Una ambiziosa proposta
di metodologia progettuale per il riutilizzo, con interventi leggeri, degli
“avanzi” che si generano nelle pieghe del territorio urbano: recensione del
testo e breve intervista all’Autore.
Con due miei
approfondimenti in appendice.
Riassunto:
premessa:
-
Luciano Crespi e il
territorio varesino
recensione:
-
Il “Manifesto”: cosa
sono gli “avanzi”
-
Il contesto sociale della
crisi della città (e della casa)
-
Grammatica, Sintassi e
Poetica del riuso “non-finito”
(in corsivo i commenti più personali del recensore)
intervista:
-
Alcune osservazioni sui limiti della proposta
-
Le prime risposte
dell’Autore
Appendice 1: Maffesoli
e il neo-nomadismo
Appendice 2: “tactical
urbanism” e resilienza partecipata
PREMESSA:
LUCIANO CRESPI E IL
TERRITORIO VARESINO
Luciano
Crespi, architetto e docente al Politecnico di Milano, è stato tra i fondatori,
nonché Presidente, del corso di laurea di Design degli Interni.
Ha
dedicato parte dei suoi studi1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,13 alla storia
architettonica del territorio di Varese (dove è nato).
Nel
2018 e nel 2019 ha condotto i laureandi del corso triennale nella progettazione
del riuso temporaneo di oggetti edilizi abbandonati in Varese, aprendo il
laboratorio progettuale al confronto con l’Amministrazione Comunale e con la
popolazione.
Per
il 2019 l’iniziativa “24 X 4.VARESE: VENTIQUATTRO PROGETTI X QUATTRO AVANZI
URBANI” si è conclusa con la mostra nello spazio INPS (un “avanzo” di negozio
in disuso, in centro città) nello scorso giugno[A].
Nel
2018 analogo laboratorio aveva affrontato altri luoghi dismessi nella città[B]B.
In
precedenza, insegnando Architettura, aveva coinvolto gli studenti anche nella
progettazione a scala urbana: in particolare organizzando laboratori di
progettazione di gruppi di laureandi e neo-laureati decentrati sul territorio,
con esercitazioni sulle aree industriali dismesse nell’hinterland milanese, nonché,
tra l’altro, a Saronno ed a Sesto Calende7,8.
Luciano
Crespi sarà relatore al festival dell’Utopia 2019, giovedì 17 ottobre, sul tema
“La rigenerazione degli avanzi urbani”.
RECENSIONE:
-
IL “MANIFESTO”: COSA
SONO GLI “AVANZI”
Il
“Manifesto del design del non-finito”11 è un testo di piccolo
formato, ma di vasta e meritata
ambizione.
All’interno
del processo di trasformazione urbana, individua come “avanzi” (e non “scarti”,
che sono invece i pezzi difettosi all’origine), quei fabbricati in disuso che
sono troppo piccoli o troppo marginali per suscitare un immediato appetito
immobiliare (se non per demolirli e sostituirli, quando permesso) e al tempo
stesso troppo poco antichi e/o pregiati per suscitare interesse
storico-artistico o avviarsi ad una onorata carriera di ruderi; più raro il
caso di “avanzi urbani” costituiti da spazi aperti e/o pubblici, perché la
pressione dei flussi in qualche modo raggiunge i capillari più remoti della
circolazione di persone e veicoli nei territori urbanizzati, ancorché
degradati.
Malgrado
la difficoltà di classificarli, usando per approssimazione categorie come
“tipo” o “classe”, cui spesso sfuggono per la loro peculiare od ibrida
connotazione, Crespi considera gli “avanzi” come una risorsa importante,
nell’attuale crisi della città, sia perché possono soddisfare (senza consumare
suoli liberi) nuovi bisogni “non programmabili” (ed anche temporanei od ‘estemporanei’,
come suggerisce Saskia Sassens), in particolare se derivanti dai mutamenti
demografici e migratori, sia per non perderne i valori simbolici, legati ai
precedenti usi e comunque alle immagini urbane su di essi sedimentate;
contribuendo così, con questa sorta di
agopunture (vicine forse alle “ricuciture ed agopunture” di recente proposte da
Renzo Piano&Co), a rendere più vivibili le metropoli.
