Ho ricevuto per e-mail dall’on.le Sergio Gentili il
documento “L’ecologia nel rinnovamento della sinistra –
10-07-2013”, che mi sembra poco diffuso, e per questo riproduco come allegato a
questo Post.
Diversamente che nei manifesti di Barca e Cuperlo,
nella raccolta di tweet di Civati e nelle battute televisive di Renzi, in
questo testo i temi - secondo me fondamentali - dell’ambiente e del lavoro sono
centrali e articolati, con una visione dal giusto taglio internazionale e con
il tentativo di andare oltre il mero rilancio dell’attuale modello di sviluppo,
in chiave neo-keinesiana (ovvero ampliando il debito), come invece la maggior
parte degli economisti del PD.E’ triste però che ciò avvenga solo in un recinto marginale della sinistra (l’area o corrente eco-lab del PD), e forse in parallelo in parte di SEL, mentre i flussi principali del confronto politico/mediatico – al di fuori della paranoica agenda dettata dai fans di Berlusconi – vagano da tutt’altre parti:
- ad esempio nella difesa “a prescindere” della 2^ parte della Costituzione di fronte ad un rischio di presidenzialismo che per fortuna non incombe
- mentre il forum di Stoccolma ha ribadito le preoccupazioni del mondo scientifico per i mutamenti del clima, ed in altre parti del pianeta qualcuno almeno se ne accorge
Nel merito delle argomentazioni mi ritengo tuttavia
solo parzialmente soddisfatto rispetto alle considerazioni in precedenza svolte
in questo Blog ed in parte da me espresse come critica a diversi documenti del
PD o di sue aree od esponenti:
-
Eccesso di ottimismo verso la green economy e la
possibilità di conciliare rilancio produttivo, piena occupazione e rispetto
della natura, ovvero dei limiti delle risorse: gli errori della “decrescita
felice” sono liquidati con 2 battute, senza approfondimento- Sottovalutazione del problema del consenso democratico alla riconversione ambientale della produzione e degli stili di vita, pur accennato al capitolo 9: la formula “un po’ più di democrazia” echeggia le vaghezze di Bersani (“un po’ più di lavoro”) con cui si sono non-vinte le elezioni di febbraio
- Sopravvalutazione dei contenuti ambientali e sociali delle politiche effettivamente intraprese da Obama e schematica identificazione tra sinistra europea e speranze ecologiste (su molti aspetti la Merkel è invece preferibile a Hollande, a partire dal nesso energia nucleare/energie alternative)
- Mancanza di approfondimento sulle ragioni della (pur rilevata) debolezza strutturale della sinistra europea, sia nella versione socialdemocratica che nelle altre, spesso divergenti e minoritarie, tra cui quelle ecologiste (ed assenza di riflessioni sulla situazione italiana, con gran parte delle simpatie ambientaliste attratte da una forza contradditoria come il M5S, che affianca la decrescita all’aziendalismo anti-sindacale, con qualche venatura di xenofobia)
- Pur nella consapevolezza della conflittualità necessaria, scarsi accenni alle modalità politiche ed economiche per compiere una effettiva transizione dall’attuale crisi all’auspicata green economy, contro le non inermi forze del neo-liberismo e della finanza internazionale (si veda in merito il divario tra il manifesto del “gruppo Roosvelt–svegliatevi” e le concrete pratiche di Hollande)
- Limiti nelle proposte di riforma della politica, con giuste critiche ai partiti personali, ma ancorate – pare – ad una nostalgia del “partito degli iscritti”, senza una adeguata indagine su quali siano le basi sociali attuali del PD, dei suoi iscritti e dei suoi (recalcitranti) simpatizzanti: non vedo una adeguata riflessione sulle problematiche spietatamente ma realisticamente delineate da Marco Revelli in “Finale di partito”, ed obiettivamente riprese in parte da Fabrizio Barca.
ALLEGATO:
L’ecologia nel rinnovamento della sinistra
1. Valori comuni
Il “futuro di tutti noi” è compromesso dal continuo e crescente degrado della biosfera dovuto all’impronta ecologica della popolazione mondiale, a modelli sociali ed economici dissipativi e inquinanti, ai limiti delle risorse naturali e alla loro ineguale redistribuzione. Da tempo si convive pericolosamente con fenomeni ambientali estremi: cambiamenti climatici, riduzione della biodiversità, desertificazione, inquinamento delle acque e del suolo, dissesto idrogeologico, consumo del suolo.
