GOVERNO DEL CAMBIAMENTO?
di
Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani
Utopia21 pone attenzione
prioritariamente alle prospettive di fondo, rispetto alla cronaca, e si tiene
abitualmente fuori dalla mischia polemica quotidiana; ma la Redazione ritiene
che il “Governo del Cambiamento” (ed il consenso di cui gode nel Paese) mettano
in luce questioni di grande portata (per altro percepibili a scala mondiale), che
richiedono valutazioni, anche su diversi piani di lettura, esplicitate in
questo editoriale a doppia firma.
da pag. 1 a pag. 6 il
testo di Aldo Vecchi
“SE QUESTO E’ IL
CAMBIAMENTO”
Riassunto:
Metodi
Contenuti programmatici
Asse politico
da pag. 7 a pag. 9 il testo di
Fulvio Fagiani
“LA NOTTE IN CUI TUTTE
LE VACCHE SONO…GRIGIE”
Riassunto:
Il
ribaltamento mezzi-fini nella politica corrente.
Nella notte
tutte le vacche sono grigie.
Continuità e
discontinuità.
Una visione
del futuro
SE QUESTO E’ IL CAMBIAMENTO
di
Aldo Vecchi
Riassunto:
Metodi
Contenuti programmatici
Asse politico
METODI
A fronte della faticosa gestazione del nuovo
governo 5Stelle/Lega, molti commentatori hanno già evidenziato le anomalie di
metodo rispetto al dettato costituzionale (da ultimo riguardo al rispetto del
ruolo del Presidente della Repubblica nella nomina sia del Primo che degli
altri Ministri); mi pare di poter sottolineare che in questi comportamenti
affiorano molte analogie con le abitudini in atto nella cosiddetta Prima
Repubblica per la formazione di governi di coalizione (abitudini attenuate ma
non scomparse nel periodo delle leggi elettorali maggioritarie, tra il 1994 ed
il 2013, cosiddetta Seconda Repubblica):
- gli accordi di governo comportavano lunghe
negoziazioni preliminari sui programmi (e non solo sulle “poltrone”: un ministero
del Bilancio affidato al socialista Antonio Giolitti, negli anni 60 o 70, ad
esempio, implicava precise, seppure poi spesso disattese, concessioni della DC
in materia di politica economica), anche se non assumevano la forma quasi
privatistica del “contratto”, ma quella più sfumata delle “dichiarazioni
programmatiche” (la riduzione di 7 decenni di storia repubblicana ad un mero
balletto di poltrone mi sembrerebbe una inaccettabile caricatura);
- il “manuale Cencelli” per la spartizione ed
il bilanciamento delle cariche parlamentari, governative e sotto-governative
vigeva allora come vige oggi, perché è una oggettiva legge della politica,
salvo che dagli anni ’40 ad oggi nessuno aveva promesso di trasmettere tutte le
trattative in diretta streaming, mentre oggi chi lo ha promesso ha anche poi
rapidamente cancellato tale dogma;
- il ventilato “comitato di conciliazione” tra
gli alleati di governo per dirimere eventuali controversie, assomiglia
parecchio, in sostanza, alla tradizione delle “verifiche di maggioranza” in cui
i maggiorenti dei partiti sottoponevano Governi e Ministri (ma anche Sindaci e
Assessori, ecc., un po’ meno dopo le leggi sull’elezione diretta dei Sindaci e
dei Presidenti di Regione).
Quanto sopra a mio avviso può attenuare lo scandalo
per gli strappi istituzionali (anche se vigilare è comunque opportuno da parte
dell’opinione pubblica, che ad oggi però può contare sul Presidente Mattarella), ma evidenzia quanto poco di
nuovo ci sia – sotto questo profilo – nel conclamato “Governo di Cambiamento”.
CONTENUTI
PROGRAMMATICI
Riguardo ai contenuti, la maggior parte dei
commentatori (tra cui gli autorevoli professori Cottarelli e Perotti) ne ha già
evidenziato la probabile insostenibilità economica, che potrebbe tradursi in
una insostenibilità sociale quando l’Italia cominciasse a risentire dei
contraccolpi finanziari evocati dall’allegro ricorso ad un ulteriore
indebitamento, anche se a breve termine potrà prevalere il consenso demagogico
alle diverse promesse elettorali enunciate. Il “cambiamento” promesso è vasto,
resta da vedere quanto sarà attuabile e quanto (poco?) sarà apprezzabile;
perché propone alcuni rimedi agli effetti del neo-liberismo (vedi anche nel
primo decreto sul Lavoro, alquanto pasticciato, ma molto propagandato), mentre
ne rafforza gli elementi strutturali (disuguaglianze).