-
IL CONTESTO SOCIALE
DELLA CRISI DELLA CITTÀ (E DELLA CASA
A
proposito di trasformazioni sociali e urbane, ed anche di crisi del progetto di
architettura e dello stesso concetto di “casa”, il “Manifesto” richiama un ampio
arco di considerazioni di
diversi
pensatori e progettisti, evidenziando soprattutto:
-
con
Umberto Galimberti e Arianna Dagnino, i risvolti antropologici dei fenomeni
migratori: i limiti dei processi di assimilazione, i rischi di radicalizzazioni
divergenti nel multiculturalismo, la difficile ricerca di una “terza via” verso
l’interculturalità, le intersezioni parziali che potrebbero costituire nuovi e
“terzi spazi” (una analogia con il “terzo
paesaggio” di Gilles Clement, richiamato in un'altra sezione del testo?)
-
con
Mendini, Berger&Mohr, Branzi, l’emergere di nuovi bisogni, connessi al
“neo-nomadismo” (manca qui però un
riferimento a Maffesoli, vedi mia recensione in APPENDICE 1)
che pervade anche le fasce “stanziali” della popolazione: bisogni che non si
ritrovano nei consueti standard abitativi, propongono abitudini casalinghe al
di fuori dello spazio-casa, inducono a nuove sperimentazioni per “abitare le
cose” ed “abitare il mondo” (Barthes, Sottsass).
Figura, dalla copertina del “Manifesto”
-
GRAMMATICA, SINTASSI E
POETICA DEL RIUSO “NON-FINITO”
Pertanto,
quando Crespi – dopo una rassegna di interventi di recupero “soft” già
realizzati in Europa, oppure progettati nei suoi corsi universitari - passa a
formulare una “sintassi”, una “grammatica” ed una “poetica” per il design del
recupero degli “avanzi”, non si limita alla concreta e stimolante proposta di
esplorare gli usi possibili per questi manufatti (“usi parziali alternativi”, si diceva dopo il ’68 a proposito
dell’Università in una frazione del Movimento Studentesco – da Mario Capanna a
Franco Origoni - , che però sia Luciano che io allora avversavamo…) con
interventi leggeri, poco costosi e reversibili, in attesa delle lunghe e
complesse operazioni di restauro o ristrutturazione, ma contestualmente mette
in discussione la stessa sequenza e gli stessi contenuti della procedura
progettuale. E tende a ridefinire la disciplina del “disegno di interni”, senza
steccati, ed anzi in una prospettiva trans-disciplinare.
Anche
per scopi didattici, infatti, la metodologia suggerita da Crespi, parte (almeno in apparenza) dalla metafora,
dall’allegoria, dall’iperbole, e invita gli allievi ad incontrare le emozioni
che gli ”avanzi” in particolare possono suscitare, e ad imparare le modalità
per comunicarle ai potenziali utenti, attraverso ed oltre le nuove funzionalità
che gli spazi trasformati possono assumere: coltivando in particolare anche una
“estetica del non-finito” – di origini
nobili, da Michelangelo e dal Manierismo – che tende a coniugare la mera necessità del
contenimento dei costi (riusando tal quale un pavimento consunto oppure un
intonaco un po’ scrostato) con la poesia malinconica della memoria dei luoghi. Tra
Guido Gozzano e Roberto Peregalli? Comunque, almeno letteralmente, “decadentista”.
