mercoledì 11 luglio 2018

UTOPIA21 - LUGLIO 2018: CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON FRANCO PARACCHINI SULLE VICENDE DELLA TEMATEX E DELLA COMECOR DI VERGIATE



                                                           
PER LE IMMAGINI VEDI IL SITO DI "UTOPIA21"
                                      www.universauser.it

Dalle lotte per la difesa dei posti di lavoro, minacciati dalle ripetute crisi aziendali (1971 e 1981), alla esperienza originale, per la nostra zona, della formazione di una cooperativa di produzione metalmeccanica, attiva dal 1985 al 2017, tra successi e difficoltà. Ne parliamo con uno dei principali protagonisti.

Sommario:
-       Profilo biografico dell’intervistato
-       La Tematex dal 1957 nel tessuto produttivo tra Sesto Calende e Vergiate
-       La crisi della Tematex nel 1971, le lotte e l’occupazione dello stabilimento
-       L’intervento delle Partecipazioni Statali
-       La crisi del 1981 ed il disimpegno dell’ENI
-   La formazione della Cooperativa COMECOR, ancora nel settore meccano-tessile: spinte ideali e occasioni concrete
-       La diversificazione produttiva e l’incorporazione della OMEC
-   Alterni rapporti con il sistema cooperativo e con gli altri soggetti economici ed istituzionali
-       L’impatto con la “grande crisi” degli ultimi anni e la liquidazione della Comecor
-  Valutazioni sugli aspetti gestionali, organizzativi e soggettivi dell’esperienza di autogestione

PROFILO BIOGRAFIOC DI FRANCO PARACCHINI
Nato a Castelletto sopra Ticino (Novara) nel 1951, diplomato all’ITIS “Leonardo da Vinci” di Borgomanero, ha lavorato dal 1974 alla Tematex di Vergiate. Dopo la crisi aziendale del 1981 ha vissuto l’intera vicenda della Cooperativa COMECOR di Vergiate in qualità di impiegato con funzioni direttive e di amministratore, ricoprendo anche le cariche di Presidente e poi di Presidente Onorario. 
E’ stato consigliere comunale e assessore all’Urbanistica nel Comune di Castelletto s/Ticino e consigliere e assessore della Provincia di Novara, prima al Territorio (1996-2000) e poi all'Ambiente (2005-2009), nonché consigliere ed amministratore di organismi sovracomunali (Consorzio Parco Ticino, Consorzio Medio Novarese per i rifiuti, Consorzio acque Reflue del basso Verbano).

PREMESSA: in un territorio già fortemente industrializzato nella prima metà del novecento, tra Sesto Calende e Vergiate la Tematex, con circa 300 operai nel settore delle macchine tessili, era sorta nel 1957 ed insediata in uno dei vari stabilimenti dismessi dalla SIAI-Marchetti, a monte dell’attuale casello autostradale (SIAI che era arrivata nella 2^ guerra mondiale a gestire una dozzina di fabbriche, non solo attorno a Sesto, ma anche in Piemonte, fino a Borgomanero ed Intra).

D. La crisi della Tematex nel 1971 derivava da problemi economici generali dopo l’espansione degli anni ’60, da una contrazione del settore meccano-tessile oppure da particolari condizioni aziendali?

R. La Tematex  ha vissuto 2 momenti di crisi: il primo, nel 71 quando era ancora un'azienda privata, aveva avuto successo soprattutto grazie all’interscambio con i paesi dell’Est europeo ed in particolare con l’allora Cecoslovacchia, alla quale forniva macchinario tessile in cambio di macchine utensili. La crisi aveva origini essenzialmente finanziarie. La lotta sindacale fu sostanzialmente in difesa dei posti di lavoro, con tanto di occupazione della fabbrica durata 40 giorni, e fu vincente perché si risolse con un intervento pubblico. L’azienda infatti, fu acquisita dal gruppo EGAM e successivamente passò nel comparto meccano-tessile dell’Eni: un settore che era ancora in fase espansiva. La seconda crisi intervenne dieci anni più tardi, ma di fatto fu fatale per la continuità produttiva ed occupazionale, nonostante sei mesi di lotte sindacali, comprendenti tentativi di ristrutturazione e/o riconversione.