Anche se l’evidenza delle cose, dette, fatte e
non-fatte, dal solo Ministro degli Interni, in queste prime settimane,
qualifica a sufficienza il “Governo del Cambiamento”, ho ritenuto doveroso (anche
con riferimento al mio testo di raffronto sui programmi elettorali) compiere
una mia valutazione analitica sulla ‘sostenibilità ambientale’ del Contratto di
Governo attraverso la lettura del testo ufficiale1 siglato dalle due forze politiche e fatto proprio
dal Presidente del Consiglio, e quindi dal Parlamento.
La discriminante dell’UMANITÀ emerge a chiare
lettere anche dal testo, e non solo dalla priorità mostrata dal Governo nel
respingere profughi e migranti e nel criminalizzare le Organizzazioni Non
Governative impegnate nei salvataggi dei naufraghi nel Mar Libico: “UMANITÀ”
che non compare mai quale soggetto unitario, titolare dei problemi globali del
pianeta Terra (ci sono solo “gli italiani”, oppure “i cittadini”), ed “UMANITÀ”
che si esclude di provare come sentimento portante ed empatia nei confronti
degli ultimi della Terra, né per accoglierli quando bussano alle nostre porte
(i richiedenti asilo visti come dovere mal sopportato, da ripartire con gli
altri paesi europei, migranti visti come “la minaccia dal fronte meridionale
alla sicurezza della nazione”), né per “aiutarli a casa loro”, perché dei
programmi di cooperazione internazionale non vi è traccia nel contratto, troppo
impegnato sul benessere “dei cittadini”.
A mio avvio senza compartecipazione con
l’intera umanità non esiste una vera sostenibilità ambientale, e non solo per
motivi di equità, ma anche perché l’aggravamento degli squilibri internazionali
alla lunga non giova né alla stabilità politica (e quindi alla sicurezza
militare) né alla implementazione delle politiche ecologiche.
Altra questione fondamentale è quella delle
DISUGUAGLIANZE SOCIALI, che nel Contratto sono esaminate solo verso il basso,
prospettando ai disoccupati (italiani) il reddito di cittadinanza ed il
sostegno nella ricerca del lavoro, il salario minimo e la riaffermazione dei
diritti sociali fondamentali (istruzione e sanità; acqua pubblica; NOTA: non
invece la casa, l’informazione, l’energia), ma volutamente ignorate verso
l’alto, con 3 sole eccezioni:
- la ricerca di una tassazione dei colossi
multinazionali del web, ma isolata da una visione complessiva sia del ruolo
monopolistico e manipolatorio (sui nostri dati) da parte di tali imprese, sia
del controllo fiscale su tutte le multinazionali e sul connesso problema dei
‘paradisi fiscali’;
- i privilegi della ‘casta dei politici in
pensione’ (vitalizi) e dell’attigua ‘casta dei pensionati d’oro’ (la cui
auspicabile eliminazione produrrà pochi quattrini, mentre il denunciarli ha
fruttato milioni di voti…).
La contestuale promessa della “flat tax”, cioè
dell’abbattimento delle aliquote progressive nelle imposte sui redditi, equivale alla proclamazione della SANTITÀ DI
TUTTI GLI ALTRI PRIVILEGI SOCIALI, derivanti da rendita o da profitto, dagli
altissimi stipendi dei manager e dai
proventi delle speculazioni finanziarie, perché, apparentemente, non sono soldi
‘tolti ai cittadini’ (salvo promettere a parte di questi privilegiati anche
convenienti forme di condono fiscale, queste sì a spese degli altri cittadini,
che spero in tal caso scendano in piazza gridando “Onestà, Onestà”).
E senza lotta alle disuguaglianze, sempre a mio
avviso, non c’è sostenibilità ambientale, non solo per motivi etici, ma perché
il pianeta Terra non potrà sopportare a lungo l’espansione di consumi opulenti,
né il sistema finanziario subire l’accumulo senza fine di ricchezze finanziarie
‘vaganti’ (soprattutto se vagano ‘off shore’).
