domenica 2 giugno 2019

UTOPIA21 - MAGGIO 2019: LA COMUNICAZIONE ETICA, INDAGATA DA CLAUDIO CASIRAGHI

Un manuale di formazione aziendale che si allarga ad indagare, con respiro storico e riferimenti filosofici, le principali problematiche della comunicazione nella odierna “società digitale”.

Riassunto:
- perché la comunicazione deve essere etica
- la retorica nel mondo classico
- le moderne teorie della comunicazione
- carattere bilaterale e relazionale della comunicazione
- critica della pubblicità e dei social media; rischi di alienazione
- criteri per una educazione all’etica della comunicazione

Claudio Casiraghi è consulente e formatore aziendale, nonché docente di “Business Ethics” presso la LIUC di Castellanza.
Nel testo “Comunicazione etica”, partendo dalla sua esperienza specifica, affronta a tutto campo le problematiche della comunicazione nella odierna ”società digitale”, in un “manuale” ricco di implicazioni teoriche (talune da approfondire) e di indicazioni pratiche.
Il punto di vista è esplicitamente “etico” (e quindi utopistico?), critico verso la situazione e le tendenze in atto (individualismo, aggressività, insufficiente controllo dei nuovi media), e motivato laicamente (pur trattando anche di religione e spiritualità), in nome della naturale socialità dell’uomo e della stessa inefficienza e dannosità (sociale, ma anche soggettiva) di una comunicazione non-etica.
Qui mi pare manchi un orizzonte più ampio sul “perché essere etici”, dagli imperativi categorici di Kant alla contemplazione della finitezza del mondo e dell’accalcarsi dell’umanità, espressa ad esempio da Marc Augé2: ma il manuale resta comunque valido, per chi – comunque motivato - non sceglie di schierarsi con l’edonismo e con l’egoismo sociale.
E mi sembra utile soprattutto perché esplora nell’insieme i principali aspetti della comunicazione; argomenti che invece nella mia esperienza ho incontrato isolatamente e che erano assenti o marginali nel tipico corso di studi di un liceale pre-68, ma temo – malgrado Umberto Eco - anche per le generazioni successive (a parte gli specialisti).
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: COMUNICAZIONE ETICA, DI C. CASIRAGHI 2
Ad esempio dovevamo scrivere i temi, ma nessuno ci insegnava in termini teorici come scriverli; imparavamo ad esporre oralmente nelle interrogazioni, ma anche qui senza alcuna impostazione comunicativa; dovevamo sapere tutto delle sfumature del linguaggio letterario di Manzoni, ma nulla sulla interazione tra parole/suoni/immagini; e ancora non c’erano le TV commerciali, Internet, i “social”.
Casiraghi utilizza e riassume contributi teorici di diversa origine dalla filosofia classica alla moderna linguistica e semiotica, dalla teoria dell’informazione alla psicologia (trascurando forse il versante psicanalitico e con riferimenti non sistematici alle neuroscienze contemporanee), contemplando l’evoluzione dell’umanità dalla formazione del linguaggio simbolico alle grandi svolte della scrittura, della stampa e poi delle telecomunicazioni, del digitale, della rete.
In particolare recupera Aristotele sulle finalità del discorso, nella dialettica tra utile e nocivo, tra giusto e ingiusto, tra bello e brutto, e della retorica, che in età classica insegnava ad articolare “inventio” (ricerca degli argomenti), “dispositio” (scelta della sequenza degli argomenti nello schema esordio/proposizione/digressione/conferma/epilogo), “elocutio” (chiarezza/fluidità/eleganza), “actio” (“messa in scena” con mimica, gesti, controllo dell’uditorio), “memoria” (attenzione alla ricezione e acquisizione altrui); un certo Marco Fabio Quintiliano riguardo alla “actio” formulava nel I secolo dopo Cristo importanti suggerimenti su come e quando prendere il fiato, nella sua “Institutio oratoria”.
Regole e consigli che restano validi in particolari contesti, come le aule giudiziarie e la didattica universitaria, mentre si sono perse – dopo l’avvento della televisione – nella comunicazione politica e sindacale, dove ancora si tengono comizi, ma soprattutto per rifornire i telegiornali di slogan e battute in 30 secondi.
La “retorica” a mio avviso aveva perso prestigio già prima, con il declino delle patrie e delle ideologie e con la prevalenza di linguaggi più asciutti e ”tecnici”, perché comunque troppo esplicitamente finalizzata alla convinzione unilaterale, ma Casiraghi tende a rivalutarla, rispetto alla brutalità dei linguaggi pubblicitari, alle sguaiatezze dei talk show ed alla banalità dei tweet, per i suoi aspetti di progettualità ed anche di trasparenza.
Tra gli sviluppi recenti delle teorie della comunicazione (da metà Novecento in poi), Casiraghi riferisce:
- della scuola “meccanicista” (ad esempio i matematici Shannon e Wiener), che non consente una comprensione complessiva dei fenomeni, ma offre utili contributi ad esempio sulla natura dei “rumori”, di natura fisica, fisiologica e psicologica, che interferiscono con ogni comunicazione;
- delle diverse scuole “umanistiche”, da Walter Scrhramm (sul contesto sociale e sull’universo linguistico dei diversi soggetti) al linguista Roman Jakobson (sulle funzioni della comunicazione, tra cui quella emotiva, quella referenziale, quella metalinguisitica, quella “conativa” ovvero finalizzata ad ottenere e convincere), da Bateson alla scuola di psicologia di Palo Alto – Beavin&Jackson&Watzlawick – che qui sarebbe gravoso riassumere (rimando al testo di Casiraghi): in sostanza indagano sperimentalmente sui rapporti tra i contenuti della comunicazione e gli aspetti relazionali tra le persone coinvolte, che travalicano i contenuti stessi (meta-comunicazione), costituendo altri livelli, forme e modalità di messaggio (anche
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involontario, anche da parte di chi tace e non comunica), differenziati in funzione dei ruoli sociali dei soggetti e dei reciproci rapporti, più o meno gerarchizzati.
Nell’insieme, l’Autore mette in evidenza soprattutto il carattere bilaterale e relazionale della comunicazione (e però anche il contesto sociale), e come il suo svolgimento avviene contemporaneamente a più livelli: parola/tonalità/gesti/linguaggio-corporeo, una parte dei quali può risultare soppressa o differita o alterata o sostituita nelle modalità artificiali di comunicazione, dal telefono alle e-mail, dagli sms ai messaggi sui social (ed in tele-visione).
Anche se alcuni di questi strumenti possono includere audio/video ed “effetti speciali”, solo la comunicazione diretta consente di sviluppare appieno la possibile empatia tra gli interlocutori e di riscontrare immediatamente la qualità della ricezione (“feed-back”).
Partendo anche dalla critica di tutte le forme di comunicazione pubblicitaria (sia commerciale che politica), caratterizzate dall’uso di falsi sillogismi, dalla bulimia delle immagini, dalla iterazione di messaggi espliciti e/o subliminali (tema abbastanza noto, ma tutt’altro che controllabile da gran parte delle persone, cui non vengono dati gli strumenti necessari per decodificare e difendersi), l’Autore pone l’accento sulla responsabilità che deve assumere ogni soggetto che diffonde messaggi (distinguendo tra “narrazione, “discorso”, “conversazione”) rispetto ai potenziali o concreti ricettori, diffida dall’abuso della comunicazione indiretta – tramite e-mail. Sms, ecc. - (soprattutto in ambito aziendale), e quando questa costituisce rinuncia a esercitare l’esperienza della comunicazione personale, esperienza la cui acquisizione è un processo faticoso, ma gratificante.
Sulla preferenza per la comunicazione indiretta, devo confessare che – essendo i miei interlocutori abituali persone attempate, per lo più non ammalate di iper-connessione e notifico-dipendenza – preferisco spesso usare e-mail o sms piuttosto che telefonare, perché mi sembra più discreto e meno invasivo lasciare loro la scelta del tempo e del modo con cui rispondermi (oppure non rispondermi). NOTA PERSONALE*
Di fronte alla diffusione degli smartphone e dei social media, Casiraghi rifiuta l’alternativa tra “apocalittici e integrati” (come posta da Umberto Eco nel 1964 nei confronti della “cultura di massa”3), perché giudica strumenti utilissimi i nuovi mezzi di comunicazione, ma ritiene pericoloso che vengano utilizzati senza una adeguata formazione, come se si affidasse un bolide di Formula 1 ad un neo-patentato.
Contro gli apocalittici, ci aggiungerei di mio che non molti decenni addietro (prima del mitico ’68, che però ha aperto la strada all’aggressività verbale diffusa e all’uso strumentale della trasgressività) ci trovavamo esposti ed indifesi ad un flusso complessivo di comunicazioni di tipo autoritario, non solo nella scuola, dove la parola del professore era pressoché indiscutibile (e spesso idem in famiglia), ma anche dei primi mass-media, come i cinegiornali LUCE (che mantenevano la baldanza del deposto fascismo) oppure i più felpati giornali-radio e telegiornali della RAI democristiana.
In particolare Casiraghi esamina le tendenze negative connesse con l’uso massiccio e/o distorto della comunicazione digitale (iper-connessione), dalla perdita di abilità, manuali e mentali, delegate agli strumenti informatici e alle loro “app”, alla incapacità di concentrazione
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e di riflessione, dalla alterazione dei rapporti con tempo&spazio all’isolamento dagli effettivi sistemi di relazione inter-personale, con effetti di angoscia soggettiva, per la perenne sensazione di inadeguatezza rispetto ai modelli proposti ed alla spasmodica ricerca di consenso, e di diffusione – a danno degli interlocutori – di fenomeni di mistificazione dell’identità, dal voluto anonimato dei falsi profili, alla costante edulcorazione narcisistica della propria “immagine pubblica”; evidenziando (come già accennavo all’inizio) i danni non solo per la società, ma anche per la salute ed il benessere dello stesso soggetto comunicante (oltre che per l’efficacia della comunicazione).
