mercoledì 23 luglio 2025

UTOPIA21 - LUGLIO 2025: UNA SELEZIONE DAL RAPPORTO ISTAT 2025

Dal testo del Rapporto 1, una rapida panoramica sulle variazioni a breve termine e tre approfondimenti tematici a più lungo periodo: produttività, pressioni ambientali e nuzialità.

PER LEGGERE L'ARTICOLO COMPLETO DI FIGURE: https://drive.google.com/file/d/1B0XzE0Ygqlibl60uzAeIkdDcHdvUZ6Y3/view?usp=drive_link

Sommario:

  • premessa

  • elementi emergenti nel breve termine

  • approfondimento strutturale sulla produttivita’

  • approfondimento sulle pressioni ambientali

  • approfondimento sulla nuzialita’

  • i saluti istituzionali

appendice i: capitolo 3 “una società per tutte le età” 

introduzione  e principali risultati

appendice ii - capitolo 4 “sistema economico e generazioni",

introduzione e principali risultati

(in corsivo le poche parole dell’Autore).




PREMESSA


Considerando che l’anno scorso ho estratto dal Rapporto Istat annuale soprattutto dati utili a evidenziare alcune criticità profonde nel medio periodo (occupazione, salari, istruzione terziaria, divari sociali di reddito, genere, generazione e territorio)2, in buona parte riprese anche nel recente articolo sulle disuguaglianze 3, già orientato dai dati Istat per il 2024 (divari di ricchezza e di reddito, lavoro povero), in occasione del nuovo Rapporto annuale 2025 1, ho pensato di concentrare l’attenzione - dopo una breve rassegna sugli elementi emergenti nel breve termine (ove ho introdotto miei titoletti per facilitare la lettura) -  solo su alcuni temi di approfondimento (produttività, economia circolare, nuzialità.), segnalando però che il Rapporto si estende - anche con ricerche originali - soprattutto sulle questioni relative alle diverse fasce di età: Capitolo 3 “Una società per tutte le età” e Capitolo 4 “Sistema economico e generazioni", di cui in Appendice riproduco i rispettivi paragrafi iniziali, riassuntivi.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        




ELEMENTI EMERGENTI NEL BREVE TERMINE


2024: quadro d’insieme


Nel 2024, l’economia italiana è cresciuta allo stesso ritmo moderato del 2023, ed è proseguito il rientro dalla forte dinamica inflazionistica che aveva caratterizzato il biennio 2021-2022. L’occupazione ha continuato a espandersi, ed è stato conseguito un parziale recupero nel potere di acquisto dei salari reali. Gli indicatori di finanza pubblica hanno registrato un netto miglioramento, anche se il debito pubblico misurato in rapporto al Pil è tornato ad aumentare.


2025: prospettive e rischi


Nel primo trimestre del 2025 si è confermata l’espansione dell’attività economica, ma sono anche aumentati i rischi per la crescita e per il contenimento dell’inflazione, soprattutto di origine esterna. Le prospettive per l’anno in corso sono quindi molto incerte e condizionate dall’evoluzione delle tensioni internazionali sul piano politico e commerciale.

Restano inoltre da affrontare sfide importanti che da tempo limitano la crescita economica e le opportunità di benessere nel nostro Paese, come confermato dalla dinamica debole della produttività. …. 


PIL


Nel 2024 il Pil mondiale è cresciuto a un ritmo lievemente superiore rispetto al 2023. La crescita è stata robusta negli Stati Uniti (+2,8 per cento) e in Cina (+5,0 per cento), mentre l’UE27 ha segnato un modesto recupero (dallo 0,4 all’1,0 per cento). Per molti paesi, tra cui l’Italia, un importante fattore di traino della crescita è rappresentato dalla domanda estera, la cui evoluzione è al momento molto incerta.

L’Italia ha mantenuto, per il secondo anno consecutivo, un ritmo di crescita dello 0,7 per cento, che riflette un debole contributo positivo della domanda estera netta e un rallentamento della spesa per consumi e, soprattutto, per investimenti. La crescita del Pil dell’Italia è risultata inferiore a Francia e Spagna, mentre la Germania ha sperimentato il secondo anno di contrazione.


occupazione e produttività


L’occupazione è cresciuta nel 2024 a un ritmo sostenuto (+1,6 per cento l’aumento degli occupati secondo le stime di Contabilità nazionale), ma la sua dinamica settoriale, a fronte di una più modesta crescita del valore aggiunto, ha contribuito a determinare una flessione dello 0,9 per cento nella produttività del lavoro misurata per occupato e dell’1,4 per cento per ora lavorata. Tra 2019 e fine 2024 l’occupazione misurata dalla Rilevazione sulle forze di lavoro è cresciuta del 3,8 per cento, come in Germania, ma meno che in Francia e – soprattutto – in Spagna, e i disoccupati si sono ridotti di oltre il 40 per cento, ben più che negli altri Paesi, per l’effetto congiunto di fattori economici, dell’evoluzione degli inattivi e della riduzione della popolazione in età di lavoro.



inflazione e retribuzioni


Nel 2024 l’inflazione al consumo è stata in media di anno pari all’1,1 per cento (secondo l’Indice armonizzato - IPCA), riflettendo il forte calo dei prezzi dei beni energetici. L’incremento dell’indice dell’Italia è risultato significativamente inferiore al 2,4 per cento medio dell’UEM. L’inflazione è tornata a crescere dall’ultimo trimestre del 2024 e ha confermato la tendenza al rialzo nei primi mesi del 2025.