Tralascerei, benché decisiva, la questione
della COMPATIBILITÀ ECONOMICA delle promesse di governo rispetto alle risorse
disponibili, perché argomento già dissezionato da molti autorevoli commentatori
(forse tra questi va contemplato anche il ministro dell’Economia Tria, i
cui pacati ragionamenti sembrano
estranei agli slanci della compagine del suo stesso governo: vedremo in queste
settimane chi scriverà la ‘Finanziaria’
e cosa ci scriverà dentro): ma il conflitto tra le facili promesse e la dura
realtà economica non mina la sostenibilità ambientale solo sul fronte della
stabilità dei prezzi e dei risparmi (a mio avviso non c’è sostenibilità
ambientale senza sostenibilità socio-economica, e non possono esserci priorità
ecologiche di spesa se franano le finanze pubbliche), ma anche nella
prospettiva (per altro, credo, fallace) di un rilancio della crescita del PIL
oltre il 3% annuo, in un paese già sviluppato, misura che renderebbe forse
credibili le ipotesi di diminuzione del debito pur attraverso un temporaneo
maggior ‘deficit spending’ (un keynesismo assai fuori contesto), ma
minaccerebbe in sostanza la stessa compatibilità ambientale in quanto fondato
su un eccesso di ‘consumi opulenti’.
E qui vengo al punto specifico del paragrafo
ambientale del Patto di Governo, che risulta decorosamente scritto (con
positivi accenni allo stop al consumo di suolo, ai trasporti pubblici, alla
prevenzione idro-geologica – ma non a quella anti-sismica - ), però
imperniandosi su un concetto di ‘ECONOMIA CIRCOLARE’ che prevede, per le
risorse non rinnovabili, un obbligo di investimenti compensativi per la ricerca
di risorse alternative (e rinnovabili), ma non mette in discussione il tabù
della CRESCITA INFINITA (il tema della ’decrescita felice’, echeggiato dal
M5Stelle dei primordi, si è estinto lungo il percorso di avvicinamento alla
governabilità, ben prima di associarsi alle armate leghiste): così ai trasporti
pubblici sembra affiancarsi una allegra simpatia verso i veicoli privati,
purché elettrici, e gli allarmi per le problematiche di manutenzione del
territorio (fragilità idro-geologica e sismica) non si coniugano con la
necessità di ingenti e prioritari investimenti pubblici (od agevolati),
investimenti non quantificati dal Patto, ed a mio avviso non compatibili con le
promesse di tassazione non progressiva e di sostegno ai consumi privati (anche
attraverso il reddito di cittadinanza).
Per finire questa carrellata sui punti nodali
del Patto e della sua sostenibilità (mi riservo di commentare successivamente
altri temi presenti nel Patto, ma che non a caso sono stati ignorati in Parlamento
e rimangono marginali nel confronto mediatico, come democrazia diretta, scuola,
università) mi sembra che la carenza più vistosa sia quella sulla VISIONE
INTERNAZIONALE: nel documento l’Italia appare vessata dall’Europa (e si
elencano puntigliosamente le possibili rivendicazioni, in parte anche
condivisibili) e minacciata a Sud dai gommoni dei migranti; in questa chiave la
Russia è solo un cliente commerciale per il ns. export agroalimentare, da
liberare dalle sanzioni, ed un possibile alleato ‘contro il terrorismo’ (tranne
evidentemente quello dei suoi amici governativi siriani, ceceni o egiziani).
Non si coglie nulla di quanto tragicamente sta
avvenendo nel mondo, riguardo al ritorno ai nazionalismi, dalle guerre
commerciali/daziarie alla nuova corsa agli armamenti, riguardo al rafforzarsi
dell’autoritarismo in regimi formalmente democratici, come la Turchia e la
suddetta Russia, oppure formalmente ‘comunisti’, come la grande potenza cinese,
riguardo all’incancrenirsi delle tensioni in Medio Oriente (malgrado la
sconfitta dell’ISIS), riguardo all’affanno delle democrazie in America Latina,
per non parlare dell’Africa, e nemmeno sulla pericolosità della presidenza
Trump, con particolare attenzione all’abbandono delle opzioni ambientaliste sul
cambio climatico, ed anche – a mio modesto avviso - alla permanenza di basi americane (non basi
“NATO”) in Italia, al comando di un megalomane imprevedibile e fuori dalla
sovranità italiana (dove va a finire il sovranismo?); nonché allo strapotere
dei nuovi monopoli del web, delle imprese multinazionali e della grande
finanza.
