Cosa sono divenute
“città” e “campagna”, in scenari di crescenti “metropolizzazioni”, ma molto
differenziati nei diversi continenti; quale è il saldo della impronta ecologica
di ogni porzione di territorio rispetto al resto del pianeta: a partire da
queste domande preliminari, il presente articolo (3^ parte) prosegue un
tentativo di rassegna critica sulle principali teorie in materia di
sostenibilità urbana, iniziata su UTOPIA21 di maggio 2017 e proseguita sul
numero di luglio.
Confermando una qualche
grossolanità dei confini tracciati nell’ambito dell’esame delle proposte in
campo in materia di “sostenibilità urbana”, la 1^ parte dell’articolo si è
dedicata alle teorie più generali e meno strettamente “disciplinari” e la 2^
parte ha iniziato ad affrontare le principali scuole degli urbanisti e dintorni.
Sempre con necessarie
approssimazioni, si è cercato di suddividere le posizioni esaminate nella 2^ e
3^ parte raggruppando nella 2^ quelle che – pur adeguate od aggiornate all’oggi
– sembrano affondare le loro radici nel
Novecento, assumendo quindi una certa qual “classicità”, e rinviando invece a
questa 3^ ed ultima puntata le proposte più attinenti ad un dibattito
“post-moderno” ed imperniato sulla crisi ecologica.
Nota: per una
panoramica più completa sul dibattito attuale in Italia su questi temi rimando
agli atti del convegno Urbanpromo del novembre 2016 presso la Triennale di
Milano1 ed ai cicli di incontri dal titolo CITTA’-BENE-COMUNE promossi
annualmente dal prof. Riboldazzi presso la Casa della Cultura di Milano dal 2013
2.
Riassunto:
l’urbanistica
riformista dai nuovi standard ecologici alla rigenerazione urbana
nuovi piani settoriali
e territoriali
l’esplorazione della
citta’ diffusa come premessa per nuove alternative
Stefano Boeri e i
grattacieli milanesi
Arturo Lanzani e il
governo dei flussi di usi dei suoli
“tactical urbanism” e
resilienza partecipata
bio-urbanistica a
faenza, di Ennio Nonni & c.
Figura 1
- METROPOLIZZAZIONE Aldo Vecchi 2010
Ai
confini della città metropolitana di Milano:
- a nord,
provincia di Varese
- a sud,
provincia di Milano (ora “Città
Metropolitana” di Milano)
Fonte:
Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Varese, 2006
L’URBANISTICA
RIFORMISTA DAI NUOVI STANDARD ECOLOGICI ALLA RIGENERAZIONE URBANA
Federico
Oliva, in quanto presidente dell’INU (fino al 2016), ha svolto considerazioni
analoghe a quelle di Campos Venuti 3, richiamate nel paragrafo
“Urbanistica riformista” (nella 2^ parte di questo articolo), in particolare
nella relazione introduttiva al 27° Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica,
Livorno 2011 4, mentre nel precedente 26° Congresso ad Ancona nel
2008 5 l’INU aveva promosso una larga integrazione delle tematiche
ambientali nel dibattito sulla pianificazione urbanistica e territoriale;
inoltre, con precedenti testi 6-7 e con le pubblicazioni sui piani
progettati, tra cui quello di Reggio Emilia del 2008, aveva assunto
frontalmente parte della tematica ecologica nella teoria e nella prassi dei
piani comunali urbanistici, proponendo una precisa gamma di densità edilizie
(per Reggio Emilia comprese tra 0,3 e 1,2 m3/m2 di densità territoriale) e formulando nuovi standard specifici di verde pubblico e privato (con
quantità minime di piantumazioni, arboree e arbustive), al fine di raggiungere
un equilibrio tra emissioni ed assorbimento di CO2.
