Riporto, e poi commento, una significativa risposta
all’Unità di Borghini, comitato “Ottimisti e Razionali” (per l’astensione al
referendum):
Che cosa succede se vince
il Sì?
Prima di tutto si crea un’incertezza di fondo: smantellare
le piattaforme in uso provocherebbe un danno inutile che produrrebbe
disinvestimenti nel settore dell’estrazione di gas metano. E’ facile intuire
che questo potrebbe portare a molti contenziosi con lo Stato, che secondo noi,
potrebbero essere vinti dalle aziende. E’ come se affittassimo con un regolare
contratto un appartamento e poi dicessimo agli affittuari che se ne devono
andare prima del tempo.
Rammento che, prima del
decreto-legge governativo “Sblocca-Italia” del settembre 2014, le concessioni
per l’estrazione di idrocarburi nelle acque territoriali marittime erano a
termine (per lo più trentennale, con ulteriori facoltà di proroghe), come tutte
le concessioni demaniali “regolari” (e conformi ai criteri europei sulla
concorrenza).
Il Governo, con il decreto-legge
“Sblocca-Italia”, ha introdotto una eccezione, prorogando d’ufficio le
concessioni fino ad esaurimento dei giacimenti, e lo ha fatto in modo alquanto
spericolato ed a rischio di turbare i mercati (come ha dimostrato la successiva
complessa vicenda della conversione in legge tramite fiducia, e poi delle
rettifiche con la legge di Stabilità per evitare gli altri referendum
abrogativi promossi dalle Regioni).
Queste proroghe al momento sono
mere previsioni, non ancora operative, perché nel frattempo nessuna concessione
è scaduta, e non sono oggetto di atti negoziali sottoscritti da Stato ed
Imprese.
Con la eventuale vittoria del SI
al referendum le concessioni tornerebbero a scadere alla loro naturale
conclusione.
Un vero “ottimista razionale” a
mio avviso non scorgerebbe nessun pericolo di contenziosi.
Quanto agli investimenti, mi pare
che siano in gioco solo quelli eventualmente necessari per la manutenzione
straordinaria delle piattaforme (che già ci sono) in caso di loro mantenimento
in servizio oltre la durata inizialmente programmata.
In compenso slitterebbero in
avanti gli investimenti, già garantiti con fidejussioni, per il necessario
smaltimento delle piattaforme a fine concessione.
La sotto-segretaria Bellanova,
invece, ha anche quantificato le fughe di investimenti: “L’annuncio del referendum ha fatto
già fuggire dall’Italia sei miliardi di euro tra il 2014 e il 2015. La vittoria
dei sì ce ne farebbe perdere altri sette di miliardi.”
Inoltre
conteggia “in perdita” le spese a carico e delle compagnie per i necessari
smantellamenti e ripristini: “ci saranno costi enormi una volta che tutte le concessioni
finiranno. I pozzi dovranno essere chiusi con un costo stimato per difetto
intorno ai due miliardi di euro”
Al che ulteriori commenti mi sembrano
superflui (forse la Sottosegretaria si riferisce a flussi complessivi di
investimenti nel settore idrocarburi, non riferiti alle sole concessioni in
acque territoriali).
Nessun commento:
Posta un commento