Il volumetto “CONTRO I BENI
COMUNI – UNA CRITICA ILUMINISTA” di Ermanno Vitale (filosofo/giurista allievo
di Norberto Bobbio) – Editori Laterza 2013 pagg. 124 – costituisce una sorta di
contro-proclama rispetto a “BENI COMUNI - UN MANIFESTO” di Ugo Mattei (Laterza
2011) e più in generale contro la pubblicistica e le posizioni dei “bene-comunisti”,
la cui radice ideologica Vitale ravvisa soprattutto nel Toni Negri (con Michel
Hardt) di “Impero” “Moltitudine” e soprattutto di “Comune. Oltre il privato e
il pubblico” (Rizzoli 2010).
Se la polemica Vitale/Mattei
risulta un po’ datata al 2011/2013, con il rilievo che il vittorioso referendum
sull’acqua conferì al “bene-comunismo”, ed il tentativo politico di A.L.B.A.
(Alleanza Lavoro BeniComuni Ambiente), poi confluito (con poco successo) nella
lista “L’altra Europa con Tsipras”, la tematica mi sembra comunque attuale,
perché la bandiera dei “BeniComuni” è talora sollevata da movimenti di lotta ed
occupazione, più o meno antagonistici, e perché alcuni argomenti sopravvivono
un po’ confusamente nella non-ideologia del Movimento5Stelle (di cui non a caso
Mattei si è dichiarato sostenitore alle recenti elezioni comunali di Torino).
Il testo è molto chiaro e molto
denso, per cui mi è difficile riassumerlo puntualmente e con altrettanta
efficacia: comunque ci provo.
Il professor Vitale sottopone a
stringente critica “Un Manifesto” di Mattei, pur imbattendosi in difficoltà
linguistiche e concettuali, perché il pensiero “olistico” dei beni comuni tende
strutturalmente a sfuggire alla logica giuridica e filosofica di stampo
illuministico, rifiutando già la distinzione tra soggetto ed oggetto ed
attribuendo priorità invece alle relazioni circolari: talché è difficile
delimitare il campo degli stessi “beni comuni”, che possono essere materiali
(come la famosa acqua, l’aria, il cibo), oppure immateriali, come la rete, il
sapere, fino - immagino – alla “felicità”, anche se la loro qualità politica,
da conquistare, è quella di differenziarsi sia dai “beni privati” che dai “beni
pubblici”, gestiti dall’esecrato “Stato” (e dai partiti che lo hanno
lottizzato).
Ancor più sfuggente risulta la
prosa assai dialettica e letteraria di Negri&Hardt, dove, rileva Vitale,
“comune” è ad un certo punto “la città” ed in altro punto “la natura”, per cui
per proprietà transitiva città e natura sarebbero uguali, mentre l’insofferenza
delle “moltitudini” può generare indifferentemente riforme o rivoluzioni.
Vitale preliminarmente cerca di smontare l’ascendenza del
bene-comunismo nel pensiero di Elinor Ostrom, premio Nobel 2009 per l’economia
(e in particolare per i suoi studi sui beni comuni), perché la Ostrom, secondo
Vitale, ha ben evidenziato il carattere particolare (e non generalizzabile)
delle esperienze di autogestione di beni comuni e soprattutto la
non-universalità dei beneficiari e quindi la tendenziale presenza di fenomeni
di esclusione (parimenti Vitale contesta la visione di Garret Hardin come
effettivo nemico del bene-comunismo); inoltre approfondisce la questione
storica delle “enclosures”, le recinzioni che misero fine ai pascoli e boschi
comuni nell’Inghilterra tardo-medioevale, evidenziando come non vi fosse alcun
egualitarismo tra i titolari dei precedenti diritti, bensì feroci differenze di
potere e di reddito, in un quadro complessivo di bassa produttività agricola, e
quindi di miseria per i più poveri. preoccupandosi soprattutto di evidenziare
che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista non coincidono
con la difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.