Tali prescrizioni di
Oliva&C hanno il pregio di essere concrete e precise; però si pone il
dubbio se non comportino:
-
alcune semplificazioni
positivistiche (assumendo di fatto come costanti le variabili relative a
motorizzazione, modalità di trasporto, emissioni in atmosfera di case e veicoli);
-
qualche
sottovalutazione delle problematiche
o
del consumo di suolo,
perché non spingono a densità molto elevate (anche riguardo ai livelli
necessari per conseguire una efficienza del trasporto pubblico e per innescare
positivi effetti di multi-funzionalità e
vivacità urbana),
o
della rete ecologica,
perché tendono ad equiparare il verde urbano (pubblico, privato e condominiale)
al verde agro-forestale, sostenendo anzi che il verde urbano inquina meno di
certa agricoltura intensiva (e per giunta assistita). Ciò può essere vero oggi,
ma la continuità dei suoli agricoli extra-urbani dovrebbe essere considerato
come un valore positivo, paesaggistico ed ambientale (come il buio ed il
silenzio, necessari per valorizzare il suono e la luce) ed inoltre ‘un’altra
agricoltura è possibile’ (vedi gli esperimenti di “Terra madre” e di “Kilometro
zero”), per cui occorrerebbe conservare questi spazi come riserva strategica
per una possibile alternativa verso una relativa auto-sufficienza alimentare
alla globalizzazione, attualmente drogata dalla esternalizzazione dei costi
ambientali dei trasporti su terra e su mare; il che sembra più difficile (ma
forse non impossibile) a partire dal verde pubblico e condominiale.
Occorre
dare atto inoltre sia all’INU (congresso di Cagliari nel 2016 6) sia
allo stesso Oliva (ora direttore della rivista “Urbanistica”), di aver
ulteriormente elaborato le proprie posizioni, sia con qualche autocritica sul
modello di pianificazione emanato al Congresso di Bologna del 1995 (e
variamente applicato, ma anche distorto, dalle più attive amministrazioni
regionali) sia aprendo nuovi orizzonti culturali verso la “città resiliente” e
la rigenerazione urbana, senza tuttavia raggiungere ancora nuovi
assetti disciplinari altrettanto chiari e definite (vedi intervista dello
stesso Oliva alla presidente Viviani su URBANISTICA n° 155 8 - vedi
anche il tentativo di sistemazione “manualistica” di Stefano Boato su
Urbanistica Informazioni n° 269-270, dall’ambizioso titolo “come fare un nuovo
Piano Regolatore negli anni 2000”, con oggettivo orizzonte nel TriVeneto 9).
Lungo
questo percorso emergono altri possibili ”standard ecologici”, più adattabili
alla riqualificazione dei tessuti urbani al fine di migliorarne le prestazioni
eco-sistemiche (ciclo delle acque, micro-clima, qualità dell’aria) quali il
berlinese B.A.F. (Biotope Area Factor), che in sostanza persegue e quantifica,
con opportuni parametri, l’introduzione nell’edificato di nuove superfici
verdi, non solo in piena terra (ovunque é possibile, anche per restituire
permeabilità al suolo e maggiore bio-diversità), ma anche nelle coperture di
fabbricati ed autorimesse, e sulle pareti verticali. Similmente il B.A.F.Mo.
(BAF adattato a Modena) 10, il R.I.E. del comune di Bolzano
(orientato soprattutto verso le coperture vegetali) ed altre esperienze più
complesse da Malmoe (Svezia) e Seattle (U.S.A.).
|
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ABACO
DEL B.A.F. BERLINESE (tratto da Internet)
Analogo
procedimento parametrico, ma assai più raffinato perché riferito a tutti i
possibili ”servizi eco-sistemici” offerti dai suoli (qualità degli habitat,
sequestro del carbonio, trattenimento dell’acqua, purificazione dell’acqua,
protezione dall’erosione, impollinazione, produzione agricola), e finalizzato
ad una migliore specificazione delle Valutazioni Ambientali Strategiche per i
Piani comunali, è sperimentato da Salata e Giaimo nel progetto europeo
LIFE+SAM4CP 9, a partire dalle ricerche per il risparmio del consumo
di suolo.
La
parametrazione è ponderata attraverso valori monetari fittizi; anche altre
ricerche convergono su simili obiettivi e criteri (vedi rapporto ISPRA 2016 11
e convegno “Recuperiamo terreno” 12 e mio articolo su UTOPIA21
di ottobre 2016).
Il
“reinverdimento” dei lotti edificati ed il ruolo del verde nelle relazioni
eco-sistemiche, vengono altresì sperimentati in possibili “giochi combinatori”
con i più classici indici di edificabilità sul “mercato” delle procedure di
compensazione e mitigazione, talora anche con risvolti monetari (vedi Piani di
Trieste e di Reggio Emilia 2015) 12.
