lunedì 10 ottobre 2016

UTOPIA21 OTT16 - CASA ITALIA?

CASA ITALIA?
di Aldo Vecchi

Governo, forze politiche e sociali  ed élites intellettuali alle prese (finalmente?) con il nodo della prevenzione antisismica per i territori a rischio.

Riassunto – la frammentazione della società italiana tra élite intellettuale, gruppi dirigenti decisori, mass media e “popolo”, e la mancanza di effettiva comunicazione sulle opzioni strategiche di carattere ecologico, quali la prevenzione anti-sismica. L’iniziativa di consultazione del Governo tra propaganda e svolta effettiva, a partire dalla sostanziale assenza storica di attenzione delle forze politiche verso una seria priorità per le politiche di prevenzione rispetto ai rischi del territorio. La difficile stima dell’entità delle risorse necessarie e l’impatto sulla politica economica nazionale, già gravata dall’enorme debito pubblico. La complessità della prevenzione antisismica nell’intreccio con le altre problematiche insediative, tra carenze culturali e vischiosità amministrative, ed a fronte della articolazione fisica e sociale del patrimonio edilizio, soprattutto nelle zone interne.


Sul tema della protezione preventiva del territorio in chiave antisismica (e similmente in materia di prevenzione idrogeologica), come più in generale sugli argomenti strategici della salvezza del Pianeta Terra (cambio climatico, esaurimento risorse, vivibilità) la società italiana (ma parimenti avviene in molte altre nazioni) appare frazionata in segmenti che non sviluppano un dialogo effettivo, malgrado la pervasiva “comunicazione globale” in cui siamo immersi:
-          una élite intellettuale abbastanza ristretta, consapevole dei problemi e interessata alla loro soluzione, per cultura professionale (geologi, ingegneri, urbanisti) NOTA 1 o per vocazione (intellettuali “verdi” o comunque meditativi); una élite poco ascoltata ma tuttavia abbastanza paga di “averlo detto prima”, affezionata al suo poco o tanto potere accademico/culturale e poco avvezza ad ingaggiare battaglie campali (mai visti geologi che si incatenano a palazzo Chigi, né urbanisti che digiunano per protesta contro la legge finanziaria…); in questo ruolo da Cassandre si è recentemente aggiunto parte del Clero e questo Papa in particolare, le cui prediche comunque non distraggono i ben-pensanti ed i mal-decidenti;
-          i gruppi dirigenti che detengono gli effettivi poteri decisionali nella politica, nella finanza, nelle imprese (ed anche nei sindacati), che sono evidentemente informati, per dovere professionale e contiguità  con la suddetta élite intellettuale, ma di fatto non assumono mai come vere priorità gli investimenti necessari per la protezione del territorio e dell’ambiente, perché il loro rapporto con il potere (ricerca del consenso elettorale e anche sindacale, conseguimento della valorizzazione aziendale) passa fino ad oggi sempre per il +1% del PIL, dell’occupazione, del profitto a breve termine;
-          i mezzi di comunicazione di massa, che disperdono le informazioni sui problemi strutturali di territorio e ambiente in una melassa generica, privilegiando nella comunicazione gli aspetti spettacolari, sensazionalisti, personalistici: ad esempio ricordiamo la persistente campagna di “la Repubblica” nel porre 10 domande a Berlusconi sul suo peculiare mix tra pubblico e privato e la martellante campagna di Rizzo e Stella sul “Corriere della Sera” contro le malefatte della Casta, ma nessuna campagna sistematica per la prevenzione dei disastri ambientali, ampiamente però descritti ex-post con fiumi di immagini e parole;
-          infine il “popolo”, cioè tutti i lavoratori e i piccoli imprenditori, i consumatori, gli elettori che – pur subendo di volta in volta i danni sismici, idrogeologici ed ambientali – si comportano nei fatti con modalità coerenti con i gruppi dirigenti e con i mass media, anche se manifestano negli ultimi decenni un crescente disagio, dovuto principalmente alla crisi economica, espresso con la disaffezione al voto e con la preferenza per partiti e movimenti di protesta, risultanti finora piuttosto generici sui temi della prevenzione ambientale (ho riletto il programma elettorale del M5Stelle nel 2013: nulla in materia vi è nei “20 punti” di Beppe Grillo, che spaziavano dell’abolizione delle Province e quella dell’IMU e di Equitalia, e nulla ho trovato in un testo ufficiale più esteso del Movimento, che invece prevedeva altri dettagli ambientalisti, quali  l’obbligo di parcheggi per biciclette nei condomini).