Nel 2024 le retribuzioni nominali sono cresciute a un ritmo superiore a quello osservato per il tasso di inflazione. Gli aumenti salariali, in accelerazione rispetto all’anno precedente, hanno consentito un parziale recupero della marcata perdita di potere di acquisto del biennio 2022-2023. Tra gennaio 2019 e la fine del 2024, la crescita delle retribuzioni contrattuali è stata pari al 10,1 per cento a fronte di un aumento dell’inflazione (IPCA) pari a 21,6 per cento.


deficit e debito pubblico


Nel 2024 il deficit pubblico in Italia si è ridotto dal 7,2 al 3,4 per cento del Pil. Tra le altre principali economie europee, si è avuta una riduzione marginale del deficit in Spagna e un lieve peggioramento in Francia e Germania. In Italia il saldo primario (al netto della spesa per interessi) è tornato in avanzo dopo quattro anni; l’incidenza del debito pubblico è tuttavia salita lievemente, al 135,3 per cento del Pil, per la bassa crescita del Prodotto interno lordo a prezzi correnti e l’aumento della spesa per interessi.



APPROFONDIMENTO STRUTTURALE SULLA PRODUTTIVITA’


Alla ricerca delle ragioni profonde delle debolezze sociali e ed economiche dell’Italia rispetto agli altri grandi paesi europei, che è materia di ampi dibattiti teorici (tra i più recenti, il contributo di Alessandro Penati su “Domani” 4) e di scarsi provvedimenti operativi, il rapporto Istat 2025 offre interessanti contributi attorno alla questione della produttività.


crescita modesta e produttività: introduzione


La crescita modesta dell’economia italiana nell’ultimo decennio ha risentito di condizioni macroeconomiche sfavorevoli lungo quasi tutto il periodo, ma anche di alcune caratteristiche relative alla struttura del sistema produttivo – quali la dimensione delle imprese, la specializzazione in settori tradizionali e il limitato contenuto tecnologico/innovativo dei prodotti – a loro volta negativamente associate all’efficienza e all’incremento della produttività. 

Nel 2024, in particolare, è diminuita la produttività del lavoro, del capitale e, soprattutto, la produttività totale dei fattori, che misura il contributo della conoscenza e dell’innovazione all’incremento di efficienza dei processi di produzione.

Nel periodo 2019-2023 la crescita del valore aggiunto in Italia, come nelle altre principali economie dell’UE, è stata più sostenuta nelle attività industriali ad alta tecnologia e nei servizi intensi in conoscenza rispetto agli altri settori. Lo sviluppo e la diffusione della conoscenza nell’economia non possono prescindere dalla disponibilità di capitale umano. In questo ambito in Italia l’incidenza delle cosiddette “Risorse umane in scienza e tecnologia” (occupati con un titolo universitario e/o che lavorano come professionisti e tecnici, e occupati in professioni in ambito scientifico e tecnologico) – pari a quasi il 40 per cento degli occupati nel 2023 – è inferiore di circa 10 punti percentuali rispetto a Germania e Spagna e 17 rispetto alla Francia.

Il profilo di crescita realizzato dall’economia italiana nell’ultimo decennio è stato nel complesso positivo, ma con un ritmo piuttosto modesto: al periodo di stagnazione successivo alla fase recessiva del 2011-2013 (la cosiddetta crisi del debito sovrano) ha fatto seguito un periodo di ripresa moderata, esauritasi già prima della crisi del 2020 collegata alla pandemia; il rapido recupero dei livelli pre-pandemici nel biennio 2021-2022 è stato seguito da una fase di crescita a ritmi contenuti e concentrata in settori scarsamente dinamici in termini di produttività e innovazione. Tali risultati sono riconducibili sia a fattori di contesto internazionali sia alla debolezza della domanda interna, sulla quale hanno inciso le dinamiche inflazionistiche e la perdita di potere di acquisto delle famiglie.


produttività per fattori di produzione 


Gli indicatori di produttività possono fare riferimento a un solo fattore di produzione, lavoro o capitale, oppure possono considerarsi contestualmente capitale, lavoro e progresso tecnologico. Quest’ultima misurazione della produttività dei fattori di produzione è denominata contabilità della crescita e si realizza nel quadro dei conti economici nazionali per quantificare il contributo di aspetti non direttamente osservabili – quali, ad esempio, innovazione, conoscenza, organizzazione del lavoro – e riassunti nella componente di Produttività Totale dei Fattori (PTF), che riflette l’efficienza complessiva con cui gli input primari lavoro e capitale sono utilizzati nel processo di produzione.

Nel 2024 tutte e tre queste dimensioni di produttività hanno segnato una flessione. Focalizzando l’analisi sulla competitività del sistema delle imprese, ed escludendo quindi dal campo di osservazione le attività di locazione di beni immobili, le attività del personale domestico, tutte le attività economiche appartenenti al settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche e quelle delle organizzazioni e degli organismi internazionali, la produttività del lavoro è diminuita del 2,0 per cento (+0,3 per cento l’incremento medio annuo tra il 2014 e il 2024) per effetto di un aumento delle ore lavorate maggiore del valore aggiunto, che si riscontra soprattutto in alcune tipologie di servizi ad alta intensità di lavoro (ad esempio turistici …). Anche la produttività del capitale è calata, ma appena dello 0,2 per cento (+1,6 per cento l’incremento medio nel periodo 2014-2024), per effetto di un incremento più sostenuto dell’input di capitale rispetto a quello del valore aggiunto, mentre la PTF si è ridotta dell’1,3 per cento (+0,7 per cento il tasso di crescita medio annuo nel decennio considerato) …

Scomponendo la dinamica del valore aggiunto nei contributi derivanti dall’utilizzo dei fattori primari capitale e lavoro, e dalla PTF, a fronte di una variazione media annua dell’1,6 per cento del valore aggiunto tra 2014 e 2024, la PTF ha contribuito per 0,7 punti percentuali (0,9 punti nel quinquennio che precede la crisi pandemica e 0,6 tra il 2019 e il 2024) (Figura 1.17).


diffusione della conoscenza: personale tecnico


Lo sviluppo della conoscenza e la sua diffusione nelle attività produttive non possono prescindere dalla disponibilità di capitale umano con formazione e competenze adeguate. Considerando l’aggregato delle Risorse Umane in Scienza e Tecnologia (RUST), qui definito come occupati con un titolo universitario e/o che lavorano come professionisti e tecnici, e in professioni in ambito scientifico e tecnologico, l’Italia è in una condizione di ritardo rispetto alle maggiori economie UE27 (Figura 1.23).