L’industrializzazione e la rivoluzione scientifica hanno mutato il rapporto tra la specie umana e la natura. L’azione dell’uomo sta modificando velocemente gli equilibri naturali dentro cui è potuta svilupparsi la specie umana.
In questa nuova epoca è indispensabile far maturare tra le forze sociali, culturali, politiche e nel governo delle istituzioni, una maggiore consapevolezza dei limiti e dei rischi ecologici che si vivono.
Il genere umano non può più pensare di essere “superiore e dominatore della natura”, è arrivato il momento di abbandonare ogni antropocentrismo e concepirsi parte della natura stessa.
A noi tutti, è assegnato il ruolo di difendere e di, come indica papa Francesco, custodire il pianeta. Due compiti su cui si misurerà la responsabilità umana verso le future generazioni.
Il genere umano è in grado di scegliere questa alta e necessaria funzione in quanto ha generato i valori intramontabili dell’uguaglianza e della solidarietà. Valori che possono dare la capacità di operare sia per la tutela della biosfera, sia per la liberazione di ogni essere umano che, con la propria insopprimibile singolarità di genere, ha il diritto di essere rispettato, aiutato e messo nelle condizioni di essere felice, con il sapere e il lavoro, nel raggiungimento del bene comune.
Nella nostra epoca, sono indivisibili i valori, presenti nella Carta dei diritti dell’uomo e nella nostra Costituzione, della uguaglianza, della solidarietà, della libertà, della democrazia e della pace con quello della responsabilità della specie umana verso la natura.
2. “La moderna questione sociale”
Con la politiche neoliberiste il degrado ambientale e la svalutazione del lavoro e dei diritti delle persona hanno vissuto una vicenda comune e parallela.
I fatti hanno dimostrato come ambiente e lavoro siano due facce della stessa medaglia: meno tutela ambientale e meno lavoro, meno ricerca e meno impresa, più diseguaglianze sociali e più inquinamento, più consumismo e meno materie prime. Questo intreccio rivela che è presente una inedita e “moderna questione sociale" fondata sulla riduzione dei diritti, sul disvalore del lavoro e sul degrado dell’ambiente.
Essa è il frutto avvelenato dell’ideologia del libero mercato, senza regole e responsabilità sociale e ambientale, che ha fatto del massimo profitto privato e dei dividendi finanziari, il principio generale dell’economia e dei rapporti sociali, facendo passare per costi da tagliare le conquiste storiche dello stato sociale: diritto al lavoro, reddito dignitoso, scuola pubblica, salute, casa e pensione.
La stessa logica ha aggravato la contraddizione ambientale continuando col consumo insostenibile delle risorse naturali, con la riduzione della biodiversità, con l’aumento dell’inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque, fino ai tentativi di privatizzare i beni comuni, i semi agricoli e lo stesso DNA.
Sempre più si è reso evidente come la contraddizione sociale e la contraddizione ecologica siano collocate entrambe nei concreti processi produttivi e come siano condizionate dal livello tecnologico, dalla gerarchia sociale dei rapporti di produzione e dalle forme della democrazia.
3. Il
potere oligo-finanziario
Nell'Occidente la globalizzazione neoliberista
è caratterizzata dalla nascita di un
forte potere oligo-finanziario. Esso ha cambiato il sistema capitalistico
spostandone il baricentro di comando dall’industrialismo consumistico al potere
finanziario. Il volto della globalizzazione si è modificato: la finanza speculativa si è sovrapposta alle
politiche di delocalizzazione, di frammentazione dei cicli produttivi, di
competitività giocata sui bassi salari, sulla svalutazione del lavoro e sulla
irresponsabilità ecologica. I mezzi finanziari e monetari messi in movimento dall’economia finanziaria sono giganteschi e senza controllo, si stimano 6-8 volte il Pil mondiale. Economia reale, ricerca, commercio, innovazione delle merci, urbanistica, territorio e ambiente sono risultate sempre più soggette alle scelte della finanza e sempre meno sono state nelle mani delle forze sociali, dei cittadini, della politica delle istituzioni democratiche.