Contro la mitologia nostalgica
delle comunanze medioevali, Vitale schiera anche Marx ed Engels, sia per le
specifiche affermazioni sulle “enclosures”, sia per la visione complessiva
della borghesia come classe emancipatrice e disvelatrice dello sfruttamento di
classe (prima occultato dalle ideologie religiose e corporative dell’ancien
regime) nonché Stefano Rodotà, giurista interessato all’evoluzione ed
estensione dei diritti di accesso universale ai beni fondamentali della persona
ed anche alla articolazione costituzionale tra beni pubblici e beni comuni (con
sana diffidenza verso le nebulose descrizioni dei nuovi beni immateriali) , ma
comunque preoccupato sia di prevenire tendenze alla esclusione di soggetti
deboli nella fruizione di specifici beni (che
anche a mio avviso è il limite delle pratiche di occupazione, se vanno oltre la
fase di una lotta dimostrativa) sia di garantire la titolarità individuale
dei diritti.
Vitale riporta anche, traendoli
da articoli su “Il Manifesto” nel 2012, severi giudizi contro il bene-comunismo
da posizioni marxiste o post-marxiste, quali quelle di Rossana Rossanda,
Alberto Asor Rosa e dello stesso Guido Viale, che in sostanza vedono nella concezione
comunitaria di Mattei&C.un sostanziale interclassismo, che nasconde
nell’apoteosi della riappropriazione locale dei beni-comuni i conflitti tra i
diversi soggetti sociali
Per parte sua Vitale (ricostruendo
in breve la storia del pensiero giuridico, politico e filosofico dell’Occidente
da Platone e Aristotele a Norberto Bobbio, attraverso Giustiniano, Hobbes,
Locke e Rousseau ecc.) è soprattutto interessato a denunciare i pericoli di
derive plebiscitarie e autoritarie che si nascondono dietro le pratiche di
comunanza uomo-natura, di assemblearismo unanimista e di democrazia partecipata
(sia in chiave riformista che in chiave rivoluzionaria), in danno alle
prerogative inalienabili dell’individuo, che a suo avviso possono essere
comunque la base per un solidarismo progressista, occupandosi soprattutto di
evidenziare che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista (ad
esempio come ridefiniti dal giurista Luigi Ferrajoli) non coincidono con la
difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.
In tal senso sviluppa la seconda
parte del volume, che qui non sto a riassumere né a commentare, perché
costituisce – nei suoi termini descrittivi – una esplicita parafrasi di
“Finanz-Capitalismo” di Luciano Gallino (Einaudi 2011 - già da me recensito e
apprezzato), affiancata da alcune indicazioni operative sul “che fare”, cui mancano però, a mio avviso, le gambe su
cui camminare, e cioè l’individuazione dei possibili soggetti sociali e
politici – nel 2013 come nel 2016 - di una forma così avanzata di riformismo
radicale.
Non molto corretto mi pare il tentativo di Vitale di isolare
l’Illuminismo (ed il pensiero analitico/speculativo occidentale) della colpe
coloniali dell’Occidente, mentre riserva agli avversari l’opposto trattamento di
verificarne la prassi, sia riguardo alla persona di Mattei ed al bene-comunismo
italiano, sia riguardo agli esiti di alcune esperienze sud-americane di
democrazia partecipativa (Porto Alegre) e di costituzionalismo olistico-ambientalista
(la Pacha-Mama e le costituzioni di Ecuador e Bolivia).
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Nell’insieme condivido la necessità di un approccio critico alle forme
totalitarie che assumono le nuove proposizioni di democrazia diretta e partecipata,
se contrapposte ai diritti costituzionali, ma rimango interessato (come Rodotà)
alle possibili evoluzioni che possono indicare, nel costume e nel diritto,
intendendole come sperimentazioni oltre i limiti oggi assai palesi della
democrazia rappresentativa e della società capitalista post-fordista.