In Italia, l’incidenza delle RUST sul totale degli occupati (15-74 anni) sfiora il 40,0 per cento nel 2023, circa 10 punti percentuali in meno rispetto alle quote di Germania e Spagna e 17 nei confronti della Francia. Questo dato va associato sia al minore sviluppo delle attività che fanno un uso più intenso di RUST, sia alla minore presenza di dipendenti con queste caratteristiche (titolo di studio e/o inquadramento professionale) nelle singole attività. Con riferimento a questo secondo aspetto, l’Italia è ultima nella manifattura, mentre nei servizi a elevata intensità di conoscenza, pur mantenendo una posizione arretrata, le differenze con gli altri paesi sono molto più ridotte.

La disponibilità di RUST al suo interno comprende la presenza di personale dedicato alle attività di R&S, ed è strettamente connessa alla diffusione della digitalizzazione: elementi, questi, fondamentali per rendere più efficienti i processi produttivi e creare nuove opportunità di affari e di lavoro.

Nel 2023, in Italia la spesa in R&S delle imprese è intorno allo 0,8 per cento del Pil (era poco più di 0,9 nel 2019), valore nettamente più basso rispetto a Francia e Germania (l’1,4 e il 2,1 per cento rispettivamente) e simile alla Spagna. La Germania si conferma il paese più innovativo anche in termini di brevetti depositati: 3,0 ogni 10 mila abitanti nel 2023, contro 1,5 della Francia, 0,9 dell’Italia e 0,4 della Spagna (Figura 1.24, sinistra).

Se prendiamo, inoltre, in considerazione alcuni indicatori chiave della digitalizzazione – l’uso di servizi di cloud computing, la diffusione della fatturazione elettronica e dei software gestionali (Enterprise Resource Planning - ERP), l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) nelle imprese con almeno 10 addetti – l’Italia presenta un quadro di luci e ombre (Figura 1.24, destra).





incidenza della digitalizzazione


A confronto con le altre maggiori economie dell’UE27 sono relativamente più diffusi l’uso dei servizi di cloud computing (circa il 60 per cento delle imprese, nel 2023) e la fatturazione elettronica, ormai universale in Italia. L’uso del cloud è stato favorito da incentivi pubblici con una forte adesione da parte delle piccole e medie imprese (PMI), e la diffusione della fatturazione soddisfa un obbligo normativo specifico: si tratta, in entrambi i casi, di interventi di successo da parte della politica, ma che non richiedono un investimento aggiuntivo in competenze. La diffusione dei software gestionali (ERP), ormai un fatto acquisito nelle imprese più strutturate, è analoga nei paesi considerati, ovunque con progressi modesti nel tempo. Emerge, per contro, un deficit crescente nella diffusione dell’IA nei processi produttivi anche nel caso delle imprese di dimensioni maggiori, per l’utilizzo della quale è più rilevante la dotazione di capitale umano, e che nell’ultimo biennio è aumentata con grande rapidità. In associazione con la minore diffusione dell’IA, si osserva che molto meno diffuso è pure l’impiego diretto di specialisti in ICT all’interno delle imprese; a mitigare questo quadro, la quota di imprese che offre formazione ICT ai dipendenti è in linea con le altre maggiori economie …

Questi dati e gli altri indicatori chiave di digitalizzazione si riflettono in una quota di imprese con un indice composito di intensità digitale elevato o molto elevato in leggera riduzione tra 2022 e 2024, mentre nelle altre tre economie è in crescita, anche se in Italia resta più elevata rispetto alla Francia.

Il ritardo digitale, tecnologico e di conoscenza che caratterizza le imprese italiane sconta le caratteristiche del tessuto produttivo e, in particolare, la prevalenza di imprese con dimensione media molto contenuta, la cui internazionalizzazione è trainata da quelle più grandi.



APPROFONDIMENTO SULLE PRESSIONI AMBIENTALI


Con riferimento a numerosi articoli su UTOPIA21, di Fulvio Fagiani 5,6,7, ed al mio articolo dello scorso settembre sui “flussi di materia” 8, il Rapporto Istat 2025 raccoglie ed espone dati significativi sulla lenta ma positiva evoluzione degli assetti socioeconomici italiani ed europei nella direzione della fuoriuscita dalle energie fossili e verso l’auspicata “economia circolare”. Anche se sappiamo che i traguardi restano lontani.

 

introduzione


La riduzione degli impatti negativi sull’ambiente naturale e sul clima esercitati dalle attività antropiche rimanda a cambiamenti nei modelli di consumo e di produzione, con un utilizzo meno intensivo di risorse naturali non rinnovabili. Confrontando il 2023 con il 2008, a fronte di una leggera crescita del Pil, in Italia si è avuta una riduzione del 23,1 per cento dei Consumi di energia delle unità residenti, del 32,0 per cento delle emissioni climalteranti e del 40 per cento circa del Consumo materiale interno. Tra il 2005 e il 2024 l’Italia ha triplicato la produzione da fonti rinnovabili, fino a circa 130 TWh, ma resta ancora indietro rispetto ai quasi 380 in Germania, e agli oltre 160 in Spagna e 150 in Francia dove, però, il nucleare – considerato energia pulita – concorre rispettivamente per ulteriori 55 e 380 TWh circa.


Nel dibattito sul rapporto tra economia e ambiente, l’evoluzione positiva della relazione tra risultati dell’economia e pressioni ambientali è nota come “disaccoppiamento” (decoupling). Il disaccoppiamento può essere relativo, se denota un rallentamento delle pressioni ambientali rispetto alla crescita economica, o assoluto, se le pressioni si riducono a fronte di una crescita del Pil.

Confrontando il 2023 (ultimo anno per il quale sono disponibili queste informazioni) con il 2008, in Italia il livello del Pil è cresciuto dell’1,4 per cento, ma nello stesso periodo si sono ridotti del 23,1 per cento il Consumo di energia delle unità residenti (Net Domestic Energy Use - NDEU …), di oltre il 32 per cento le Emissioni climalteranti (cosiddetti gas a effetto serra), e di circa il 40 per cento il Consumo materiale interno (Domestic Material Consumption - DMC …) (Figura 1.32, sinistra).