La cosiddetta rivoluzione liberista ha fatto arretrare il ruolo regolatore dello Stato e messo in crisi la partecipazione e la democrazia.
È certo che non potrà essere il modello consumistico occidentale a garantire il diritto al benessere e il futuro all’umanità.
Anche perché il neoliberismo ha determinato forti sconvolgimenti sociali e politici in tutto il mondo occidentale che, pur vissuti in modi e intensità diversi da paese a paese, da continente a continente, hanno dimostrato tutti i suoi limiti e ingiustizie.
È da diversi anni, quindi, che si pone la questione del superamento del neoliberismo.
Sono queste le ragioni profonde per cui l’occidente e l’Europa vivono un periodo di transizione per superate i vecchi asseti liberisti.
La transizione è caratterizzata da un duro scontro sociale, culturale e politico i cui sbocchi democratici non sono né sicuri e né certi.
Negli USA Obama ha avviato un processo di cambiamento sociale e politico ma nel resto del mondo il cambiamento è molto incerto.
L’Europa è uno degli epicentri strategici del conflitto con le forze neoliberiste.
Essa è ancora sottoposta alle politiche recessive delle destre che mettendo in discussione il lavoro e lo stato sociale di popoli interi, stanno alimentando ondate popolari neo-nazionalistiche e di sfiducia verso la democrazia. Se le forze progressiste non riusciranno a determinare una svolta democratica, l’Unione europea sarà compromessa e con lei il ruolo autonomo dei popoli europei nel mondo e nel Mediterraneo.
Stare nella transizione significa combattere per una nuova idea d’Europa: gli Stati uniti d’Europa, fondati sulla drastica riduzione delle diseguaglianze, sulla valorizzazione del lavoro, sullo sviluppo sostenibile e sul rinnovamento della democrazia.
In questo quadro, l’Italia vive un momento difficilissimo di passaggio politico ed economico, per uscirne è indispensabile unire e mobilitare le forze progressiste, culturali e sociali.
La proposta di sviluppo sostenibile, di economia verde, rappresenta la base su cui far convergere le forze del cambiamento. Ciò perché la riforma sostenibile dell’economia, processo già in atto, è in grado di dare risposte immediate e di prospettiva ai giovani precari, alla ricerca scientifica, all’impresa innovativa, all’occupazione, alla coesione tra nord e sud, alle forze del lavoro e del ceto medio.
Lo sviluppo sostenibile riconsegna centralità allo Stato, alle politiche pubbliche, all’etica della politica e ad uno stato sociale partecipato, federale, sburocratizzato, moralizzato ed efficiente.
5. “Siamo davanti ad un bivio”
La transizione è l'occasione storica per il cambiamento, per un avanzamento della rivoluzione democratica in Europa e in Italia. È l’occasione per saldare insieme le forze progressiste, ecologiste e socialiste europee.
In gioco c'è l'Europa e l'Italia, c’è il miglioramento delle condizioni materiale delle popolazioni e del lavoro, c’è la riforma ecologica dell’economia, c’è la riforma morale e democratica del sistema politico.
Ma la trasformazione non è univoca. Siamo ancora davanti ad un bivio. Oggi si scontrano due ipotesi alternative: la prima, rilancia il neoliberismo, il taglio del welfare e la irresponsabilità sociale e ambientale del mercato, cioè subordina il lavoro, i diritti, la qualità della vita, la qualità dell’impresa e della ricerca, come la qualità delle città e la tutela dei beni comuni e culturali agli interessi economici dei grandi gruppi industriali e finanziari; la seconda, propone che gli interessi collettivi, attraverso il ruolo regolatore dello Stato, la partecipazione e la riforma della politica abbiano un ruolo centrale e di indirizzo.
La seconda ipotesi è quella che privilegia l'uomo e la natura, il futuro e le nuove generazioni, crea economia e ricchezza, fa avanzare la dignità della persona, i diritti del lavoro e la qualità dell’impresa; aiuta miliardi di persone ad uscire dalla povertà.
6. “ I fiumi confluiscono”
La transizione interroga tutte le culture democratiche e le spinge in avanti. La cultura ecologista non può più considerarsi autosufficiente e separata dal lavoro poiché da sola non ha la forza per dare risposte adeguate all'insieme delle questioni sollevate dalla moderna questione sociale.