In questa descrizione del “mondo digitale” in cui ormai siamo immersi, Casiraghi accenna, senza svilupparla, alla subordinazione degli utenti ai “padroni delle piattaforme”, già affrontata su Utopia21 da Fulvio Fagiani nel Quaderno n° 7 e nell’intervista a Lelio Demichelis4,5,6, ma è interessante osservare come questi diversi punti di vista convergano nel delineare una visione attualizzata della “alienazione”, individuata da Marx innanzitutto riguardo al lavoro salariato, ma estesa all’intera condizione umana nel Novecento tra gli altri dalla scuola di Francoforte e in particolare da Herbert Marcuse7.
Per contrastare queste tendenze, Casiraghi espone alcuni criteri metodologici per una comunicazione “etica”, da applicare nei processi educativi e di formazione, che spaziano dalla riflessione all’ascolto (recuperando anche esperienze spirituali, come la regola di Benedetto), dalla responsabilizzazione alla ricerca dell’empatia, dalla demistificazione dei messaggi al controllo degli strumenti comunicativi.
Mi sembrano proposte ragionevoli, fondate sull’ottimismo della volontà.
Però, così come l’Autore non giustifica in termini generali la necessità sociale dell’etica, anche le sue proposte non assumono un respiro più ampio rispetto ad una buona didattica (in coerenza d’altronde con l’orizzonte del “manuale”, finalizzato alla formazione aziendale).
Di fronte ad una simile problematica di sconvolgimento complessivo del vivere sociale, a me invece viene da pensare che occorra anche articolare obiettivi più ampi: ad esempio ipotizzare che una siffatta “buona didattica” (filosofica, semiotica, psicologica) debba diventare l’asse di una battaglia politica per l’estensione obbligatoria della scolarità, sia per i giovani almeno fino alla maggiore età (mentre in Italia non si arriva ancora ad assicurare effettivamente a tutti una istruzione primaria), sia per gli adulti, alternandola e connettendola con il lavoro e con periodi di servizio civile.
Una possibile utopia (una nuova scuola per tutti) contro la incombente distopia dell’atomizzazione digitale.
*NOTA PERSONALE: altri tempi ed altre età: quando avevo 10 anni, negli anni ’50, mi veniva spontaneo suonare il campanello di qualunque compagno di scuola, a qualunque ora (del pomeriggio) per chiedergli “scendi a giocare?” E qualche anno più tardi non era così facile usare il telefono di casa, per ”comunicazioni personali”: l’apparecchio era nero con rotella analogica, appeso al muro del corridoio, senza privacy, e ben presto si veniva sollecitati a troncare le conversazioni, perché qualcun altro potrebbe avere bisogno di
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chiamarci (e in molte famiglie c’era anche il “duplex”, linea più economica in comune con altro utente...). Era difficile corteggiare ragazze con queste limitazioni (idem all’altro capo del telefono). Molto peggio se la telefonata era “intercomunale”. Un redattore-poeta del giornalino “Il Coccodrillo” scrisse questi indimenticabili versi:
"Quindici lire ogni venti secondi
mi costa
telefonarti.
Neppure se avessi
tutto l'oro del mondo
potrei dirti
tutto il mio amore".
Si comprende quindi anche per questo la propensione degli adolescenti di allora in favore della “comunicazione diretta”; anche se con le ragazze non era così facile.
Fonti:
1. Claudio Casiraghi “COMUNICAZIONE ETICA. MANUALE DI RIFLESSIONE PER LA SOCIETA’ DIGITALE” – Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2018
2. Aldo Vecchi - “UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE”, PER MARC AUGE’”, https://drive.google.com/file/d/1vr7mq5TK3GWgcxJqeMYVuqmKL6vxiVNn/view - Pubblicato nel 2018.
3. Umberto Eco “APOCALITTICI E INTEGRATI” – Bompiani, Milano 1964
4. Quaderno n° 7 “La società digitale e il futuro del lavoro” - https://drive.google.com/file/d/18zfF-qmqR75xXxNgI3gqyEfAGzeSbw_6/view - Articoli pubblicati nel 2018.
5. Lelio Demichelis “LA GRANDE ALIENAZIONE” - Jaca Book, Milano 2018
6. Fulvio Fagiani “CONVERSAZIONE/INTERVISTA A LELIO DEMICHELIS SULL’ALIENAZIONE” su UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1YDHb0asJXGgCNsWV2p5EmwASOmYTvFfg/view - Pubblicato nel 2019
7. Antonio G. Balistreri - MARCUSE, L’EROS E IL ’68 - https://drive.google.com/file/d/1UDm_IYdygjiAvMBsRpiTaKexgT9eXlzL/view - Pubblicato nel 2019.

UTOPIA21 -MAGGIO 2019: L’UTOPIA DEL ’68 E L’UTOPIA DEGLI ECONOMISTI LIBERALI, NELL’INTERVENTO DI GIANCARLO BERTOCCO

Il “Festival dell’Utopia” di Varese, giunto nell’autunno 2018 alla 3^ edizione, si è sviluppato in parallelo con la vita di “UTOPIA21”, nella reciproca autonomia, pur avendo in comune la guida di Fulvio Fagiani, la promanazione da Auser/Universauser ed il medesimo sito informatico. Pur essendo già radicata una sostanziale transumanza di temi e proposte tra Festival e “rivista”, con questa rubrica intendiamo rendere maggiormente presenti ai lettori di “Utopia21” alcuni dibattiti svolti nei mesi precedenti nell’ambito del Festival, che nel 2018 si è articolato sui seguenti filoni:
- Utopia tra ecologia ed economia
- Utopia del ’68, utopia del XXI secolo
- Dialoghi sull’Utopia, tra Varese e Ticino.
Sommario:
- Utopie del ‘68
- L’utopia del mercato che si autoregola
- Economisti insensibili alla realtà delle crisi: 1929, anni ’70, questo inizio di secolo
- La rettifica Keynesiana ed i suoi limiti storici
- Il ritorno al Fondamentalismo Mercatista ed il neoliberismo
- La realtà del capitalismo come instabilità e trasformazione
Il presente rendiconto costituisce una ricostruzione personale e parziale, omettendo gli interventi degli altri partecipanti, per i quali si rimanda alla documentazione vocale disponibile sul sito di Universauser (vedi Fonti1), assieme alle slides di presentazione2 e ad alcune “letture” tratte da diversi autori a cura dello stesso professor Bertocco. 3
In corsivo i commenti più personali.
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 2
Giancarlo Bertocco è professore associato di Economia Monetaria presso l’Università dell’Insubria, ed è presso la sede universitaria del Campus Bizzozzero che si è svolto il suo intervento per il Festival 2018, in data 30 ottobre.
Anche per un riflesso generazionale, il professor Bertocco si è richiamato ai movimenti del ’68 per introdurre l’esperienza dell’utopia come desiderio di cambiamento, vissuto collettivamente nel contrasto tra generazioni, dalla dimensione religiosa a quella politico-sindacale: l’utopia come speranza di un mondo migliore e diverso da quello presente (quale ad esempio, riferita alla problematiche attuali, la prospettiva illustrata da Enrico Giovannini nell’evento di apertura del Festival4,5, ed altre “Letture” segnalate da Bertocco, vedi Fonti 3 : una concezione “sostenibile” dello sviluppo deve incorporare come premesse necessarie nuovi criteri di giustizia sociale, rivolte all’insieme degli uomini di oggi ed a quelli del futuro).
Ma il fulcro dell’esposizione di Bertocco è invece rivolto alla categoria degli economisti, quelli “classici” e tuttora dominanti nella formazione della pubblica opinione e delle decisioni di governi ed aziende, per evidenziarne la opposta e pervicace dimensione “utopica”, e cioè la convinzione che “il sistema economico attuale sia il migliore possibile”: si tratta infatti di una “realtà che non esiste”, e quindi “utopistica”, nel cui nome si condizionano gli effettivi rapporti economici e sociali del mondo reale.
Le caratteristiche del mondo utopistico degli economisti (ancorati tuttora alla Mano Invisibile di Adam Smith3, che fa coincidere l’interesse del privato con l’interesse pubblico; vedi anche Luigi Einaudi3 : ambedue semplificano l’economia proiettando sul mondo la visione di un villaggio limitato ed omogeneo, dove è scontato che la produzione sia orientata a soddisfare i bisogni locali) contemplano un Mercato governato dalla legge della domanda e dell'offerta, il cui Sistema dei Prezzi si mantiene in un Equilibrio Naturale, e riesce a determinare:
1. Piena Occupazione
2. Impiego efficiente delle risorse
3. Distribuzione equa delle risorse.
Poco importa a questi economisti se tali previsioni risultano più volte smentite dalla Storia, da ultimo con la Grande Recessione innescata nel 2007: la teoria dominante prevede che non si possono verificare crisi, i lavoratori che desiderano lavorare al salario di mercato trovano occupazione. La realtà – che possiamo constatare - invece è che le imprese riducono comunque fortemente la domanda di lavoro (anche se è offerto al salario che in precedenza garantiva la piena occupazione).
Anche nelle precedenti fasi di crisi si verificarono atteggiamenti simili, ma con importanti differenze. La Grande Depressione iniziata nel 1929 sollevò pesanti dubbi sull’utopia economica classica basata sui concetti di mercato ed equilibrio naturali ("Utopia Fondamentalista di Mercato", UFM) ed emerse nel 1936 la Teoria Keynesiana, poi sviluppata ed articolata nel secondo Dopoguerra, costituita su:
− riconoscimento dell'esistenza nei mercati di disomogeneità, ostacoli ed imperfezioni, che impediscono al sistema dei prezzi di portare l'economia all'equilibrio naturale,
− Politica Fiscale e Monetaria come strumenti utili ai Governi per raggiungere l'equilibrio naturale.