Nel 2023 il disaccoppiamento per i flussi diretti dell’Italia risulta assoluto perché, rispetto all’anno precedente, a fronte di una crescita sia pure modesta del Pil (lo 0,7 per cento) sono diminuiti gli indicatori fisici di Consumo di energia delle unità residenti (-4,5 per cento), Emissioni di gas climalteranti (-5,3 per cento) e Consumo materiale interno (-6,4 per cento).


“Le tre dimensioni del consumo di energia, delle emissioni e del consumo di materiale, anche se al lordo dell’impatto ambientale prodotto indirettamente in altri paesi tramite le produzioni importate …, hanno come fattore comune un miglioramento dell’efficienza energetica e ambientale di produzione e consumi, ma possono rispecchiare anche aspetti di natura congiunturale.”


emissioni di gas climalteranti


Le emissioni di gas climalteranti sono diminuite in misura analoga in Spagna e Francia (5,5 e 5,6 per cento) e maggiore in Germania (il 9,3 per cento, complice il calo di quasi il 5 per cento della produzione industriale); tutti e quattro i paesi nel 2023 presentano un’intensità di emissione sul Pil al di sotto della media europea: la Francia, in particolare, ha il valore più basso, anche grazie all’uso prevalente della fonte nucleare (Figura 1.32, destra).



….. sul calo del Consumo di energia delle unità residenti nel 2023 hanno inciso soprattutto la riduzione dell’impiego di gas naturale e carbone nella produzione di elettricità, il minor consumo (e produzione) da parte delle industrie energivore e il minor ricorso al riscaldamento, anche grazie al clima particolarmente mite specialmente nei primi mesi dell’anno e all’incremento dell’efficienza energetica del settore civile (anche per gli interventi di riqualificazione energetica sostenuti dal Superbonus e da altre forme di incentivazione). Nel settore dei Servizi, invece, i consumi energetici sono aumentati del 6,4 per cento, trainati dai trasporti (Figura 1.33, sinistra).

La riduzione nel 2023 del 5,3 per cento delle emissioni di gas climalteranti nell’atmosfera è riconducibile a fenomeni della stessa natura. Essa origina principalmente dall’industria della Fornitura di energia elettrica, gas vapore e aria condizionata, che ha immesso in aria il 22,2 per cento in meno di gas climalteranti rispetto al 2022. Tale risultato è stato generato dalla contrazione sia della produzione complessiva di elettricità (-6,9 per cento), sia dell’uso in tale produzione di combustibili fossili (in particolare gas naturale e carbone), grazie al maggiore ricorso a fonti rinnovabili. Al contrario, nel 2022 si era registrato un innalzamento delle emissioni climalteranti per effetto del cambiamento del mix energetico utilizzato nella produzione di energia elettrica in risposta alla crisi energetica e alla siccità record nel corso dell’anno, che era andato in favore dell’impiego di prodotti energetici a maggiore intensità di carbonio. Al risultato del 2023 hanno contribuito anche la riduzione delle emissioni delle industrie manifatturiere e del riscaldamento domestico, mentre, al contrario, sono cresciute le emissioni nel comparto dei Trasporti (+9,1 per cento) (Figura 1.33, destra).



Grazie a un migliore mix di fonti, l’intensità di emissione di CO2 dei consumi energetici – ovvero il rapporto tra emissioni e Consumo di energia delle unità residenti a fini energetici – nel 2023 si è ridotta del 2,4 per cento rispetto al 2022 (dopo essere cresciuta del 2,0 nel 2021 e del 2,7 per cento nel 2022) e dell’1,5 per cento rispetto al 2019.


flussi di materia


Per quanto riguarda i flussi di materia, le stime preliminari per l’Italia relative al 2023 evidenziano una riduzione del Consumo materiale interno. Tuttavia, questo dato va confrontato con la crescita negli ultimi anni dei flussi netti dall’estero e, quindi, dei flussi indotti a livello globale e delle corrispondenti pressioni sulla natura.

Nel complesso, questi dati suggeriscono una tendenza alla riduzione delle pressioni generate direttamente dall’economia dell’Italia e dei principali paesi europei. Per l’Italia, in particolare, le evidenze di breve periodo 2022-2023, seppur legate a fattori contingenti, si innestano su un andamento di lungo periodo complessivamente favorevole degli indicatori selezionati.








APPROFONDIMENTO SULLA NUZIALITA’


Nell’articolo sul Rapporto Istat 2024, avevo dato largo spazio alla questione del cosiddetto “Buco demografico”. Ora mi sembra opportuno riprodurre quasi integralmente il paragrafo 3.1.1. del Rapporto 2025, che analizza in prospettiva storica i dati relativi ai matrimoni, evidenziando il carattere radicale dei mutamenti avvenuti ed in atto nelle strutture familiari.


“I matrimoni, la nuzialità e le nuove forme familiari


Negli ultimi quaranta anni i matrimoni hanno registrato una progressiva e continua diminuzione, al netto di brevi oscillazioni dovute a fattori congiunturali. All’inizio degli anni Settanta del secolo scorso le nozze erano oltre 400 mila, alla fine degli anni Novanta erano scese a poco più di 280 mila. La crisi economica del 2008 ha accentuato il ritmo della diminuzione. Nel 2020 il numero dei matrimoni si è dimezzato, da oltre 180 mila del 2019, a 96,8 mila, per effetto delle misure di contenimento della pandemia da Covid-19, con molte celebrazioni rinviate agli anni successivi e altre mai recuperate. Nel 2023 i matrimoni sono stati 184.207, in diminuzione rispetto all’anno precedente (-2,6 per cento).