D. Nella lotta per la difesa dei posti di lavoro alla Tematex emersero tratti specifici, rispetto alla storia sindacale in zona e rispetto ai movimenti radicali di quegli anni, non solo nelle fabbriche?

R. Dal punta di vista sindacale, per come si determinarono le forme di lotta, la vertenza del 1971 fu una novità assoluta, e non solamente nel contesto locale. Occupazione della fabbrica, presidi permanenti, coinvolgimento degli enti locali, delle parrocchie, dei rappresentanti istituzionali oltre che dei partiti politici, manifestazioni pubbliche per sensibilizzare i cittadini, incontri in sedi ministeriali, furono considerate un vero e proprio modello che poi venne seguito da molte altre realtà.




Figura 1 – La Tematex occupata nel 1971


D. E la seconda crisi, nel 1981?

R. La seconda crisi vissuta dalla Tematex, invece, fu conseguente alle difficoltà venutasi a creare nel settore meccano-tessile e più in generale nel settore industriale di quel periodo, sia per progressiva saturazione del mercato di riferimento, sia per una discutibile gestione industriale e politica del gruppo Eni-Savio. La fabbrica, come nel 71, venne occupata dai lavoratori, ma i 6 mesi di lotta non riuscirono a impedirne la chiusura.
In questo caso, nonostante tutte le iniziative, le assemblee, le manifestazioni (Milano Roma Genova Pordenone) e gli incontri con i sindaci di Vergiate e dei paesi limitrofi, con i consiglieri e/o assessori regionali, con i parlamentari, ai ministeri ed i confronti con la dirigenza del gruppo Eni-Savio, rimase la scelta di chiudere la Tematex, ufficialmente in una logica di ristrutturazione del settore, secondo le direzioni aziendali, ma più verosimilmente - secondo le nostre valutazioni - per ragioni politiche. (Vergiate anello debole anche sindacalmente, pur in un contesto di coordinamento sindacale, rispetto a Genova, Imola, Pordenone e Firenze: le altre sedi del gruppo)
Le diversità rispetto alla precedente crisi aziendale per quanto riguarda la vertenza sindacale furono molte, aldilà delle simili iniziali forma di lotta.
Innanzitutto ci fu la capacità del Consiglio di Fabbrica e di alcuni tecnici di elaborare un piano di ristrutturazione, che se fosse stato preso in considerazione avrebbe garantito la permanenza di una unità produttiva nel settore delle macchine tessili, pur con un previsto sacrificio occupazionale. In seguito ci fu la gestione della mobilità di una parte dei lavoratori in alcune società dell’Eni (AGIP, SNAM di Rho e San Donato milanese) ed altri nel gruppo Agusta, poi per altri lavoratori furono contrattate le dimissioni a fronte di incentivi. Di fatto quasi nessuno degli oltre 300 dipendenti rimase senza lavoro.

D. Perché negli esiti della vertenza comparve l’ipotesi di una gestione cooperativa di una parte degli impianti, seppur limitati al capannone più recente, localizzato a Corgeno (frazione di Vergiate)?

R. Falliti anche i tentativi di cessione dello stabilimento ad imprenditori privati, un gruppo di noi (tra i più sindacalizzati, già componenti del CdF ed in maggioranza iscritti e/o simpatizzanti del Partito Comunista Italiano) si costituì in comitato promotore. Dopo aver scartato l’ipotesi di una cooperativa nel settore della manutenzione del verde (iniziativa ripresa anni dopo da un nostro socio fondatore), con l’obiettivo sempre rivendicato di mantenere in Vergiate almeno una unità produttiva, si manifestò alla direzione l’intenzione di realizzare una cooperativa finalizzata alla costruzione dell’ultima macchina rimasta nella gamma delle macchine di preparazione alla filatura tra quelle che produceva la Tematex (la macchina a strappo). La stessa era stata recentemente riprogettata ed aveva un discreto mercato (ritenuto però dalla direzione Eni-Savio non sufficiente dal punto di vista della necessaria massa critica per poterlo inserire, in equilibrio tra costi e ricavi, nella filiera produttiva della stabilimento di Imola). Infatti nello stabilimento di montaggio (quello di Corgeno) si stavano completando, a distanza di oltre 2 anni dalla chiusura dello stabilimento di Vergiate, le ultime code produttive della gestione Tematex e quindi 4 dei nostri futuri soci, che già operavano lì a tempo pieno, sulla base della loro conoscenza e competenza, ci suggerirono di insistere nella direzione indicata dal gruppo promotore, costituitosi circa un anno prima, e di dar vita alla Cooperativa Comecor.