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 3
Negli anni ’30 in parte, e soprattutto dal 1945 al 1975, l’Utopia Keynesiana ha influenzato le scelte economiche dei Governi occidentali, portando al Capitalismo Regolato, basato su 3 pilastri:
− estensione del Welfare sociale
− regolamentazione dei mercati finanziari e dei movimenti di capitale
− patto sociale tra sindacati e imprese.
Ma anche il modello di Keynes, in quanto inteso come teoria dell’equilibrio (e quindi anch’esso utopico), si è dimostrato inefficace con la cosiddetta “Stagflazione”, che negli anni ’70 ha coniugato alta inflazione con bassa crescita (in presenza, aggiungerei, del primo palese conflitto con la scarsità relativa delle materie prime – crisi petrolifera – ed anche in relazione alla conseguente contesa su chi dovesse pagare i costi della crisi, contesa tra le classi sociali e contesa tra gli stati, non più solo del mondo industrializzato).
Dalle difficoltà del “Capitalismo Regolato” è emerso un ritorno al Fondamentalismo Mercatista (UFM): reddito e occupazione dipendono soltanto dalle forze di mercato (sistema dei prezzi), obiettivo di politica economica è liberare le forze di mercato da ostacoli limitanti, quali la eccessiva presenza dello Stato in economia e l’eccessiva regolamentazione dei mercati del lavoro e dei mercati finanziari.
E’ il ritorno al Fondamentalismo “UFM” che guida l’approccio economico dei Governi Reagan & Thatcher negli anni ‘80:
− Riduzione del peso economico dello stato e privatizzazioni
− Deregolamentazione del mercato del lavoro e dei mercati finanziari
− Liberalizzazione dei movimenti di capitali
Nasce così il moderno Capitalismo Neoliberista di fine ‘900, le cui caratteristiche fondamentali sono:
− Finanziarizzazione (peso crescente delle attività finanziarie – e relativi profitti –rispetto ai cicli produttivi)
− Iperglobalizzazione (non solo incremento degli scambi, ma uso sistematico delle de-localizzazioni produttive per abbassare i costi del lavoro ed abbattere le resistenze sindacali)
− Precarizzazione del lavoro (e relativa svalutazione)
− Forte crescita delle disuguaglianze.
La successiva “Grande Recessione” di questo inizio di secolo non sembra aver intaccato le convinzioni degli economisti e rischia di rivelarsi come la “Terza Crisi Inutile”, malgrado i contributi critici di Marx, Keynes, Schumpeter, Kalecky, Kaldor, Minsky: le tre crisi analizzate non sono servite ad indurre gli economisti a riconoscere che il sistema economico in cui viviamo non è il mondo utopistico da loro teorizzato.
Il nodo centrale del dibattito riguarda le finalità del sistema economico, che nella visione liberista sono raccontate come produzione delle merci e dei servizi richiesti dai consumatori (essendo il denaro un mero strumento di intermediazione), mentre da parte dei critici sono disvelate come funzionali alla accumulazione di denaro e potere.
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 4
Figura 1 – schema comparativo delle attività economiche per “UFM” e per gli “eretici”
A questo punto il professor Bertocco ha introdotto qualche elemento per una visione alternativa della crisi, fondata su una visione realistica del sistema economico capitalistico (in cui ritrovo anche altre letture su Utopia21 6,7,8,9): il Capitalismo è un processo di continuo cambiamento provocato da: • Innovazioni introdotte da Imprenditori • Politiche economiche dei Governi: i) Politica monetaria e politica fiscale, ii) Regole/istituzioni
Il processo di cambiamento capitalistico non converge verso una condizione di equilibrio naturale, ma è soggetto a crisi economiche globali, che sono fenomeni endogeni, strutturali, provocate dagli stessi meccanismi che generano il processo di cambiamento.
Le crisi rendono il capitalismo fragile e soggetto a ulteriori crisi causati da possibili shock esogeni (ad esempio eventi imprevedibili e inevitabili come i terremoti).
La Grande Depressione, la Stagflazione e la Grande Recessione sono conseguenza della fragilità di una forma di capitalismo e segnano il passaggio da una forma di capitalismo all’altra.
Lezione utile dalle precedenti crisi è capire che la forma del nuovo capitalismo dipenderà dalle politiche che verranno adottate; le politiche, a loro volta, dipendono dalla teoria economica prevalente; ma se ancora una volta il Fondamentalismo Mercatista prevarrà, non vi sarà nessuna discontinuità rispetto alle attuali tendenze del capitalismo neo-liberista.
Ed i segnali osservabili indicano che gli economisti dominanti si stanno dimostrando fedeli all’UMF: si veda nelle “letture” segnalate da Bertocco3, tra cui Bernanke – che legge le crisi come momentanei “avvallamenti” della tendenza di fondo ad una crescita dell’economia U.S.A.del 3% annuo, proiettabile quindi nel futuro - e Cottarelli – che ripropone di fatto le ricette neo-liberiste di taglio alla spesa pubblica e sostegno alle esportazioni - .
In contro-tendenza Padoa-Schioppa, che afferma, tra l’altro: “Ritengo che il modello di crescita che ho tratteggiato … sia quello verso cui si deve muovere e che la cosiddetta
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: FESTIVAL 2018 – BERTOCCO: UTOPIA ECONOMISTI 5
economia di mercato vada non soppressa, ma indirizzata verso un funzionamento che aiuti a realizzare quel modello. Di una cosa sono certo: l’economia mondiale non muoverà spontaneamente verso quel modello, nessuna mano invisibile ci piloterà in quella direzione, senza un governo gran parte dell’umanità andrà incontro a inenarrabili sofferenze.”
Le riflessioni di Padoa Schioppa riportate da Bertocco3 richiamano anche alla necessità di decisioni a scala sovra-nazionale, il che ci rimanda alla lezione di Giovannini4,5, da cui il festival 2018 era partito.
Fonti:
1. Giancarlo Bertocco – REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 30-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1XLf_BZ3Mr5iUSFku7wRef__8EzLBEO65/view?usp=sharing
2. Giancarlo Bertocco – SLIDES DI PRESENTAZIONE (SLIDES DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 30-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1FXhhIKtTChQ1FTmzciX1xVr-UiBXP4tN/view?usp=sharing
3. Giancarlo Bertocco – NOTE DI APPROFONDIMENTO SULL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 30-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1_5E87EGti_2b1y7nGCMoeTdafyzBj6oA/view?usp=sharing
4. Enrico Giovannini - SLIDE DI PRESENTAZIONE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 01-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1x8RnF2wIGLpQd6Cw85zLFs1UlvLcHB80/view?usp=sharing
5. Enrico Giovannini REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 01-10-2018 E DEL SEGUENTE DIBATTITO
a. https://drive.google.com/file/d/1_8T0tOUbACvNyLa15K_7B_mtP-e-WYKd/view?usp=sharing
b. https://drive.google.com/file/d/1pM9-sof9RQ1JfybueKo-pIgqnzO5wwUG/view?usp=sharing
6. Aldo Vecchi - IL ‘TESTAMENTO’ DI PAOLO LEON SUL CAPITALISMO E LO STATO - https://drive.google.com/file/d/1zdl_LpHWUrk-NXC7CtS5-zeMSK87koCP/view - Pubblicato nel 2019.
7. Aldo Vecchi - IL LUNGO XX SECOLO DI GIOVANNI ARRIGHI - https://drive.google.com/file/d/18ZwQ9iRH2IOfuDRTcfRqaM6D5AjFASU_/view - Pubblicato nel 2018.
8. Aldo Vecchi - IL TERZO SPIRITO DEL CAPITALISMO, INDAGATO DA BOLTANSKI E CHIAPELLO - https://drive.google.com/file/d/18rOwVEv0Uv-uYPjmBw7OdeXY4aKczbyg/view - Pubblicato nel 2018.
9. Quaderno n.8 - ORDOLIBERALISMO ED ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO -
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https://drive.google.com/file/d/1BtPjnn70LX2Xn0AR4OjcAhrYO5MWW1Wl/view - Articoli pubblicati nel 2018

UTOPIA21 - MAGGIO 2019: LA NATURA SPEZZATA ALLA XXII TRIENNALE DI MILANO: MA E’ QUESTO IL DESIGN PER RIPARARLA? ,


Alcune valutazioni sulla ventiduesima Triennale di Milano, a partire dalla lettura del catalogo, con riserva di capire di più (o di meno?) visitando l’esposizione: in sintesi, testi ambiziosi ed anche rigorosi, ma che sembrano non governare le divergenti e spesso peregrine proposte degli Autori raccolti nel Palazzo dell’Arte
Sommario:
- premessa personale
- i saluti iniziali, tra consapevolezza della crisi planetaria e patriottismo dell’export lombardo
- il saggio introduttivo di Paola Antonelli: ambizioni e contraddizioni
- gli altri saggi del catalogo, taluni un po’ scontati, talaltri stimolanti
- l’esposizione generale, grande accozzaglia, con pochi esempi virtuosi (non valorizzati da un confronto nel merito) e moltissime opere autoreferenziali, se non paradossali
- qualche cenno sui “padiglioni nazionali”, troppo schematicamente riassunti nel catalogo
- questioni emergenti (oltre al disastro ambientale e alla scarsità di ricette per affrontarlo): Esistono ancora confini disciplinari? Libertà di espressione versus priorità socio-ambientali. Autoreferenzialità e potere accademico/lobbistico.
- APPENDICE: una nota sulla XXI Triennale del 2016
In corsivo i commenti più personali.