E’ rispetto a questa realtà che andrebbe
definito il ruolo dell’Italia in Europa, ed il ruolo dell’Europa nel mondo (e
non solo per le grandi questioni della pace, del clima, dell’energia, ma anche
di conseguenza per gli indirizzi di politica industriale e di politica della
ricerca), mentre mi pare abbastanza trascurabile il possibile ruolo autonomo
della sola Italia in questo tipo di mondo: a che vale strappare dai partners
europei uno 0,5% di deficit in deroga oppure il trasferimento di una quota di
richiedenti asilo, se non si contrasta (o forse lo si auspica?) il possibile
tracollo del disegno complessivo dell’Europa e del suo insostituibile posto nel
mondo come faro dei diritti/del diritto e della coesistenza pacifica,
dell’ambientalismo e dell’inclusione
sociale (meglio se un po’ di più di quella sopravvissuta alla crisi)?
Quale sarà la “sostenibilità ambientale” di un
mondo senza una seria unità europea? Assai precaria ed improbabile, ancora a
mio avviso.
ASSE
POLITICO
Mi pare invece che si possa esprimere di già
qualche giudizio sull’asse politico del contratto programmatico tra Lega e
5Stelle, valutando ciò che effettivamente unisce le 2 componenti, oltre alla
semplice sommatoria delle rispettive istanze programmatiche (pur talora
contraddittorie), che ciascuna parte cerca di far valere dalle postazioni
ministeriali conquistate (Salvini agli Interni contro i migranti; Di Maio al
Lavoro per il reddito di cittadinanza, ecc. ecc. ecc.).
Per una valutazione di questo genere, a mio
avviso occorre risalire a monte della crisi economica dell’ultimo decennio, e
cioè alle radici del declino delle democrazie parlamentari (nonché in
particolare delle forze politiche socialdemocratiche) e degli stessi stati
nazionali, manifestatosi sul finire del Novecento, a fronte della
globalizzazione e dell’offensiva neo-liberista.
Le risposte tentate, con qualche parziale
successo dagli anni ’90 fino a ieri, dal multiforme schieramento del
Centro-Sinistra italiano, sono consistite da un lato nel rafforzamento delle
istituzioni sovranazionali (Europa innanzitutto, ovvero una nuova sovranità
condivisa e con dimensioni adeguate al mondo contemporaneo, ma anche ONU, WTO,
ecc.) e dall’altro lato in una riforma del sistema politico nazionale
(primarie, leggi elettorali maggioritarie, bipartitismo, aggiornamenti della
Costituzione). Senza una sostanziale alternativa, ma solo parziali
attenuazioni, rispetto alle politiche economiche neo-liberiste: subalternità in
parte subita prima di Renzi, rivendicata ed esibita con Renzi.
Alle loro origini, i due movimenti, che ora
convergono al Governo, hanno incarnato invece due divergenti possibili
correttivi:
- la Lega, quando era Nord, aveva raccolto
l’egoismo sociale delle provincie più ricche sotto le bandiere delle identità
locali e del federalismo (non antagonistico alla ”Europa delle Regioni”, ma
contrapposto a “Roma Ladrona”),
- i 5Stelle, allo stato nascente, avevano
polarizzato il rancore diffuso contro “la casta” in direzione della democrazia
diretta (uno-vale-uno, i portavoce a rotazione, la diretta streaming, le
votazioni in rete).
Entrambe queste posizioni sono state
progressivamente o repentinamente abbandonate e superate, senza un granché di
spiegazioni (anche se permane un ministro senza portafoglio “alla democrazia
diretta”, e talvolta circa quarantamila fedelissimi della piattaforma Rousseau
vengono chiamati a ratificare le scelte dei vertici del non-partito, decidendo
per conto di milioni di elettori), assumendo come elemento unificante e
caratterizzante la contrapposizione allo spirito solidaristico sovranazionale,
ed in particolare verso l’Europa e verso i profughi e migranti.
In particolare il cemento sovranista che unisce
Lega e 5Stelle (e sull’onda dell’entusiasmo anti-europeo, attrae anche i
Fratelli d’Italia) si alimenta del disagio provocato dalla crisi e lo indirizza
“contro la Germania”, fomentando un vittimismo nazionalista che ricorda (spero
ripetendola in farsa, e non in tragedia) la sindrome della “vittoria mutilata”,
che dopo la prima guerra mondiale polarizzò l’insoddisfazione dei
combattenti-e-reduci verso i complotti delle potenze dominanti (Francia, Gran
Bretagna, USA).