NUOVI PIANI SETTORIALI
E TERRITORIALI
Nel
contempo si elaborano nuovi Piani settoriali specifici per l’adattamento
climatico delle città ed i PAES – Piani di Azione per l’Energia Sostenibile –
ovvero “Patto dei Sindaci” per l’attuazione dell’obbiettivo europeo di
abbattimento dell’anidride carbonica denominato 20-20-20 (diminuzione delle
emissioni di CO2 del 20% entro il 2020): con
il rischio di esiti un po’ tecnocratici e settoriali (così come è spesso per i
progetti di riassetto idrogeologico); anche se la stessa Unione Europea ha
sancito, attraverso un pronunciamento formale dei ministri degli Stati membri
(dichiarazione di Toledo 2010 14, ad implementazione della Carta di
Lipsia del 200715) l’importanza di un approccio olistico e del
coinvolgimento attivo dei soggetti sociali nei processi auspicati di
rigenerazione urbana.
Vitillo
e Galluzzi 16 (siamo ancora nello Studio FOA, Federico Oliva
Associati), occupandosi di Palermo, definiscono la ‘rigenerazione’ come operazione
diversa dalla mera ‘riqualificazione’ fisica, proprio perché deve includere una
evoluzione delle attività di uso dei luoghi ed evidenziano che il passaggio
alla rigenerazione comporta il “disaccoppiamento tra crescita e sviluppo”,
sollecitando nuove forme di utilizzo economico delle risorse urbane variamente recuperate.
Ritengono
anche, con Bonfantini 17, che tra i piani urbanistici recenti stiano
già maturando nuovi paradigmi progettuali adeguati a queste problematiche (vedi
oltre: Lanzani).
Un approccio
discretamente olistico e spesso culturalmente assai ben articolato, e contenuti
potenzialmente utili al miglioramento di città e dintorni, mi pare mostrino
molti dei nuovi Piani Paesaggistici Regionali, in attuazione della specifica
direttiva europea, e spesso intrecciati ad opportuni aggiornamenti dei rispettivi
Piani Territoriali: il limite principale di questo livello di pianificazione,
così come quello espresso dalle martoriate Provincie, sta nella scarsa
efficacia che le norme emanate dalle stesse Regioni (e Provincie) conferiscono
ai propri Piani, lasciando troppo spesso eccessive autonomie ai Comuni in
materie che si rivelano troppo delicate per siffatte generalizzate deleghe e/o
disattenzioni.
(Di paesaggio intendo
occuparmi in successive uscite di UTOPIA21).
Lastricato di buone
intenzioni, ma totalmente ignorata dai mezzi di informazioni generalisti è
risultata anche la conferenza Habitat III, tenutasi a Quito nell’ottobre 2016,
sotto l’egida dell’ONU, 21 anni dopo la conferenza Habitat II di Instanbul, con
un significativo passaggio teorico dal “diritto alla casa” al “diritto alla
città” (e con significative divaricazioni tra posizioni neo-liberiste e
posizioni – o almeno declamazioni – più social-progressiste); pregevoli anche i
documenti presentati per conto dell’Italia (con la partecipazione dello stesso
I.N.U.); documenti per altro assai distanti dalle iniziative legislative e
amministrative quotidiane del governo italiano 18.
L’ESPLORAZIONE DELLA
CITTA’ DIFFUSA COME PREMESSA PER NUOVE ALTERNATIVE
Interessanti mi
sembrano i tentativi di esplorare e comprendere non solo in generale, ma
analiticamente e nel concreto, con strumenti adeguati e senza demonizzazioni,
le fattispecie della realtà metropolitana e della circostante “città diffusa”,
non per elogiarla acriticamente (alla maniera di Rem Koolhaas), ma per fondare
proposte alternative specifiche, da sottoporre al confronto con i soggetti
presenti in tali territori (vedi ad esempio in campo teorico i lavori del
Gruppo di Lavoro INU sulla ‘città diffusa’19).
Abbastanza
rappresentativo di tali attenzioni, sul versante più proclive a ‘lisciare il
pelo’ allo ‘stato di cose presente’ è il testo
“L’anticittà” di Stefano Boeri, del 2011 20, che, riprendendo precedenti scritti e ricerche, e con l’ambizione
di proporre radicali mutamenti dei punti di vista e di interpretazione della
realtà urbana, individua come “anticittà”
-
sia
i fenomeni di emarginazione ed antagonismo (anche illegale) di una periferia
che non è più “una cintura” bensì un “arcipelago”,
-
sia
le “presenze edilizie solitarie ed ammassate senza una logica evidente” di
villette, palazzine, capannoni, centri commerciali, disseminati nel territorio,
in un processo di “erosione”, “frammentazione”, “dissipazione” e “diluizione
delle relazioni urbane”: “un fiume che raccoglie in rivoli le energie vitali … e
le spinge verso l’individualismo e la frammentazione”.