A influenzare il calo delle nozze è in primo luogo la riduzione delle generazioni più giovani dovuta alla denatalità persistente (cfr. par. 2.1.1 e 3.1.2); anche a parità della propensione a sposarsi, infatti, ciò comporta un inevitabile calo del numero assoluto di matrimoni. In secondo luogo, si osserva un cambiamento radicale nei comportamenti e nelle scelte familiari. Le unioni libere sono sempre più diffuse, sia come alternativa stabile al matrimonio, sia come fase iniziale che talvolta precede le nozze. Non è infrequente che i matrimoni vengano celebrati dopo anni di convivenza, anche in presenza di figli già nati. Il passaggio alla vita adulta segue, dunque, percorsi più diversificati rispetto al passato. Per gli uomini nati tra il 1982 e il 1986, la quota di quanti si sono sposati o sono andati a convivere è del tutto analoga (22 per cento circa per entrambe le scelte), ma molto diversa da quanto riscontrato in passato (per i nati nel 1957-1961 sei su dieci hanno lasciato la famiglia di origine per sposarsi e il 5,0 per cento per andare a convivere). Per le donne il matrimonio era e resta la motivazione prevalente di uscita dalla famiglia di origine, ma si dimezza dall’82,8 per cento della generazione 1957-1961 al 40,4 per cento della generazione 1982-1986, mentre crescono le unioni libere nelle coorti più recenti (dal 3,6 al 26,1 per cento delle corrispondenti generazioni) ….

La diminuzione della propensione al matrimonio è confermata dal calo dei tassi di primo-nuzialità. A partire dalla generazione del 1970, le curve mostrano un progressivo abbassamento dei livelli e un marcato posticipo delle prime nozze (Figura 3.1). Tuttavia, questo slittamento non è compensato da un recupero nelle età successive, determinando un numero crescente di primi matrimoni mancati. 



Nelle generazioni più giovani, la tendenza è ancora più evidente. L’evoluzione appena descritta può essere efficacemente narrata mettendo a confronto tre generazioni: le figlie, le attuali quarantenni (nate nel 1983), le loro madri (nate in media nel 1958) e le loro nonne (nate in media nel 1933). Per le donne nate nel 1933 il tasso di primo-nuzialità realizzato entro i 40 anni è stato pari a 879 matrimoni per mille donne, 870 per le nate nel 1958, mentre è crollato a 578 per le loro figlie (nate nel 1983); quest’ultimo valore è inferiore a quello che la ipotetica generazione delle madri aveva raggiunto già entro l’età di 25 anni (647). Nel Centro-nord il divario generazionale è ancora più marcato: il tasso di primo-nuzialità cumulato a 40 anni passa, nel Nord, da 856 per le nate nel 1933 a 477 per le nate nel 1983 e da 902 a 507 nel Centro.


Nel Mezzogiorno la flessione è meno accentuata: si passa da 890 della generazione del 1933 a 712 per la generazione del 1983 e i livelli sono decisamente più alti rispetto al resto del Paese … (Figura 3.2).






Passando dalle ipotetiche nonne alle ipotetiche madri delle attuali quarantenni si completa la prima transizione demografica, mentre nel passaggio dalle madri alle figlie si realizzano le


Nel nostro Paese è possibile individuare due tappe principali nell’ambito del processo della seconda transizione. La prima va, orientativamente, dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso alla metà degli anni Novanta. Gli anni Settanta si aprono all’insegna della legge n. 898/1970 sul divorzio e si concludono con l’approvazione della legge n. 194/1978 sull’aborto ... 

Nel 1975 viene approvato il nuovo diritto di famiglia e tra le modifiche sostanziali apportate vi sono: l’innalzamento a 18 anni dell’età minima per contrarre il matrimonio, il passaggio dalla potestà del marito sui figli alla potestà condivisa dei coniugi, l’eguaglianza tra coniugi, un nuovo regime patrimoniale della famiglia (separazione dei beni o comunione legale/convenzionale), la revisione delle norme sulla separazione.

Parallelamente si verifica uno straordinario incremento dell’istruzione femminile. Peraltro, il tempo necessario al completamento degli studi è uno dei principali fattori di posticipo tanto della nuzialità quanto delle nascite: una maggiore propensione allo studio contribuisce a procrastinare la decisione di formare una famiglia e di procreare. È, infatti, il calo della nuzialità e della fecondità, per effetto anche della posticipazione, il tratto distintivo della seconda tappa della seconda transizione demografica ….

La portata di queste trasformazioni si può efficacemente apprezzare confrontando i principali indicatori di nuzialità negli anni di calendario in cui le tre generazioni di donne compivano 40 anni (cioè rispettivamente negli anni 1973, 1998 e 2023), una età importante in cui generalmente sono già maturate le principali scelte in termini di formazione e discendenza familiare (Tavola 3.1).




Nel 1973, anno in cui la generazione delle ipotetiche nonne raggiunge i 40 anni, sono stati registrati 418,3 mila matrimoni, di cui il 95,9 per cento costituito da primi matrimoni celebrati con rito religioso; l’età media al primo matrimonio era pari a 27,2 anni per gli uomini e a 24,0 per le donne. I tassi di primo-nuzialità totali, distinti per sesso, sono una misura trasversale attraverso la quale si può valutare quanti primi matrimoni siano attesi da un’ipotetica generazione di 1.000 individui.

Sono superiori a 1.000, come avviene nel 1973, per un effetto congiunturale imputabile all’aumento della proporzione di nozze in giovane età, che incrementano il valore complessivo dell’indicatore.

I profondi cambiamenti legislativi degli anni Settanta hanno dato impulso nei decenni successivi al consolidarsi e all’emergere di nuovi comportamenti familiari: tra questi, in primo luogo, la rilevante riduzione dei primi matrimoni, ma anche l’emergere dei divorzi e dei matrimoni successivi. Nel 1998, quando la generazione delle ipotetiche madri raggiunge i 40 anni, i matrimoni sono già scesi a 280 mila, in particolare per il crollo delle prime nozze con tassi quasi dimezzati rispetto al 1973 (581 e 622 primi matrimoni rispettivamente per mille uomini e mille donne). L’età media al primo matrimonio, in rapida crescita, arriva nel 1998 a 30,2 e a 27,2 anni, rispettivamente per uomini e donne. I secondi matrimoni (o di ordine successivo) al contrario crescono fino all’8,7 per cento del totale delle celebrazioni. Aumenta rapidamente anche la quota di matrimoni civili, più di uno su cinque nel 1998. Nel 2023 sono state celebrate in Italia poco più di 184 mila nozze, di cui con il rito civile 58,9 per cento. Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95,0 per cento), essendo spesso una scelta obbligata, ma va diffondendosi sempre di più anche tra i primi matrimoni (47,5 per cento nel 2023). Anche la scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni (74,3 per cento) si conferma in crescita rispetto al passato (47,1 per cento nel 1998).

