffredo Bettini), mentre mi sono sembrati comunque utili i richiami del vecchio Reichlin e di Franco Cassano ad alcune verità sociali, già note, che però spesso si trascurano.

Alfredo Reichlin segnala ancora una volta il tragico fraintendimento indotto dai media  nella individuazione della casta come nemico,  nascondendo il conflitto tra le masse sfruttate e la finanza internazionale: punto di partenza a mio avviso fondamentale, però monco da un lato del contestuale ragionamento sui limiti delle risorse del pianeta e sul crescente divario tra ricchi e poveri a a scala mondiale, anche quando aumenta il PIL (per cui non è sufficiente cercare di agganciare la ripresa economica in atto fuori d’Europa) e d’altro lato monco comunque – finora - sul conseguente “che fare?” : non pensino bastino gi appelli alle responsabltà del PD come “partito nazionale” (tanto meno ora).

Franco Cassano rammenta che anche alle ultime elezioni il consenso verso il centro sinistra, restringendosi,  si è polarizzato nelle aree sociali del pubblico impiego, dei pensionati e delle persone con alto livello di istruzione, mentre i lavoratori dipendenti privati sono rimasti egemonizzati dalla destra, ed il movimento 5Stelle ha sfondato tra i lavoratori autonomi e gli elettori più giovani; Cassano sollecita una svolta che vada oltre la difesa dei modesti privilegi dei “garantiti”: concordo sperando che non si tratti nuovamente di togliere quelle poche garanzie – tipo articolo 18 - ma di estenderle in termini nuovi ed adeguati alla multiforme realtà del precariato.

L’analisi di Cassano conferma gli insediamenti sociali tradizionali, ma non presta molta attenzione agli spostamenti delle ultime elezioni, che PD e SEL anno inizialmente accreditato  come “richiesta di cambiamento”: giudizio ambiguo, perché è vero che il perimetro della destra si è ridotto (divenendo in compenso ancor  più “incattivito” in senso berlusconiano), ma la protesta aggregata dal Movimento 5Stelle è interclassista e  non è risultata “democraticamente spendibile” per le pesanti ipoteche del suo controllo centralizzato, che però è organico a tale fenomeno.

A proposito di operai che votano a destra, mi hanno colpito i recenti sondaggi sull’IMU, che rilevano   come una gran parte degli elettori PdL ed anche una consistente minoranza di elettori PD sarebbero convinti dalle parole d’ordine di Berlusconi per la soppressione integrale della tassa sulla prima casa, in nome anche di una ripresa del settore edilizio, che sarebbe frenato proprio dall’IMU stessa: poiché quest’ultimo argomento è veramente risibile (si può immaginare che una tassazione inferiore all’1% annuo influenzi investimenti in case da affittare, ma non chi volesse investire per la propria abitazione), ne emerge il disagio “assoluto” di molti elettori, anche con bassi redditi e modeste case (sennò non potrebbero essere così tanti) nel pagare l‘IMU - forse perché va sborsata “a freddo” - mentre gli stessi subiscono mensilmente trattenute di importo uguale o superiore per l’IRPEF (per non parlare delle trattenute previdenziali);  per accumulare questa massa di consensi non bastano gli evasori fiscali con belle case e dichiarazioni dei redditi esigue.

Riemerge forse il furore ideologico che già colpì il centrosinistra nel 1962, quando la maggioranza degli italiani viveva ancora in affitto, ma venne violentemente e vittoriosamente agitato il fantasma “ci espropriano la casa” contro la legge Sullo per le aree fabbricabili di espansione urbana.

Se questi sono i fantasmi (la casa, la casa), come combatterli, con quale strategia, con quale linguaggio? Ancora uniti attorno al PD o  divisi in “centro” e “sinistra”?

Pregiudiziale mi sembra la rinuncia al finanziamento pubblico ai partiti, non perché giusta in assoluto, ma perché necessaria in questa fase, in cui il PD in particolare è percepito come perno della “casta” (ancor più che dei ceti garantiti), perché gli altri politici spesso sono o sembrano per lo meno “già ricchi da prima”.