Il
testo espone una ricognizione su vari e nuovi modi di lettura e interpretazione
del mondo attuale e in particolare della città europea, proponendo come:
-
osservare
(dall’alto, da mezza altezza, dal basso, in diagonale),
-
denominare
(città e periferia, confini e flussi, modi di abitare e coabitare),
-
fotografare
e narrare (per indizi, per campioni, per sequenze)
mirando
così a costruire e valorizzare “atlanti eclettici” :
“la
moltitudine si ricompone in un numero ridotto di figure spaziali introverse e
ripetute all’infinito, specializzate anche se ibride”, “razionalità settoriali
che condensano la moltitudine dei sussulti individuali”; “un arcipelago di
sottosistemi decisionali, protagonisti di una competizione orizzontale”.
Il testo, nel proporre
i nuovi punti di vista, mostra una costante e variamente motivata
insoddisfazione per il sapere consolidato (che a mio avviso nel frattempo si è
evoluto e non è rimasto poi così bi-dimensionale e zenitale come Boeri
racconta, dalla “forma della città” secondo Aldo Rossi alle applicazioni
terragne ed oblique di Google-earth, passando anche per i migliori piani
comunali e di area vasta), e talora banalizza il pensiero altrui (ad esempio
attribuendo a Manuel Castells una concezione dello ‘spazio dei flussi’ come
“liscio … supporto piano e orizzontale” che non ho trovato nei suoi testi,
molto attenti invece alle differenze locali e globali, ed a cui Boeri
contrappone l’esistenza di corrugazioni, muri e recinti, a mio avviso già ben
presenti in Castells 21,22 così come in Saskia Sassen 23).
Verso
la conclusione il testo assume ‘d’ufficio’ un punto di vista ambientale (criteri di sostenibilità pienamente
condivisibili, ma non desunti dal racconto dell’Anticittà) ed avanza una
serie di proposte praticabili, per valorizzare le spinte spontanee
dell’Anticittà (e riconciliarle alla
Città?), proposte denominate nell’insieme “urbanistica dei luoghi”, che si
articolano in:
-
promuovere
comunità locali di impresa,
-
sviluppare
la democrazia deliberativa dal basso, in nuovi municipi entro le aree
metropolitane,
-
produrre
e scambiare energia attraverso una rete di edifici virtuosi,
-
limitare
il consumo di suolo e valorizzare l‘agricoltura peri-urbana ed intra-urbana
come produttrice di alimenti e benessere,
-
trasformare
in vegetali parti minerali della città (tetti e muri verdi, boschi-in-città),
-
accettare
la rinaturalizzazione selvaggia di parte dei vuoti urbani (secondo le
intuizioni di Gilles Clément),
-
densificare
gli insediamenti se prossimi ai nodi del trasporto pubblico,
-
prevenire
l’abbandono di parti di città con una attiva politica immobiliare e di housing
sociale.
Si tratta di un paniere
di proposte in gran parte presenti negli altri testi esaminati in questa
rassegna, o comunque con essi compatibili: sfugge però in questa parte del testo
la peculiarità dell’asse politico-culturale avanzato da Boeri in relazione alle
premesse descrittive specifiche, ovvero al dualismo tra città ed anticittà ed
alla pretesa insufficienza delle altre scuole di pensiero.
STEFANO BOERI E I GRATTACIELI MILANESI
Figura
2 – IL “BOSCO VERTICALE” – MILANO, PORTA GARIBALDI
Divenuto
negli ultimi anni molto noto per il suo progetto dei grattacieli
“bosco-verticale” nel complesso di Milano Porta Nuova (che a mio avviso incarna in modo alquanto parziale e distorto le
“raccomandazioni” sopra riportate), Boeri si trova ora schierato – con le
idee e con le prime simulazioni progettuali 24– sul versante
“densificatore” del dibattito milanese relativo a cosa e quanto costruire sulle
consistenti e diffuse aree degli scali ferroviari dismessi, ove Boeri, con Cino
Zucchi ed altri (e con i promotori immobiliari del gruppo Ferrovie dello Stato)
sostiene la realizzazione quasi continua di case molto alte ai margini di un
“fiume verde” (con punti nodali con altre torri): contrari comitati e
professori “rarefatori”, tra cui l’urbanista Sergio Brenna 25 (vicino al sito Eddyburg), e chi
sostiene che forse tutto questo nuovo cemento a Milano non è necessario, che i
grattacieli non possono essere sparsi in tutta la città, che il “fiume verde”
con bordi così alti rischia di separare anziché integrare i quartieri limitrofi
e che l’operazione immobiliare dovrebbe soddisfare in loco tutti gli standard di
spazi pubblici (anche relativi al fabbisogno di parchi urbani) senza ancora una
volta monetizzarli ed esportarli verso l’esterno della metropoli.