(Dimenticando che il più grande debito pubblico
d’Europa è stato accumulato nei decenni dagli stessi Italiani, votando
Andreotti&C, Craxi, e da ultimo Berlusconi).
Non escludo che il declino della democrazia
rappresentativa e del welfare state (sullo sfondo dei limiti ecologici del
pianeta) comporti la ricerca di nuove strade (democrazia inclusiva di piccole
comunità in orizzonti universalisti pacifici?); il ritorno al nazionalismo va
nella direzione opposta e reazionaria: è di certo un “cambiamento”, di certo
non è il mio “cambiamento”.
Fonti:
1. https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/18/governo-m5s-lega-il-contratto-di-governo-versione-definitiva-del-testo/4364587/
LA NOTTE IN CUI TUTTE LE VACCHE SONO…GRIGIE
di Fulvio Fagiani
Riassunto:
Il ribaltamento mezzi-fini nella politica corrente.
Nella notte tutte le vacche sono grigie.
Continuità e discontinuità.
Una visione del futuro
Integro le puntuali osservazioni di Aldo Vecchi
con le mie, che muovono dal piano di lettura che mi è più congeniale, quelle
del lungo termine, grande assente dal discorso pubblico odierno.
Parto da una domanda che molti si pongono:
perché la politica, intesa come prerogativa di ogni cittadino partecipe del
destino della polis, ha abbandonato da anni l’ambizione di interpretare e
progettare la società futura ed è progressivamente scivolata verso una forma
spettacolare, molto simile ad una partita di calcio in cui ventidue si
scontrano sul campo, ricorrendo volentieri ad interventi fallosi e violenti, e
gli altri affollano le curve dello stadio avendo a disposizione un’unica
scelta: tifare per l’una o per l’altra squadra, ricorrendo a loro volta al
repertorio di insulti, aggressione e odio tipico degli ultras?
Questa
forma peculiare di spettacolo calca svariati palcoscenici, dalle ‘shitstorm’
dei social, ai talk show televisivi e alle discussioni, sempre più rare per la
verità, nei luoghi della vita quotidiana.
Il
linguaggio, non sorprende, è molto povero, infarcito di slogan ripetuti fino
allo sfinimento, i contenuti non hanno alcun riferimento a visioni d’insieme,
ma sono puri espedienti retorici per incoraggiare la formazione di cui si porta
la maglietta o si sventola la bandiera.
In
piena assonanza la politica esercitata dai professionisti è ridotta a pura
ricerca del consenso, in lotta perenne con la coerenza sia di logica interna che,
soprattutto, di corrispondenza con i fatti, volta ad un obiettivo predominante
che è l’autopromozione di questo o quel gruppo dirigente (con tutte le riserve nell’usare
il termine ‘dirigente’).
Avendo
ribaltato fini e mezzi, perché il partito o la corrente o l’occasionale leader,
da mezzo è diventato fine, non stupisce che quando si affaccia al governo
questa politica abbia scarsa somiglianza con la fatica del governare e si
riduca ad un’inesausta campagna di comunicazione con dosi sempre più insopportabili
di propaganda.
Io
penso che una delle cause consista nel processo storico che - con gli eventi
della fine del secolo scorso, la caduta dei regimi comunisti, la
liberalizzazione dei movimenti di capitale e la conseguente finanziarizzazione
dell’economia, l’incontrastata affermazione dell’ideologia e delle pratiche
neoliberiste e l’eclisse della socialdemocrazia - ha condotto al pensiero unico:
siamo tutti diversi ma pensiamo, più o meno, le stesse cose.
Siamo
entrati nelle notte in cui tutte le vacche sono grigie.
Quasi
tutte uguali perché il pensiero unico non ammette deviazioni: la buona vita è perseguibile
solo con una crescente disponibilità di beni materiali, l’orizzonte unico della
società è la crescita economica come che sia, che può essere conseguita grazie agli
indiscutibili comandamenti scritti nelle Tavole della Legge: precarizzazione
del lavoro, riduzione delle tasse, mani libere per le imprese, bando a
qualunque intervento pubblico sia nel dirigere le vicende economiche che in
politiche redistributive.
Le
vacche, però, non sono tutte nere, ma hanno diverse gradazioni e sfumature di
grigio (finora).
