GLI ESITI CONTADDITTORI
DELLE ELEZIONI EUROPEE
di Anna
Maria Vailati e Aldo Vecchi
Mentre in apparenza la
convergenza tra Popolari, Socialisti e Liberali si conferma alla guida
dell’Unione Europea, la rumorosa avanzata dei partiti sovranisti, soprattutto
nei principali Paesi Fondatori, apre pesanti incognite sul destino delle
politiche avviate (assetto istituzionale, transizione ecologica, sostegno alle
imprese, difesa comune). Le successive elezioni legislative francesi attenuano
però l’impatto dell’onda sovranista.
Sommario:
- i dati numerici
-
i dati
politici
-
la
posta in gioco
- timori per il destino dell’Occidente
I DATI NUMERICI
Le
valutazioni più diffuse sull’esito delle elezioni europee si concentrano su un
avanzamento delle destre sovraniste a fronte di un relativo successo del
Partito Popolare Europeo (+2%) e di un arretramento degli schieramenti più
europeisti (- 8% nell’insieme a Verdi, Socialisti&Democratici, Liberali –
sconfitti soprattutto questi ultimi: -4% [A]).
Ciò
è vero in parte, come mostriamo nella seguente tabella 1 (i due raggruppamenti
sovranisti avanzano in totale solo dell’1,6%, cui però bisogna aggiungere
importanti componenti degli gli ‘Altri’
partiti nazionali, ad esempio in Ungheria e in Germania), ma è indubbiamente
rafforzato dai risultati specifici in alcuni importanti Paesi, come Germania,
Austria e Francia (dove però la partita – con esito inverso – è stata rigiocata
in questi giorni a scala nazionale); ed ulteriormente appesantito dalla
percezione, confermata da alcuni istituti demoscopici [B], che tale voto a destra abbia
anche una rilevante matrice giovanile (non così in Italia, dove per altro
l’ondata di destra si è sostanzialmente fermata ai livelli delle politiche del
2022); con una appariscente contro-marcia rispetto al movimentismo giovanile
transnazionale ambientalista del 2019 (Fridays For Future): risulta però che
nelle successive elezioni legislative francesi, con il significativo aumento
dell’affluenza, si sia riscontrata una opposta prevalenza a sinistra per il
voto giovanile.
NOTA:
il numero dei seggi complessivi è sceso da 751 a 720 a seguito dell’uscita del
Regno Unito (‘Brexit’ 2020); pertanto il confronto tra 2019 e 2024 è da noi
riportato alle percentuali dei seggi assegnati; nella tabella non teniamo conto
dei passaggi successivi di eurodeputati da un gruppo ad un altro [C]; nell’incremento degli
“Altri” occorre considerare anche il partito ungherese di Orban, che nel 2019
aderiva al Partito Popolare Europeo e l’estrema destra tedesca AFD, da pochi
giorni espulsa dal gruppo Identità e Democrazia.
Fonti:
2024 = European Union; 2019: Wikipedia
TABELLA
1 – Risultati elezioni europee 2024 e 2019
Altro
dato da considerare, un po’ sopravvalutato a causa dalla sensibile diminuzione
della partecipazione al voto in Italia (dal 54 al 48%, per la prima volta al di
sotto della metà degli aventi diritto) è l’astensionismo, che a scala europea è
invece abbastanza contenuto (la media complessiva sale in apparenza di mezzo
punto, raggiungendo il 51%, ma solo per effetto della uscita del Regno Unito,
che aveva sempre espresso valori molto bassi):
- l’astensionismo
aumenta significativamente (di oltre 5 punti), oltre che in Italia, solo in
Danimarca, Grecia, Estonia, Lituania, Croazia e Polonia; più blandamente in
altri 7 Paesi;
-
mentre diminuisce variamente in 14 paesi su 27;
- le
percentuali di adesione al voto sono parimenti assai differenziate, dal 21% della
Croazia all’89% del Belgio.
