domenica 29 aprile 2018

LA “BELLEZZA” DEL SISTEMA PROPORZIONALE (E L’INADEGUATA CULTURA POLITICA CON CUI VI CONCORRONO I PRINCIPALI PARTITI)




Quale che sarà l’esito del confronto istituzionale in atto per l’eventuale formazione di un nuovo Governo, mi sembra il caso di evidenziare la grave carenza di ‘cultura politica’ mostrata in questa fase (ma già da ben prima delle elezioni) da tutte le principali forze parlamentari.

Per cultura politica intendo qui specificamente una coerente e razionale visione (anche, ma non solo, di metodo) del percorso per raggiungere il potere di governo, stante il quadro costituzionale e legislativo e la concretezza dei rapporti di forza tra i consensi acquisiti con le elezioni (ma già largamente prevedibili mediante i precedenti sondaggi), considerando in particolare che la nuova legge elettorale, di impianto in prevalenza proporzionale,  è stata concordata tra gran parte dei soggetti in campo (e non contrastata, riguardo al suo segno proporzionale, dal MoVimento5Stellle, che anzi pareva che la volesse proporzionale ancor di più).

A parte l’ubriacatura propagandistica con cui i 2 leader risultati maggiormente premiati dalla dinamica elettorale hanno continuato per giorni a proclamare, ciascheduno al vento, “Ho vinto e quindi devo governare (perché il mio è il primo partito oppure la mia è la prima coalizione)”, e la simmetrica ubriacatura da sconfitta per cui il PD ha iniziato a dichiarare “ho perso e perciò devo stare all’opposizione” (anziché constatare più semplicemente: “ho perso, ma non ha vinto nessuno”), mi pare che tale incultura sia ancora più radicale, e così articolata:

-          Il Centro-Destra, che da sempre quando si unisce tende a mascherare vistose contraddizioni interne, di carattere culturale e programmatico, sotto un mantello propagandistico efficace (un tempo contro i residui comunisti, poi contro le tasse, ora contro le invasioni di profughi e migranti), non ha elaborato una valida ipotesi di ulteriori alleanze, perché ne ingloba 2 divergenti (e annida al suo interno una terza componente, Fratelli d’Italia, che teorizza il cambio di alleanze come tradimento, forse ancora nel ricordo della coerenza della repubblica di Salò salvo che a compierlo siano ex-avversari compiacenti, eventualmente “acquisiti” dall’ex-Cavaliere Berlusconi, come comprovano gli atti del processo al senatore de Gregorio):

o   Forza Italia, che auspicherebbe un appoggio da parte del PD o meglio di parte del PD (perché il numero dei parlamentari da “acquisire” in termini monetari e non politici sarebbe eccessivo anche per le tasche del Cavaliere), ricambiando il patto Letta-Letta del 2013,

o   La Lega/Salvini, che non disdegna invece una convergenza con i 5Stelle;

-          Il MoVimento5Stelle era partito da una compiuta teoria delle non-alleanze e dell’auto-sufficienza, in quanto non-partito funzionale al futuro governo diretto dei cittadini-in-rete, confidando che con l’ostinazione nell’opposizione pregiudiziale e con la conseguente costrizione dei vecchi partiti agli esecrabili inciuci, il suo consenso avrebbe continuato a salire linearmente, fino a superare – con leggi elettorali proporzionali – il fatidico 51% ed oltre, perché in realtà siamo tutti cittadini e prima o poi dovremmo riconoscerci come tali (in rete), liberandoci definitivamente da quei mostri dei partiti: un pensiero un po’ totalitario, ma coerente. Non coerente però con le svolte connesse alla nomina di un solo “capo politico” (uno che perciò “vale” molto di più dei singoli cittadini-in-rete, i quali continuano a “valere uno”, o forse meno), che ha prima nominato un suo governo, poi ha iniziato a teorizzare che – in caso di consensi inferiori al 51% dei seggi -  avrebbe presentato il suo programma (ovvero uno dei suoi programmi) a “tutte le forze parlamentari”; poi ha rilevato che qualche forza parlamentare è da escludere perché “vecchia” (Berlusconi), facendo salvi (o Salvini?) i pur longevi sodali e sostenitori di tale vecchiume; poi ha fatto compilare al professor Della Cananea una bozza di contratto programmatico di bigamia, valido per sposare la Lega oppure il PD (bozza fondata sulla elisione e occultamento di gran parte dei problemi del paese, dall’Euro alle pensioni  fino allo stesso reddito di cittadinanza); sull’eventuale contratto (con il PD) si dovrà pronunciare “la rete” (cioè un centinaio di migliaia di iscritti a Rousseau), il che non era stato enunciato per la simmetrica Ipotesi di contratto con Salvini…..:mi fermo qui in attesa di ulteriori coerenti sviluppi;

-          Il PD ha ancora nel suo statuto una ormai ridicola “vocazione maggioritaria”, con Segretario designato come premier, ed ha cercato in queste settimane di trasformarla in una speculare “vocazione minoritaria”, arrivando recalcitrante ad una possibile convergenza con i 5Stelle, come zig-zagando ed un po’ recalcitrando aveva accettato nel 2013 il patto con Berlusconi per il governo Letta (poi trasformato in Letta-Alfano ecc., dopo il coraggioso voto per la decadenza del pregiudicato Berlusconi dalla carica di Senatore); conserva uno Statuto che prevede il ricorso alle primarie, con milioni di potenziali elettori anche non iscritti al Partito, per scegliere il suo leader, ma non contempla organicamente consultazioni di base per decisioni strategiche quali le possibili alleanze post-elettorali (ed in queste settimane fatica a riunire gli stessi organi collegiali – Direzione e Assemblea – per decidere come farsi sballottare dal vento).

Siamo però fortunati, perché in Parlamento c’è anche LiberiEUguali, i cui fondatori hanno sostenuto il NO al referendum costituzionale anche in direzione anti-maggioritaria (e prospettando una legislatura costituente, per farle davvero bene questa volta le riforme costituzionali…) oltre principalmente all’abbattimento di Renzi (obiettivo raggiunto solo in parte, perché Renzi a quanto pare rimane abbarbicato a brandelli del suo potere correntizio: le correnti da rottamare erano forse solo quelle degli altri).

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Mi permetto a questo punto di rammentare le mie modeste preferenze per un sistema elettorale maggioritario a doppio turno, appena più decente dell’Italicum (che la Corte costituzionale ha giustamente censurato ma solo in alcune sue parti): vedi elezioni parlamentari francesi, oppure elezioni dei sindaci, oppure ex-provincellum.

Potenzialmente in questa tornata gli elettori avrebbero dovuto scegliere al 2° turno tra DiMaio oppure Salvini (scelta invero indigesta), ma almeno si escluderebbe di averli tutti e due insieme al governo, e questo favorirebbe la chiarezza delle responsabilità nelle scelte; con le coalizioni disomogenee (come sarebbe anche quella tra 5Stelle e PD), sarà endemico lo scaricabarile sugli errori e sui risultati delle politiche governative.