1 - La politica-spettacolo non è una novità.
Soprattutto le tirannie degli
antichi regimi (e connesse religioni) e le moderne dittature hanno utilizzato
ampiamente sfarzo, imbonitura e propaganda per affiancare, al timore, il consenso
tra gli strumenti del potere (vero in parte pure per gli oppositori).
Ed anche le moderne democrazie
non hanno disdegnato di valorizzare ed esaltare elementi simbolici ed
irrazionali nella ricerca ed aggregazione del consenso; penso ad esempio a
Churchill, Roosevelt, De Gaulle, ma anche a personalità più austere e riservate
come De Gasperi o Togliatti.
Con l’avvento della televisione
(e poi di Internet) è stato ampiamente verificato e teorizzato lo strapotere
dei nuovi media nella formazione del consenso, elettorale e para-elettorale
(sondaggi) in regimi considerati democratici, dalle Americhe (del Nord e del
Sud) all’Estremo Oriente, passando anche per l’Europa, con Berlusconi tra i
paradigmi sommi.
Tuttavia la spregiudicatezza di
Renzi su questo fronte riesce ancora a stupirmi, soprattutto quando va oltre la
messinscena ed intacca la sostanza programmatica dell’azione di governo.
Mi riferisco ancora una volta
all’iper-annunciata abolizione della tassa sulla prima casa (TASI, già IMU ed
ICI), abolizione della cui iniquità ed inefficacia (come già ho scritto) sono
assai convinto, confortato dall’opinione di importanti commentatori ed autorità
indipendenti, o addirittura abbastanza filo-renziani, come l’industriale e
politico Riccardo Illy.
Qualche giorno addietro, al
convegno di Cernobbio, rispondendo alle sensate obiezioni di Illy, Renzi
avrebbe argomentato che la TASI va
abolita per come è percepita dai contribuenti e perché così la sua abolizione
creerà fiducia nella ripresa economica.
La percezione pertanto diviene
più importante della realtà, e la fiducia viene cercata – esplicitamente –
sulle emozioni e non sulle ragioni.
Ed il Governo, di fronte ad altre
valide alternativa, e comunque sempre in carenza di mezzi, si prepara a
togliere 5 miliardi – e responsabilità fiscali dirette - ai Comuni (quindi a
tutti i cittadini, compresi inquilini, sfrattati, senza casa) per regalarne 4
ai cittadini più ricchi e più propensi a consumi di lusso e ad investimenti
speculativi (senza benefici per il ciclo economico, come hanno dimostrato le
precedenti cancellazioni berlusconiane dell’IMU sulla prima casa); e torna a far dipendere gli enti locali dalle
elargizioni del governo centrale (con tasse pagate da tutti quelli che le
pagano, lavoratori dipendenti e pensionati in testa a tutti).
(Affossando nel contempo la
riforma del catasto, che avrebbe dovuto portare equità anche nella tassazione
di tutti i fabbricati, comprese le seconde e terze case).
Mi chiedo se il ruolo di un
leader (di una moderna sinistra europea) sia quello di correre dietro ai
pregiudizi, per avere voti e fiducia, oppure quello opposto di acquisire
fiducia perché dimostra, con la ragione, di avere giudizio.
2 – Spinto dalla tragedia dei
rifugiati e degli altri migranti in viaggio verso il cuore dell’Europa, ed in
parte anche grazie agli ambigui contenuti dell’EXPO sulla nutrizione del
pianeta, il tema del rapporto tra la ricchezza dell’Occidente e dell’Europa e
la povertà di troppi popoli degli altri mondi è tornato in qualche misura di
attualità, dopo anni di sostanziale eclissi, accentuata a seguito della crisi
che dal 2007 ha colpito anche del nostro mondo, soprattutto a danno dei meno
ricchi.
Eclissi che ha significato, per i
governi di centro-destra del ciclo berlusconiano, un drastico taglio degli
aiuti alla cooperazione internazionale, in spregio agli impegni assunti ed alla
faccia degli slogan anti-migranti “aiutiamoli a casa loro”.