TABELLA
2 – Affluenza al voto alle elezioni europee, per singolo Paese, dal 1979. Fonte
European Union. Evidenziati in giallo i principali decrementi, dal 2019 al 2024
(A) e dal 2014 al 2024 (B).
I DATI POLITICI
Al
di là dei dati numerici, che hanno spostato ‘a destra’ un pacchetto di seggi
significativo, ma non determinante (resta al momento anche matematicamente
impossibile una maggioranza che associ i Popolari con le Destre sovraniste,
escludendo le forze più europeiste), gli esiti politici del voto sono
essenzialmente due, tra loro contradditori:
- malgrado
la debolezza degli attuali governi di Francia e Germania, gli stati maggiori
dei raggruppamenti Popolari, Socialisti&D e Liberali, e di conseguenza la
maggioranza del Consiglio Europeo (Capi di Stato o di Governo), hanno confermato
la storica alleanza, e proporranno al Parlamento Europeo la conferma di Ursula
Von der Leyen come Presidente della Commissione (con un assetto complessivo
coerente nella spartizione delle altre cariche di vertice) [D]: conferma che non è
scontata, visto il margine di circa 40 voti potenziali della maggioranza e
l’euro-tradizione dei ‘franchi tiratori’ nello scrutinio segreto; da ciò le
tattiche in corso per possibili allargamenti a manca (Verdi) e a dritta
(Meloni?);
- la
tendenziale attrazione verso i sovranisti per ampie frange dei Popolari, sia perché
già collaborano con alcuni partiti di destra a scala nazionale, al governo
(come in Italia, in Svezia ed in Croazia) o all’opposizione (es. Spagna), sia
per assonanza su alcuni temi forti della propaganda sovranista, contro i
migranti, contro il Green Deal e contro “la burocrazia europeista”: considerato
che su taluni temi anche lo schieramento liberale Renew non è insensibile alle
suddette sirene (vedi programmi elettorali 1), si può prevedere che
nella complessa navigazione delle future decisioni europee tra Consiglio,
Commissione e Parlamento si verificheranno
– più di frequente che in passato –
oscillazioni tra gli orientamenti coerenti con l’indirizzo ufficiale
della Commissione e le mediazioni e scorribande verso le posizioni sovraniste.
Tali
oscillazioni verso i sovranisti sarebbero state più temibili se elezioni
francesi avessero portato al governo il Rassemblement National di Bardella e
LePen, che invece è stato sorprendentemente neutralizzato dalla pur precaria
alleanza al secondo turno elettorale tra la rinata unità delle sinistre e lo
schieramento di centro.
Occorre
inoltre considerare che i partiti sovranisti europei al momento non sono
affatto uniti (anche per le connaturate rivalità nazionali) [E], e che si sta definendo un
diverso assetto delle loro aggregazioni, che ha come discriminante la relazione
con la Russia (vedi l’inedito protagonismo di Orban quale presidente di turno
dell’Unione): il che può acuire la spina della guerra in Ucraina nel corpo
dell’Europa, ma probabilmente può allontanare i popolari dalla voglia di
ballare dei valzer sulla destra.
Infine
su tutto questo aleggia l’eventuale influsso di una vittoria di Trump nelle
prossime presidenziali U.S.A.
LA POSTA IN GIOCO
Come
evidenziato da molti commentatori e come già tratteggiato negli articoli su
Utopia21 di maggio 1,2 e di questo numero 3, anche senza
una formale svolta a destra degli organi di governo dell’Unione, saranno
probabili frenate e retromarce su diversi argomenti, il che già si è visto nel
finire della precedente legislatura, sia sul fronte del Green Deal (abitazioni)
sia su quello delle politiche agricole e della biodiversità (la cui direttiva è
stata salvata in extremis dalla ministra Austriaca, in contrasto con il suo
stesso governo): tra le prossime possibili vittime si intravede la scadenza al
2035 per i motori a combustione per autotrazione.