Analogamente le culture che si richiamano al lavoro e alle idealità socialiste non possono ritenersi tali senza aver assunto fino in fondo nella propria cultura politica lo sviluppo sostenibile e le proposte programmatiche della green economy.
Per stare nella transizione come forze consapevoli e responsabili le forze che si richiamano ai valori socialisti e del cristianesimo sociale debbono avanzare una nuova idea di società fondata sul lavoro, sulla piena dignità delle persone e sullo sviluppo sostenibile.
La costruzione quotidiana richiede il superamento di ogni incertezza e incoerenza programmatica rispetto ai bisogni sociali e ambientali, richiede il superamento di ogni subalternità culturale al neo liberismo.
Non è questa un’opera che può essere condotta da gruppi ristretti protetti in nicchie ecologiste o da vecchie culture socialdemocratiche, serve la convergenza dell’innovazione ecologista nelle idealità socialiste e nei suoi partiti politici. Non è più il tempo, in Italia, dei partitini ecologisti, delle incomprensioni, delle divisioni e della competizione.
7. “ Lo sviluppo sostenibile”
La concezione dello sviluppo sostenibile,
come specificato negli anni dai documenti delle Conferenze dell’ONU,
rappresenta anche il punto d'incontro tra l’ecologismo scientifico e le moderne
idealità sociali.Rappresenta l’idea di una nuova società basata sul soddisfacimento dei bisogni primari e dei diritti umani senza compromettere la natura.
Ha come obiettivi primari: la rimozione della povertà e delle ineguaglianze nella redistribuzione delle risorse naturali; l’innovazione tecnicoscientifica; la promozione della partecipazione dei popoli e delle persone alle scelte collettive; la riforma dell’attuale economia capitalistica; nuove e solidali forme sociali di produzione e sobrietà nei consumi; la tutela delle specie, dell’acqua, dei paesaggi, dei beni comuni e artistici.
L’Italia per le sue risorse naturali, artistiche e umane ha grandi responsabilità e immense opportunità.
Il termine “sviluppo sostenibile” è stato sottoposto a forti stravolgimenti e critiche, da una parte, è stato utilizzato dalle logiche liberiste, quantitative e consumistiche, quale automatica conseguenza della concorrenza di mercato per cui il problema era, ed è, solo quello di informare le imprese e i cittadini sulle opportunità, poi, loro avrebbero fatto da se e bene, dall’altra parte, si è creata una artificiosa e intellettualistica separazione e contrapposizione tra il concetto di sostenibilità e quello di sviluppo.
Entrambe le posizioni negano il contenuto di riforma dell’economia e di trasformazione sociale e democratica che ha l’idea di sviluppo sostenibile, la prima, perché dando piena fiducia al libero mercato pensa che è solo questione di rendere edotte le forze del mercato (imprese, individui, finanza), la seconda, perché crede che imponendo all’attuale sistema economico una “semplice” decrescita della produzione e dei consumi si risolva la contraddizione tra consumismo, limiti delle risorse e inquinamento.
Tuttavia, lo sviluppo sostenibile per essere un reale movimento di riforma sociale e democratica, ha bisogno di forti idealità e di un ampio protagonismo dei singoli, delle forze sociali e culturali, delle istituzioni internazionali, nazionali e locali (il glocale)
8. “ Le scelte di economia verde”
L’economia verde rappresenta la risposta
immediata alla recessione in atto e la via della riforma dell’economia in
quanto ne definisce i contenuti, i tempi, le forme, gli ambiti e la traiettoria.Le scelte del presidente Obama e quelle della Cina che affrontano con provvedimenti d’urto la questione dell’inquinamento atmosferico, giocando la carta dell’innovazione, dell’efficienza e delle fonti rinnovabili, spostano definitivamente la competizione mondiale sul fronte della capacità di progettare e produrre tecnologie ecologiche. È la terza rivoluzione industriale che si sta affermando velocemente. L’Europa, ora frenata dalle dannosissime politiche dei tagli, deve ritrovare il suo abbrivio ecologista e questo è possibile solo con il prevalere delle forze socialiste e progressiste. E in Italia con le forze di centro sinistra.