Ed anche la capacità di usare la “rete” per ascoltare, e rispondere, e non solo per diffondere bollettini elettorali.

Per il resto c’è molta rete da tessere.

giovedì 9 maggio 2013

GRAEBER, 5000 ANNI DI DEBITI E CONFLITTI

Attirato dalla favorevole recensione sull’Unità di Alessandro Bertante (luglio 2012), dopo il pamphlet contro la democrazia occidentale (vedi mio Post “Graeber, critica anarchica alla democrazia”), mi sono applicato a leggere anche la più impegnativa opera di David Graeber “DEBITO - I PRIMI 5000 ANNI” (Il Saggiatore, pagg. 521 – di cui 150 di note - € 23).

Mi ha interessato il testo dell’antropologo americano, sia perché l’Autore è considerato un ispiratore del movimento Occupy Wall Street, sia perché il tema del debito appare centrale nell’attuale fase di crisi economica e sociale (vedi anche Finanzcapitalismo di Gallino, da me recensito in uno specifico Post, nonché, sempre in questo Blog, in PAGINE, PARTE 1^).
Come osserva Bertante, Graeber propone “un affascinante viaggio nella storia delle diverse civiltà”, entro cui ”pone in serio dubbio l’esistenza stessa del baratto come modello di rapporto commerciale dominante” e quindi l’astrattezza del concetto di “mercato” (come scambio teoricamente tra eguali), su cui si fondano le discipline economiche e nel suo insieme la cultura egemone dell’Occidente (sia nella variante neo-liberista che – secondo  Graeber – nelle modalità subalterne fatte proprie dal “movimento operaio”).

L’Autore soprattutto impiega il suo sapere antropologico, riferito sia alle civiltà antiche sia alle tribù primordiali esplorate negli ultimi decenni, per dimostrare quanto il baratto risulti marginale (limitato a parte degli scambi esterni alle comunità) rispetto ad assetti sociali impostati sulla comunanza delle risorse, sulla autorità “morale” e sugli incroci di “doveri” non quantificabili, ovvero di “debiti impagabili” (dall’amore materno/paterno/filiale alla riconoscenza per chi ti ha salvato la vita), che presentano pesanti smagliature solo nel trattamento da riservare al “nemico” (estraneo alla tribù), il quale può anche divenire schiavo ed essere considerato, conteggiato e scambiato come “numero” e non come “persona” (in tal modo, tra l’altro, lo schiavismo europeo nell’Africa nera riuscì ad avvalersi delle strutture tribali – al tempo stesso destabilizzandole - per approvvigionarsi di schiavi)
Graeber definisce tali società  “econome umane”, cui contrappone (schematizzo) le economie dello scambio, soprattutto se monetario, in cui prevale la spersonalizzazione dei rapporti, la quantificazione dei debiti e il venir meno del criterio di onorabilità per l’accesso al credito.
Mi sembra meno convincente (per la forse eccessiva ricerca di paralleli  e convergenze)  l’ampio affresco storico con raffronti internazionali sull’intero pianeta, così riassumibile:
-          Antichità, in cui tra l’altro, in Mesopotamia, come estensione del tempio e del palazzo, fondati sull’amministrazione dei beni comuni e sugli scambi di lavoro e cibo, emergono attorno al 3000 avanti Cristo anche i mercati ed i mercanti (nonché il prestito ad interesse), soprattutto in funzione del “commercio estero”, mentre ai margini si organizzano tribù di pastori/predoni antagonisti (inclusi coloro che sfuggono dalle città per evitare la servitù per debito);
-          Imperi assiali (quasi contemporaneamente, dall’800 avanti Cristo al 600 dopo Cristo, nel Mediterraneo, in India, in Cina), caratterizzati da militarismo, schiavismo, monete coniate in metalli preziosi (per il soldo agli eserciti e la spendibilità immediata anche in luoghi remoti e tra sconosciuti) e dallo sviluppo di pensieri “speculativi” (sia nel senso di una filosofia laica, sia in quello del calcolo di convenienza);     
-          Periodi “medievali” successivi, con forme statali ed economiche più labili e “locali”, in cui le antiche monete restano comunità di conto, ma non circolano, e si diffondono invece forme cartacee di regolazione di debiti e crediti, mentre le grandi religioni (ed anche le rivolte contadine, in Cina) mettono in discussione schiavitù ed usura, con il grande sviluppo dei mercati e mercanti mussulmani, attorno all’Oceano Indiano, liberi dalle ingerenze dello stato ed operanti sulla fiducia e l’assenza di prestiti ad interesse e viceversa con lo sviluppo pre-capitalistico dei grandi templi buddisti, imprese collettive e tesaurizzatrici;
-          Imperi coloniali e capitalistici “moderni” (dal 1450 d.C.), con il ritorno dei grandi eserciti, della monetazione metallica e della schiavitù (riservata, per i cristiani, alle razze inferiori ed esercitata in prevalenza fuori Europa) e con il progressivo “sdoganamento” dell’usura (sia per gli Ebrei che per i Cristiani, con le Riforme protestanti a fare da traino), fino all’affermarsi del paradigma indiscusso della presenza costante del prestito d interesse (e più modernamente con il connesso dogma della “crescita del PIL”); interessante vedere l’inizio della globalizzazione, dal 16^ secolo, con il flusso massiccio di argento dall’Europa e dall’Africa, e poi dalle Americhe, verso la Cina, bisognosa di moneta metallica ed esportatrice di merci pregiate;
-          Età contemporanea o dell’incertezza (parole mie) ovvero “L’inizio di qualcosa ancora da definire”, a partire dall’abbandono americano della convertibilità dollaro-oro (1971) e dalla diffusione del debito privato (che i poveri però devono vivere come “colpa”, mentre banchieri e speculatori si fano rimborsare dagli stati) e pubblico, questo causato e ad un tempo  e sorretto – per gli USA – dall’esercizio della loro forza militare mondiale.