Figura
3 -
SIMULAZIONE DEL RIUSO DEGLI SCALI FERROVIARI – MILANO 2017
Nel
concreto si tratta di applicare o meno (secondo Brenna scendendo di circa un
terzo) l’indice di densità territoriale
massimo previsto dal Piano di Governo del Territorio, che di 0,65 m2/m2 (cioè
circa 2 m3/m2 ovvero 200 abitanti/ettaro), ma con una fortissima concentrazione
della densità fondiaria (aree private), per poter conseguire l’effetto
“fiume-verde”.
Un esempio plastico del
confronto sulla sostenibilità di trasformazioni urbane più o meno dense (con
analogie al caso romano del nuovo Stadio-della-Roma, dove si è fermata
l’esperienza assessorile di Paolo Berdini – vedi parte 2^ di questo articolo),
che nel caso di Milano forse dovrebbe allargarsi ad un riesame più complessivo
del Piano comunale di Governo del Territorio e dell’ancora indefinito Piano per
la Città Metropolitana.
ARTURO LANZANI E IL
GOVERNO DEI FLUSSI DI USI DEI SUOLI
Arturo
Lanzani, già intervistato da UTOPIA21 nel numero di maggio 2017 a proposito del
risparmio del consumo di suolo, a partire dal
suo testo “CITTA’ TERRITORIO URBANISTICA TRA CRISI E CONTRAZIONE” 26,
in cui condensa anche le sue esperienze di paesaggista e di urbanista militante
nell’area brianzola, fonda le sue proposte di ri-generazione urbana sulla
analisi generale della fase di staticità (media) dei fabbisogni insediativi in
Europa e sul concreto manifestarsi, nei
diversi paesaggi europei e soprattutto italiani, di una diffusa coesistenza tra
nuove iniziative immobiliari (spesso su aree agricole fertili) e crescenti
porzioni di insediamenti dismessi o degradati; in un contesto di complessiva
valorizzazione di tutte le potenziali risorse patrimoniali (oggi sotto-utilizzate)
dei singoli territori e di potenziale chiusura in loco dei cicli ecologici
connessi alla sfera produttiva ed a quella sociale (con una lettura non lontana dalla “scuola territorialista”).
Lanzani
avanza alcuni suggerimenti di radicale riforma sugli enti locali (ridurre i
comuni da 8.000 a 1.000), sui piani di area vasta (cui affidare in esclusiva le
decisioni sulle poche aree da trasformare ancora in senso edilizio, per
necessità produttive e logistiche) e sulla fiscalità urbanistica (detassare
totalmente gli interventi di recupero e porre a carico dei pochi nuovi
interventi insediabili su aree verdi tutti i costi di bonifica e
rinaturalizzazione di equivalenti porzioni di aree dismesse, chiudendo quindi sistematicamente
i cicli ecologici dell’edilizia), mentre affida comunque ai piani comunali
compiti puntuali di ricucitura dei tessuti naturali, a grande maglia (corridoi
ecologici di valenza territoriale) e di più piccola maglia, associata alla cura
dei tessuti urbani e della rete degli spazi pubblici (richiamandosi, con le
dovute correzioni, agli insegnamenti di Bernardo Secchi sul “progetto di suolo”
come armatura urbana 25 ed alle intuizioni di Gigi Mazza sulla
permanenza delle “maglie territoriali” 26); con specificazione e
duttilità nelle normative per il patrimonio edilizio esistente, compreso quello
del secondo novecento, in modo tale da favorirne la riqualificazione, anche
senza ipotizzare sistematiche operazioni di demolizione e ricostruzione.
Il
risparmio del consumo di suolo quindi non si configura come un dogma
aprioristico né come un processo automatico di densificazione urbana (vedi invece oltre Nonni), bensì come un
processo di governo dei flussi nei cicli di uso e ri-uso dei suoli (con molta
attenzione anche ai possibili usi temporanei, con bonifiche anche solo parziali
– attenuando le severissime normative italiane in materia -), con attenzione
alla concretezza dei “nuovi paesaggi urbani” della città diffusa (in gioventù
studiati da Lanzani assieme a Boeri e a Edoardo Marini27) ed
apertura positiva verso il potenziale consolidamento di una “città diramata”, a
densità media anche piuttosto bassa, purchè innervata sul sistema dei trasporti
pubblici (e ,quindi senza nostalgie verso gli antichi poli urbani concentrici della
città compatta – vedi invece, più oltre,
Ennio Nonni).