L’iniziativa del Governo di “riaprire la sala verde” di Palazzo Chigi (quella storicamente dedicata alla “concertazione”) per l’inizio di una ampia consultazione di associazioni di categoria ed istituzioni culturali sul tema del terremoto – ricostruzione e prevenzione – a mio avviso non costituisce solo una mossa tattica nell’ambito del nuovo corso comunicativo del Presidente del Consiglio (il Renzi 2.0, meno decisionista in vista del difficile referendum costituzionale), ma potrebbe rappresentare una possibile svolta più sostanziale nell’approccio dei gruppi dirigenti della nazione ai temi della protezione del territorio e dell’ambiente se le élites intellettuali riusciranno a cogliere l’occasione per farsi ascoltare effettivamente dei decisori e – attraverso i mass media – anche dai comuni cittadini (ma finora mi sembra che  poche testate, tra cui “Il Sole - 24 ore”, seguano l’argomento con sufficiente impegno).
La massiccia disattenzione dei predecessori e dei concorrenti politici, nessuno dei quali può sbandierare di aver rivendicato prima la prevenzione che ex-post si rivela necessaria NOTA 2, può consentire a Renzi di presentarsi come l’iniziatore di un nuovo corso, nuovo anche a lui stesso, perché nella mozione congressuale con cui ha vinto le primarie del PD nel 2014 il tema della spesa per la Tutela Ambientale era trattato solo per inciso, in mezzo tra Turismo e Meridione, per affermare che si potrebbe risparmiare sui 5 miliardi annui di intervento sui disastri ambientali “se decidessimo di investire in prevenzione”; ma non si diceva quanto investire, come, dove prendere le risorse: tutte le questioni che ora vengono al pettine, se si intende fare sul serio.
Infatti a risparmiare qualche miliardo all’anno in riparazioni ci si potrà arrivare solo al termine di un ciclo di massicci investimenti diffusi in tuti i territori a rischio, perché durante tale periodo di due o più decenni  purtroppo saranno comunque possibili eventi calamitosi su aree non ancora tutte abbastanza protette.
In teoria sarebbe un perfetto esempio di convenienza per un intervento finanziario in debito, ripagabile a lungo termine dai risparmi in riparazioni (come semplicisticamente propone il governatore toscano Enrico Rossi), ma mi sembra difficile che possa permetterselo l’Italia di oggi, quand’anche lo consentissero le norme europee, partendo dal cospicuo debito pubblico che già abbiamo accumulato e che deve reggere sul mercato dei capitali.
E se non si può contare troppo sul [av1] debito pubblico occorre modificare qualche altra priorità nella politica economica, aumentando le odiate tasse o tagliando altre spese, con tutte le difficoltà del caso (e senza sperare in aiuti dal sistema creditizio, che di suo già boccheggia).
Perché non si tratta di spostare 1 o 2 miliardi nel bilancio dello Stato (il che è già difficile), ma molto di più: anche se le stesse “élites intellettuali” espongono stime differenziate (in attesa dei necessari approfondimenti), l’ordine di grandezza per l’adeguamento anti-sismico di infrastrutture, pubbliche e private, è attorno ai 100 miliardi di € (140 secondo Mauro Dolce della Protezione Civile: 90 per i privati e 50 per i pubblici), per cui, tra interventi diretti  ed agevolazioni fiscali/contributive per i privati, se si vuole affrontare il problema in 20 anni e non in 30 o 50, e tenendo conto dell’intreccio con la prevenzione idrogeologica e gli altri aspetti della riqualificazione edilizia ed urbana (vedi oltre), l’onere a carico dello Stato dovrebbe orientarsi approssimativamente verso i 5 miliardi di €/anno, e riuscire a mobilitare contestualmente consistenti risorse private, modificando quindi le modalità di consumo e di risparmio di gran parte delle famiglie (anche se  Matteo Renzi ha già preannunciato l’esclusione del ricorso ad assicurazioni obbligatorie, come in uso in altri paesi, che invertirebbero i ruoli tra pubblico e privato, per il patrimonio privato). 
L’entità delle risorse necessarie è il più “serio” dei problemi, per capire se per l’appunto si intende finalmente fare “sul serio” anziché limitarsi a caroselli propagandistici (lasciando la spesa per prevenzione a livelli irrisori, come è stato finora, anche all’indomani dei terremoti devastanti dell’Umbria, dell’Abruzzo e dell’Emilia+Mantovano, per citare solo gli ultimi).
Ma l’intera questione è ricca di complessità, come hanno avvertito molti osservatori ed innanzitutto gli autorevoli intellettuali coinvolti dal Governo, come Renzo Piano e Giovanni Azzone (rettore del Politecnico di Milano), ed in particolare anche l’Istituto Nazionale di Urbanistica (LINK):