INTERVISTA:
ALCUNE OSSERVAZIONI SUI LIMITI DELLA PROPOSTA E LE PRIME RISPOSTE DELL’AUTORE
Al di là dei dubbi sui
risvolti estetici della permanenza di rughe, crepe e consunzioni, comunque
affascinanti (però non così visibili nei progetti degli allievi, dove mi sembra
prevalere la bulimia dei nuovi arredi sulla contemplazione dei resti), espongo
le mie impressioni sui limiti che mi pare incontri la proposta complessiva del
“Manifesto del design del non-finito”: argomenti su cui ho posto le seguenti domande a Luciano
Crespi, che ha cortesemente risposto, con riserva di successivi
approfondimenti:
-
AV: la stessa concreta
operabilità degli interventi a basso costo, per il rischio che - a conti fatti
- non risultino abbastanza bassi rispetto ad un più tradizionale e permanente
recupero, posta comunque la necessità di preventive e conclusive verifiche di
rispondenza a requisiti minimi di sicurezza statica, impiantistica, antincendio
(con esiti potenzialmente severi, anche per il perverso perfezionismo di gran
parte delle norme italiane, iper-uranio platonico a fronte di una realtà che
largamente le disattende);
- LC: si tratta del punto più controverso e ancora non del
tutto risolto della questione. Che dipende molto anche dallo stato in cui si
trova l’avanzo. E’ vero che la necessità di adeguare, per abitarlo nella sua
nuova funzione, lo spazio ai requisiti stabiliti dalle leggi rende in certi
casi difficile operare con interventi reversibili, solo di tipo allestitivo e
senza introdurre misure - penso soprattutto a quelle relative al comfort
ambientale e alla sicurezza - di un certo rilievo finanziario. Occorre un
lavoro di ricerca, appena iniziato, in grado di prospettare soluzioni, dal
punto di vista tecnologico, innovative e alternative a quelle tradizionalmente
adottate. Può risultare inoltre determinante la capacità di negoziazione con
gli enti incaricati del controllo, soprattutto nei casi in cui l’avanzo sia di
proprietà pubblica e “anziano”, dunque disponibile ad ammettere qualche deroga.
-
AV: il tendenziale
allineamento con le teorie del “tactical urbanism” (vedi in APPENDICE 2 un
estratto da un mio precedente articolo), inteso come rinuncia minimalista o
“situazionista” ad una pianificazione più complessiva dei territori urbani;
-
LC: Nell’idea
di non-finito è cruciale la presenza del trattino.
Ritengo cioè che il fondamento del “Manifesto” sia di tipo politico (Per questo
m’interessa poco la interpretazione, data da Maffesoli, del fenomeno del
nomadismo come forma di erranza). Ma che come linguaggio presenti i caratteri
di un nuovo codice estetico, rappresentativo delle condizioni di precarietà che
contraddistinguono questo scorcio di secolo. Dunque senza patetici
compiacimenti di tipo nostalgico, alla Peregalli, nei confronti della polvere
del tempo. Il trattino corrisponde
dunque a un’intenzionalità di tipo progettuale, a una forma di progetto forte che non intende
rinunciare al proprio ruolo, pur in un contesto in cui anche la scienza ci
invita a “prendere
coscienza che l’intero cosmo sembra condividere con noi e con il nostro pianeta
un’analoga condizione di precarietà” (Guido Tonelli). Nulla a che fare dunque con
un’operazione furba, dal punto di vista mediatico, come “Incompiuto siciliano”,
indirizzata ad attribuire un valore di “stile” alla parte del patrimonio
edilizio rimasto non finito. E soprattutto poco o nulla dunque a che fare con
il “tactical urbanism” o il design dialogico e le diverse forme di
progettazione partecipata, che nella maggior parte dei casi assegnano un ruolo
preponderante ai processi, senza che vi sia alcuna valutazione critica della
qualità del risultato. In questo senso la stessa operazione chiamata Temporiuso, promossa da Isabella Inti al
Politecnico di Milano14, pur rappresentando un prezioso contributo
alla conoscenza di casi di riuso temporaneo di spazi nel mondo, rinuncia a prendere
posizione nei confronti dei loro esiti progettuali.