i soci fondatori

Figura 2 - I soci fondatori della COMECOR


D. Puoi riassumere la vicenda della fondazione della CO.ME.COR. (Cooperativa Meccanica Corgeno)? C’erano fattori esterni favorevoli a tale scelta, di tipo ideale (autogestione, socialismo, ruolo dirigente della classe operaia) oppure di carattere pratico (aiuti, commesse, sostegno organizzativo)?

R. Personalmente mi occupai delle premesse e successivamente delle procedure costitutive con il supporto di Legacoop Lombardia (alla quale poi Comecor aderì), in particolare con l’associazione delle Coop di produzione e lavoro con sede a Milano (a Varese purtroppo non esisteva una struttura specifica di riferimento per le Coop di lavoro). Con la consulenza ed il supporto di un bravo funzionario, Osvaldo Meazza (deceduto prematuramente), decidemmo di elaborare un piano di fattibilità per verificare a quali condizioni preliminari la cooperativa avrebbe potuto avviare l’attività. Allo scopo fu richiesta ed ottenuta la disponibilità della direzione Cognetex di Imola (gruppo Eni-Savio), nostro potenziale cliente di destinazione delle macchine a strappo (MSC), di supportare il gruppo promotore nella elaborazione del suddetto piano di fattibilità. La Cognetex mise a disposizione due tecnici che, assieme ai nostri soci più tecnicamente qualificati, per circa un anno lavorarono all’analisi tecnica/economica dei componenti della produzione, ivi compresi gli spazi fisici, gli impianti ed i macchinari necessari. Al termine di questo complesso lavoro di elaborazione dei dati, verificata la possibile fattibilità, ci fu la trattativa vera e propria con la controparte/cliente, che sfociò nella sottoscrizione di una lettera d’intenti. Il contratto vero e proprio fu poi sottoscritto dalle parti subito dopo la costituzione della Comecor, che avvenne l’8 ottobre del 1985. La trattativa comprese e definì il numero iniziale dei lavoratori ex Tematex impiegati (11) e le rispettive buonuscite (messe dai soci nel capitale sociale), i macchinari e gli arredi per attrezzare l’officina ed i rispettivi costi. Lo stesso contratto prevedeva la fornitura da parte di Comecor di 12 macchine tessili all’anno per 3 anni. La realizzazione doveva avvenire su disegni e distinte del cliente (la Cognetex di Imola) che si riservava il collaudo funzionale a fine montaggio. Naturalmente l’attività si avviò gradualmente, a partire dai primi di novembre dell’85, con le code di montaggio. Nella primavera dell’86 iniziò l’attività complessiva (costruzione e montaggio), dopo aver trasferito i macchinari e le attrezzature necessarie da Vergiate a Corgeno in una parte dello stabilimento (circa 2000 mq), concesso in comodato gratuito. Vennero poi assunti un’impiegata amministrativa ed un operaio ex Tematex (non interessato ad associarsi) specializzato nella conduzione di un centro di lavoro a controllo numerico (uno dei macchinari più importanti). Per la gestione fiscale, paghe, contributi e bilancio ci appoggiammo inizialmente allo studio Colombo di Sesto Calende, che - attraverso il titolare (Andrea, anch’egli purtroppo scomparso) - svolse un importante supporto di consulenza anche nelle fasi di definizione degli accordi contrattuali. Per l’assistenza tecnica e per la manutenzione, inizialmente, pur senza far parte della Coop, ci diedero un valido supporto a tempo perso alcuni nostri colleghi della Tematex. Successivamente grazie al ricorso ed ai benefici della legge Marcora, nata proprio nello stesso anno di fondazione della Comecor e che aveva come finalità far nascere cooperative tra lavoratori di aziende in crisi, ottenemmo il finanziamento necessario per acquistare il capannone ed i macchinari. Nei primi sette anni di vita l’attività andò meglio delle previsioni. Infatti il numero di macchine richieste e prodotte dapprima raddoppiò e poi triplicò. Questa situazione, se da un lato permise una crescita del fatturato, degli utili, dell’occupazione (altri 3 dipendenti ex Tematex entrarono in Coop) ed un miglioramento delle condizioni economiche dei soci e dei dipendenti (furono possibili aumenti di stipendio, remunerazione del capitale sociale, gite sociali aperte anche ai famigliari), rese complicato e debole il ricorso alla necessaria diversificazione produttiva. Infatti il venir meno delle commesse della Cognetex di Imola, che rappresentavano 80% circa del fatturato, misero la Comecor in difficoltà. La ragione principale della perdita di questo fondamentale cliente fu la decisone governativa di privatizzare tutte le aziende del gruppo Eni –Savio, con la conseguenza che il privato che acquistò la Cognetex (la Sant’Andrea di Novara) non scelse di decentrare la produzione delle macchine a strappo. Di fatto per la Comecor cessò l’operatività nel settore.