E che ha significato, per le
forze del centro-sinistra, una sostanziale disattenzione, a parte forse Romano
Prodi (e Tabacci), come ho potuto più volte rilevare studiando e criticando le
mozioni ai vari congressi del PD, dopo Valter Veltroni ed i suoi iniziali
vagheggiamenti filo-africani (presto dimenticati da Veltroni stesso): argomento
totalmente assente nella mozione vittoriosa di Renzi (e – mi pare – più in
generale nelle retoriche della Leopolda), ma anche in quella di Civati, e solo
ritualmente richiamato in quelle di Cuperlo e di Pittella.
Quindi non posso che rallegrarmi
nel vedere riaffiorare una corposa corrente solidale nell’opinione pubblica
europea, anche se nasce dalle emozioni (anziché attraverso ragionate mozioni), e
posso addirittura apprezzare perfino il duetto mediatico tra Renzi e Bono Vox
contro la fame nel mondo.
Vedo però il rischio che ci si
fermi ad una momentanea politica-spettacolo (oppure alla valutazione sui
possibili interessi dell’Italia a posizionarsi bene commercialmente in
relazione ai frammenti più dinamici del continente africano), e che continui a
mancare, tra le forze politiche italiane ed europee(*) una riflessione profonda sui nessi tra la
prosperità (diseguale ed indebitata) dell’Occidente e la miseria dei popoli più
subordinati od emarginati nella globalizzazione, nonché tra tale groviglio di
contrapposizioni sociali e la crisi ecologica del pianeta, arrivando a mettere
in discussione il dogma della continua crescita del PIL.
Nessi che invece sono ben chiari,
pur in assenza di una alternativa complessiva e capace di egemonia, presso
singoli intellettuali e organizzazioni minoritarie, da Carlin Petrini a Serge
Latouche, alla galassia della sinistra; e mi sembra siano molto chiari anche
nella recente enciclica di papa Bergoglio (testo su cui mi riservo di tornare
analiticamente).
(*) basti pensare che tra i paesi
dell’est-Europa più contrari ai rifugiati e migranti vi sono Cekia e Slovacchia,
ai cui governi partecipano i locali partiti aderenti al PSE!
3 – Autocritica?
Trovandomi a criticare l’altrui
politica-spettacolo, mi viene da riflettere sull’esperienza di politica attiva
che in varia forma ho vissuto lungo il decennio 67-77, nei movimenti e nei
gruppi della sinistra di allora.
E devo ammettere che – dapprima
inconsapevolmente, facendo spettacolo dei nostri stessi bisogni esistenziali -
e poi più consapevolmente, inventando slogan, immagini, manifestazioni, in quei
movimenti ed in quei gruppi molto spesso abbiamo puntato sulle emozioni e non
solo sulle ragioni, o meglio sulle emozioni per promuovere le ragioni,
costruendo, con mezzi poveri e militanza capillare, con il contagio
dell’esempio tra simili, una macchina comunicativa poderosa, anche se infine
perdente o comunque storicamente sconfitta.
Mi sembra di ricordare, però, che
ci fosse tra noi l’attenzione ad un limite nella possibile demagogia, un
dibattito sulle rivendicazioni (che non tutte fossero comunque buone, anche se
avevano un potenziale seguito), e soprattutto un rifiuto della strumentalità e
della confusione tra i fini ed i mezzi: sia che si trattasse di opporsi a
talune mediazioni tipiche della sinistra tradizionale (svendendo le lotte per
posizioni di potere), sia di esibire o non esibire il disagio ed il dolore
delle persone in funzione della propaganda (il cinismo dei talk shaw televisivi
è venuto dopo e spero non da noi).
I miei ricordi sono corretti o
distorti da un’ansia senile di auto-assoluzione?
E certamente non è esistito più
di tanto un “noi” la storia di quel decennio deve essere analizzata studiando
correnti e frammenti, ben oltre lo
spazio di questo testo.
E poi, perché siamo stati
sconfitti? (innanzitutto dall’estremismo armato cresciuto al nostro fianco).
Perché il progetto era sbagliato (probabile) o anche perché eravamo troppo
sinceri?