Ma,
ancor più rilevante del rallentamento delle direttive già avviate, risulterà il
rischio del rinvio o della mancata partenza, ovvero del depotenziamento, per le
nuove iniziative che erano in preparazione o in fase di studio, come in primo
luogo:
- una
‘politica industriale’ adeguata alla competizione con U.S.A. e Cina, nel quadro
della doppia transizione, ecologica e digitale, con le necessarie premesse
riguardo al mercato comune dei capitali ed agli investimenti pubblici, mediante
debito comune e incremento del bilancio comunitario;
-
una ‘difesa comune’ al servizio di una politica
estera unitaria, a fronte delle guerre in atto (Ucraina, Palestina) e delle
altre tensioni geopolitiche (U.S.A./Cina, Balcani, Medio Oriente, Africa) e
nella prospettiva della ‘variabile Trump’ (che potrebbe rendere inutilizzabile
la NATO);
- una
evoluzione ‘federalista’ delle stesse istituzioni europee, sia riguardo al
superamento delle decisioni all’unanimità nel Consiglio dei 27 Stati, sia
riguardo al ruolo del Parlamento (mentre assai remote sembrano ora le proposte
di ulteriore democratizzazione maturate nella ‘Conferenza sul Futuro
dell’Europa dl 2021-22 4).
Si
tratta di indirizzi strategici – complessivamente antitetici alle grida e agli
umori delle forze sovraniste – ma non per questo sinonimo di concordia tra le
forze europeiste, perché in ciascuno di essi sono possibili differenti
interpretazioni ed accentuazioni (come già si vedeva confrontando i rispettivi
programmi).
Ad
esempio la cosiddetta ‘politica industriale’ può puntare, di diritto o di
fatto, alla formazione di grandi imprese in quanto ‘campioni europei’ in grado
di competere nel mondo, ma ciò si scontra da un lato con la tradizionale
filosofia pro-concorrenza dell’Europa ‘ordoliberista’ e dall’altro lato con le
spinte democratiche per una maggior tutela degli interessi dei
cittadini-consumatori (emblematica in tal senso è l’attuale impotenza di diverse
‘Authority’, come quella italiana per l’energia, che ha ben rilevato il
comportamento truffaldino e oligopolistico di numerose compagnie venditrici di
elettricità e gas, durante l’impennata dei prezzi del 2022-23, ma non è stata
in grado di comminare adeguate sanzioni e ristori in favore dei clienti).
In
questo quadro evidenti sono anche le contraddizioni in materia di transizione
digitale e di regolazione dell’Intelligenza Artificiale, dove le buone
intenzioni espresse dal Parlamento Europeo possono portare ad esiti
paradossali, quali il nanismo forzato delle start-up europee e la contestuale
impotenza nel controllare i monopoli altrui (U.S.A. e Cina).
E
certamente non sono univoche le proposte e le ricette in materia di finanza,
fisco e investimenti.
Ancor
più complessa appare la partita della politica militare, dove – nella difficile
ipotesi di un effettivo coordinamento tra le forze armate europee – si aprono
divaricazioni teoriche e pratiche tra i rischi di un neo-euro-imperialismo
(seppur probabilmente più debole di quello dei competitori) e la impervia
strada di un’Europa con armamenti minimi a servizio di una politica di pace:
mentre attorno incombono i pericoli già noti, aggravabili dall’incognita del
ritorno di Trump.
TIMORI PER IL DESTINO
DELL’OCCIDENTE
Se
il campo ‘europeista’, come sopra accennato è solcato da contraddizioni, che
schematicamente si potrebbero leggere come tese tra un polarità più
tecnocapitalista ed istanze più democratizzanti, l’opposto fronte ‘sovranista’,
che al momento appare molto frastagliato sul terreno tattico (vedi sopra),
risponde invece ad una svolta strategica di importanti settori del capitalismo
neo-liberista occidentale, in cerca di una impostazione più autoritaria della
società, avvalendosi del consenso populista variamente accumulato (e invidiando
i capitalisti di Cina, Arabia e dintorni - ed anche forse Russia -, i cui
affari possono prosperare senza preoccupazioni di tipo democratico)?