D. Da allora avete cercato di diversificare la Vostra produzione?

R. Nel tentativo di ricercare alternative ci imbarcammo in una iniziativa sponsorizzata da un funzionario di Legacoop, che purtroppo si rivelò disastrosa. La Coop di Cremona (una carpenteria), con la quale avremmo dovuto in partnership costruire macchine per la produzione dei pannolini, era di fatto in mano ad un personaggio che avrebbe dovuto svolgere il ruolo del tecnico commerciale, ma si rivelò assolutamente inaffidabile e deleterio per entrambe le realtà. In particolare trascinò la Coop di Cremona al fallimento e la Comecor si salvò grazie alla solidità patrimoniale ed alla tempestiva uscita dal legame societario in cui ci eravamo infilati. Non senza sacrifici anche in capo ai soci, ci ricollocammo nel mercato più generale delle lavorazione meccaniche conto terzi, senza tuttavia rinunciare alla ricerca di produzioni più complesse, ma da quel momento dovemmo rinunciare a tutta una serie di benefici individuali. Iniziarono da allora tutta una serie di iniziative in diversi settori. In particolare nel settore delle macchine per materie plastiche, nel settore siderurgico e delle macchine del settore ceramico. In seguito acquistammo i brevetti della ditta Ferrari di Borgoticino, che realizzava presse per tintoria, ma il cui mercato, sufficientemente remunerativo, purtroppo non andò oltre le forniture al gruppo Golden Lady, nonostante le innovazioni effettuate dal nostro tecnico progettista. Questa nuova opportunità ci indusse, per ragioni commerciali, a promuovere una brochure per reclamizzare meglio i nuovi prodotti e le caratteristiche della nostra officina meccanica, inserendo nella carta intestata della ditta il logo Presse Ferrari, ed a partecipare ad alcune fiere del settore. Un’altra iniziativa fu l’avvio della produzione delle pompe dosatrici: un’esperienza completamente nuova nel campo della lavorazione dell‘acciaio inox su un progetto della nascente Tecnofluss. L’iniziativa servì sicuramente come esperienza, ma non ebbe riscontro positivo dal punto di vista economico. Si consolidarono invece nel tempo i rapporti con due principali clienti: la Siti di Marano Ticino (settore impianti per l’industria ceramica), concorrente della Sacmi di Imola. (Questa era la più grande cooperativa metalmeccanica italiana con un mercato a livello mondiale, aderente a Legacoop, della quale, nonostante numerosi tentativi, non siamo mai riusciti a divenire fornitori). E la Amut (settore impianti per materie plastiche) di Novara, che per molti anni costituirono lo zoccolo duro del fatturato.

