Recentemente 10 parlamentari PD di diversa estrazione, tra
cui Manconi-Corsini-Muchetti-Tocci-Monaco (e che per lo più, alla Camera o al
Senato, nei mesi scorsi avevano disciplinatamente votato a favore del testo
finale della revisione costituzionale), hanno manifestato il proprio
pronunciamento per il NO al referendum confermativo su tale riforma.
La stima acquisita in passato da queste personalità e la
pacatezza delle loro argomentazioni mi stimola a valutarne le proposizioni,
anche se in parte mi troverò a ribadire quanto da me rilevato in precedenza sul
documento di Zagrebelski e altri 55 costituzionalisti (più trascurabili mi
sembrano invece come contenuto aggiuntivo le posizioni dell’ANPI, malgrado il
prestigio della sigla).
Pur essendo abbastanza interessanti politicamente le lunghe
parti relative al “metodo” della riforma in esame (mi riservo di ritornarci),
ritengo che a ciascuno di noi elettori importi soprattutto il confronto nel
MERITO della Riforma, cui i 10 riservano le seguenti 16 righe su un totale di
94 righe del testo.
“4) il merito. In
estrema sintesi, la nostra opinione è che la riforma non riesca a perseguire
gli obiettivi dichiarati: di semplificazione e di conferimento di efficienza e
di efficacia al sistema istituzionale. Più specificamente, essa disegna un
bicameralismo confuso - va da sé che siamo favorevoli al superamento del
bicameralismo paritario - nel quale il Senato, privo per altro di adeguata
autorevolezza e rappresentatività, rischia semmai di costituire un ulteriore
ostacolo al processo decisionale (davvero si pensa che il problema sia quello
di fare più celermente nuove leggi, anziché quello di farne meno e di scriverle
meglio?); un procedimento legislativo farraginoso e foriero di conflitti; un Senato
la cui estrazione locale mal si concilia con le rilevanti competenze europee e
internazionali affidategli; una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto
Stato-regioni che revoca il principio/valore delle autonomie ex art. 5 della
Carta (paradossalmente ignorando l'esigenza di ripensare le regioni ad
autonomia speciale); una complessiva alterazione degli equilibri, delle
garanzie e dei bilanciamenti di cui si nutre il costituzionalismo tutto a
vantaggio del governo, un vantaggio ulteriormente avvalorato dall'Italicum; il
conferimento ai futuri consiglieri regionali e sindaci senatori dell'istituto
dell'immunità sino a oggi riservato ai soli rappresentanti della nazione in
senso proprio”
Non mi sembra che si tratti di valutazioni sufficienti per
preferire il NO alla Riforma (e quindi il rinvio a nuove non semplici procedure
per una eventuale migliore riforma):
BICAMERALISMO CONFUSO: mi pare manchi una considerazione su
quanto l’attuale bi-cameralismo, oltre che “paritario” risulti opaco nelle sue
modalità, di fatto, nell’insabbiare o
disseppellire i disegni di legge nel calendario di lavoro delle 2 Camere e
nelle relative Commissioni: il giusto proposito di fare meno leggi e di
scriverle meglio può anziché da questa, imperfetta ma ormai pronta all’uso?
AUTOREVOLEZZA/RAPPRESENTATIVITA’/COMPETENZA DEL SENATO (ANCHE
A FRONTE DI MATERIE INTERNAZIONALI) ED IMMUNITA’ PARLAMENTARE: la modalità di
elezione dei futuri Senatori secondo la Riforma non è ancora definita nei
dettagli, ma lo è nei principi, e contempla sostanzialmente 75 Consiglieri
Regionali (+ 21 Sindaci) indicati dagli elettori nell’ambito delle elezioni dei
rispettivi Consigli Regionali – francamente non capisco perché debbano
risultare meno autorevoli, meno rappresentativi della Nazione. meno competenti (anche
sui temi internazionali) e meno da proteggere con l’istituto dell’immunità, rispetto
agli attuali 315 Senatori selezionati dai partiti e dai cittadini con altri
meccanismi elettorali.
RI-CENTRALIZZAZIONE CONTRO LE AUTONOMIE LOCALI (REGIONI A STATUTO
SPECIALE ESCLUSE): il concetto è enunciato in modo assai succinto, ma non si
confronta con le problematiche emerse in 15 anni di applicazione della Riforma
del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001; non so se la nuova
soluzione proposta è quella più valida (anche riguardo alle Regioni a statuto
speciale, in parte però coinvolte in rapporti bilaterali con Paesi confinanti
di comune madre-lingua) , ma non credo che per bocciarla sia sufficiente
evocare i principi dell’art. 5, la cui formulazione infatti ha convissuto con
un impianto assai centralistico del titolo V dal 1947 (e più concretamente
dall’attuazione delle regioni nel 1970) al 2001.
ALTERAZIONE “COMPLESSIVA” DI EQUILIBRI-GARANZIE-BILANCIAMENTI
A FAVORE DEL ESTERNO DELL’”ITALICUM”:
anche qui la proposizione è molto compressa e non supportata da valutazioni
analitiche (i 10 parlamentari non erano costretti a limitare i giudizi di
merito in 16 righe su 94); a mio avviso i bilanciamenti potevano essere scritti
meglio, ma nel testo approvato non vedo (come d’altronde non li vedono
Zagrebelski&C) uno stravolgimento in senso autoritario; mentre la nuova
legge elettorale “Italicum” esula dal testo costituzionale (per scelta che
risale alla stessa Assemblea Costituente del 1945-47), e sarà a breve giudicata
nel merito dalla Corte Costituzionale, sia riguardo alla congruità dei premi di
maggioranza che riguardo alle liste bloccate senza preferenze.
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Fuor dal merito, è probabile che in questa fase il No al
referendum possa essere una ghiotta occasione per affossare il Renzismo e
l’Italicum: è una partita politica aperta (molto aperta dopo l’esito delle
elezioni comunali e anche del referendum britannico contro l’Europa), ma per
ora non vedo convincenti disegni di ricostruzione di un quadro politico
alternativo, se non a egemonia 5Stelle oppure di destra (e non certo di
D’Alema, Fassina o Civati, e tanto meno di Speranza o di Mucchetti+9), previo
probabile periodo di palude parlamentare e ritorno alla “effervescenza” dei
mercati finanziari: non certo un clima favorevole a serene convergenze su
migliori riforme costituzionali.