mercoledì 25 giugno 2014

LA PROPOSTA DI REFERENDUM SUL PAREGGIO DI BILANCIO

Con scarsa notorietà finora sui mezzi di informazione, tranne l’Unità e pochi altri, un gruppo di intellettuali di impronta in prevalenza neo-keynesiana (tra cui Antonio Pedone, Riccardo Realfonzo, Massimo D’Antoni, Laura Pennacchi, Cesare Salvi ed anche Nicola Piepoli e Mario Baldassarri), hanno lanciato la raccolta di firme per un referendum abrogativo di gran parte della legge n° 243/2012 di attuazione dell’art. 81 della Costituzione (Pareggio del Bilancio), come modificato nel 2012, a grande maggioranza (governo Monti), in esito alle pressioni europee per l’applicazione del “Fiscal Compact” (che prevede un graduale ma serrato rientro dell’Italia dalle attuali proporzioni del debito pubblico (oltre il 130% del PIL) alla soglia del 60%, definita con gli accordi di Maastricht.

Non potendo proporre l’abrogazione dell’attuale versione dell’art. 81 Cost. (che non fu sottoposta a referendum confermativo perché approvata da più dei 2/3 del Parlamento), i professori richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica sulla legge di attuazione, di cui sottolineano anche l’eccesso di zelo nella direzione della rigidità contabile, ritenendo che i tempi della cieca obbedienza ai canoni dell’austerity siano passati (insieme con la paura dello “spread” a 1000 e del conseguente “default” del bilancio statale) e che sia opportuno un profondo ripensamento nella politica economica europea, previo ampio dibattito democratico, che era mancato nella fase della suddetta modifica costituzionale.

Il tema della correzione degli eccessi di austerity è già ampliamente all’ordine del giorno, a cavallo delle elezioni europee ed in relazione al loro esito, sia al livello delle “cancellerie” che nell’opinione pubblica (benché fuorviata sotto elezioni dalla sfida tutta nazionale del mancato sorpasso di Grillo e conseguente mancata marcetta su Roma).

Le intenzioni dei promotori però vanno evidentemente ben oltre le moderate innovazioni proposte da Renzi&Padoan (ma anche da Draghi e dal Fondo Monetario internazionale) e le ancor più timide aperture del governo tedesco: sarà quindi interessante capire come si schiereranno e quanto riusciranno a pesare le disperse forze delle sinistre, interne ed esterne al PD, e se il tema verrà o meno cavalcato strumentalmente dagli altri soggetti variamente avversi all’Euro, dai 5Stelle alle opposizioni di centro-destra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, in parte già impegnate sui pericolosi referendum populisti promossi dalla stessa Lega su immigrazione, prostituzione ed altro).

Nell’ambito della sinistra la campagna referendaria contro l’austerity potrebbe essere occasione utile per l’esercizio di una iniziativa politica “sociale” e non schiacciata sul “politicismo” elettorale delle primarie per il centro-sinistra (Vendola contro Bersani e Renzi&C. nel 2012) oppure delle elezioni in quanto tali (parlamentari del 2013 ed europee del 2014), e per rinverdire i fasti dei referendum sull’acqua e contro il nucleare di pochi anni addietro (2011, ma sembra ormai un’era remota).

Pur apprezzando tatticamente l’opportunità di una maggiore flessibilità nei bilanci dell’Europa e dei suoi Stati, mi sento però di ribadire  (come già sull’acqua, vedi NOTA) tutte le mie perplessità di fronte alla vulgata neo-keinesiana del “deficit spending”, in riferimento soprattutto alla situazione italiana ed al suo enorme debito pregresso (ma analogo ragionamento vale per i debiti di USA, Giappone, ecc.):
-          da un lato, come spesso rammenta Silvano Andriani, questi debiti (ed anche quelli del sistema finanziario privato) ad un certo punto qualcuno sarà chiamato a pagarli (es. inflazione) oppure a subirli come perdita (fallimenti e ristrutturazioni);
-          d’altro lato rilanciare lo sviluppo, senza ragionare a fondo su tutte le motivazioni della crisi, rischia di far perdere una buona occasione per rivedere le modalità della “crescita”, a fronte della scarsità relativa delle risorse naturali.

A mio avviso, nel dibattito che potrebbe  aprirsi attorno a questa campagna referendaria, dovrà trovare spazio qualche considerazione e qualche proposta nel segno di una “austerità di sinistra” (qualcosa tra Berlinguer e la “decrescita felice”), che – a partire dalla tutela e dalla redistribuzione del lavoro, a scala internazionale – riveda le motivazioni di ciascuna attività economica (cosa e come produrre, dove, per chi – come dice talvolta anche Maurizio Landini), a partire ad esempio dalle spese  militari, e cerchi di caricare i costi della necessaria ristrutturazione a coloro che in questi anni si sono arricchiti (finanza internazionale e locale) ed in Italia, specificamente (anche per rimediare ai debiti accumulati), a chi non ha mai pagato (evasione fiscale, dai grandi ai piccoli).
  

NOTA: nella campagna referendaria del 2011 l’acqua è stata esaltata come bene pubblico con accenti “sacrali”, tali da non sopportare alcuna forma di privatizzazione gestionale, con evidente asimmetria e sottovalutazione dei rischi anche più gravi che si corrono invece di fronte ai monopoli privati che spadroneggiano su beni pubblici altrettanto delicati, come l’energia, l’informazione, Internet, per non parlare della insufficiente tutela del suolo, del sottosuolo, dell’aria e dello stesso spazio celeste.

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