Mi sembra molto valido il punto di vista non-euro-centrico dell’intero panorama geo-storico e l’approccio dialettico, che evidenzia i conflitti e le crisi, opponendosi a visioni tradizionali di sviluppo lineare e di progressismo ottimista e superando lo schematismo del Marx di “Forme economiche precapitalistiche” (da correlare però alle limitate conoscenze storiche ed archeologiche del tempo).
Meno valida invece la spiegazione della svolta capitalistica dell’Occidente cristiano (aggravata del traduttore che propone “avarizia” in luogo di “avidità”, probabilmente “greed” nel testo originale) che – anche prima della legittimazione luterana e calvinista del prestito ad interesse - ha visto svilupparsi nel suo ambito il successo economico e politico-militare dei banchieri (a partire da Firenze e Genova) e  nonché forti correnti di imperialismo predatorio già prima del Rinascimento, con l’intreccio tra Crociate e repubbliche marinare/corsare, e poi – anche in piena area cattolica -  con l’imperialismo coloniale. 

Ancor meno convincente mi è sembrata la parte finale, che – forse anche per un’ottica nord-americana, che contempla sindacati deboli, proletari militaristi e indebitamento di massa – sottovaluta di fatto la contraddizione tra lavoro salariato e capitale (non solo in Occidente, ma nelle nuove città-fabbriche dell’ex “terzo mondo”), evidenziando - a mio avviso eccessivamente - gli sconfinamenti del primo nel ritorno allo schiavismo e del secondo nella pura rapina “a mano armata” (nel senso del sostegno politico-militare), e privilegiando la questione del debito, non tanto come struttura macro-economica (vedi Gallino), ma soprattutto a livello antropologico: la ricchezza come dono di Dio e il debito come colpa da espiare
Ad esempio evidenzia l’iniquità dei debiti di studio per gli studenti universitari anglo-sassoni, proponendo come via d’uscita (destabilizzante) l’azzeramento dei debiti stessi e non considerando altre alternative nell’ambito della ridistribuzione del reddito, quali la rivendicazione di salari più alti per i genitori oppure di borse di studio e/o gratuità degli studi superiori (perché comunque il capitalismo non potrebbe soddisfare richieste universaliste, senza andare in crisi).