Si osserva un progressivo avvicinamento del modello nuziale femminile a quello maschile, in particolare per quanto riguarda l’età al matrimonio. Questa tendenza riconducibile anche all’aumento del livello di istruzione tra le donne che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, ha contribuito ad accelerare la posticipazione delle nozze. L’evoluzione è evidente anche nella composizione dei matrimoni per titolo di studio. Nel 2023, il 45,9 per cento delle unioni coniugali coinvolge almeno uno sposo con un titolo di studio elevato, per l’innalzamento generale del livello di istruzione, a fronte del 5,8 per cento nel 1973 …. Ancora più marcato è l’aumento dei matrimoni in cui entrambi i coniugi possiedono un titolo elevato: si passa dall’1,5 per cento nel 1973 al 17,7 per cento nel 2023 (Tavola 3.1).

Per le donne anche il lavoro diventa una componente importante, che influisce sui percorsi di vita e sulle scelte riproduttive. Il numero di donne che al momento del matrimonio sono in condizione non professionale diminuisce in modo significativo rispetto al passato: il peso percentuale delle casalinghe si riduce dal 21,6 del 1998 al 4,1 per cento del 2023.

Dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso emergono con chiarezza anche i comportamenti familiari tipici della seconda transizione demografica. Crescono le nuove forme familiari all’interno delle quali si annoverano i single non vedovi, i monogenitori non vedovi, le coppie non coniugate e le famiglie ricostituite.

Tra le forme familiari in espansione rientrano anche le unioni libere (oltre 1 milione e 700 mila) e le famiglie ricostituite coniugate (840 mila in media nel 2023-2024), che insieme rappresentano quasi una famiglia su dieci …. Le unioni libere sono ormai diffuse tra celibi e nubili, che rappresentano circa due terzi dei casi, come alternativa o fase precedente al matrimonio; circa un quinto è rappresentato da nuove unioni per separati e divorziati, mentre le unioni libere con almeno un vedovo sono meno frequenti.

La diffusione di unioni libere e ricostituite coniugate è più marcata nel Centro-nord e nelle aree urbane, dove rappresentano un quinto delle coppie, rispetto a poco più del 10 per cento nel Mezzogiorno. Tra le coppie in unione libera l’assenza di figli è leggermente più frequente (42,2 per cento) rispetto a quelle coniugate in prime nozze e in costanza di unione (40,7 per cento), anche per effetto dell’età più giovane e del rinvio della genitorialità.

Tuttavia, si registra una crescita costante delle nascite fuori dal matrimonio tra coppie mai coniugate, anche al secondo figlio. Questo suggerisce l’emergere di un nuovo modello familiare, orientato alla genitorialità indipendentemente dal vincolo matrimoniale, spinto sia da ragioni economiche sia da un cambiamento nei valori sociali.”



I SALUTI ISTITUZIONALI


Nella registrazione della Relazione del Presidente dell’Istat Chelli in una sala di Montecitorio 9, mi ha colpito il linguaggio dell’ onorevole Paolo Trancassini (Fratelli d’Italia), in rappresentanza della Camera dei Deputati, non dissimile da quello utilizzato l’anno precedente dalla Vice-Presidente Anna Ascani (Partito Democratico) e consono ai contenuti inclusivi e di attenzione a diversità e disuguaglianze che caratterizzano le ricerche e i testi dell’Istat.

Non so se dolermi per l’incoerenza tra tali parole diplomatiche e l’azione politica della maggioranza di centro-destra oppure rallegrarmi per l’incoerenza tra tali parole diplomatiche e gli espliciti contenuti anti-inclusivi del riferimento mondiale delle destre, l'amministrazione Trump.




aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

  1. ISTAT – RAPPORTO ANNUALE 2025 -  https://www.istat.it/produzione-editoriale/rapporto-annuale-2025-la-situazione-del-paese-il-volume/

  2. Aldo Vecchi - DAL RAPPORTO ISTAT 2024 - su UTOPIA21, luglio 2024 - 

https://drive.google.com/file/d/1eGDNHyObg9bQol5qyMrGH-MdZRtRSrna/view?usp=sharing

    1. Aldo Vecchi – DISUGUAGLIANZE IN ITALIA. CRONICHE? - su UTOPIA21, maggio 2025 - https://drive.google.com/file/d/1hVxfLlZRUYQL8qH40XoqxtUtalvE3ZTx/view?usp=drive_link.

    2. Alessandro Penati - L’ITALIA È CONDANNATA ALLA CRESCITA “ZERO VIRGOLA” DALLA SUA CLASSE DIRIGENTE—   - su “Domani”, 8 giugno 2025 - https://www.editorialedomani.it/economia/litalia-e-condannata-alla-crescita-zero-virgola-dalla-sua-classe-dirigente-iiwajcvn

    3. Fulvio Fagiani – I RISCHI CLIMATICI CHE MINACCIANO L’EUROPA – Pubblicato su UTOPIA21 di maggio 2024 - https://drive.google.com/file/d/1KHfcw_JNgRx54sKBf7PpBl0DUq3ROhB1/view?usp=drive_link.

    4. Fulvio Fagiani – Fulvio Fagiani – IL PIANO NAZIONALE INTEGRATO ENERGIA E CLIMA: L’ITALIA VUOL TORNARE A CANDELE E CALESSE? – Pubblicato su UTOPIA21 di settembre 2024 - https://drive.google.com/file/d/1PyIKNI7jItE1fp6E_maOVhxylXdb99FS/view?usp=drive_link.