PREMESSA PERSONALE
Anche se le nostre lauree degli anni ’70 (malgrado i “voti politici”…) ci sono in seguito valse ‘ad ampio spettro’ per l’iscrizione all’Albo degli “Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori”, ed anche se in effetti la formazione pre- e post- ’68, per opposti criteri, alla Facoltà di Architettura era tutt’altro che racchiusa negli ambiti specialistici (prima per ambizione progettuale “dal cucchiaio alla città”, dopo per ambizione critica ‘tuttologica’ anti-disciplinare), in cui si è invece frantumata verso la fine del Novecento, devo confessare che personalmente non mi sono mai incuriosito troppo, né informato approfonditamente, su
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: XXII TRIENNALE DI MILANO: NATURA SPEZZATA 2
quella che una volta si chiamava “architettura degli interni” e poi più genericamente si è chiamato “design”, indirizzato alla progettazione di oggetti, ed in seguito esteso alla comunicazione grafica, informatica, digitale, ecc.
Di questa mia carenza, e propensione piuttosto agli attigui temi, dalla casa al territorio, sono testimoni anche i testi più disciplinari che ho pubblicato su queste pagine1.
Occupandomi, da spettatore, di questa 22^ Triennale (ma anche della precedente), mi rendo conto però che alla mia lontananza dal “design”, malgrado la disciplina riguardi oggetti concreti, potenzialmente utili e quotidiani, progettabili e modellabili direttamente in scala 1:1,
concorre poderosamente anche il linguaggio, l’atteggiamento, la “narrazione” che contraddistinguono i “designers” e che mi sembrano spesso quanto mai astratti, assertivi, inconfutabili, modaioli: una sorta di progressione inversa della progettazione, che vede aumentare la “fuffologia” quanto più ci si avvicina agli oggetti. (Anche se i pianificatori territoriali, talvolta, non sono proprio raccomandabili quanto a concretezza….)
I SALUTI INIZIALI, TRA CONSAPEVOLEZZA DELLA CRISI PLANETARIA E PATRIOTTISMO DELL’EXPORT LOMBARDO
Aprendo il catalogo2, mi ha colpito la disomogeneità tra i messaggi iniziali di saluto:
- Il Presidente della Triennale, architetto Stefano Boeri (assai noto peril “verde verticale” dei grattacieli in zona Garibaldi/Isola a Milano), segnalando che le città occupano per ora “solo” il 3% delle terre emerse, mentre però la “tecnosfera” (termine coniato nel 2014 da Peter Haff, studioso dell’ “antropocene”) pervade l’intero globo ed ingabbia le residue isole di naturalità, introduce sostanziosamente il tema dell’ “antropocentrismo arrogante”, che danneggia la natura e con essa però lo stesso uomo, non solo per i rischi climatici al suo habitat, ma anche perché estromette la natura dalla sua vita quotidiana; sulla sua scia si snoda il testo di Gonzalo Loscertales, Presidente del Bureau Internation des Expositiones (B.I.E.), che assegnerebbe alla Triennale un ruolo educativo per riparare i collegamenti tra Uomo e Natura, spaziando oltre design, arte ed architettura, con il coinvolgimento delle scienze naturali e sociali, della comunicazione digitale e delle strategie comportamentali;
- al polo opposto il Ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che - pur con i dovuti omaggi alla sostenibilità, e gli auspici per un industria che rimedi ai danni socio-ambientali - evidenzia soprattutto l’elevata incidenza dell’export italiano nei prodotti di design di alta gamma (e se tali prodotti ed il loro export fossero invece rilevante parte del problema ambientale e non delle soluzioni?); a margine, l’improbabile accostamento proposto dal Ministro tra il Palazzo dell’Arte di Muzio e la Farnesina - nata come “Palazzo del Littorio”, ovvero sede nazionale del Partito Nazionale Fascista, progettata da Del Debbio-Foschini-Ballio-Morpurgo - sotto un comune ombrello “razionalista”.
- nel mezzo il ministro dei Beni Culturali Bonisoli (innocuo) ed il Sindaco Sala, un po’ troppo certo della validità ambientale delle scelte in atto per Milano, come la rigenerazione degli scali ferroviari (sui dubbi in proposito all’operazione ex-scali, rimando al mio testo sopra citato1, paragrafo 3.19).
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Figura 1 e 2: il Palazzo dell’Arte di Milano e la Farnesina di Roma
IL SAGGIO INTRODUTTIVO DI PAOLA ANTONELLI: AMBIZIONI E CONTRADDIZIONI
Il corposo saggio della direttrice del team curatoriale dell’esposizione, Paola Antonelli (da molti anni responsabile per il design al MoMA di New York), affronta pienamente il tema del ”design alla prova della sopravvivenza umana”, rammentando come l’”Earth Overshoot Day” (giorno dell’anno in cui l’uomo ha già consumato tutte le risorse rigenerabili) sia ormai arrivato al 1° agosto (cioè con un consumo annuo superiore di 5/12 rispetto alla disponibilità) e chiedendosi se sia in gioco solo la sopravvivenza della specie umana oppure di tutte le specie viventi: alla luce del pessimo stato di salute di indicatori fondamentali, quali la biodiversità e la sovrappopolazione umana, la produzione alimentare e il depauperamento delle risorse, la temperatura del globo e le emissioni di CO2.
A fronte dei danni profondi apportati dalla specie umana negli ultimi due secoli, verso la biosfera (devastazione di foreste, suolo e sottosuolo; inquinamento chimico, batterico e radio-attivo) e verso la stessa umanità (omologazione culturale ed infine anche compressione dei diritti civili), per Antonelli (e per la Triennale) urgono interventi di riparazione o “risarcimento”.
Qui si dovrebbe collocare il design, che già storicamente si è posto come strumento di soluzione dei problemi, progettando oggetti e comportamenti, ma finora in una prospettiva antropocentrica, che dà per scontata la subordinazione delle altre specie viventi, a partire dal periodo paleo-litico.
L’Autrice ripercorre, con alcuni squarci in profondità (che per brevità non riassumo in modo puntuale), il tracciato storico sulla evoluzione del design negli ultimi decenni, da quando si è affacciata qualche consapevolezza sui limiti ecologici (ed anche sociali e psicologici) degli assetti produttivi incentrati sulla ottimizzazione dei consumi e sul narcisismo, a partire dal 1968 e poi verso questo inizio di secolo, con le riflessioni sull’etica del progetto, sul design sostenibile, sull’economia circolare, in sintonia con i movimenti internazionali sanciti dalle conferenze di Rio e poi dagli obiettivi dell’ONU e delle conferenze sul clima.
Puntualizzando il confronto con l’affacciarsi del design al Moma nel 1940, i capisaldi di valutazione erano allora Utilità, Eleganza, Fattura, Prezzo, mentre oggi – per Antonelli - si rende necessario assumere:
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- una responsabilità etica, sia verso la società umana (condizioni di lavoro, distribuzione dei redditi) sia verso l’ambiente (le altre specie ed anche il mondo inanimato),
- una “consapevolezza di rete” (o “consilienza”) sulla interdipendenza universale (cioè di essere parte di sistemi complessi – città, aziende, governi – con effetti non sempre controllabili di ogni azione sui diversi eco-sistemi).
Da questa consapevolezza dei cambiamenti in atto e dalla proiezione sui futuri possibili, si innesta la proposta della XXII Triennale per un “design ricostituente”, che studia i legami e le contraddizioni sociali e ambientali, e progetta i possibili rimedi, ad ogni scala, nel tentativo di superare l’ottica puramente antropocentrica, ponendo in discussione “qual è il posto dell’uomo” e mettendo in campo:
- nuove strategie per il design tradizionale: trasparenza, circolarità, equità nel lavoro, emissioni-zero, responsabilità a lungo termine (dal “consumo” alla “adozione” degli oggetti);
- superamento del “design organico”, che imitava le forme della natura (dall’Art Nouveau in poi), per mutuare dal rapporto con le altre specie funzioni, processi, sistemi, alleanze, “co-creazione”;
- nuovi campi di ricerca, quali il bio-design, l’auto-assemblaggio, e nuovi linguaggi, che superino la razionalità modernista per comprendere l’empatia ed i valori spirituali soggettivi;
- rapporti di interdisciplinarità con artisti, scienziati, decisori politici.
Con alcune gravi stonature, però, almeno a mio avviso, come nell’auspicio (non si capisce con quali fondamenti), che il design assuma l’autorevolezza della scienza, e soprattutto nel finale, dove Paola Antonelli ipotizza:
- che i designer possano supplire alla “distrazione” dei politici (come misurabile nelle incertezze sul contrasto al cambio climatico) divenendo gli “alfieri del cambiamento” (mi chiedo: con quale linguaggio, quali strumenti, quali capacità di sormontare le immense difficoltà antropologiche in cui affondano politici e scienziati e comunicatori?)
- che – se l’umanità è avviata all’estinzione – almeno, grazie al design, possa “estinguersi con eleganza” (mi sembra un pensierino fatto apposta per spiegare come si crea il divario tra élites e masse; una cosina simpatica da raccontare alle popolazioni i cui atolli saranno sommersi dagli oceani, ai migranti racchiusi nei campi di “accoglienza”, ed anche ai gilet gialli preoccupati per il prezzo del gasolio…)
GLI ALTRI SAGGI DEL CATALOGO, TALUNI UN PO’ SCONTATI, TALALTRI STIMOLANTI
Il Catalogo della XXII Triennale è disseminato da una quindicina di altri brevi saggi, raggruppati all’inizio di ognuna delle cinque sezioni della mostra (oltre alle Partecipazioni Internazionali), che si intitolano “Il clima è cambiato”, “Ambienti complessi”, Fatto e disfatto”, “O tempora, o mores”, “Ponti”.
Tali saggi sono molto diversi come taglio, linguaggio, spessore, ed anche interesse.
(Mi limiterò a commentarne alcuni).
