Un corsivo sulla buona stampa riservata alle attese verso il governo Draghi, ed al vituperio sul precedente governo Conte, in materia di PNRR, come paradigma per una più ampia preoccupazione sulla attendibilità dei media nell’Italia di oggi
Nel romanzo “Adua” di Giuseppe Tugnoli (pseudonimo di Manlio Cancogni)1 il protagonista, ufficiale e cartografo, nel mezzo dell’omonima battaglia (1896) e nel presagire la sconfitta del Regio Esercito contro gli Etiopi, si rende conto che lo Stato Maggiore emana ordini fondandosi su una mappa sbagliata, divergente da quanto da lui in precedenza rilevato sul posto.
Similmente accade
talvolta di leggere su organi di stampa, più o meno altolocati, locali e
nazionali, alcune affermazioni piuttosto lontane da quel pezzetto di verità che
ciascuno di noi ha l’avventura di conoscere meglio, per motivi professionali o
per casuale vicinanza all’oggetto dell’informazione.
Come i lettori abituali
di ‘Utopia21’ hanno potuto constatare, la nostra redazione ha seguito con
attenzione, risalendo alle fonti pubbliche, ufficiali ed ufficiose (italiane ed
europee), la lunga e complessa gestazione del “Recovery Fund” (ovvero “Next
Generation EU” ovvero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”), dai documenti
della Commissione Europea al Comitato Colao, dalle Linee Guida alla bozza di
PNRR del 6 dicembre, fino al testo approvato dal Consiglio dei Ministri il 12
gennaio, oggetto di analitici commenti nostri e dei nostri collaboratori.
Commenti nei quali non
abbiamo risparmiato critiche di metodo e di merito, in tutte le fasi del
percorso.
Pertanto mi hanno
particolarmente colpito le pesanti inesattezze sullo stato di fatto del PNRR
diffuse a piene mani da semplici giornalisti e da autorevoli commentatori (in
particolare su “La Repubblica”, che ho più capillarmente seguito nel periodo[A]),
collateralmente:
-
alla aggressiva
campagna politica di Italia Viva contro il governo Conte (chiesta e ottenuta la
devoluzione ad un delegato per i Servizi Segreti, il partito di Renzi rivendicava
allora l’accesso al MES[B],
e svariati emendamenti sul PNRR)
-
al susseguente (o forse
conseguente) benevolo coro di benvenuto verso il nuovo premier Mario Draghi,
che – ad esempio – anche quando tace,
tace così bene come niuno altro al mondo, senza trascurare i miracoli
attesi dalla sua educazione presso un collegio di Gesuiti.
Non solo i commentatori
più informati, ma lo stesso testo ufficiale del PNRR era ad esempio consapevole
della incompletezza del documento riguardo a:
-
meccanismi di
governance e monitoraggio (allora oggetto di contesa politica nella
maggioranza),
-
specificazione dei
risultati attesi in termini socio-economici per le singole misure del Piano,
-
articolazione
dettagliata di alcune delle riforme trasversali/preliminari, pur ampiamente
enunciate e motivate (Giustizia, Fisco, Lavoro, Pubblica Amministrazione).
Carenze che il governo
uscente prometteva di colmare in corso d’opera, aprendo nel frattempo il
confronto in Parlamento (audizioni che utilmente si sono sviluppate anche
durante la crisi di governo) e quindi nel Paese (almeno per i soggetti
interessati a leggere il testo, anziché a giudicarlo senza leggerlo): scelta
forse discutibile perché tardiva (o prematura), che comunque non corrispondeva
all’intenzione di blindare il testo e presentarlo tal quale alla Commissione
Europea.
Mentre il nuovo
ministro dell’economia Daniele Franco, nella audizione alle Commissioni
Parlamentari congiunte, dichiarava il --- marzo che il PNRR ereditato dal precedente
governo presenta “moltissimi elementi di solidità“, nelle settimane precedenti
si è potuto leggere (anche se mi sono perso le citazioni letterali):
-
che il testo del PNRR conteneva
vuoti e pagine bianche (il che era vero invece e solo per la versione ufficiosa
del 6 dicembre),
-
che il PNRR mancava
delle Riforme collaterali, per cui l’Europa lo avrebbe bocciato
-
che il nuovo Governo
avrebbe stralciato spese eccedenti non finanziate (in realtà si trattava della
parallela previsione di spese già finanziate o finanziabili con altri fondi
nazionali od europei, che il PNRR del 12 gennaio proponeva di considerare
nell’insieme),
-
che il nuovo Governo,
invece, avrebbe programmato in parallelo le suddette spese,
-
che nel PNRR di Conte
c’erano troppi sussidi e pochi investimenti, troppo pubblico e poco privato, ed
il debito sicuramente sarebbe stato debito cattivo,
-
che il nuovo Governo avrebbe
(lui sì!) rispettato le percentuali minime europee per la transizione
energetica e per la digitalizzazione,
-
(e, per finire, che il
nuovo Governo, con una task force costituita dalle persone giuste al posto
giusto, e con la consulenza di McKinsey Co., avrebbe finalmente scoperto anche
l’acqua calda).[C]
Un coro pressoché
unanime ed impressionante, che fa sorgere il sospetto di una convergenza tra la
sciatteria professionale (e talora la piaggeria) di molti giornalisti e la
voluta orchestrazione di una manovra condivisa da Editori&Direttori degli
stessi giornali con altri segmenti del potere politico ed economico: non so se
il governo Conte-2 (di cui non ero un appassionato sostenitore, pur
apprezzandone l’evoluzione rispetto al Conte-1) fosse un bersaglio meritevole
di tanto accanimento, ma i toni mi ricordano vagamente quelli verso “gli
straccioni” che “hanno sporcato i portili e le porte”, nella canzone Contessa
di Paolo Pietrangeli (preciso però che non ho cointeressenze nell’”Industria di
Aldo”)[D].