Nel nostro paese l’economia verde ha grandi potenzialità e nonostante la fase recessiva è quella che mantiene e crea occupazione e impresa.
Questo accade per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, il risparmio e il riuso dei materiali, la progettazione e la produzione di nuove merci. Forti potenzialità sono presenti nella domanda di qualità che si va affermando grazie ai nuovi modelli culturali e di consumo ispirati alla sobrietà, alla rigenerazione urbana, alla bellezza, alla convinzione della riduzione del consumo del suolo, alla mobilità sostenibile e ai prodotti agricoli di qualità. Imponenti segmenti industriali e manufatturieri sono sospinti verso l’innovazione ecologica dalla competitività e dagli investimenti per superare la recessione. Per sostenere la riconversione ecologica di importanti settori economici serve una politica e una programmazione industriale che abbia come obiettivi le bonifiche, la siderurgia, l’edilizia, la chimica, la meccanica, il turismo, l’agricoltura di qualità, la trasformazione alimentare, il made in Italy, la mobilità sostenibile, il riciclaggio dei rifiuti.
Sarebbe un errore, però, concepire l’economia verde come un nuovo economicismo basato solo sulla nuova politica industriale, anche se assolutamente necessaria. L’economia verde è anche nuova qualità del rapporto tra l’uomo, la natura e i beni culturali. Il territorio e le comunità locali assumono una grande funzione e centralità nella tutela del paesaggio, la difesa del suolo , i parchi che, in particolare, hanno il grande compito di garantire la biodiversità e i servizi ambientali strategici che sono essenziali alla vita di tutti noi. Settori economici nuovi e sostenibili possono diventare la manutenzione e la messa in sicurezza del territorio, la gestione dei beni culturali, l’industria culturale e delle arti creative, il restauro, il design , l’accoglienza e il turismo.
La green economy, quindi, non è un’altra economia ma è la economia stessa.
9. Sostenibilità ecologica e
democrazia
Il processo di transizione a sistemi di produzione e consumo
ecologicamente sostenibili mette in discussione interessi consolidati e stili
di vita. Questo richiede un di più di democrazia per rendere partecipi delle
scelte, necessariamente non tutte indolori, l'insieme dei soggetti coinvolti
dal cambiamento. Questa domanda di più democrazia, che è al fondo del confronto sociale su TAV in Val di Susa, ILVA di Taranto e di altre realtà e che si è espressa in modo eclatante nei referendum su acqua e nucleare, va resa esigibile e cogente e non mera e occasionale concessione.
Per questo, così come è avvenuto nel processo di costruzione dello stato sociale socialdemocratico, vanno innovate profondamente le istituzioni democratiche al fine di renderle coerenti con le finalità della transizione alla sostenibilità ecologica.
E' questa una scelta mai compiuta fino in fondo dalla sinistra nel nostro Paese ed è causa, non ultima, dei ritardi nell'affrontare la crisi del Paese nel più generale processo di cambiamento degli equilibri geopolitici.
Recuperare questo ritardo richiede che la “democrazia deliberativa”, i “referendum propositivi”, i “consigli per la sostenibilità”, i “bilanci di sostenibilità”, le “leggi di iniziativa popolare”, il “rappresentante per la sostenibilità” nei luoghi di lavoro, il “ruolo sociale dell'impresa”, la “gestione sociale dei beni comuni”, diventino gli obiettivi programmatici e la pratica partecipativa di un moderna cultura di sinistra per aprire nel Paese nuovi spazi di democrazia.
10. “ Il lavoro soggetto ecologista”
Il movimento di cambiamento ecosocialista è
chiamato a proporre con risolutezza un’autonoma idea di cambiamento del modello
sociale fondato sui valori del lavoro, della responsabilità verso la natura e
della dignità della persona umana. Molta strada è stata fatta ma c’è ancora
molto da dire e da fare. Non sarà un pensiero tecnocratico subalterno alla cultura liberista che potrà indicare il cambiamento possibile e riformista. Viceversa, c’è bisogno della partecipazione, della presenza diffusa e d’indirizzo del mondo del lavoro, dell’intellettualità progressista e dell’impresa. C’è bisogno della politica che sappia proporre e realizzare un nuovo patto sociale tra capitale e lavoro per lo sviluppo sostenibile, per un nuovo stato sociale, per il lavoro. In ogni segmento dell’economia (produzione, servizi, territorio) le riforme dovranno promuovere occupazione, diritti, innovazione ecologica e impresa.