-
AV: la fuga in avanti a
rincorrere nuovi bisogni (“neo-nomadismo” e dintorni) finendo per dimenticare i
vecchi bisogni, sia delle popolazioni stanziali (che hanno la cittadinanza, ma
spesso non hanno una casa adeguata), sia delle popolazioni migranti (che non hanno
cittadinanza, e spesso si devono accontentare degli “avanzi” delle case “degli
italiani”, ma non riqualificate dai designer, finiti o non-finiti, bensì a mala
pena acconciate – o talvolta ruderi tal quali - dai proprietari o dai caporali
delle occupazioni abusive, siano essi italici – mafiosi o politici - oppure
immigrati-che-sfruttano-altri-immigrati): mi spinge a questa riflessione la
citazione che Crespi fa di Mendini, sulla cui proposta di “casa” per la XXI
Triennale del 2016 mi sono esercitato criticamente su Utopia 21 dello scorso
maggio15;
- LC: Il neonomadismo non riguarda soltanto i rifugiati, visto
che nel 2017 l’ONU ha stimato che 258 milioni di persone hanno lasciato il loro
Paese d’origine per trasferirsi altrove. Ma soprattutto l’idea di riusare
avanzi in una modalità provvisoria e reversibile nasce dalla convinzione che
essi rappresentino una risorsa alternativa alle nuove costruzioni e disponibile
a rispondere in situazioni d’emergenza anche a vecchi bisogni, anche di nomadi
italiani.
-
AV: la sovraesposizione del
livello concettuale e meta-progettuale (metafore, iperboli, allegorie) rispetto
alla concretezza del progetto, ed alla stessa efficacia della comunicazione,
come difetti congeniti della categoria dei “designers” (vedi mie critiche alla XXII Triennale, nel
suddetto articolo di maggio)14.
- LC: Su questa questione ho scritto un libro12 nel
quale cerco di sostenere come il design d’interni sia oggi una disciplina il
cui compito è ben più ampio di quella dell’arredamento. Ed è per questa ragione
che ritengo necessario partire, diversamente dalla tradizione del progetto di
architettura anche d’interni, non dal luogo ma dal tema, per proporne soluzioni
innovative, dispositivi spaziali adeguati ai nuovi rituali dell’abitare, non
condizionati da luoghi comuni o modelli standard. E’ in questa fase, ancora
concettuale, dell’azione progettuale che diventa utile ricorrere al linguaggio
figurato per ottenere prime idee di grande potenza “distruttiva”, da mettere
poi alla prova nei contesti reali, cioè negli spazi con i quali si devono
misurare. Tutto questo per non immiserire la disciplina del progetto d’interni
a strumento destinato a dare risposta a esigenze di tipo soltanto funzionale.
In questa prospettiva il valore di esperienze come quelle condotte da Sottsass
e Mendini rimane indiscutibile.
APPENDICE
1 – MAFFESOLI E IL NEO-NOMADISMO
Michel Maffesoli nel 1997, in “DEL NOMADISMO – Per una sociologia
dell’erranza”16, espone radicalmente alcuni elementi fondanti del
suo pensiero, sviluppato anche in altri testi da me recensiti17,18:
- l’insufficienza
della moderna razionalità universalista a comprendere i comportamenti erranti,
devianti e per l’appunto “nomadi”,
- la
presenza latente ed oscillante, anche nelle società “stanziali”, al di sotto
del loro “morbido totalitarismo”, ed anche nei singoli individui, di elementi
nomadi, “politeisti” e dionisiaci, che si sottraggono alle logiche unitarie e
produttive.
- le
molteplici radici storiche di tali forze alternative, ad esempio tra gli “ebrei
erranti” e tra i ”goliardi” medioevali, tra i monaci itineranti giapponesi e
tra gli esploratori portoghesi,
- la
recente crescita di queste correnti, e la previsione dell’Autore di un
ulteriore crescita, in una nuova chiave femminile, cooperativa ed ecologica; in
questo ambito anche una qualche lettura positiva del fenomeno del lavoro
precario, visto come libera scelta soggettiva.