La riflessione più
generale che mi sentirei di fare, al termine di questo sfogo, è sul ruolo dei
media e sulla responsabilità dei giornalisti, in un mondo in cui giustamente ci
preoccupiamo per le ‘fake news’ che corrono ‘in seno al popolo’, spesso
promosse da centrali più o meno occulte, nazionali ed estere, e quindi dovremmo
aspettarci un correttivo – e non aggravanti - negli organi di comunicazione
professionali.
Fonti:
1. Giuseppe Tugnoli –
ADUA – Rizzoli, Milano 1978
[A]
Ho provato a compensare con
“Domani”, ma – malgrado i precisi interventi di Fabrizio Barca - sullo specifico del PNRR ho trovato anche
qui genericità e pressapochismo, dal Direttore in giù.
[B]
IL
MES, Fondo europeo cosiddetto Salva Stati, disponibile dopo la Pandemia Covid-9
per spese sanitarie straordinarie (senza le abituai condizioni-capestro per la
restituzione), di fatto non utilizzato da nessuno dei 27 paesi dell’Unione
Europea; nel confezionare la bozza del PNRR il ministro dell’Economia
Gualtieri, a fine 2020, aveva specificato che a quel punto si trattava di un
debito aggiuntivo, quando già si propendeva a utilizzare solo parte dei
prestiti potenziali del Next Generation EU come nuovi debiti, impiegando la
restante parte come sostituzione di debiti comunque già previsti dalla Legge di
Stabilità: indirizzo che pare pienamente confermato dal governo Draghi, senza
alcun strepito da parte renziana.
(Altra cosa sarebbe stato
usare il MES in funzione anti-Covid ed anti-ciclica nell’estate del 2020
(scelta allora impedita dal rifiuto pregiudiziale del MoVimento 5Stelle).
[C]
Più
paludato l’autorevole duo accademico Boeri-Perotti: in un primo articolo ha
giustamente ricordato che investire per gli asili-nido comporta anche
assicurare le risorse per la successiva gestione, segnalando pertanto come
troppo elevata la percentuale di copertura del servizio promessa dal PNRR:
senza preoccuparsi però di controllare che nel PNRR stesso (versioe12 gennaio)
era addirittura ancora più alta (il che avrebbe reso più efficace, ma anche più
preciso, il rilievo polemico).
In un secondo articolo,
Tito Boeri e Roberto Perotti contestano
complessivamente l’orizzonte keynesiano del programma di prestiti europei NGEU,
suggerendo di limitarsi ad utilizzare i contributi a fondo perso (88 miliardi
su 200 circa) come – dicono – fanno Spagna e Portogallo; si tratta di un legittimo
punto di vista, che i due professori sorreggono con una diffusa sfiducia verso
la capacità dei governi italiani di utilizzare gli eventuali prestiti NGEU come
“sostitutivi” di debiti comunque previsti; è anche questa è una legittima
opinione, che però nell’articolo viene vivificata attribuendo al PNRR
Conte/Gualtieri una valutazione di indebitamento pre-PNRR di ben 50 miliardi
nel digitale (“Quando mai prima del NGEU si era parlato seriamente di spendere
50 miliardi nel digitale?”), mentre nella tabella a pag. 23 del PNRR tale
importo è chiaramente specificato in 10,1 miliardi di €, ammontando a 46,18
miliardi di € (compresi i nuovi apporti del NGEU) l’intera “Missione 1 -
DIGITALIZZAZIONE, INNOVAZIONE, COMPETITIVITA' E CULTURA”.
[D] “Che roba contessa, all’industria di
Aldo
han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti;
volevano avere i salari aumentati,
gridavano, pensi, di esser sfruttati.
E quando è arrivata la polizia
quei pazzi straccioni han gridato più forte,
di sangue han sporcato il cortile e le porte,
chissà quanto tempo ci vorrà per pulire…”.
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