-          per la mancanza di studi analitici sullo stato di conservazione sia dei singoli fabbricati sia dei sistemi urbani, e quindi sull’entità degli interventi e sui criteri di priorità, mentre anche le mappe del rischio sismico richiedono affinamenti locali, cui correlare i piani di protezione anti-sismica (aree, edifici e percorsi strategici);
-          per l’inestricabile intreccio con tutti gli altri aspetti, già in sofferenza, degli insediamenti abitativi, dal rischio idrogeologico a quello ambientale (bonifiche mancate e altre comunque necessarie per suolo, acque, emissioni in atmosfera), dal deficit energetico al risparmio del consumo di suolo, dalla crisi delle periferie al degrado delle aree interne (il che significa qualità edilizia e qualità urbana, servizi e trasporti, lavoro e istruzione, contrasto alle sacche di povertà e al disagio sociale): tali intersezioni di problematiche richiedono il coordinamento degli interventi pubblici, per evitare sprechi in logiche settoriali, ed una visione integrata della progettazione, in chiave di “rigenerazione urbana” e di ricerca di insediamenti “resilienti” alle varie ipotesi di rischio (aggravate dal cambio climatico);
-          per l’evidente arretratezza di una parte consistente delle amministrazioni locali e degli uffici tecnici, nonché degli studi di progettazione e delle imprese edilizie, protetti dal clientelismo locale nelle pieghe sulla normativa degli appalti (dilagare degli incarichi “fiduciari” sotto le soglie che obbligano a gare trasparenti), che emerge dalle prime cronache giudiziarie su Amatrice ed Accumoli, anche ipotizzando l’assenza di fenomeni più gravi di corruzione (su cui si pronuncerà la Magistratura); a fronte invece della necessità di una elevata efficienza tecnica ed amministrativa e di uno sforzo tecnologico innovativo per supportare effettivamente la riqualificazione insediativa di mezza Italia (anche nelle aree storicamente infiltrate da culture mafiose);
-          per l’articolazione fisica e sociale del patrimonio edilizio privato, che include proprietari ricchi e proprietari poveri, case in proprietà ed in affitto, famiglie prive di una abitazione adeguata,  condomini e attività produttive, seconde case per vacanze e abitazioni avite in semi-abbandono; queste ultime soprattutto nelle zone interne appenniniche, dove gli agglomerati edilizi storici impongono per ragioni tecniche interventi estesi talvolta ad interi isolati e fortemente sconsigliati invece su singole porzioni di fabbricati (uno dei problemi che rallenta la ricostruzione al centro di L’Aquila); non si può pensare di gestire una situazione così differenziata con strumenti semplici e di uso facoltativo, del tipo degli incentivi fiscali, ma non è chiaro chi abbia il coraggio di affrontare la frammentazione proprietaria con provvedimenti anche coattivi, quali consorzi obbligatori, espropri e permute, ed escludendo, anche nella prevenzione, le strade rivelatesi erronee per la ricostruzione (inefficienza e corruzioni a parte) nel Belice ed in Irpinia, del trasferimento degli abitanti in nuovi quartieri “moderni”, privi dell’identità storica e paesaggistica e dei connessi rapporti di vicinato.    
-           
NOTE
1 - personalmente rammento che agli inizi degli anni 70 (ai tempi del terremoto di Ancona) il prof. Duilio Benedetti, nel tentativo di ri-conciliare l’Istituto di Scienza delle Costruzioni del Politecnico di Milano con noi eversivi studenti di Architettura (un po’ eversivi e renitenti alle scienze esatte) ci coinvolse in una interessante ricerca sugli (enormi) costi necessari per il consolidamento statico del patrimonio edilizio di tutte le aree allora considerate a rischio sismico in Italia; ricerca sommaria che l’ing. Benedetti approfondì poi in parte su incarico del Ministero dei Lavori Pubblici, ma senza alcuna conseguenza operativa
2 - tranne l’ex ministro ”tecnico” Clini, del governo Monti, che si vanta di aver presentato (invano) nel 2012 un piano di spesa di 40 miliardi di € in 15 anni; oltre al programma del M5Stelle ho riletto il documento “Italia Bene Comune” di Bersani, e quello di “Scelta Civica con Monti” (socialmente vicino alle élites intellettuali) per le medesime elezioni del 2013, senza trovare elementi specifici; generiche litanie erano presenti pochi mesi dopo nelle mozioni congressuali del PD, concorrenti a quella di Renzi (Civati e Pittella), con un buon ragionamento preliminare solo in quella di Cuperlo (ma senza cifre e modalità di reperimento delle risorse); poche vaghe parole nel contemporaneo documento di Vendola per il congresso di Sinistra-Ecologia-Libertà; non ho speso tempo per consultare i programmi della Destra, che in materia si era già distinta abbastanza affossando ogni tentativo di obbligare i proprietari di casa a dotarsi del “libretto di fabbricato”.