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Per esempio, il testo di Ala Tannir (designer libanese) sul disastro provocato dalla diga del Vajont, ripercorrendo il punto di vista della nota performance teatrale di Marco Paolini, pur essendo corretto ed esaustivo, mi sembra che non aggiunga molto a quanto già si è detto e dibattuto, sia sul caso specifico, sia più in generale sulla presunzione scientista asservita agli interessi aziendali.
Più problematico invece il testo di Emily Eliza Scott (storica e critica statunitense), che tende a mettere a fuoco alcun contraddizioni, come “la retorica green che talvolta non è altro che un lupo travestito da pecora”, citando ad esempio una biennale di architettura di Chicago sponsorizzata dalla British Petroleum e spaziando dall’aria condizionata di casa nostra al Muro di Trump tra Messico e U.S.A.: in questo percorso a zig-zag si permette anche una garbata critica al condominio “Bosco Verticale” progettato dal suddetto Presidente della medesima Triennale, Stefano Boeri, ed alle acritiche riproduzioni di tale modello, in Cina ed altrove, chiedendo: “chi può permettersi di affittare uno di quei lussuosi appartamenti, elevandosi rispetto ai dintorni sottostanti, assai meno abbienti e lussureggianti? Quanto lavoro, capitale e risorse sono necessari per mantenere le facciate verdeggianti dell’edificio? Quali sono i benefici e i limiti ecologici, persino le trappole, di un’opera come questa? La sua rapida celebrazione e adozione come modello non dovrebbero essere un motivo di preoccupazione, più che un indicatore di successo del progetto?” (Domande che condivido in toto).
Sulla stessa linea di una critica radicale, ma che aiuti ad orientarsi nella complessità delle contraddizioni, si sviluppa l’intervento di Alexandra Daisy Ginsberg (artista e designer inglese), muovendo dal successo delle bottiglie di plastica: “Anche di fronte a un’esigenza ben definita, risolvere un problema ne fa sorgere altri. … Il design opera in un intrico di contesti, sistemi e reti che includono esseri umani e non, il presente e il futuro. Per immaginare mondi migliori e renderli più possibili, dobbiamo prima definire quale mondo migliore vogliamo. Progettare in questa complessità significa riconoscere che non esiste un futuro migliore adatto a chiunque, ed è quindi necessario trovare un compromesso tra le varie idee di ‘migliore’ …. Quale idea di migliore si sta perseguendo? Chi la stabilisce?...”
(Mi sembrano buoni consigli per utopisti/riformisti, anche fuori dai confini del design, ed in particolare per noi di Utopia21).
L’ESPOSIZIONE GENERALE, GRANDE ACCOZZAGLIA, CON POCHI ESEMPI VIRTUOSI (NON VALORIZZATI DA UN CONFRONTO NEL MERITO) E MOLTISSIME OPERE AUTOREFERENZIALI, SE NON PARADOSSALI
Pur mancandomi il contatto diretto con le istallazioni e quindi la suggestione comunicativa delle opere e dei messaggi, dalla lettura del catalogo ho ricavato la netta impressione di un significativo divario tra le intenzioni dichiarate dal saggio introduttivo e la effettiva rassegna espositiva, sia in termini di connessioni lungo le varie sezioni tematiche, sia in termini di qualità e comprensibilità delle singole proposte.
Poiché i ragionamenti complessivi, desumibili dai testi dei saggi, li ho riassunti nei precedenti paragrafi, ritengo opportuno limitarmi a commentare singoli elementi, che ho scelto tra i più virtuosi ed i meno virtuosi, secondo le mie personali valutazioni.
(ALCUNI) ESEMPI VIRTUOSI:
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FAIRPHONE 2, prodotto dall’omonima ditta olandese, è uno smartphone progettato affrontando nell’insieme i problemi del ciclo di produzione e di vita dell’apparecchio, puntando sulla sostituibilità dei singoli componenti, sul riciclo dei materiali e sulla riduzione dei danni nel reperimento delle risorse e nelle modalità di lavorazione.
GEOLANA, proposto da Edizero Architecture for Peace in collaborazione con dipartimenti universitari di Cagliari, prevede il riutilizzo di lana di pecora a pelo corto, rifiutata dal mercato tessile, per realizzare dei galleggianti oblunghi, utili – in simbiosi con colonie di animaletti marini - per depurare le acque dei porti e per affrontare sversamenti di inquinanti in mare.
TIALOQUE 200 LITER (Isla Urbana, Messico) e AGUA CARIOCA (collettivo operante a Rio de Janeiro) affrontano il primo la raccolta sistematica ed il riuso dell’acqua piovana in insediamenti poveri preesistenti ed il secondo un più ambizioso sistema di gestione delle acque, dalla pioggia alla fito-depurazione, adeguato (in termini “ecologici sociali e spaziali”) agli insediamenti informali della metropoli, endemicamente privi di fognature.
SEATED DESIGN, di Lucy Jones (GB), studia abbigliamento idoneo a persone costrette a lungo su sedie a rotelle.
PERIOD-PROOF UNDERWEAR, RUBY CUP, WOMEN&HEART DISEASE, JANMA e LIA PREGNANCY TEST, proposte avanzate da designers femmine, singole o associate, suggeriscono soluzioni adeguate per questioni rilevanti nella condizione femminile, dal ciclo mestruale ai test di gravidanza, dalle condizioni del parto “a casa loro” per donne prive di un sistema di assistenza medico alla peculiare attenzione che richiede(rebbe) la diagnosi dell’infarto (che ha nelle donne sintomi meno acuti rispetto ai maschi).
Mi pare però che – a fronte di simili casi di proposte apparentemente serie, ben motivate ed articolate – manchi nell’esposizione sia una attenzione di insieme (solo i progetti “femminili” e quelli “idraulici” sono almeno accostati tra di loro), sia un apparato comunicativo (del genere “scheda tipo”) che spieghi se si tratta di pure idee, di prototipi oppure di soluzioni sperimentate e/o applicate, sia ancora un raffronto critico che – avvalendosi per esempio della saggezza distribuita nei saggi dispersi nel catalogo – le sottoponga ad una verifica di fattibilità, di coerenza, di “sostenibilità ambientale”: con tali carenze, anche i progetti più seri rischiano di diventare mera suggestione, puro spettacolo (altro che avvicinarsi alla scienza…).
(ALCUNI, SOLO POCHI TRA I TANTI) ESEMPI MENO VIRTUOSI (tacendone gli autori):
GENERATIONS: un video-gioco per cellulari talmente complesso che con certezza una sola vita umana non basta per concluderlo, obbligando l’utente, verso fine-vita, a optare se abbandonarlo o affidarlo ad un erede (sarebbe una specie di moderno “memento mori”, finalizzato a far comprendere la relativa brevità della vita umana).
CASKIA/GROWING A MARS-BOOT: una struttura per stivali stampata in 3D ed una colonia di spore di micelio, da alimentare per sette mesi con il sudore dell’astronauta diretto dalla terra a Marte, per divenire un paio di stivali completo, pronto per passeggiare sul pianeta rosso.
NATURE SELF-PORTRAIT: sorta di “selfie” (o meglio vecchi “autoscatti”) a campo lungo, con il corpo dell’autrice (purtroppo nel frattempo deceduta) a confronto con forme della natura, più o meno estrema (e anch’essa nuda o brulla).
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Figura 3 – Nature Self-portrait #10
HUMAN X SHARK: ricerca di feromoni idonei a rendere seducente l’autrice, in muta da sub, per i maschi di una specie particolare di squali copulatori.
QUALCHE CENNO SUI “PADIGLIONI NAZIONALI”, TROPPO SCHEMATICAMENTE RIASSUNTI NEL CATALOGO
L’ecclettismo che pervade l’intera mostra, anche dove aleggia la pretesa di percorsi tematici, per le 23 partecipazioni internazionali è invece dichiarato come tale nel saggio introduttivo a tale sezione, ed è probabilmente inevitabile, come in tutte le consimili rassegne.
Inoltre il Catalogo, che già supera le 350 pagine, non può dar conto in 2-3-4 facciate della articolazione delle proposte, quando queste non sono monografiche: come è il caso dell’Italia, che raggruppa diverse suggestioni sotto il nome dei 4 elementi (acqua-aria-fuoco-terra) oppure degli Stati Uniti, che affronta scientificamente la sostenibilità di materiali ed oggetti secondo diversi criteri.
Tra le partecipazioni nazionali con proposte monografiche (e quindi ben comprensibili già dal catalogo), mi ha incuriosito la proposta austriaca CIRCULAR FLOWS (studio EOOS con istituto svizzero EAWAG, ricerca finanziata dalla Cancelleria Federale austriaca), che ipotizza, con dettagli tecnici assai precisi, una riorganizzazione radicale dei servizi igienici e dei sistemi fognari, separando dall’origine le urine, al fine di escluderne l’impatto negativo nel ciclo di depurazione e valorizzarne invece il riutilizzo come fertilizzanti: si tratterebbe di una riforma con intenso impatto attuativo, casa per casa e strada per strada, da paragonare con quella, ancora più radicale, ma divergente, pubblicata da Bertaglia del CCR di Ispra su Utopia213, in favore di servizi igienici a secco e digestione aerobica delle deiezioni. (Dove e quando una verifica approfondita su simili alternative?).
All’estremo opposto, come scelta espositiva, sempre tra le partecipazioni nazionali a carattere monografico, lo stand del Regno Unito, MAPS OF DEFIANCE, curato dal Victoria&Albert Museum in collaborazione con Art Jameel e con la ONG Yadza, centrato sulle attività investigative in atto nel nord dell’Irak per documentare – coniugando raffinati
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strumenti cartografici digitali ed attrezzature elementari di facile impiego - le pratiche genocide del Califfato Islamico ai danni della enclave etnica Yazida.
