giovedì 28 settembre 2017

UTOPIA21 - SETTEMBRE 2017: LA FILOSOFIA DEI BENI COMUNI RAPPRESENTATA DA LAURA PENNACCHI



La dotta articolazione di una proposta di antropologia alternativa all’individualismo economicista come premessa ad un programma di politica economica neo-keynesiana.



Riassunto. L’Autrice muove dalle correnti più sociali dell’illuminismo (fraternité), dal personalismo cattolico e dal femminismo, mantenendo invece le distanze dal comunitarismo (sia identitario sia “bene-comunista”), per impostare una critica radicale al neo-liberismo ed al finanz-capitalismo, sia in termini filosofici, sia sul concreto campo della politica economica. Solo sullo sfondo il tema dei “beni comuni”, mentre mi pare rimossa ogni ricerca sui motivi del fallimento del socialismo reale e sulle ripercussioni psicologiche del suo crollo.



Laura Pennacchi (già parlamentare PDS e PD e sottosegretaria nel 1° governo Prodi) in “FILOSOFIA DEI BENI COMUNI. Crisi e primato della sfera pubblica” si occupa in realtà più di filosofia (e di macroeconomia) che di “beni comuni”.

L’operazione principale del suo testo infatti mi pare che consista nella ambiziosa ricerca di una antropologia (definibile come “personalista”), che si contrapponga al riduttivo utilitarismo dell’ “individuo” neo-liberista, e su cui fondare una teoria delle relazioni sociali, idonea a riqualificare la “sfera pubblica”  e rilanciare una politica economica neo-keynesiana.

A partire dalla riscoperta del filone piuttosto trascurato della “fraternità”, all’interno della triade illuminista con “libertà ed uguaglianza”, la Pennacchi propone una ricomposizione (fin troppo pacificata, a mio avviso) di molte altre diverse correnti di pensiero, dal personalismo cattolico al femminismo della “cura degli altri”, ed un superamento del razionalismo astratto per includere a pieno titolo intuizioni ed emozioni, sia nella fase cognitiva (cercando di risolvere d’incanto le più insolute problematiche filosofiche della modernità in poi), sia nella lettura dei comportamenti umani, individuali e collettivi.

“L’antinomia tra razionalismo (per cui la ragione è totalmente aliena dalla passione) e sentimentalismo (….) va, dunque, superata, e va  scoperto il ruolo epistemologico (…) che le emozioni svolgono nell’articolazione della ragione …” “l’Io quindi non è sostanza, ma relazione, esiste solo nella misura in cui si riferisce ad un Tu la cui esistenza, a sua volta, è data dalla parola con cui risveglia alla vita l’Io.”

In tal modo l’Autrice si contrappone frontalmente al neo-liberismo, cui imputa da un lato l’incapacità di comprendere (e quindi di regolare) tutti i fenomeni sociali di gratuità, dall’amicizia al volontariato, dal dono alla abnegazione sul lavoro di non pochi dipendenti pubblici (anche se mal pagati) e dall’altro le clamorose smentite in merito alla presunta cieca saggezza della “mano invisibile” del mercato, costituite da ripetute instabilità e crisi locali e da ultimo dalla grande crisi finanziaria ed economica quasi mondiale esplosa nel 2007 (di cui l’Autrice descrive modalità e perversioni, non molto diversamente dall’ormai classico “Finanz-capitalismo” di Luciano Gallino2,3).  

Meno sviluppate le demarcazioni che il testo traccia rispetto alle concezioni comunitariste, sia quelle abbarbicate alle identità locali e tradizionali, sia quelle protese alle mitologie “bene-comuniste” (su questo fronte mi è sembrato più chiaro ed esauriente Ermanno Vitale4, da me recensito su Utopia21 nell’ottobre 20165), così come contro i sostenitori del “reddito di cittadinanza”, cui la Pennacchi oppone sia la realtà variegata dei bisogni, sia l’alternativa del “lavoro di cittadinanza”.

Infatti mi pare che l’Autrice tenda più a rivitalizzare, nelle virtù civiche dei soggetti sociali e dei movimenti, la categoria dei beni pubblici, che non a distinguere da questi, approfondendone la natura, i cosiddetti beni comuni (vedi invece ad esempio Paolo Maddalena6 ); di cui per altro paventa giustamente i possibili rischi di uso non-inclusivo da parte delle comunità che si attivano attorno ad essi.

Nella parte finale la Pennacchi traccia una sorta di programma di politica economica per una uscita dalla crisi dell’Europa in direzione neo-keynesiana (simile al Piano per il Lavoro che la stessa Pennacchi ha suggerito alla CGIL nel 20137), attraverso un rilancio qualificato della spesa pubblica e la priorità ai “consumi collettivi” (come scuola, sanità e cultura) ed una non ben precisata attenzione ecologica.

Su siffatte proposte di uscita dalla crisi (pur sapendo che in giro c’è di peggio) mi permetto di ribadire le mie critiche riguardo a:

-          Scarsa credibilità di un uso tattico di un maggior debito pubblico, soprattutto da parte di paesi già super-indebitati, come l’Italia (e privi del peso imperiale degli U.S.A., che ha giovato comunque alle operazioni in deficit di Obama);

-          Forte difficoltà a mutare il segno della crescita rispetto agli squilibri sociali, come ha mostrato lo stesso limitato successo di Obama (minor disoccupazione ma bassi salari e  aumento delle disuguaglianze);

-          Subalternità culturale al mito della crescita permanente, senza una seria considerazione dei limiti oggettivi allo sviluppo, insiti nell’esaurimento tendenziale delle risorse e non solo nei problemi di clima ed energia;

-          Mancata riflessione sulla debolezza sostanziale delle proposte di intervento pubblico nell’economia, conseguenti al tramonto del “socialismo reale”, non solo, ma soprattutto della dimostrazione di una non-riformabilità del mondo socialista, sancita dalla sconfitta della linea di Gorbaciov: elementi che pesano tuttora nell’immaginario collettivo almeno quanto la attuale palese inefficienza e iniquità della globalizzazione neo-liberista.



Riguardo al modo di scrivere della Pennacchi, in questo testo risulta a mio avviso fin troppo trapuntato di citazioni, che l’Autrice utilizza per conferire autorità ai propri assunti, rischiando però di conseguire l’effetto contrario, cioè di apparire incerta nelle sue affermazioni, se privata dalle preziose fonti (che, per contrappasso, evito di citare).



Fonti:

1.    Laura Pennacchi “FILOSOFIA DEI BENI COMUNI. CRISI E PRIMATO DELLA SFERA PUBBLICA” - Donzelli editore, Roma 2012

2.    Luciano Gallino “FINANZ-CAPITALISMO” – Einaudi, Torino 2011

3.    Commento a “FINANZ-CAPITALISMO” su questo blog  PAG. I^ FILOSOFIA-SOCIOLOGIA-ECONOMIA

4.    Ermanno Vitale “CONTRO I BENI COMUNI – UNA CRITICA ILLUMINISTA” – Editori Laterza, Bari 2013

5.    Aldo Vecchi “ERMANNO VITALE: UN ILLUMINISTA CONTRO IL BENE-COMUNISMO” su UTOPIA21, Ottobre 2016 https://universauser.it/utopia21.html

6.    Paolo Maddalena “IL TERRITORIO BENE COMUNE DEGLI ITALIANI” Donzelli, Roma 2014

7.    CGIL “IL PIANO DEL LAVORO 2013” – www.cgil.it/admin_nv47t8g34/wp-content/.../Piano_Del_Lavoro_CGIL_gen13.pdf

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