Simile
l’orientamento di Carta e Lucchesi 28, che intendono ‘conferire
senso’ alla slabbrata situazione di “cantiere interrotto” a cui riconducono
l’insieme delle contradditorie forme assunte dai paesaggi italiani, tra
espansioni, crisi e degrado.
Del pensiero di Lanzani
non mi convince soprattutto il postulato che un riequilibrio dei flussi, tra
domanda di nuovi suoli insediabili e offerta di aree dismesse riutilizzabili
oppure ri-naturalizzabili, sia grosso modo possibile in tutte le variegate
situazioni del territorio italiano di oggi; inoltre, mentre le sue proposte
operative locali si dimostrano effettivamente praticabili (ed infatti tradotte
in Piani Comunali 29 oppure in Parchi Locali di Interesse
Sovracomunale, a Monza Desio e Seregno) le sue proposte legislative nazionali,
pur semplici e pregnanti, mi sembrano assai lontane dal recepimento nel quadro
politico che fino ad oggi conosciamo.
“TACTICAL URBANISM” E
RESILIENZA PARTECIPATA
La
tematica degli usi temporanei delle aree dismesse si collega anche alle
esperienze di numerose (ma forse
sopravvalutate) iniziative di
riappropriazione “dal basso” di spazi
urbani negli interstizi delle metropoli, per usi culturali (centri sociali) e
colturali (orti autogestiti, orti didattici), iniziative talora antagonistiche
e talora in collaborazione con le amministrazioni locali; su cui taluni autori
hanno fondato ambiziose teorie più generali quali il “tactical urbanism” 30,31,32,33.
Tali teorie (tattiche
alla ricerca di una strategia?) muovono
da recenti certezze da un lato sulla impossibilità di formulare previsioni
socio-economiche oltre il breve termine e d’altro lato sulla connessa inutilità
di Piani urbanistici che pretendano di definire le forme future della città;
però rischiano di privilegiare il presente ed il fattibile senza approfondire i
criteri di priorità e di valutazione delle scelte, cui eravamo abituati
mediante visioni di insieme, e prospettive di orizzonti anche non immediati
(insomma, solo l’uovo oggi, senza più nessuna gallina domani).
Sullo
sfondo matura inoltre anche l’ipotesi di una resilienza urbana più complessiva,
che vada al di là del mero adattamento oggettivo di edifici e strade ai
cambiamenti climatici ed agli eventi naturali eccezionali, e divenga capacità
di reazione e adeguamento soggettivo, possibile solo con il protagonismo degli
abitanti, assimilando così la rete urbana ad un organismo “vivente” e
applicandole (talora forzatamente)
concetti tipici delle scienze ecologiche.
BIO-URBANISTICA A
FAENZA, DI ENNIO NONNI & C.
Di
Ennio Nonni (dirigente del comune di Faenza) avevo già letto precedenti
interventi sulle riviste dell’INU e dintorni, apprezzando in particolare la sua
concretezza, legata all’esperienza militante di pubblico funzionario (simile alla mia, nel mio piccolo), e
però connessa ad una visione urbanistica di ampio respiro, che ha anticipato di
alcuni anni la tematica del risparmio del suolo, intrecciata con le
problematiche energetiche ed ambientali (infatti Nonni auto-cita suoi testi del
1990).
Ora,
con il volume “Biourbanistica – Energia
e Pianificazione” 34, Nonni (insieme ad importanti collaboratori) tenta
una sintesi più ambiziosa di tali percorsi nella pianificazione urbanistica ed
energetica della città romagnola, introducendo il concetto di
“bio-urbanistica”.
Come
afferma il Sindaco Giovanni Malpezzi nell’introduzione del testo, “quanto messo
in campo è il tentativo di evitare la semplificazione per cui se tutti isolano
la propria casa, la città sarà più sostenibile e più attrattiva” (tema su cui ho avuto occasione di
esercitarmi anch’io, sempre nel mio piccolo).