    5. Fulvio Fagiani -Fulvio Fagiani – QUALCHE BUONA NOTIZIA DALLE RINNOVABILI E DALL’EIROPA – Pubblicato su UTOPIA21 di gennaio 2025 - https://drive.google.com/file/d/1E_zcz5X690wG9aY7DkHZvjz3ydaCWbgo/view?usp=drive_link.

  1. Aldo Vecchi - ISTAT: FLUSSI DI MATERIA ED ECOSISTEMI - su UTOPIA21, settembre 2024 - https://drive.google.com/file/d/1z6gwdttZKdb0ddnQAT7K1ImlDC0ropp1/view?usp=drive_link

  2. ISTAT – RAPPORTO ANNUALE 2025: PRESENTAZIONE AL PARLAMENTO

https://www.youtube.com/watch?v=sSSKWIioi7c





APPENDICE I: CAPITOLO 3 “Una società per tutte le età” 

INTRODUZIONE  E PRINCIPALI RISULTATI


L’aumento straordinario della sopravvivenza ha trasformato radicalmente la struttura della popolazione italiana, dando origine a una società in cui oggi convivono insieme più a lungo diverse generazioni. I loro percorsi di vita hanno contribuito a ridefinire il contesto demografico, sociale ed economico del Paese. Osservarne l’evoluzione della struttura e dei comportamenti significa cogliere i cambiamenti in atto, ma anche programmare in modo più efficace gli interventi necessari per gestire meglio le possibili traiettorie e criticità future.

Per comprendere le esigenze di una popolazione che invecchia, ma che, al contempo, chiede nuove opportunità, è indispensabile adottare il punto di vista generazionale, analizzando i cambiamenti dei percorsi di vita. L’allungamento della vita in buona salute e il maggiore livello di istruzione hanno ampliato gli orizzonti delle generazioni, ma anche introdotto nuove sfide e divari: vivere a lungo non è uguale ovunque, né per tutti. Se da un lato aumentano gli anni vissuti in autonomia, dall’altro persistono forti divari territoriali e socioeconomici.

È attraverso l’approfondimento delle dimensioni territoriali che tali dinamiche possono essere comprese nella loro complessità e nelle implicazioni per il benessere collettivo. Gli squilibri tra generazioni nei territori evidenziano le specificità locali, in termini sia di tendenze demografiche sia di fattori come la tipologia familiare, che possono influenzare il potenziale supporto sociale, specie quello informale, e la capacità della società di far fronte alle sfide poste dall’invecchiamento.

Le analisi per generazione confermano un cambiamento profondo nel modo in cui si entra nella vita adulta. L’uscita dalla famiglia avviene sempre più spesso attraverso la convivenza informale, mentre il matrimonio e la genitorialità sono rimandati, o talvolta evitati del tutto. La nuzialità mostra una tendenza alla diminuzione e alla posticipazione, con una crescente diffusione di unioni libere e famiglie ricostituite. Il calo della fecondità, il più marcato degli ultimi decenni, e la crescente instabilità coniugale completano il quadro di una transizione demografica in cui i legami familiari si diversificano e si ridefiniscono nel tempo.

Appare evidente come il nostro Paese sia connotato da un modello di fecondità bassa e tardiva da molte generazioni. Alla fine della loro storia riproduttiva, le donne nate all’inizio degli anni Trenta del secolo scorso avevano avuto in media circa due figli per donna, se residenti nel Nord e nel Centro, mentre quasi tre nel Mezzogiorno. A partire dalle nate negli anni Sessanta si nota un processo di progressiva convergenza, al di sotto dei due figli per donna, in tutte le ripartizioni. Nel Nord già la generazione del 1933 era al di sotto dei due figli per donna, nel Centro quella del 1939; nel Mezzogiorno, invece, bisogna arrivare fino alla generazione del 1961.

Ma il dato di rilievo è che nel passaggio dall’ipotetica generazione di madri nate nel 1958 a quella delle loro ipotetiche figlie nate nel 1983, che hanno superato oggi i 40 anni, raddoppia la quota di donne senza figli (dal 13 per cento al valore stimato del 26 per cento), con un picco di circa tre donne su dieci nel Mezzogiorno. Parallelamente si riscontra un’accentuata posticipazione dell’età alla nascita del primo figlio, che aumenta il rischio di avere un numero di figli inferiore alle attese o di non averne affatto.

Differenze rilevanti tra le generazioni si apprezzano quando si considerano gli stili di vita. A partire dai nati degli anni Cinquanta, si osservano miglioramenti continui nei comportamenti legati alla salute: calano i fumatori e cresce l’attenzione alla pratica sportiva. Accanto a questi segnali positivi, emergono tuttavia nuove criticità: aumentano i casi di sovrappeso e di obesità già dall’infanzia, si diffondono nuove forme di fumo (sigarette elettroniche, prodotti a tabacco riscaldato), e tra i più giovani preoccupano i fenomeni di ubriacature dovute soprattutto al consumo di superalcolici.

Si è spostata in avanti anche l’età in cui si diventa anziani: i 75enni di oggi possono contare di vivere in media lo stesso numero di anni dei 64enni degli anni Cinquanta. Ma questi progressi non sono uniformi: restano marcati i divari legati al territorio, al genere, alla condizione socioeconomica.

È soprattutto nei territori più fragili, come le Aree Interne, che l’invecchiamento si intreccia con lo spopolamento, la bassa fecondità, l’emigrazione giovanile e la ridotta attrattività per i flussi migratori dall’estero. In questi contesti, la presenza di anziani soli è più frequente e rischia di rendere ancora più fragile che altrove la rete di supporto informale (famiglia, amici, vicinato) su cui contare.

Un elemento cruciale che segna le nuove generazioni di anziani è l’aumento del capitale umano: oggi più istruiti rispetto al passato, i nuovi anziani vivono mediamente meglio, attivi più a lungo e con maggiori risorse culturali. Tuttavia, anche su questo fronte emergono disuguaglianze, con le Aree Interne che presentano una minore quota di popolazione con titoli medio-alti rispetto ai Centri. Questo svantaggio si riflette, più in generale, sul benessere individuale.