Image0001

Figura 3 – l’interno della COMECOR

D. Siete così arrivati al secolo 21° ….

R. Nel 2002 uno sviluppo importante fu l’acquisizione del ramo d’azienda della Omec srl di Landoni, un’azienda nostra fornitrice, con sede a poca distanza dal ns. capannone, che operava nel settore della carpenteria meccanica leggera . Una operazione che nei convegni di Legacoop andava sotto l’impegnativa definizione inglese “workers buyout”, la cessione dell’azienda da parte di un imprenditore senza eredi ai lavoratori della stessa. In effetti si trattò di un acquisto da parte della cooperativa, ma ai lavoratori della Omec venne offerta la possibilità di entrare in Comecor come soci. Alcuni di loro accettarono la proposta perché fu loro offerta la possibilità di acquistare, a metà del valore, le quote di capitale sociale dalla CFI (Compagnia Finanziaria Italiana). La stessa, in virtù dell’applicazione della legge Marcora, partecipava dall’87, in qualità di socio finanziatore alla ns. Coop, con una quota del valore di 3 volte il capitale dei soci/lavoratori Comecor e proprio in quella circostanza aveva deciso di dismettere la sua partecipazione. La Omec, che operava prevalentemente nel settore ferroviario (in particolare nella realizzazione dei componenti e delle porte dei treni e degli autobus) continuò per i tre anni successivi ad operare nel capannone di proprietà del sig. Landoni, al quale la Comecor pagava l’affitto. Lo stesso sig. Landoni partecipò in qualità di socio sovventore alla compagine Coop ed affiancò un nostro socio nella direzione dell’officina fino al 2005, quando venne deciso di accorpare nello stabilimento di proprietà della Comecor anche il reparto carpenteria. Con l’occasione, ed in conseguenza di una modifica statutaria, al logo aziendale tradizionale venne affiancato quello della Omec e venne leggermente modificata anche la dicitura che divenne C. Omec.or società cooperativa.

http://www.comecorcoop.com/res/default/clip_image0011.png

Figura 4 – Il nuovo logo Comecor

D. Ma poi è arrivata la “grande crisi” (che – paradossalmente - invece ha spinto altri lavoratori in lotta a tentare nuove esperienze di autogestione)?

R. La scelta di strategia industriale che nei primi anni dopo l’acquisizione della Omec si era dimostrata positiva, purtroppo dal 2005 risentì gradualmente degli effetti della grave crisi industriale e finanziaria che colpì il nostro paese e non solo il nostro settore in particolare. Ciò determinò varie problematiche organizzative, finanziarie ed occupazionali (mancati pagamenti da parte dei clienti, riduzioni delle commesse, cassa integrazione, riduzione del personale, difficoltà nei rapporti tra i nuovi soci, ecc). Le difficoltà si trascinarono per l’intero decennio successivo. Solamente il ricorso alla Cassa Integrazione e la buona patrimonializzazione della Coop, dovuta alle riserve accumulate negli anni precedenti, consentirono di proseguire un’attività sempre più ridotta e senza la possibilità di ulteriori investimenti che si erano resi necessari, sia per la sostituzione dei macchinari ormai obsoleti, sia per l’acquisto di nuovi e più moderni strumenti di lavoro. Accanto a queste difficoltà si evidenziarono carenze nella direzione aziendale, che comportarono negli ultimi anni un distacco dei soci dai principi di solidarietà e di spirito di servizio che avevano caratterizzato la nascita della cooperativa. Il pensionamento di tutti i soci fondatori (rimasti nella compagine sociale, ma solo come soci sovventori senza ruoli operativi), le dimissioni di diversi soci/lavoratori per le difficoltà finanziare intervenute (mancato pagamento degli stipendi), ed il venir meno del rapporto di fiducia nel futuro della società, costrinsero di fatto l‘esigua compagine rimasta (6 addetti) ad optare per la messa in liquidazione della Coop, dopo aver verificato l’impossibilità di alternative produttive e dopo aver riscontrato l’interesse di una impresa con sede confinante con la proprietà Comecor ad acquisire il capannone . Da qui a fine 2017 la chiusura definitiva dell’attività, dopo aver venduto tutti i macchinari e le attrezzature presenti e saldato positivamente tutte le pendenze aperte.

D.  Liberarsi dal ‘padrone’ poteva sembrare un’utopia praticabile? La scelta personale di assumere un ruolo imprenditoriale (anziché cercarvi un altro lavoro salariato) l’avete vissuta come un azzardo?

R. Credo che per molti di noi la scelta di formare una Coop fu il tentativo di uscire dalla condizione di lavoratore dipendente, dopo aver vissuto in Tematex, anche nella gestione pubblica, un’altra esperienza negativa. Una scelta consapevole che per le condizioni economiche individuali e per la condivisione degli ideali politici non poteva che essere quella di diventare imprenditori collettivi.