Benché ami richiamare alcuni maestri
della sociologia moderna, da Simmel a Durkheim, da Weber ad Adorno (ben
contro-bilanciati ovviamente da abbondanti citazioni di Rilke, Nietzche,
Cioran, Jung, ecc.), il testo di Maffesoli, letterariamente affascinante e
leggibile, rifiuta con evidenza qualunque riferimento quantitativo e qualunque
ragionamento sui dati materiali, e si presenta soprattutto come un trattato
antropologico, appoggiato alla storia quel tanto che gli serve: non sempre con
rigore, ad esempio:
- quando
nega ogni pretesa di dominio nella storia antica del popolo ebraico;
- quando
separa la mobilità medievale dai pellegrinaggi – esaminati a parte – oppure
ignora i fenomeni conseguenti all’assetto patrimoniale del maggiorascato, sia
tra i nobili, da cui la cavalleria (ed anche chierici non sempre “regolari”),
sia tra i piccoli possidenti contadini, da cui molti migranti, artigiani o
anche senz’arte;
- quando
proclama, con la “modernità”, la fine del nomadismo, mentre di poveracci in
movimento è piena anche la storia del moderno lavoro salariato, che si nutre
all’origine dal pauperismo urbano post-medievale;
- dove
identifica la riforma luterana con la piena razionalità monoteista, senza
cogliere quanti demoni e abissi risiedano nelle pratiche religiose del
nord-europa e quanto il mondo protestante sia stato specifico terreno di
cultura della psicanalisi, da Maffesoli ascritta correttamente (ma
ristrettamente) all’erranza ebraica.
Questo eccesso di apriorismo è a mio
avviso evidente, riguardo all’oggi (e confrontando ad esempio le documentate
posizioni di Manuel Castells19,20, soprattutto su tre fronti:
- la
libertà, incertezza e promiscuità sessuale, cui l’Autore inneggia, appare come
una costante – pur oscillante – nei secoli, senza cogliere la fondamentale
svolta derivante dai metodi contraccettivi del secondo novecento, che offrono
un ruolo più indipendente alla donna e sottraggono in parte il maschio al
dilemma responsabilità/irresponsabilità (mentre in passato il libertinaggio
costituiva privilegio maschile);
- la
prevalenza di valori positivi (femminili-cooperativi-ecologici) nei “nuovi
movimenti” mi sembra auspicabile ma difficile da dimostrare come dato di fatto,
sia nelle “tribù metropolitane” (si veda ad esempio la perdurante violenza
maschilista degli “antagonisti” oppure delle tifoserie “sportive”), sia nelle
avanguardie dei popoli oppressi e migranti, tra cui emergono per ora gli
estremisti islamici;
- il
precariato dei rapporti di lavoro, pur apprezzato da consistenti minoranze
giovanili, si dimostra essere sempre più un obbligo derivante dalle “leggi del
mercato”, dettate da quei diversi nomadi che si chiamano capitale finanziario e
vari agenti della globalizzazione.
Pertanto Maffesoli sul Nomadismo non
mi ha convinto: ma ritengo che sollecitazioni di questo tipo (condotte tra
l’altro da Maffesoli con un linguaggio molto “razionale”, diversamente dagli
eccessi anche linguistici – ad es.- di Luc Nancy21 oppure di
Derrida) debbano essere raccolti da tutti i cultori della razionalità, che non
può limitarsi e farsi schiacciare nella difesa di un vecchio e limitato ordine
del pensiero (vedi ad esempio Eugenio Scalfari22), ma deve saper
comprendere, con l’umiltà del saper-di-non-sapere, tutte le problematiche
umane, incluse le pulsioni dionisiache e le tendenze al nomadismo, i demoni e
gli abissi, il corpo e l’anima (come propone, parlando di architettura e urbanistica,
anche Graziella Tonon23).
