Con sana preveggenza lo storico
dell’arte e militante progressista ed anti-Renziano Tomaso Montanari, nel
rifiutare un Assessorato a Roma, motivava su “Repubblica” nello scorso giugno
la sua indisponibilità, oltre che per motivi personali, per “il ruolo incongruo
di Beppe Grillo, l’inquietante dinastia proprietaria dei Casaleggio, le
inaccettabili posizioni sui migranti, sul cammino dell’Unione Europea e su
altre questioni cruciali.”
Penso che oggi sia ancor più
convinto della sua scelta, cui potrebbe aggiungere tanti motivi specifici
quanti i giorni trascorsi dall’insediamento della Sindaca Raggi.
(Alla quale non mi sembra dovuta
la benevolenza verso “i nuovi”, perché il M5S del “nuovismo” ha fatto teoria,
facendo credere che bastava sbarazzarsi del “vecchio” per risolvere ogni
problema, e vedere il “governo dei cittadini”).
Ma gli aspetti particolari delle
vicende del M5S non devono a mio avviso portare gli osservatori a trascurare il
nocciolo centrale della questione, che sottende a tutte le contraddizioni e
deviazioni, ed impedisce una dialettica positiva di autocritica ovvero di
apprendimento dagli errori: LA PRETESA CHE UN MOVIMENTO NUOVO E FORMALMENTE
IPER-DEMOCRATICO (uno vale uno; la rete che decide; l’intercambiabilita’ degli
eletti) ABBIA IN SE’, PER LA SOLA PRESENZA DI CINQUE REGOLETTE DI COMPORTAMENTO
E DI UN GARANTE “A-PRIORI”, LA CAPACITA’ DI RAPPRESENTARE “TUTTI I CITTADINI” (negata
ai partiti, per il loro peccato originale di partitismo, e perciò pretesa
tendenzialmente totalitaria), SENZA UNO STRACCIO DI SOCIOLOGIA POLITICA NE’ SUI
“CITTADINI” STESSI (quali sono i bisogni espressi, e da chi, oltre all’odio per
la casta corrotta?), NE’ SUL MOVIMENTO E LA SUA NECESSARIA ORGANIZZAZIONE (che
infatti viene inventata di volta in volta secondo i bisogni tattici ed
oligarchici, di Direttorio in Direttorio).