Fonti:
  1. “URBANISTICA” N° 154 (nominalmente “luglio/dicembre 2014”, edita aprile 2016 – www.inuedizioni.com (a pagamento)
  2. Recensione di “Urbanistica” n° 154 su uesto blog di Aldo Vecchi “relativamente, sì” in  data 02-06-16  - aldomarcovecchi.blogspot.com
  3. Contributo dell’INU per Casa-Italia (slides) - www.inu.it
  4. Posizione di Enrico Rossi – facebook/EnricoRossi 29-08-2016
  5. Articoli di Giorgio Santilli e Alberto Quadrio Curzio su il Sole/24 ore del 26-08-16 e 07-09/16; Santlili su “Edilizia e Territorio” del 31-08-16 www.ilsole24ore.com e www.ediliziaeterritorio.it
  6. Posizione di Corrado Clini del 24-08-16 su www.l’inkiesta.it
  7. Articoli di Nicola Caputo  e Angelo De Mattia su l’Unità del 30-08-16 www.unita.it
  8. Blog di Andrea Bellelli 30/08/16 su www.ilfattoquotidiano.it
  9. Articolo di Giovanna Faggionato del 24/08/16 su www.lettera43.it
  10. Articolo di Antonio Scalari del 24/08/16 su www.valigiablu.it
  11. Programmi elettorali e mozioni congressuali, raccolti dall’autore sui siti web delle rispettive forze politiche e reperibili al momento della scrittura del presente articolo, altrimenti disponibili presso l’archivio dell’autore