APPENDICE
2
“TACTICAL
URBANISM” E RESILIENZA PARTECIPATA
La tematica degli usi temporanei delle
aree dismesse si collega anche alle esperienze di numerose (ma forse sopravvalutate) iniziative di riappropriazione “dal basso” di spazi urbani negli interstizi
delle metropoli, per usi culturali (centri sociali) e colturali (orti
autogestiti, orti didattici), iniziative talora antagonistiche e talora in
collaborazione con le amministrazioni locali; su cui taluni autori hanno
fondato ambiziose teorie più generali quali il “tactical urbanism” 24,25,26,27.
Tali
teorie (tattiche alla ricerca di una strategia?)
muovono da recenti certezze da un lato
sulla impossibilità di formulare previsioni socio-economiche oltre il breve
termine e d’altro lato sulla connessa inutilità di Piani urbanistici che
pretendano di definire le forme future della città; però rischiano di
privilegiare il presente ed il fattibile senza approfondire i criteri di
priorità e di valutazione delle scelte, cui eravamo abituati mediante visioni
di insieme, e prospettive di orizzonti anche non immediati (insomma, solo
l’uovo oggi, senza più nessuna gallina domani).
Sullo sfondo matura inoltre anche
l’ipotesi di una resilienza urbana più complessiva, che vada al di là del mero
adattamento oggettivo di edifici e strade ai cambiamenti climatici ed agli
eventi naturali eccezionali, e divenga capacità di reazione e adeguamento
soggettivo, possibile solo con il protagonismo degli abitanti, assimilando così
la rete urbana ad un organismo “vivente” e applicandole (talora forzatamente) concetti tipici delle scienze ecologiche.
Fonti:
1.
Luciano Crespi “LO
STATO NEI PROCESSI DI PRODUZIONE DEL TERRITORIO. IL MODELLO MALPENSA” -
Freeman, Busto Arsizio, 1981
2.
Luciano Crespi, Angelo
Del Corso “UN SECOLO DI ARCHITETTURA A VARESE: EDIFICI
DEL NOVECENTO A VARESE E IN PROVINCIA” - Alinea, Firenze 1990
3.
Luciano Crespi,
Angelo Del Corso “LA TUTELA DEI BENI ARTISTICI E CULTURALI”, in “Quaderno di un
anno: Olona, prodromi di industrializzazione”, Rotary International Gruppo
Olona, Gallarate,1991
4.
Luciano Crespi “ARCHITETTURA
A VARESE. GLI ULTIMI CINQUANT’ANNI” - in “Polis”, n.9, 1997
5.
Luciano Crespi
“ARCHITETTURA IN PROVINCIA. GLI ULTIMI CINQUANT’ANNI” - in “Polis”, n.11, 1997
6.
Luciano Crespi,
Benigno Cuccuru (a cura di) “UNDICI PROGETTI PER UNA PIAZZA” - Unicopli,
Milano, 1997
7.
Luciano Crespi “LA
STAZIONE, IL PARCO E LA CITTÀ. PROGETTI PER L'AREA INTERSCAMBIO DI SARONNO” - Alinea,
Firenze 1997
8.
Luciano Crespi “ARCHITETTURE
NEL SEGNO DELL'ACQUA” – Alinea, Firenze 1998
9.
Luciano Crespi “VARESE
ALLO SPECCHIO”, in C. Meazza (a cura di) “VARESE. 50 MODI DI DESCRIVERE LA
CITTÀ” - Università popolare, Varese, 2000
10. Luciano Crespi (a cura di) “L’ARCHITETTURA DELLA
NORMALITÀ. PROGETTI DI CASE UNIFAMILIARI A SESTO CALENDE” Libreria Clup,
Milano, 2003
11. Luciano Crespi “MANIFESTO DEL DESIGN DEL NON-FINITO”
– Postmedia Books, Milano 2018
12. Luciano Crespi “DA SPAZIO NASCE SPAZIO: L'INTERIOR
DESIGN NELLA TRASFORMAZIONE CONTEMPORANEA” - Postmedia Books, Milano 2018,
seconda ed.