Il
testo esplica puntualmente le operazioni svolte dalla città di Faenza per
dotarsi di una peculiare pianificazione energetica, con analisi puntuale dei
tessuti edilizi (e – ad esempio –con ulteriore articolazione della classe
energetica “G” nazionale, la peggiore, in ulteriori 6 sotto-classi, per meglio
definire le condizioni e le azioni di intervento sui tessuti edilizi più datati
e più dissipatori di energia), affiancando tale ricerca (che mi è sembrata
accurata, ma non molto diversa da altri Piani Energetici Comunali), presentata
da Federica Drei (funzionaria comunale) e Massimo Alberti (ingegnere
consulente) con interessanti approfondimenti teorici di Alessandro Rogora e Matteo Clementi
(Politecnico di Milano), nonché Nicola Marzot (Architettura Ferrara), che
evidenziano le interrelazioni tra consumi energetici, microclima, tipologie edilizie
e morfologia urbana, mostrando come l’impostazione progettuale per la
riqualificazione energetico-ambientale della città esistente debba affrontare
olisticamente numerosi fattori anche conflittuali.
In
particolare, il saggio del prof. Rogora pone al centro dell’attenzione
(richiamando altri autori contemporanei, tra cui Sergio Los) il clima
dell’ambiente urbano esterno ai fabbricati, cercando di definirne, attraverso
un ampio excursus storico e geografico, una sorta di teoria generale alla
ricerca del miglior equilibrio tra compattezza urbana e
soleggiamento/ombreggiatura, particolarmente importante nelle fasce del globo a
clima temperato, dove gli spazi urbani esterni sono potenzialmente più vivibili
in modo sociale; l’Autore affronta le singole variabili: altitudine (assoluta e
relativa, in situazioni vallive), ventilazione (naturale ed indotta dagli
stessi insediamenti), acque superficiali, vegetazione ed alberature, in
correlazione con le opzioni tipologiche e morfologiche (ad esempio case a torre
e corti urbane alla maniera di Cerdà), ideali e reali, ed alle possibili
modifiche, sempre assumendo come unità minima l’aggregazione urbana (la strada
o la piazza) e non il singolo fabbricato.
(La parte analitica di
questo saggio mi appare illuminante e paragonabile alle lezioni del compianto
Gianfranco Caniggia 35,36 sulle regole basilari degli insediamenti,
in particolare riguardo ai crinali/versanti/fondovalle; un poco deludente è
forse la parte finale, dove le proposte operative per i Regolamenti Edilizi si
arenano su un meccanismo di punteggi,
poco gerarchizzato, per cercare di contemperare le diverse componenti
conflittuali della progettazione; d’altronde anche in Caniggia la parte
propositiva non è appagante come quella analitica).
L’intervento
di Nicola Marzot si sviluppa con analoghe finalità, focalizzandosi sulle
alternativa morfologiche per gli isolati urbani densi e sulla capacità degli
stessi di generare ombra e ventilazione, illustrata attraverso esempi recenti
di nuovi quartieri europei sorti (o progettati)
nel recupero di aree produttive dismesse.
Matteo
Clementi espone criteri di valutazione ambientale per la progettazione degli
interventi di trasformazione urbana impostati su un concetto di “sostenibilità
forte”, con calcolo sia delle emissioni di CO2 che dall’impronta ecologica
complessiva degli insediamenti, includendo tutto il ciclo dei consumi di
risorse indotti dallo “stile di vita” degli abitanti, esemplificato su una
ipotetica “persona media” di Faenza, e mostra l’incidenza di fattori come il
trasporto privato, che possono essere ridotti solo con la nuova organizzazione
di una città densa (e resiliente, citando ancora Sergio Los).
Nelle
parti redatte direttamente, Ennio Nonni espone una compiuta proposta di “nuova
urbanistica” che, marginalizzando le tecniche perequative (in quanto tipiche
dell’urbanistica espansiva), da cui riprende però compensazioni ed
incentivazioni, ed esaltando una seria valutazione ambientale (vedi sopra
Clementi), non ridotta alla santificazione ex-post delle scelte di piano (come di frequente purtroppo avviene),
affida in buona misura alla spontaneità dei singoli interventi (anche in
auto-costruzione) il conseguimento di una nuova bellezza ed attrattività della
città, attraverso l’imposizione di alcune fondamentali nuove regole e la
contestuale liberazione da alcune vecchie regole errate.