Concludono la rassegna internazionale uno spot del Comune di Milano sulla propria politica urbanistica e la NAZIONE DELLE PIANTE, proposta curata da Stefano Mancuso ed altri, che ha avuto grande rilievo nella presentazione della 22^ Triennale sui mass media, mentre non ha altrettanto rilievo sul catalogo: si tratta di una suggestiva rappresentazione delle ragioni del mondo vegetale, contrapposte alle tendenze predatorie del mondo animale (che vive saccheggiando le piante), e ne esalta le caratteristiche modulari-decentrate come modello reticolare di resilienza programmatica, terminando con lo slogan “Se [le piante] fossero una nazione, sarebbe di gran lunga la più importante, da cui tutti dipendiamo”.
Figura 4 – un’immagine della “Nazione delle Piante”
QUESTIONI EMERGENTI (OLTRE AL DISASTRO AMBIENTALE E ALLA SCARSITÀ DI RICETTE PER AFFRONTARLO): ESISTONO CONFINI DISCIPLINARI? LIBERTÀ DI ESPRESSIONE VERSUS PRIORITÀ SOCIO-AMBIENTALI. AUTOREFERENZIALITÀ E POTERE ACCADEMICO/LOBBISTICO.
Al termine di questa carrellata sul Catalogo della 22^ Triennale di Milano, mi permetto di esporre queste riflessioni:
- sul disastro ambientale a mio avviso dopo la 22^ Triennale non ne sappiamo molto più di prima, cioè di quanto verificato e diffuso dalle discipline scientifiche, e ormai sancito da documenti internazionali ufficiali ed ufficiosi, ben noti ai lettori di Utopia21 e del suo Direttore Fulvio Fagiani 4; nuova invece è la percezione della consapevolezza di tali problematiche ambientali che finalmente pervade ambienti come quello del design e delle esposizioni internazionali (vedi anche EXPO 2015 di Milano sul cibo), senza però che ne consegua un livello adeguato
o né di capacità di comunicazione rivolta alla massa dei consumatori, per muoverli a migliori comportamenti operativi come utenti e come cittadini (ed elettori), perché secondo me sul terreno comunicativo queste manifestazioni in sintesi trasmettono piuttosto confusione, allarmismo e sensazione di impotenza,
o né di organizzazione scientifica delle potenziali proposte di soluzioni dei problemi, perché tali proposte, quando presenti, rimangono sommerse dal
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chiacchericcio espositivo/emotivo e non sottoposte a serrati confronti dialettici e verifiche di fattibilità.
- Molte installazioni potrebbero indifferentemente stare qui oppure alla Biennale di Venezia, inaugurata in questi giorni; oppure in qualche sfilata di moda-fashion-week. Personalmente sarei favorevole al superamento degli steccati disciplinari e dei settarismi specialistici, in tutti i campi del sapere (e del fare), scientifico, umanistico ed artistico: però in direzione di una contaminazione fertile, in cui ognuno conosce il proprio linguaggio e si sforza di confrontarsi con quello altrui. Mentre mi sembra di assistere a gare di esibizioni solipsistiche, di invasioni di campo senza che vi sia alcun campo.
- Ritengo che siano valori positivi la libertà di ricerca e di espressione. E si può spesso constatare quanto la ricerca scientifica (ma anche la sperimentazione artistica) abbia spesso ricadute indirette imprevedibili: molte innovazioni che investono la vita quotidiana (e talora indiscutibilmente migliorative) derivano da ricerche che ci sembrano in sé deprecabili perché orientate alla guerra oppure a futili attività per privilegiati, come le corse di Formula 1 oppure l’alta moda. Tuttavia, senza cadere in ridicole censure “zdanoviane” (Andrej Zdanov, teorico del “realismo socialista” nell’Unione Sovietica in epoca staliniana) oppure populiste, mi parrebbe opportuno che un qualche trasparente ragionamento di carattere sociale ed ambientale debba guidare le priorità nella assegnazione delle risorse pubbliche, sia nella ricerca, sia nella comunicazione culturale, riguardo alle erogazioni dirette ed anche indirette, come le agevolazioni fiscali e come l’utilizzo degli spazi espositivi pubblici di eccellenza. Tendenza che potrebbe trasparire nei testi del Catalogo, ma certo non emerge dalla rassegna espositiva di questa Triennale.
- L’autoreferenzialità che caratterizza numerose istallazioni della 22^ triennale (così come della precedente, vedi APPENDICE) non è a mio avviso un semplice vezzo d’artista del singolo Autore, ma uno stile, un “pezzo” organico ad un sistema di potere, di carattere accademico, che trascende gli ambiti strettamente universitari e li connette nella rete dei critici/curatori/”influencer”, dei galleristi&collezionisti, degli editori e dei padroni delle “griffe” (ed in ultima analisi ai potentati finanziari). Un mondo costituito e presidiato da un linguaggio esclusivo ed elitario, dove la forma (“elegante” oppure “provocatoria”), l’emozione (che è sempre “ineffabile”) e soprattutto l’appartenenza alle cordate lobbistiche, prevalgono quasi sempre rispetto a contenuti razionali, verificabili e comunicabili al di fuori della ristretta cerchia degli iniziati. Se ciò accomuna in qualche misura tutte le accademie (anche scientifiche, filosofiche, ecc.) e tutti i sistemi di potere (tra cui lo stesso mondo politico), nei campi dell’arte e della moda si possono ovviamente toccare vertici altrove inattingibili.
Il meccanismo dell’interscambio elitario mira in sostanza ad alimentare e gonfiare valori di mercato artificiosi, per idee ed oggetti, analogamente a quanto avviene in Borsa e nel Calcio. Poiché tali speculazioni si fondano in ultima analisi sul consenso degli spettatori/consumatori, è forse il caso di iniziare a dire in giro, come nella fiaba “i vestiti nuovi dell’imperatore”, che in realtà “Il Re è Nudo”.
Spiace però che tali tendenze sconvolgano il design (e l’architettura, ecc.), che dovrebbe invece confrontarsi con i bisogni primari dell’uomo, quali sopravvivere ai
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disastri ambientali dall’uomo stesso creati, ed inoltre mangiare, vivere, abitare, studiare, lavorare (e solo verso la fine “estinguersi con eleganza”).
APPENDICE SULLA 21^ TRIENNALE DI MILANO, 2016 (testo pubblicato sul mio blog “relativamente sì” http://aldomarcovecchi.blogspot.com nel giugno 2016)
Ho visitato due tra le principali mostre che caratterizzano questa 21^ Triennale, dopo 20 anni di sospensione, e sono rimasto abbastanza perplesso. “W. Women in Italian Design - Design Museum Nona Edizione“ a cura di Silvana Annichiarico, dopo una affascinante ma ambigua sala/gineceo di “pizzi e merletti” (le abilità tessili ovvero il confino in cui a lungo è stata relegata la donna, non si capisce se rivendicato o da vendicare) espone, meritoriamente, oggetti di design realizzati in Italia da donne negli ultimi 100 anni (e cioè: quasi nulla e per lo più bambole e ninnoli fino agli anni ’50; poco dai ‘50 agli ’80, e spesso esibendo un paio di cognomi, di cui uno maschile; molto solo dopo il 2000), ma senza un raffronto (neanche numerico o riassuntivo) con l’altra (e finora preponderante) metà maschile del cielo, per cui risulta difficile capire il vero peso quantitativo e qualitativo della componente femminile nella storia nazionale del disegno industriale (ad esempio: quante donne laureate nel settore nei vari anni e quante di loro affermate nella professione?; oppure quali evoluzioni grazie alle donne/progettiste sono emerse nelle tipologie dei prodotti, nelle soluzioni progettuali, nel modo di progettare e di produrre?).
Guardando gli oggetti esposti relativi agli ultimi decenni, e ripensando all’insieme del Museo del Design attualmente collocato alla Villa Reale di Monza (e sempre diretto da Annichiarico), mi sembra di capire che i designers di ambedue i sessi si stiano perdendo nella progettazione di cose inutili, intercambiabili con moda&arte, per clienti ricchi e annoiati, mentre il popolo – me compreso - va all’IKEA (e ci trova cosa in prevalenza utili e spesso ben disegnate, ma all’estero) oppure a Conforama (eccetera) e ci trova cose, sempre abbastanza utili, meno ben disegnate, che costano un po’ meno, e di cui la Triennale comunque non si interessa, anche se riempiono le case degli italiane e delle italiane, e ne condizionano gli stili di vita.
Allettanti, ma di dubbia scientificità, i temi dell’ultima sala, con schemi e test su cervello e percezione maschile/femminile e su e gli embrioni di analisi statistiche su pochi dati numerici relativi alla facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano. “STANZE. Altre filosofie dell’abitare” a cura di Beppe Finessi, si compone di due parti:
- La prima è una ampia ma superficiale carrellata, con una sola foto di una porzione di casa arredata (talora porzioni non significative) per ogni autore, riferita ai progettisti di interni italiani degli ultimi 80 anni;
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- La seconda è una rassegna alquanto delirante di “soluzioni abitative” realizzate specificamente in sito da autori contemporanei, accompagnate da testi ancora più autoreferenziali e deliranti (le “filosofie”), con la sola eccezione di una sorta di “bungalow per studenti” proposto da Umberto Riva, un vecchio maestro che mostra ancora un ancoraggio con la realtà;
- vecchio maestro è ormai anche Alessandro Mendini, che ha avuto il merito di svecchiare il clima negli anni ‘70/’80 con spiritose e simpatiche provocazioni, ma non capisco che senso abbia oggi – mentre 70.000 persone vagano senza-casa per le città italiane (e mentre la situazione carceraria continua ad essere più penosa che semplicemente penale) - annunciare che lui si sente un po’ imprigionato e quindi impiega il suo stand per rappresentare una condizione di invivibilità in stile optical/ossessivo (una stanza a violente bande bianco-nere con feroce illuminazione): abbiamo ancora bisogno di simili provocazioni?