2 commenti:

  1. Ciao,
    ----- sull'argomento non vengono dette alcune cose molto basic:
    1) Se l'edilizia e settori vicini sono considerati trainanti per l'economia anche per il loro alto contenuto di mano d'opera, lo sono ancora di più gli interventi di prevenzione sui disastri perché hanno un doppio effetto per lo Stato, diretto sul momento ma un secondo effetto sul risparmio futuro del non dover riparare le distruzioni.
    2) I fondi destinati alle infrastrutture, simili per tipologia, li trovo abbastanza discutibili ritenendo che dovrebbero essere destinati più ad una razionalizzazione dell'esistente. Attualmente occupano una grossa fetta del generale capitolo di spesa.
    3) Gli interventi di prevenzione hanno il vantaggio di "spalmare" i finanziamenti su tutto il territorio e non di centrali su poche iniziative e spesso in zone povere di favori politici.
    4) A naso affermerei, ma non credo di sbagliarmi, che la concentrazione di mano d'opera (ovverosia posti di lavoro) é più alta, a parità di spesa, nelle opere di dimensione più piccola rispetto ai megaprogetti con evidenti effetti su economia ed occupazione.
    5) Gli utili di impresa derivanti dal maggior numero di interventi che caratterizzano a parità di spesa la prevenzione, verrebbero spalmati su un maggior numero di imprese favorendone tra l'altro l'accrescimento della cultura costruttiva e non andando ad arricchire le solite mega imprese che in effetti bisognerebbe chiamarle appaltatrici.
    6) Le leggi di mercato insegnano che eliminando tendenzialmente un passaggio (il subappalto) si elimina un inutile aggravio di costi similmente a quanto accade in agricoltura per cui al contadino per un prodotto viene dato un tozzo di pane mentre al supermercato lo stesso prodotto raggiunge numeri da gioielliere.
    7) Probabilmente la mafia o i soliti furbetti avrebbero meno "tentazioni" se il valore della commessa fosse meno invitante Cantone permettendo.
    8) Gli interventi verrebbero decisi senza "distorsioni" poiché decisi sulla base della gravità, probabilità e platea interessata dell'intervento ovverosia non agirei soltanto sulle probabilità dell'intervento. Sarebbe interessante se qualche saggio si ponesse il problema su cosa sia preminente a titolo esemplificativo il recente terremoto in centro Italia o le case sulle pendici del Vesuvio ?
    9) Un argomento dal sapore decisionista nel senso che é duro da digerire ma che ritengo necessario ed improcrastinabile: come fa una casa senza struttura antisismica in Zona 1 (a solo titolo di esempio) ad essere considerata abitabile ? qualcuno me lo deve spiegare! Non ni pare che si aiuti qualcuno girando dall'altra parte del problema.Mi sembra duro ma corretto togliere l'abitabilità a tutte le case che sono esposte ad un rischio alto. Succederebbe una mezza rivoluzione ma calmati gli animi qualcuno si metterebbe in regola, qualcun altro non farebbe niente e lo Stato dovrebbe attendere serenamente che gli caschi il tetto in testa. Non mi sembra che le polizze assicurative di Monti siano la soluzione. Darwin non ha stabilito nessuna legge, ha soltanto preso atto di quanto avviene in natura anche per gli esseri umani anche se la Chiesa vorrebbe che attendessimo l'ultimo degli ultimi. Buoni si, ma non fino a quel punto. Per i privati che non hanno i soldi necessari, mutui a tasso 1% e, se non basta neanche questo, cessione della nuda proprietà. Se non basta neanche questo si rassegni alla vendita ad un prezzo di mercato di quello che é tecnicamente una "maceria" annunciata. Duro ma logico! Il buonismo figlio dell'ultra-democraticismo, non mi appartiene.

    Scusa la mancanza di ordine ma volevo soltanto dare spunti di riflessione.

    F.D.R.

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    1. Caro F,
      i Tuoi approfondimenti aprono altri enormi problemi.
      Tra l'1 il 7 mi pare che Tu abbia troppa fiducia nel "piccolo che è bello"; nella mi esperienza ho sempre avuto a che fare con appalti "piccoli", ma anche qui dilaga il sub-appalto (che l'Europa non vieta ma incentiva) e la qualità è affidata spesso alla sola buona volontà, nel senso che la normativa consente ai buoni di fare buone cose ed ai cattivi di farle cattive.
      Sia sulla struttura produttiva che sulla programmazione (Tuo punto 8) occorrerebbe un grande salto di qualità.
      Il Tuo punto 9 fa esplodere la "bomba", da me solo accennata, della responsabilizzazione dei proprietari, ricchi e poveri.
      Le soluzioni non le conosco, ma esplicitare i problemi può aiutare a trovarle meglio che nasconderli.
      Grazie per l'attenzione e per il contributo.
      Ciao
      Aldo

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