Limitandomi
alle indicazioni più originali (e dando per scontato quanto riguarda la
sicurezza sismica ed idrogeologica, il risparmio energetico, ecc.), segnalo:
- Recingere la città esistente con una
cintura verde invalicabile (con il valore iconico e quasi sacrale delle mura
medievali) e costringerla a crescere all’interno del recinto, soddisfacendo i
nuovi bisogni con il riuso delle aree dismesse e/o sotto-utilizzate;
- Riqualificare la campagna,
finalizzandola alla produzione alimentare per la città, e sopprimere anche con
incentivi di compensazione edilizia (in città) gli interventi edilizi sparsi,
incongrui e dissipatori di energia trasportistica;
- Favorire lo sviluppo degli orti
urbani e di ogni forma di gestione creativa delle aree verdi, pubbliche e
private;
- Consentire la densificazione
edilizia, sopprimendo gli obblighi di distanza tra fabbricati (restano però le
norme nazionali) e gli indici di densità edilizia, e indicando solo
allineamenti, altezze e coperture (nonché indici di permeabilità del suolo e di
piantumazione minima), facilitando e quasi imponendo nel contempo il mix
funzionale, soprattutto riguardo alle funzioni non residenziali nei piani terra
fronte strada;
- Sostituire le norme prescrittive con
obiettivi prestazionali, dinamizzando così la progettazione con incentivi qualitativi, premiando sia i
miglioramenti ambientali e sicuritari
(es. anti-sismici) sia quelli identitari
(arte e attrattività urbana);
- Generalizzare le alberature in tutte
le strade e rallentare il traffico con la compresenza di varie funzioni ed
utenze nelle aree stradali (senza specializzarle tra pedonali e veicolari,
queste pericolosamente e inutilmente veloci);
- Dare spazio all’arte ed ai creativi,
comunque attratti da una città compatta e vivace, e capaci di renderla ancor
più attrattiva.
Dall’insieme
di tali complesse politiche innovative, secondo Nonni, matura una sinergica
crescita della bellezza della città compatta e della qualità della vita, con
miglioramento energetico anche riguardo ad una minore e migliore mobilità.
Nonni
sostiene anche che i valori positivi insiti in queste scelte non sono
soggettività estetiche, ma opzioni auto-evidenti: “si preferisce vivere a Siena
o nella periferia nebulosa?” è per Nonni una sorta di domanda retorica.
Ed è qui che meno mi
convince. Perché a mio avviso è invece palese che non solo per una congiura di
immobiliaristi o di vetero-urbanisti, ma per una spontanea adesione degli
utenti, il modello della villetta continua a permanere come mito antropologico,
e non nascono facilmente nuove Siene.
(D’altronde non è
escluso che un tessuto di villette sia dotato di viali alberati e gradevoli
spazi pubblici, anche se restano tutti i problemi trasportistici e sociali
della bassa densità).
Non mi convince nemmeno
la densificazione delle espansioni novecentesche attuata a colpi di interventi
edilizi singoli, senza una pianificazione dettagliata di quartiere (anche come
guida ad eventuale auto-costruzione): probabilmente è anche necessaria una
potente leva finanziaria per acquisire immobili da demolire e/o accorpare e poi
rivendere/ri-assegnare .
Infine mi sembra un po’
meccanico associare strettamente la battaglia per limitare il consumo di suolo
con la delimitazione della città esistente (vedi invece sopra Lanzani): occorre
forse una pianificazione d’area vasta, fondata sui flussi delle aree
trasformabili, ma un po’ più flessibile, perché non ovunque coincidono la
domanda di nuovi insediamenti e l’offerta di aree dismesse o sottoutilizzate
(comprese le residenze del secondo dopoguerra).
Fonti:
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TERRITORIALE” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”,
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(registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure
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TATTICA. LA TEMPORANEITA’ NELLA PRATICA URBANISTICA” in atti del convegno “Tra
tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it
(registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure
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33.
Valeria Lingua “FROM TACTICS TO STRATEGIES AND BACK: REGIONAL DESIGN PRACTICES
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(registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure
in https://issuu.com/planumnet/docs/fra_tattica_e_strategia_atti_confer/8
34.
Ennio Nonni ed altri “BIO-URBANISTICA – ENERGIA E PIANIFICAZIONE” Comune di
Faenza/Tipografia Valgimigli, Faenza 2013 (progetto Europeo EnSURE, Energy
Saving in Urban Quarters trough Rehabilitation and New Ways of Energy Supply)
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Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei
“LETTURA DELL’EDILIZIA DI BASE” Marsilio, Padova 1979
36.
Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei
“IL PROGETTO NELL’EDILIZIA DI BASE” Marsilio, Padova 1984
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