- mentre Carlo Ratti (e Associati), giovane maestro di smart-city, presenta un mobile assemblaggio di sgabelli imbottiti, comandabile però da remoto smartphone (che utilità può avere, al di là di un single, che a metà serata, programmi di aver piacere al suo rientro di un divano ad una piazza piuttosto che a 2 o più piazze?);
- l’unica istallazione con un cenno di attenzione alla tematica del cambio climatico e del risparmio energetico si limita a recepire l’esistenza di moderni film fotovoltaici, e li spalma in fasce parallele su pareti esterne totalmente vetrate (che a mio avviso rendono invivibile lo spazio per usi residenziali, mancando ogni controllo su luce esterna e visioni dall’esterno), con dentro un arredo del tutto indifferente a clima/risorse/rinnovabilità.
Capisco e rispetto la libertà di ricerca e di espressione, l’impossibilità di definire confini tra architettura ed altre arti, ecc. ecc. (e anche il peso della progettazione e progettazione di oggetti di lusso nel PIL di Milano, Monza e Brianza) ecc. ecc., ma mi chiedo anche se questa rassegna rappresenta la progettazione di interni in Italia oggi: perché in tal caso significa che nessuno si preoccupa di cosa sta progettando, per chi sta progettando, di quali sono i problemi delle persone comuni, tanto in Italia quanto peggio nei paesi emergenti ed in quelli in via di sommersione, e di come cambieranno nei prossimi decenni, tra crisi economica e crisi ecologica.
Nel mio piccolo non mi sono mai occupato di interni in quanto tali, se non per arredare sobriamente edifici pubblici (oppure casa nostra), ma sono abbastanza fiero, come architetto e funzionario, di avere speso il mio tempo per fognature, semafori, marciapiedi, cimiteri, case popolari, centri sociali ed altre cose più utili alla comune umanità.
Fonti:
1. Aldo Vecchi “LA SOSTENIBILITÀ DAL FABBRICATO AL TERRITORIO” – Quaderno 5 di UTOPIA21, settembre 2018
https://drive.google.com/file/d/1dSTEb7DtGK9dYDMwxry3IJzQAHIY-FcA/view?usp=sharing
2. AAVV, a cura di Paola Antonelli e Ala Tannir “BROKEN NATURE” – Catalogo della XXII Triennale di Milano – Electa, Milano 2019
3. Marco Bertaglia - PIANETA IN PERICOLO: NUOVO ALLARME DEGLI SCIENZIATI” su UTOPIA21, marzo 2018 https://drive.google.com/file/d/19OCltQhkLZmTBbQ-x-EzLR37efPh_/view

UTOPIA21 - MAGGIO 2019: VERSO LE ELEZIONI EUROPEE


Riflessioni disincantate di un elettore utopista ma non troppo

Riassunto:
- Breve rassegna del panorama delle liste elettorali italiane per le europee del 26 maggio
- Le previsioni sui rapporti di forza nel prossimo Parlamento europeo
- La difficile coabitazione tra i partiti europeisti
- I proclami ed i rischi di piccolo cabotaggio a fronte delle enormi sfide aperte sui fronti geo-politici, socio-economici ed ambientali
- Movimenti e istituzioni: spiragli di apertura ad una Europa migliore.

In un editoriale del gennaio 2017 mi occupavo dell’Europa-reale quale “utopia realizzata”, per merito ma anche a dispetto dei suoi sognatori e fondatori, come Altiero Spinelli, chiedendomi se è solo così “che si riescono a materializzare le utopie, non solo rose e fiori, ma anche le spine”.
Le profonde contraddizioni tra idea e realtà di Europa, tra universalismo ed egoismo, sono al centro della riflessione storica di Antonio G. Balistreri in questo stesso numero di Utopia21.
In queste pagine cerco di occuparmi delle spine del futuro europeo, guardando al confronto elettorale del prossimo 26 maggio.
Nell’economia di questo editoriale, non approfondisco i contenuti programmatici dei diversi schieramenti elettorali, come avevo fatto per le elezioni politiche italiane del marzo 20181, anche perché in parte dovrei tornare a ripetermi; rimando tuttavia alle fonti documentali2,3,4,5 segnalando succintamente che, guardando lo spettro politico italiano da sinistra a destra ho rilevato che:
- “La Sinistra” – naufragato l’accordo tra i “liberi ed uguali”, con gli MDP che ritornano a fare “gli indipendenti di sinistra” nelle liste PD e con Civati disperso nell’arcipelago verde (dove scopre che qualcuno è un verde di destra) – riaccorpa le varie correnti di quella che fu Rifondazione Comunista (ma non Potere-Al-Popolo), raccordandosi ad altre formazioni di sinistra radicale in Europa, con un programma ragionevolmente massimalista di una nuova Europa federale, su una linea “antirazzista, femminista, ecologista”;
- Il PD, allargato ad indipendenti e di sinistra come Giuliano Pisapia ed alcuni fuoriusciti MDP, e con “semi-indipendenti di destra come Carlo Calenda, presenta un programma europeista/riformista coerente con quello del Partito Socialista Europeo3, a mio avviso non dissimile dal manifesto dei Verdi Europei4;
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: Verso le elezioni europee 2
- I Verdi italiani si presentano in autonomia, incuranti del rischio di non superare la
soglia del 4% (e quindi del carattere epocale dello scontro con le forze sovraniste e
populiste);
- Analogo rischio corre, ma con migliori possibilità di riuscire, la lista +Europa, che
intende allearsi con i Liberaldemocratici europei (la cui nuova guida è il Presidente
francese Macron, sceso in campo da tempo con parole d’ordine europeista,
condensate nel manifesto dello scorso marzo2 ); il programma di +Europa, che
conferma gli indirizzi espressi per le politiche del 2018, comprende però alcune
elaborazioni originali (a mio avviso apprezzabili), quali il superamento delle basi
militari americane in Europa, che divergono dallo schema europeo dei
Liberaldemocratici;
- Al centro della politica italiana non è rimasto nessuno (quel che rimane del centrodestra
cattolico è assorbito da Forza Italia), però userei questo spazio per accennare
al MoVimento5Stelle, che continua a dichiararsi “né di destra né di sinistra”, anche
se forse ha iniziato ad accorgersi che sorregge un governo orientato a destra:
abbandonata ogni velleità di referendum contro l’Euro e la vicinanza con il britannico
Farage, l’anti-europeo per eccellenza, il programma dei 5Stelle per le europee – pur
con alcuni vezzi caratteriali - assomiglia abbastanza ai programmi riformisti del PSE
e dei Verdi, che vogliono un Europa diversa, più sociale e più democratica;
- A destra si rilevano le maggiori novità, rispetto alle elezioni politiche nazionali del
2018, perché non c’è più un testo comune (ed ambiguo) ma una netta divaricazione
tra Forza Italia, che riecheggia i temi dei Popolari Europei (di cui non sono riuscito a
trovare un manifesto ufficiale recente) su un terreno sostanzialmente europeistaconservatore,
e la Lega-di-Salvini, che invece sottoscrive con altre forze sovranistescioviniste
un progetto di rapido smantellamento delle istituzioni sovra-nazionali
europee, riducendo il continente ad un mercato comune con monete nazionali e
bandiere identitarie, affiancate solo per far barriera contro il nemico (islamico e)
migrante (simile, ma più articolato con vene sociali/corporative, il programma di
Fratelli d’Italia).
Secondo la maggior parte dei sondaggisti e degli analisti, malgrado l’impeto dell’onda
sovranista e populista in diversi paesi, gli schieramenti europeisti (tra i quali i più consistenti
raggruppamenti sono i Popolari, i Socialisti, i Verdi ed i Liberaldemocratici), dovrebbero
nell’insieme conservare una larga maggioranza anche nel prossimo Parlamento Europeo,
sebbene incalzati dalle due formazioni nazionaliste (l’una con Salvini, LePen e le destre
estreme del centro e nord Europa; l’altra con “Diritto e Giustizia” – al governo in Polonia -,
Fratelli d’Italia ed altri, tra cui i Conservatori Inglesi, paradossalmente presenti al voto per i
ritardi e le incertezze della Brexit) e dalla dispersione dei consensi verso liste minori o forti
solo localmente, come il MoVimento5Stelle, con i suoi improbabili alleati (i sovranisti croati
di Zivi Zid, i nazionalisti polacchi di Kukiz’15, il partito dell’Allevamento e dell’Agricoltura
greco Akkel e il partito finlandese Liike Nyt).
Se l’obiettivo strategico dei vari sovranisti è di scardinare l’impianto confederale e sovranazionale
dell’Unione Europea (con l’aiuto oggettivo ed in parte soggettivo dei partiti
britannici), il loro cammino tattico potrebbe quello di passare per una alleanza con la
principale forza storica dell’Euro-Parlamento, il Partito Popolare Europeo, oppure per un suo
pesante condizionamento, agevolato dalla presenza al suo interno sia del partito ungherese
di Orbàn (sospeso ma non espulso, malgrado le derive programmatiche e comportamentali
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: Verso le elezioni europee 3
del teorico della “democrazia illiberale”), sia di partiti che con le destre estreme volentieri
collaborano o vorrebbero collaborare, come in Austria, Spagna e Italia (Berlusconi).
Tuttavia i recenti pronunciamenti da parte del candidato per il PPE alla successione di
Juncker, il bavarese Weber, e da parte degli altri più autorevoli leader della CDU e della
stessa CSU, sembrano opporsi nettamente a tale prospettiva, superando precedenti
tendenze a rincorrere i temi della nuova destra tedesca dell’AFD.