D. Il movimento cooperativo in Italia era tradizionalmente forte nei settori agro-alimentare, edilizio e nella distribuzione commerciale (più tardi anche in servizi, assicurazioni e finanza); molto meno nel manifatturiero. Vi sentivate un po’ isolati (“il socialismo in una sola carpenteria”) oppure in realtà ci sono state altre valide esperienze cooperative anche in questi settori? C’erano dei “modelli” esterni che furono presi in considerazione? E che relazioni furono stabilite con altre esperienze similari? Si ravvisò l’esigenza di sostegni di qualche natura, da parte delle istituzioni o da forme associative?   Quali sono stati, in questi decenni, i rapporti con gli altri soggetti esterni (comunità locale, movimento cooperativo, sindacati e partiti, istituzioni)?

R. Come già ho detto, oltre alla solidarietà politica tra i promotori, ci fu indubbiamente una disponibilità della dirigenza del gruppo Eni-Savio a favorire la nascita della Coop, probabilmente con un duplice obiettivo. Chiudere definitivamente la lunga vertenza sindacale e rendere attuabile una legge dello stato (legge Marcora). Il ruolo del movimento Coop si rivelò positivo particolarmente nella fase di preparazione e formazione della Coop. Sicuramente la debole presenza di Coop nel settore manifatturiero nel contesto provinciale e regionale, diversamente che in Emilia Romagna, al di là delle affermazioni di principio nei congressi e nei convegni della Legacoop su “reti, aggregazioni, integrazioni”, non ha mai prodotto risultati concreti. Meglio hanno funzionato gli strumenti finanziari del sistema Coop ai quali la Comecor ha sempre partecipato e dei quali ha tratto relativi benefici. Ci sono stati alcuni tentativi di approccio con altre Coop del settore metalmeccanico sia Lombardo che di altre regioni (Emilia Toscana Liguria), ma senza conseguenze significative, se si esclude qualche marginale rapporto di fornitura con la Frigorcoop di Sesto Calende e con una Coop emiliana.  Per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni locali vi è stato un buon rapporto con il Comune di Vergiate ed in particolare con l’amministrazione Mozzini, che dopo la chiusura si era fatta carico del recupero dell’intera area Tematex di Corgeno e della sua destinazione alle varie aziende interessate all’acquisto. Abbiamo partecipato a diversi bandi di finanziamento della Regione Lombardia ottenendo qualche contributo, fino a quando anche queste forme di sostegno regionali vennero sospese.

D. Il nome COMECOR che riecheggia COMECON (l’area economica comune che allora Collegava l’Unione Sovietica con gli altri paesi del blocco comunista) implicava un giudizio ancora positivo sulla ‘spinta propulsiva’ della rivoluzione del 1917?

R. L’acronimo Comecor fu attribuito dopo un discreto dibattito. Da un lato alcuni di noi avrebbero preferito farlo derivare più marcatamente dal più completo nome Cooperativa Meccanica Corgeno, ma la maggioranza, preoccupata della possibile discriminazione politica, decise per il più asettico Costruzioni Meccaniche Corgeno. La minoranza si adeguò accontentandosi del richiamo al nome del più famoso ente commerciale dell’Unione Sovietica, non ancora caduta in disgrazia.

D. Rispetto alla conduzione padronale, la produzione autogestita si profilò in termini di continuità oppure con importanti discontinuità riguardo al tipo di produzione, alla divisione del lavoro, alle condizioni dei soci e di quella dei lavoratori dipendenti (salari, orari, ritmi di lavoro), ai rapporti con i mercati (fornitori, clienti, banche)?

R. L’organizzazione del lavoro, con le dovute distinzioni, aveva dei punti in comune con quella della Tematex, d’altra parte inevitabilmente la nostra esperienza veniva da lì. Inizialmente anche stipendi ed orari di lavoro furono gli stessi di quelli praticati dall’azienda madre, successivamente venne adottato un contratto delle aziende metalmeccaniche Coop, che però non si differenziava molto da quello della Confindustria. Per quanto concerne i rapporti commerciali, essi si basavano sulla trattativa privata come per qualsiasi altra attività, mentre per i rapporti bancari come riferimento esistevano accordi quadro tra il sistema bancario e le Coop, anche se spesso erano migliori i rapporti stabiliti direttamente con gli sportelli locali.

