Con scarsa notorietà finora sui
mezzi di informazione, tranne l’Unità e pochi altri, un gruppo di intellettuali
di impronta in prevalenza neo-keynesiana (tra cui Antonio Pedone, Riccardo Realfonzo,
Massimo D’Antoni, Laura Pennacchi, Cesare Salvi ed anche Nicola Piepoli e Mario
Baldassarri), hanno lanciato la raccolta di firme per un referendum abrogativo
di gran parte della legge n° 243/2012 di attuazione dell’art. 81 della
Costituzione (Pareggio del Bilancio), come modificato nel 2012, a grande
maggioranza (governo Monti), in esito alle pressioni europee per l’applicazione
del “Fiscal Compact” (che prevede un graduale ma serrato rientro dell’Italia
dalle attuali proporzioni del debito pubblico (oltre il 130% del PIL) alla
soglia del 60%, definita con gli accordi di Maastricht.
Non potendo proporre
l’abrogazione dell’attuale versione dell’art. 81 Cost. (che non fu sottoposta a
referendum confermativo perché approvata da più dei 2/3 del Parlamento), i
professori richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica sulla legge di
attuazione, di cui sottolineano anche l’eccesso di zelo nella direzione della
rigidità contabile, ritenendo che i tempi della cieca obbedienza ai canoni
dell’austerity siano passati (insieme con la paura dello “spread” a 1000 e del
conseguente “default” del bilancio statale) e che sia opportuno un profondo
ripensamento nella politica economica europea, previo ampio dibattito
democratico, che era mancato nella fase della suddetta modifica costituzionale.
Il tema della correzione degli
eccessi di austerity è già ampliamente all’ordine del giorno, a cavallo delle
elezioni europee ed in relazione al loro esito, sia al livello delle
“cancellerie” che nell’opinione pubblica (benché fuorviata sotto elezioni dalla
sfida tutta nazionale del mancato sorpasso di Grillo e conseguente mancata
marcetta su Roma).
Le intenzioni dei promotori però
vanno evidentemente ben oltre le moderate innovazioni proposte da
Renzi&Padoan (ma anche da Draghi e dal Fondo Monetario internazionale) e le
ancor più timide aperture del governo tedesco: sarà quindi interessante capire
come si schiereranno e quanto riusciranno a pesare le disperse forze delle
sinistre, interne ed esterne al PD, e se il tema verrà o meno cavalcato
strumentalmente dagli altri soggetti variamente avversi all’Euro, dai 5Stelle
alle opposizioni di centro-destra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, in
parte già impegnate sui pericolosi referendum populisti promossi dalla stessa
Lega su immigrazione, prostituzione ed altro).
Nell’ambito della sinistra la campagna
referendaria contro l’austerity potrebbe essere occasione utile per l’esercizio
di una iniziativa politica “sociale” e non schiacciata sul “politicismo”
elettorale delle primarie per il centro-sinistra (Vendola contro Bersani e
Renzi&C. nel 2012) oppure delle elezioni in quanto tali (parlamentari del
2013 ed europee del 2014), e per rinverdire i fasti dei referendum sull’acqua e
contro il nucleare di pochi anni addietro (2011, ma sembra ormai un’era
remota).
Pur apprezzando tatticamente l’opportunità di una maggiore flessibilità
nei bilanci dell’Europa e dei suoi Stati, mi sento però di ribadire (come già sull’acqua, vedi NOTA) tutte le mie
perplessità di fronte alla vulgata neo-keinesiana del “deficit spending”, in
riferimento soprattutto alla situazione italiana ed al suo enorme debito
pregresso (ma analogo ragionamento vale per i debiti di USA, Giappone, ecc.):
-
da un
lato, come spesso rammenta Silvano Andriani, questi debiti (ed anche quelli del
sistema finanziario privato) ad un certo punto qualcuno sarà chiamato a pagarli
(es. inflazione) oppure a subirli come perdita (fallimenti e ristrutturazioni);
-
d’altro
lato rilanciare lo sviluppo, senza ragionare a fondo su tutte le motivazioni
della crisi, rischia di far perdere una buona occasione per rivedere le
modalità della “crescita”, a fronte della scarsità relativa delle risorse
naturali.
A mio avviso, nel dibattito che potrebbe aprirsi attorno a questa campagna
referendaria, dovrà trovare spazio qualche considerazione e qualche proposta
nel segno di una “austerità di sinistra” (qualcosa tra Berlinguer e la
“decrescita felice”), che – a partire dalla tutela e dalla redistribuzione del
lavoro, a scala internazionale – riveda le motivazioni di ciascuna attività
economica (cosa e come produrre, dove, per chi – come dice talvolta anche Maurizio
Landini), a partire ad esempio dalle spese
militari, e cerchi di caricare i costi della necessaria ristrutturazione
a coloro che in questi anni si sono arricchiti (finanza internazionale e locale)
ed in Italia, specificamente (anche per rimediare ai debiti accumulati), a chi
non ha mai pagato (evasione fiscale, dai grandi ai piccoli).
NOTA: nella campagna referendaria del 2011 l’acqua è stata esaltata
come bene pubblico con accenti “sacrali”, tali da non sopportare alcuna forma
di privatizzazione gestionale, con evidente asimmetria e sottovalutazione dei
rischi anche più gravi che si corrono invece di fronte ai monopoli privati che
spadroneggiano su beni pubblici altrettanto delicati, come l’energia,
l’informazione, Internet, per non parlare della insufficiente tutela del suolo,
del sottosuolo, dell’aria e dello stesso spazio celeste.
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