Il ritorno ad una collaborazione a livello europeo tra le principali famiglie politiche europeiste,
ed in particolare tra Popolari e Socialisti (anche se la prossima volta probabilmente di
necessità allargata sia ai Verdi che ai Liberaldemocratici) non è affatto una novità, ma è anzi
praticamente una costante nella storia dell’Unione Europea, confacente anche alla
opportunità di concertazione degli interessi dei singoli Stati, comunque presenti sia nella
Commissione che nel Consiglio, organismi difficili da gestire con logiche “maggioritarie”.
Malgrado la collaudata attitudine di Popolari e Socialdemocratici alle “Grandi coalizioni”, sia
in Germania che in altri paesi del Centro-Europa, la collaborazione a livello a europeo tanto
si presenta come probabilmente ineludibile, quanto si profila difficile da praticare, sia perché
i nodi che dovrebbero essere sciolti sono molti e sempre più aggrovigliati, sia perché il
protrarsi degli effetti della crisi economica ha portato ad ampliare le divaricazioni
programmatiche, con un sensibile spostamento a sinistra dei partiti socialisti, non solo del
Sud-Europa.
Martin Weber, in una intervista ‘di investitura’, si è infatti dichiarato consapevole della
necessità di trovare opportuni compromessi programmatici con i potenziali alleati europeisti.
Ma le divergenze con tali alleati sono ben delineate, ad esempio, dalla risposta di Annegret
Kramp-Karrenbauer6 (presidente della CDU dopo Merkel) al manifesto europeista del
presidente francese Macron (risposta che si rivolge in realtà anche alle proposte del PSE).
Dopo una condivisibile premessa sulla necessità di una svolta dell’Unione Europea
“Pochi giorni fa, il presidente francese Emmanuel Macron si è rivolto con un appello
ai cittadini dell’Europa, dicendo che c’è bisogno di agire con urgenza. Ha ragione,
perché ci troviamo di fronte a domande urgenti: vogliamo essere comandati in futuro
da decisioni strategiche prese in Cina o negli Stati Uniti, o vogliamo contribuire
attivamente alla realizzazione di regole per la futura convivenza globale? Vogliamo
dare una risposta comune a un governo russo che ricava la propria forza dalla
destabilizzazione e dall’indebolimento dei vicini? La risposta è una sola: la nostra
Europa deve diventare più forte.
Sulle imminenti elezioni del Parlamento europeo, il tema non può essere la difesa
dello status quo incompleto dell’odierna Ue contro le accuse dei populisti. La
questione del "per" o "contro" l’Europa non si pone affatto per la maggior parte dei
cittadini. Invece, dobbiamo discutere con differenti concetti sul modo in cui l’Ue sarà
in grado di agire, prossimamente, sulle grandi questioni.”
la Presidentessa della CDU inizia a delineare pesanti paletti:
“… dobbiamo puntare in maniera coerente a un sistema di sussidiarietà, autoresponsabilizzazione
e responsabilità civile a queste connessa. Centralismo
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: Verso le elezioni europee 4
europeo, statalismo europeo, comunitarizzazione dei debiti, europeizzazione dei
sistemi sociali e del salario minimo costituirebbero la strada sbagliata.”
“In futuro, dovremo riorganizzare la politica comune sull’immigrazione dell’Ue
secondo il principio dei vasi comunicanti. Ogni Stato membro deve dare il suo
contributo alla lotta alle cause, alla difesa delle frontiere e all’accoglienza. Ma più ogni
Stato lo farà in uno specifico campo, tanto minore dovrà essere il suo contributo negli
altri campi.” (ovvero : i Paesi che non vogliono accogliere potranno limitarsi a pagare)
“La nostra Europa dovrebbe porsi su due pilastri paritari, quelli del metodo
intergovernativo e del metodo comunitario.” (ovvero: adagio con i trasferimenti di
potere dagli Stati al Parlamento e alla Commissione Europea).
Assetti istituzionali dell’Unione, migrazioni e accoglienza, politica
economica/sociale/monetaria/fiscale emergono quindi come terreno di scontro tra le forze
che probabilmente cercheranno di governare l’Europa, e sono solo una parte delle questioni
aperte, perché l’agenda continentale e globale impone di assumere indirizzi strategici e
decisioni tattiche sul commercio internazionale (tra i faticosi o falliti trattati multilaterali alla
odierna “guerra dei dazi”), sulla ricerca e sulle tecnologie, sulle spese militari e sulla ipotesi
di “difesa comune” nonché sulle grandi sfide del clima e dell’ambiente (temi su cui forse le
distanze tra i partiti “europeisti” sono minori, ma più generica e indeterminata pare la loro
attenzione, inadeguata alla gravità dei problemi), mentre restano irrisolti fronti e conflitti
come la Brexit, l’indisciplina sovranista dei “paesi di Visegrad” (Polonia e Ungheria in primis),
Ucraina&Crimea, Libia&Africa intera, Turchia/Siria e Medio oriente, il nucleare iraniano (e
quello coreano)….
Considerato anche l’indebolimento soggettivo, derivante dalle rispettive situazioni nazionali,
della leadership di figure come Merkel e Macron, ed il peso limitato di leader periferici, come
Sanchez, Costa o Tsipras, si può ragionevolmente temere che, pur nel momento del
massimo impatto con le tendenze sovran-populiste, interne all’Unione ed esterne (Trump,
Putin, Erdogan, Bolsonaro….per tacere dei regimi palesemente autoritari, dalla Cina in giù),
la risposta dell’Europa sarà probabilmente ancora improntata al piccolo cabotaggio e ben
diversa da quella auspicata dal movimento ambientalista, giovanile ed internazionale, di
Greta Thunberg.
L’aspettativa che la stessa crisi politico-istituzionale dell’Europa possa tradursi nello stimolo
per una improvvisa svolta progressiva rischia di rivelarsi come una favoletta retorica;
soprattutto se si guarda solo alla dinamica interna alle forze politiche ed al conseguente
sviluppo parlamentare.
A fare la differenza, oltre alle influenze del voto popolare, possono essere per l’appunto i
movimenti, l’attivismo dei cittadini, soprattutto se riusciranno nei prossimi anni, a scala
europea, ad andare oltre le manifestazioni di denuncia e di rivendicazione, e ad agire
contestualmente come lavoratori e come consumatori (nella consapevolezza che anche sul
fronte opposto del sovranismo-populismo contano l’attivizzazione, le piazze reali e quelle
virtuali).
Merita una sottolineatura particolare la centralità della questione climatica e dell’Agenda
2030, su cui si manifestano segnali contraddittori. Se da un lato la spinta propulsiva
dell’Unione Europea si è molto rallentata negli ultimi anni, offuscata dalla priorità assegnata
Utopia21 – maggio 2019 A.Vecchi: Verso le elezioni europee 5
ad altro, come la crisi economica e l’ondata migratoria, dall’altro alcuni fatto lasciano sperare
che l’Unione riprenda il ruolo di leadership avuto almeno fino alla Conferenza di Parigi del
2015.
Tra i fatti più rilevanti ricordo i documenti su economia a impatto climatico zero e Agenda
2030 già commentati nel precedente numero di UTOPIA217, lo sciopero globale per il clima
del 15 marzo, con grandi partecipazioni in Europa, e l’approvazione di mozioni
sull’emergenza climatica da parte dei Parlamenti del Regno Unito (formalmente ancora
parte dell’Europa a 28) e dell’Irlanda, con una proposta di mozione già depositata anche al
Parlamento italiano.
In questa prospettiva, chi come noi continua a coltivare l’utopia di un mondo migliore, ed a
scandagliarne le concrete anche se tortuose possibilità (si vedano anche in questo numero
di Utopia 21 i contributi del Direttore Fulvio Fagiani), ritiene utile comunque approfondire le
riflessioni e proseguire nella battaglia delle idee, preliminare ad ogni ipotesi di
organizzazione operativa.
Fonti:
1. Aldo Vecchi “LETTURA E CRITICA DEI PROGRAMMI
ELETTORALI PER IL 4 MARZO 2018” su UTOPIA 21, marzo 2018
https://drive.google.com/file/d/1-pOGmRevCBAEFoVD79kPcjPurVoAPYMM/view
2. Emanuel Macron “PER UN RINASCIMENTO EUROPEO”, marzo 2019, dal sito
della Presidenza della Repubblica Francese: https://www.elysee.fr/emmanuelmacron/
2019/03/04/per-un-rinascimento-europeo.it
3. Partito Socialista Europeo “UN NUOVO CONTRATTO SOCIALE PER L’EUROPA”
https://www.pes.eu/export/sites/default/.galleries/Documents-gallery/PESManifesto-
2019_ES.pdf_2063069299.pdf
4. European Greens Manifesto “E’ IL MOMENTO DI RINNOVARE LA PROMESSA
DELL’EUROPA” https://www.europaverde.it/e-il-momento-di-rinnovare-lapromessa-
delleuropa/
5. una sintesi dei programmi delle liste italiane alle elezioni europee, con i link ai
singoli testi programmatici, si trova sul sito LE NIUS
https://www.lenius.it/programmi-elezioni-europee-2019/
6. Annegret Kramp-Karrenbauer “COSTRUIRE UN’EUROPA PIÙ FORTE” su “La
Repubblica”, 11 marzo 2019
7. Fulvio Fagiani “LE STRATEGIE EUROPEE PER CLIMA E OBIETTIVI DI
SVILUPPO SOSTENIBILE”
https://drive.google.com/file/d/1mimGJV8Vi9hFHOpP525AqwCE73OaXtWq/view -
Pubblicato nel 2019.
8. Fulvio Fagiani “SE SI MUOVONO I GIOVANI”
https://drive.google.com/file/d/1NTdcIK6GWTLE6lEaOlA_gfCQqHroTIPs/view -
Pubblicato nel 2019.