D. Come funzionava la governance interna? Quale ruolo avevano i dirigenti e i soci e quali i dipendenti? Vista oggi, si possono rilevare deficit nella gestione? Si potevano praticare altre scelte? Da quali cause è dipesa principalmente la chiusura, seppur non traumatica, della Vostra esperienza?

R. Con riferimento alla funzione operativa non esisteva la qualifica di dirigente: i livelli più alti erano quelli di impiegato con funzioni dirigenziali. Esistevano comunque diversi livelli di qualifica e retribuzione contrattuale anche tra gli operai. Per quanto riguarda la parte amministrativa, si faceva riferimento allo statuto che prevedeva tra l’altro, che ogni 3 anni l’Assemblea nominasse un Consiglio di Amministrazione, un Presidente ed un Vice. Sostanzialmente Presidente e Vice, per quasi l’intera vita della Comecor, sono stati anche una sorta di esecutivo del CdA ed hanno svolto anche il ruolo tecnico commerciale e finanziario amministrativo per la parte operativa. Sicuramente sono stati commessi diversi errori di valutazione nelle scelte operative (investimenti, fornitori, clienti), ma soprattutto su alcune figure professionali, sia con funzioni direttive sia operaie. Quanto questi errori abbiano influito sulla chiusura dell’attività, rispetto alla crisi generale che ha investito l’industria in generale, non è facile da stabilire.

D. Si può ipotizzare un legame di memoria inter-generazionale tra la Vostra autogestione e le vicende più remote della Vetreria di Sesto e meno remote del Consiglio di Gestione che affrontò lo smantellamento e la riconversione del gigantesco apparato industrial-militare della SIAI Marchetti nel 1945?

R. Credo di no.

D. In Tematex e Comecor hai trascorso gran parte della Tua vita professionale, come tecnico e come manager, come socio e come Presidente, infine “onorario” (anche se le Tue esperienze di consigliere e assessore, sia comunale che provinciale, e di vita di partito, ne hanno ampliato gli orizzonti) e così è stato per buona parte dei Tuoi colleghi: ritieni di poterne trarre un bilancio anche sotto il profilo dei rapporti umani e delle speranze/no di “un mondo migliore”?

R. Indubbiamente l’esperienza in Tematex è stata straordinaria sia dal punto di vista professionale che umano. Ma è stata anche un’esperienza di formazione politica e sindacale formidabile. La solidarietà tra i lavoratori, l’alto livello delle relazioni sindacali, la conduzione democratica ed il buon livello tecnologico dell’azienda, hanno creato le condizioni per una maturazione individuale e collettiva di molti di noi. Non è stato un caso che molte siano state le persone che hanno ricoperto posti di responsabilità nelle amministrazioni pubbliche locali (sindaci, assessori, consiglieri). Per chi ,come il sottoscritto, ma non solo, credeva negli ideali della sinistra, poter fondare una cooperativa figlia di quell’esperienza, nella patria dell’industria metalmeccanica (Lombardia), era il massimo dell’ambizione e della soddisfazione. Il fatto poi che questa esperienza sia durata dieci anni di più dell’azienda madre è stato un ulteriore motivo di soddisfazione.

D. Quali insegnamenti si possono trarre da quella esperienza, eventualmente per orientare e facilitare la nascita e lo sviluppo di iniziative similari? O il modello cooperativo non ha prospettive future (oppure non le ha nel manifatturiero)?

R. Oggi sicuramente è più difficile pensare di ripetere esperienze simili. Mi pare che non solo manchino le spinte ideali per andare in questa direzione, ma al contrario ci sia un riflusso individualistico, che purtroppo non favorisce le scelte di responsabilità collettiva. Inoltre negli anni molti provvedimenti dei governi di centrodestra hanno penalizzato il sistema cooperativistico attraverso un notevole aggravio della tassazione. Si tratterebbe, in questo caso, di ripristinare alcune agevolazioni fiscali, mentre invece da questo punto di vista, sono messe sullo stesso piano delle società private che - diversamente dalle Coop - hanno scopo di lucro. A maggior ragione questa operazione diventa ancora più difficile nel caso di aziende come la Comecor, dove per gestire una officina meccanica occorrono centinaia di migliaia di euro.



Nessun commento:

Posta un commento