APPENDICE II - CAPITOLO 4 “Sistema economico e generazioni",

INTRODUZIONE E PRINCIPALI RISULTATI


A due anni dall’uscita dalla crisi sanitaria il nostro Paese ha superato i livelli di attività pre-pandemici, realizzando un costante ampliamento dell’occupazione e, nell’ultimo anno, un parziale recupero dei salari reali. D’altra parte, dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso l’economia italiana presenta un rallentamento del ritmo di crescita, che si è aggravato dall’inizio del secolo corrente in cui si è indebolito anche l’andamento della produttività.

Questi fattori hanno prodotto effetti negativi sulla dinamica dei redditi e, più in generale, sulle prospettive di realizzazione personale e di benessere economico. Il rallentamento della crescita contraddistingue gran parte dei paesi che hanno raggiunto una fase matura di sviluppo economico e attraversano una fase di declino demografico. Tuttavia, in Italia l’intensità e l’interazione di questi fenomeni hanno prodotto effetti assai più marcati sull’economia e nella società.

In questo Capitolo i vincoli e le opportunità economico-professionali degli individui nel corso degli ultimi decenni, al loro ingresso e durante la permanenza nel mercato del lavoro, sono considerati secondo una prospettiva di confronto generazionale. Si approfondisce come i mutamenti occorsi – in particolare, la crescita dell’età media e del livello di istruzione della popolazione – si riflettano sulle sfide del futuro. L’analisi è realizzata, in gran parte, integrando a livello micro alcune tra le principali fonti statistiche e amministrative dell’Istat.

Le evidenze principali delle analisi svolte possono essere così riassunte.

Nel nuovo millennio, il ridotto tasso di crescita economica ha limitato in Italia, più che in altri paesi dell’UE27, le prospettive di maggiore benessere economico: dal 2000 al 2024, il Pil reale del nostro Paese è cresciuto meno del 10 per cento, mentre ha registrato incrementi intorno al 30 per cento in Germania e Francia, e superiori al 45 per cento in Spagna.

Nello stesso periodo, l’occupazione è cresciuta a un tasso più sostenuto (+16 per cento) e comparabile a Francia e Germania. Tuttavia, la crescita delle opportunità di occupazione è stata favorita dall’espansione delle attività dei servizi ad alta intensità di lavoro e bassa produttività e, poiché la produttività del lavoro è cresciuta anche negli altri settori meno che nelle altre principali economie europee, in Italia si è registrato un ristagno del Pil reale per ora lavorata e, di conseguenza, della dinamica salariale di medio-lungo periodo.

I cambiamenti strutturali in atto hanno incrementato il peso dell’occupazione più qualificata, anche se in misura inferiore rispetto alle altre maggiori economie europee. Negli anni più recenti è aumentata rapidamente anche la quota di occupati in professioni associate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che rappresentano una componente strategica per la competitività e l’innovazione dell’intero sistema economico.

La diffusione dell’istruzione è stata la trasformazione più importante nel modificare le caratteristiche e le opportunità professionali delle diverse generazioni. Tra l’inizio degli anni Novanta del secolo scorso e il 2023, la quota di laureati tra i 25-34enni è salita dal 7 a oltre il 30 per cento, e fino al 37,1 per cento tra le donne, che in questa classe di età hanno raggiunto tassi di occupazione analoghi a quelli dei coetanei laureati.

Nel 2024, in termini reali il reddito da lavoro per occupato era inferiore del 7,2 per cento rispetto al 2004, con decrementi in tutte le classi di età. La maggiore partecipazione al mondo del lavoro ha comunque prodotto effetti positivi. La contrazione dei nuclei familiari, l’aumento dei componenti attivi sul mercato del lavoro e la maggiore diffusione della proprietà dell’abitazione hanno permesso di compensare pienamente la riduzione dei redditi individuali, con una crescita del 6,3 per cento del reddito familiare equivalente. Inoltre, se si considera il periodo 2011-2022 – prima della temporanea caduta del potere di acquisto dovuta al recente episiodo inflazionistico – la quota di adulti tra i 18 e i 65 anni che hanno percepito redditi da lavoro imponibili è aumentata in misura rilevante (dal 62,7 al 70,4 per cento), e si è avuta una crescita del 4,2 per cento del reddito mediano in termini reali.

Tra i fattori che contribuiscono maggiormente a incrementare le opportunità di lavoro e di crescita professionale, le analisi realizzate hanno confermato come più elevati livelli di istruzione forniscano ancora un premio in termini di maggiori salari e il territorio condizioni notevolmente le opportunità da cogliere, penalizzando alcune ripartizioni del Paese (Mezzogiorno) e specifiche aree in difficoltà localizzate anche nel Centro-nord (aree periferiche o in declino industriale).

In un contesto di prospettive limitate e condizionamenti territoriali e familiari, la capacità e le scelte individuali hanno continuato a fare la differenza. Considerando la popolazione dei circa 550 mila giovani nati nel 1992, appena maggiorenni nel 2011 e trentenni nel 2022, tra le famiglie a bassa istruzione oltre un terzo dei giovani non arriva al diploma secondario superiore, ma quasi un quinto ha completato un ciclo universitario.

La crescita dei livelli di istruzione e l’invecchiamento degli addetti hanno modificato le caratteristiche del capitale umano delle attività economiche in misura differenziata nel sistema produttivo. Tra il 2011 e il 2022, l’età media degli occupati è salita di 2,4 anni e il livello di istruzione di 0,7 anni di studio equivalenti per addetto. Il rischio del mancato ricambio generazionale è concentrato nelle unità economiche di dimensioni minori, in larga parte di autoimpiego del titolare o meno efficienti.

Inoltre, la dotazione di capitale umano qualificato sotto i 35 anni ha favorito il successo delle imprese nell’adozione delle tecnologie digitali, e influito positivamente sull’attività innovativa e sulla performance occupazionale e di crescita economica.