Il ministro Boschi, punta di
lancia del Renzismo, ha addebitato ai “professori” la responsabilità di aver
bloccato ogni riforma costituzionale negli ultimi 30 anni.
L’accusa mi sembra rozza e priva
di ogni consistenza storica, e non mi pare meriti di essere confutata nel
dettaglio.
Rammento solo che l’unica riforma
approdata con pretese di complessività fu quella di Berlusconi e Calderoli (e
altri saggi riuniti in una baita a Lorenzago), ma a respingerla nel 2006 fu un
referendum popolare, poco importa se sostenuto anche da numerosi professori.
Credo che le riforme possano
essere giuste o sbagliate, e che vadano discusse nel merito, e non sostenute o
contrastate “a priori”.
Proprio per questo non avevo
molto apprezzato nel 2013 lo schieramento di Rodotà, Zagrebelski, ecc. contro
il metodo Letta sull’art. 138, e - pur comprendendone le preoccupazioni - non
condivido pienamente i giudizi apocalittici che quest’area di intellettuali ha
espresso sull’insieme delle riforme istituzionali proposte dal governo Renzi,.
La difesa di Rodotà riguardo al “disvelamento”
della sua antica proposta di mono-cameralismo del 1985 mi è sembrata piuttosto
debole nel dare per costanti – oggi per allora - i criteri elettorali proporzionalistici per la
Camera, che non a caso invece non sono inscritti nella Costituzione: già era
stata approvata nel 53 la “legge truffa” (che non scattò per pochi voti e fu
poi abrogata), ed i movimenti referendari di Segni jr. per il maggioritario, esplosi
nei primi anni ’90, non nascevano certo dal nulla: da chi si sentiva garantito
Rodotà nel 1985, da Craxi e Andreotti oppure da Natta e De Mita?
La questione non ha solo un
rilievo storico, bensì a mio avviso un risvolto attuale che dovrebbe essere approfondito
da tutti coloro che giustamente manifestano sconcerto per gli effetti squilibranti
che potrebbero derivare dal “combinato disposto” tra la nuova legge elettorale
modello “Italicum” per la Camera e lo “svuotamento” del Senato, soprattutto
riguardo alla composizione dei collegi elettorali per il presidente della
Repubblica, ed i membri di nomina parlamentale del Consiglio Superiore della Magistratura
e della Corte Costituzionale: che sia il caso di esplicitare dentro la
Costituzione il principio maggioritario (non i meccanismi di dettaglio) per l’elezione
dei Deputati?
E su questo chiarimento
ri-costruire i contrappesi, tra cui l’importanza che il Senato, eletto in modo
diretto o indiretto, rappresenti comunque il più fedelmente possibile il
pluralismo degli elettori, con conseguente maggior peso nelle nomine degli
organi di garanzia (e sviluppo delle specifiche funzioni, al di là del comunque
deprecabile ping-pong legislativo dell’attuale bi-cameralismo perfetto)?