13. Luciano Crespi, Luigi Trentin “LUIGI VERMI. IL
DETTAGLIO TRIDIMENSIONALE” in Luigi Vermi architetto, in preparazione, 2019
14. Giulia Cantaluppi, Isabella Inti, Matteo Persichino
“TEMPORIUSO: MANUALE PER IL RIUSO TEMPORANEO DI SPAZI IN ABBANDONO, IN ITALIA”
– Altreconomia, Cantù/Milano 2014
15. Aldo Vecchi “LA NATURA SPEZZATA ALLA XXII TRIENNALE
DI MILANO: MA E’ QUESTO IL DESIGN PER RIPARARLA?” su UTOPIA21, maggio 2019, https://drive.google.com/file/d/1ViIlC5fv0icE1y-hu8j___4hl-2MJjGD/view
- e anche su https://aldomarcovecchi.blogspot.com/2019/?m=0.
16. Michel Maffesoli “DEL NOMADISMO – PER UNA SOCIOLOGIA
DELL’ERRANZA” - Franco Angeli, Milano 2000
17. Michel Maffesoli “RELIANCE. ITINERARI TRA MODERNITÀ
E POSTMODERNITÀ”- 2007
18. Aldo Vecchi “PROBLEMATICA DELLA SOSTENIBILITA’, DAL
FABBRICATO AL TERRITORIO”, APPENDICE 2 in Quaderno n° 5 di Utopia21, 2018 https://drive.google.com/file/d/1dSTEb7DtGK9dYDMwxry3IJzQAHIY-FcA/view?usp=sharing
19. Manuel Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” -
UBE Paperback, Milano
2002
20. Aldo Vecchi “PROBLEMATICA DELLA SOSTENIBILITA’, DAL
FABBRICATO AL TERRITORIO”, APPENDICE 2 in Quaderno n° 5 di Utopia21, 2018 https://drive.google.com/file/d/1dSTEb7DtGK9dYDMwxry3IJzQAHIY-FcA/view?usp=sharing
21. Jean-Luc Nancy “LA CITTA’ LONTANA” – Ombre corte, Verona
2002
22. Eugenio Scalfari “PER L’ALTO MARE APERTO” – Einaudi,
Torino 2010
23. Graziella Tonon “LA CITTA’ NECESSARIA” Mimesis,
Milano 2013
24. Francesca Calace, Alessandro F. Cariello, Carlo
Angelastro “CONIUGARE TATTICHE E STRATEGIE NEGLI SPAZI MARGINALI” in Urbanistica
n° 157
25. Carlo Pisano “VENETIAN BASSORILIEVI. LA MESSA A
SISTEMA DI UNA TATTICA TERRITORIALE” in Urbanistica n° 157
26. Francesco Alberti, Matteo Scamporrino, Annalisa
Rizzo “PROMUOVERE L’AZIONE TATTICA. LA TEMPORANEITA’ NELLA PRATICA URBANISTICA”
in Urbanistica n° 157
27. Valeria Lingua “DALLE TATTICHE ALLE STRATEGIE E
RITORNO: PRATICHE DI CONTAMINAZIONE DEL REGIONAL DESIGN” in Urbanistica n° 157
[A] “La
chiesa sconsacrata dell’ex Collegio sant’Ambrogio, l’ex scuola elementare di
Cartabbia, l’ex lavatoio di Casbeno e l’ex roccolo all’interno dei giardini
pubblici di Varese. Quattro spazi abbandonati, quattro “avanzi” urbani che
hanno perso la funzione per la quale erano stati realizzati e che, tuttavia,
non solo sono custodi di memorie e storie umane preziose che andrebbero
altrimenti disperse, ma anche si candidano a svolgere un nuovo ruolo nel
dispositivo cittadino.”
[B] “Tre spazi varesini dismessi: l’ex
stazione dei tram “Bettole”, di viale Aguggiari, l’ex ufficio d’igiene, di via
Staurenghi e l’ex deposito merci della stazione FS.”
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