Così
c’è chi asseconda e promuove l’erezione di muri, il consolidamento dei confini,
la rottura delle solidarietà internazionali e l’irrisione delle istituzioni
sovranazionali, e chi, invece, mantiene ancora una fiducia nella solidarietà
internazionale e nelle architetture sovranazionali, chi vuole i respingimenti e
chi predica l’accoglienza, chi inclina per comminare la pena di morte senza processo
purché entro le mura di casa, e chi è ancora affezionato al monopolio statale
della violenza e ad una società governata dal diritto, chi irride alla cultura,
intrinsecamente salottiera e radical-chic, e chi non si vergogna ancora di
leggere qualche libro.
Fino
al paradosso del governo anti-establishment di Donald Trump, dove si è ministri
solo se possessori di patrimoni miliardari.
Non
sono affatto indifferente alle gradazioni di grigio, tutt’altro: tra le
alternative che ho illustrato sono ben convinto delle seconde e di quanto siano
costitutive di una società vivibile.
Ma
la continuità con presupposti indiscutibili di ogni consorzio civile e del sorgere
stesso della società moderna, come il diritto, la triade della Rivoluzione
francese (ricordo ai distratti che c’è anche la fraternitè), la diffusione e
l’incoraggiamento della cultura, non deve nasconderci che in molti altri campi
abbiamo bisogno di profonde discontinuità, o, detto in altri termini, nessuno
dei governi, del cambiamento o meno, neanche lontanamente si è mostrato all’altezza del compito, né
probabilmente lo ha mai avuto presente.
Significa
avere una stella polare che orienti il cammino, attorno ai temi di cui
ragioniamo fin dal primo numero di UTOPIA21:
·
Le
emergenze ambientali, dal clima alla perdita di biodiversità, dalle risorse
vitali come acqua, suolo e cibo al consumo delle risorse1, come sono
definiti dagli accordi internazionali (COP21 di Parigi piuttosto che SDG –
Obiettivi dello sviluppo sostenibile) o dalla comunità scientifica (confini
planetari);
·
La
disuguaglianza tra paesi ricchi e paesi poveri, e tra ricchi e poveri
all’interno dei paesi;
·
La
prospettiva di una società capace di auto-limitazione, se proprio ci fa paura
il termine decrescita2;
·
La
dimensione inestricabilmente planetaria dei problemi che dobbiamo fronteggiare;
·
Le
questioni della transizione e della governance di fenomeni globali, di cui ci
occupiamo estesamente in questo numero.
Solo
entro questa cornice è possibile collocare, capire e provare ad affrontare i singoli
problemi e cucire una visione d’insieme del futuro (un’Utopia) che orienti il
cammino e le scelte di più breve periodo.
Possiamo
chiamare questo percorso l’elaborazione culturale che precede logicamente
qualunque costruzione politica: senza di essa la politica brancola nel buio e
si riduce, come è appunto oggi, a mera occupazione del potere, assecondamento
degli interessi dei più forti e alimentazione delle paure e del rancore degli
strati più deboli della società.
Per
questo ho sempre guardato con molto sospetto alle retoriche del “cambiamento”
che imperversano in ogni campagna elettorale e si accavallano l’una sull’altra,
dove tutto cambia perché nulla cambi, dove un linguaggio sempre più degradato e
omologato banalizza la realtà, la rappresenta in forme distorte e la occulta,
per approdare a improbabili parole d’ordine, regolarmente sconfessate dalle
effettive azioni di governo.
Non
si pensi che questa concentrazione sulla visione ci lasci impotenti di fronte
alle sfide dell’attualità, come sognatori destinati ad essere travolti dal
corso dei fatti.
Anche
in UTOPIA21, che pure è dedita espressamente all’elaborazione della componente
culturale e ‘di sfondo’, non abbiamo mancato di avanzare proposte praticabili
nel breve-medio periodo, dal consumo di suolo all’agricoltura sostenibile,
dalla macroeconomia (spostamento della spesa globale dai consumi agli
investimenti, investimenti pazienti e rigenerativi nelle grandi infrastrutture
dell’energia, della mobilità sostenibile, dei dati, nel territorio e negli
edifici, nuovo protagonismo del pubblico) alla formazione.
Con
questo doppio binario, di lavoro sul piano culturale per l’elaborazione della
prospettiva e di progettazioni e sperimentazioni concrete, possiamo sperare di
dare il nostro modesto contributo per passare finalmente dalla notte delle
vacche grigie ad un luminoso mattino di vacche multicolori.
Fonti.
1.
Quaderno
di UTOPIA21 n.1 – Le emergenze ambientali -
2.
Quaderno
di UTOPIA21 n.6 – Crescita o decrescita -