All’impresa deve essere data l’occasione per esaltare la propria funzione sociale e per innovarsi superando frammentazione, precarizzazione e subalternità alla finanza.
11. Un PD popolare ed ecologista.
Il profilo programmatico del PD stenta ad avere lo sviluppo sostenibile come asse centrale. Permangono incomprensioni, assenza d’iniziativa e chiusure. La dimensione ecologista è stata vissuta come separazione di una specifica questione. Le forze ecologiste sono state pervase da logiche personalistiche e di gruppo che hanno visto alcune fuori uscite dal partito. L’ecologismo pluralista del PD è stato offuscato dall’innaturale invadenza correntizia. Eclatante è stata l’incertezza e l’assenza d’iniziativa politica e culturale sulle questioni dell’acqua e del nucleare.
Tuttavia, parti importanti del PD hanno elaborato proposte significative sull’economia verde e sul nesso tra ambiente e lavoro.
Nella transizione il PD è chiamato ad essere il soggetto riformista di sinistra che propone e interpreta il cambiamento ecologista.
Ruolo che sarà in grado di svolgere alla condizione di consolidare la propria identità di partito popolare, strumento di partecipazione e portatore di valori e di una idea di società alternativa a quella liberista.
Essere un soggetto della partecipazione significa essere donne e uomini diversi ma uniti da una idea di società, determinati ad essere un soggetto politico organizzato che costruisce luoghi, strumenti, sedi, battaglie politico-culturali e pratiche politiche aperte, per cui gli iscritti possono ritrovarsi, costituirsi in comunità sociale e politica per decidere sulle scelte generali e locali. Il partito deve essere una associazione con iscritti, regole, gruppi dirigenti rappresentativi perché scelti autonomamente dagli iscritti, come accade in ogni associazione democratica.
Essere partito aperto significa lavorare per dare ai cittadini, elettori e non del PD, gli strumenti e le occasioni per concorrere alle decisioni politiche. Vanno utilizzati diversi strumenti partecipativi come primarie, indagini, referendum, assemblee territoriali, siti web, giornali online, gruppi di discussione su facebook. Nei conflitti sociali e ambientali (precarizzazione del lavoro giovanile, occupazione, bonifiche, discariche, acqua, pendolari, speculazione edilizia, parchi ecc.) avere un partito che parla solo di candidature significa decidere di essere separati dalla società e dai movimenti, significa non essere interessanti.
Mentre sarebbe assolutamente necessario esserci con le nostre proposte e lavorare per le soluzioni concrete che interessano i cittadini.
Esserci anche per dare un senso generale di cambiamento e per contrastare con la buona politica l’ambientalismo del no e il dilagare della sfiducia, dell’antipolitica, del corporativismo localistico.
L’attuale partito democratico non è ancora questo. La personalizzazione e il correntismo hanno frammentato e diviso le forze. La partecipazione è stata ridotta a primarie sulle persone e non sulla politica. Così troppo spesso i contenuti, l’esperienza, la rappresentanza e il radicamento sociale sono stati sacrificate a logiche elettoralistiche di gruppo.
Questi limiti sono il frutto di un impianto di partito, codificato nello statuto, che da una parte alimenta la personalizzazione e il conflitto interno di gruppi con il principio della contendibilità, dall’altra parte, con l’elezione plebiscitaria del segretario da parte di un indistinto elettorato PD elimina la funzione degli organismi dirigenti collettivi e, dall’altra parte ancora, con la sovrapposizione della carica di segretario a quella di premier permette un potere personale, sul governo e sul partito, gigantesco. Mentre, l’ecologia della politica chiede partecipazione e non leaderismo, coerenza tra indirizzi generali e scelte immediate, convergenza sui contenuti nelle alleanze e pluralismo dialettico che guardi alla società. L’ecologia della politica significa consapevolezza dei limiti e responsabilità individuale e collettiva. Significa volere la felicità per se e per le generazioni future in comunità con tutte le specie.