Le
cospicue sottoscrizioni di fondi elettorali da parte di alquanti miliardari in
favore di Trump e del Rassemblement National e alcune esternazioni di soggetti
come Elon Musk testimonierebbero in tale direzione.
E
i precedenti della tragica epopea del nazi-fascismo mostrano quanto il capitalismo
possa divorziare dalla democrazia (e dalla pace), rimanendo tuttavia in qualche
modo nell’ambito del ‘pensiero occidentale’, soprattutto se turbato dai rischi
di una alternativa (quale fu la rivoluzione sovietica e quel che ne seguì, nel
bene e anche nel male).
In
questa fase non c’è in vista nessuna ‘alternativa’ di sistema, però può esserci
una convergenza di interessi tra chi – nell’ambito dei miliardari e ampi
dintorni – non ama pagare le tasse, né abbandonare i profitti dalle energie
fossili, né subordinare le iniziative di imprese e monopoli a nessuna ‘Authority’ di stampo
democratico: possono questi interessi coalizzati pesare fino al punto di
buttare a mare quel che resta della pace mondiale e della globalizzazione (che
pure hanno giovato ai recenti sviluppi dell’accumulazione capitalistica)?
Capire
se sia possibile rispondere a simili domande sul ‘destino dell’Occidente’
potrebbe aiutare a muoversi meglio nel groviglio di contraddizioni che ci
circondano, considerando che è comunque in questo stesso Occidente che ci
troviamo, con fatica, a galleggiare.
E
che tale Occidente è ancora determinante per le sorti dell’intera umanità.
annavailati@tiscali.it
Fonti:
1.
Aldo Vecchi - ELEZIONI: I REMOTI PROGRAMMI DEI
PARTITI EUROPEI – su Utopia21, maggio 2024 -
https://drive.google.com/file/d/1igO3W41dILVvptIoa1mvbahdJFiUK4gP/view?usp=drive_link-
2.
Fulvio Fagiani – ELEZIONI EUROPEE: EUROPA AL BIVIO, SALTO
DECISIVO IN AVANTI O REGRESSIONE - su Utopia21,
luglio 2022 - https://drive.google.com/file/d/18spqokJt3iY2FpldcvaNDnHRvhWRYKf9/view?usp=drive_link
3.
Fulvio Fagiani
- L’AGENDA STRATEGIA EUROPEA AL 2029: I PRINCIPI E I VUOTI – in questo
numero di Utopia21, luglio 2024
4.
Aldo Vecchi – CONCLUSA LA FASE CONSULTIVA
DELLA CONFERENZA SUL FUTURO
DELL’EUROPA – su Utopia21, luglio 2022 - https://drive.google.com/file/d/1-MJO5f-4ysnwnuv5IM-LGPrmJfxFvZ7V/view?usp=sharing
[A]
grazie anche alla brillante idea
dei Lib italiani di dividersi in 2 liste (Renzi+Bonino e Calenda) rimaste
ambedue sotto alla soglia di sbarramento del 4%
[C]
denominati “cambi di casacca”
dagli anti-inciucisti del centro-destra italiano, che per altro praticano tali
scambi sia a scala europea che nazionale vedi la notoria compravendita di
senatori da parte di Berlusconi tra 2006 e 2008, vedi il caso del senatore
Sergio De Gregorio, reo confesso
[D]
Con l’abituale rispetto per le
istituzioni, il ministro Salvini ha tuonato contro il “colpo di stato” che
contrasterebbe la volontà di milioni di elettori
[E] Come ad esempio tra Ungheresi e Romeni a
proposito della Transilvania.
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