“Debitori di tutto il mondo unitevi” sembra essere la parola d’ordine per la rivolta anticapitalista ed anti-statuale tratteggiata da Graeber, per ora solo in negativo: per l’Autore è preliminare demolire il paradigma culturale del baratto e del debito;  dove andremo lo si scoprirà poi; forse a partire dall’Irak, dove il prestito ad interesse è stato inventato nel 4000 a.C. e poi sospeso per mille anni dai mussulmani; forse altrove.
L’insieme del messaggio mi sembra molto stimolante sotto il profilo culturale, come sollecitazione a rivisitare molte categorie del pensiero corrente esercitando una sorta di “microfisica del potere economico”; poco convincente sotto il profilo della proposta politica, perché se è vero che non si vedono in campo valide alternative di riformismo radicale adeguate alle dimensioni della crisi del finanz-capitalismo (vedi mia nota ai limiti della linea Gallino), pare difficile generalizzare come modello la rivolta dei contadini-debitori che incendiano il municipio con li registro dei debiti, oppure accontentarsi di un anarchismo de-costruttore, rinviando ad un domani imprecisato gli indirizzi per ricucire il tessuto sociale, cioè accelerare la crisi, in quanto ineluttabile, e prepararsi culturalmente alle bellezze di un nuovo medioevo.

giovedì 2 maggio 2013

CARO ENRICO, TI SCRIVO?

Tra gli elettori e i militanti del PD, varato questo governo, sembra stia scemando la protesta e crescendo il mugugno, la biblica pazienza a subire anche questa piaga d’Egitto, senza fuggire da un’altra parte (che pare non ci sia) e tenendosi stretta la preziosa “unità”: con il rischio quindi di coltivare, anche per il prossimo congresso le storiche ambiguità, che potranno poi essere foriere delle future sconfitte.
A proposito della squadra governativa, giudicata da molti (me compreso) con un “poteva essere peggio”, mi sembra scarseggino i commenti sulla presenza di 2 sindaci in carica: il problema non è il doppio stipendio, che pare sarà evitato, ma il conflitto tra le funzioni e l’impossibilità pratica  di svolgerle bene tutt’e due (vedi anche ruolo locale e ruolo nazionale di Vendola e di Renzi); c’è così forte scarsità di personale politico? Così forte insostituibilità dei singoli?
E’ piaciuta a molti la dichiarazione di Letta ai tedeschi “non devo spiegare a Voi dove trovo i soldi”; solletica l’orgoglio nazionale, rammenta le finali calcistiche e alla Merkel qualcosa va anche detto: però non risolve seriamente i nodi del rigore europeo e di una alternativa neo-keynesiana che – se non si ha la forza di far pagare chi non ha mai pagato e di modificare a fondo i meccanismi produttivi – potrà solo diluire e prolungare il debito.
Soprattutto perché almeno agli italiani, prima o poi, bisognerà dirlo dove trovare i soldi che mancano per mantenere le promesse del nuovo governo, anche se non pare scritto nel programma,  dove l’accordo tra i partiti sembra limitato al rinvio (alquanto democristiano) della prossima rata dell’IMU.

A proposito di IMU e di IVA, mi sono permesso, come elettore, di avanzare qualche idea(vedi sul blog), ma non capisco se qualcuno ascolta anche dopo  le campagne elettorali (durante le quali ho ricevuto risposte dagli staff di Bersani e di Serracchiani).

“Caro Enrico,”  ora almeno vorrei dirTi  “come contribuente l’IMU in questa situazione la pago anche volentieri:  non restituirla, taglia le tasse sul lavoro e assicura un reddito ai licenziati e agli esodati”
Ma se devi accontentare Berlusconi, cosa Ti scrivo a fare?