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www.universauser.itDalle lotte per la difesa dei posti di lavoro, minacciati dalle ripetute crisi aziendali (1971 e 1981), alla esperienza originale, per la nostra zona, della formazione di una cooperativa di produzione metalmeccanica, attiva dal 1985 al 2017, tra successi e difficoltà. Ne parliamo con uno dei principali protagonisti.
Sommario:
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Profilo biografico
dell’intervistato
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La Tematex dal 1957
nel tessuto produttivo tra Sesto Calende e Vergiate
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La crisi della Tematex
nel 1971, le lotte e l’occupazione dello stabilimento
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L’intervento delle
Partecipazioni Statali
-
La crisi del 1981 ed
il disimpegno dell’ENI
- La formazione della
Cooperativa COMECOR, ancora nel settore meccano-tessile: spinte ideali e
occasioni concrete
-
La diversificazione
produttiva e l’incorporazione della OMEC
- Alterni rapporti con
il sistema cooperativo e con gli altri soggetti economici ed istituzionali
-
L’impatto con la
“grande crisi” degli ultimi anni e la liquidazione della Comecor
- Valutazioni sugli
aspetti gestionali, organizzativi e soggettivi dell’esperienza di autogestione
PROFILO BIOGRAFIOC DI FRANCO PARACCHINI
Nato a Castelletto sopra Ticino (Novara) nel 1951, diplomato all’ITIS
“Leonardo da Vinci” di Borgomanero, ha lavorato dal 1974 alla Tematex
di Vergiate. Dopo la crisi aziendale del 1981 ha vissuto l’intera vicenda della
Cooperativa COMECOR di Vergiate in qualità di impiegato con funzioni
direttive e di amministratore, ricoprendo anche le cariche di Presidente e
poi di Presidente Onorario.
E’ stato consigliere comunale e assessore all’Urbanistica nel Comune di
Castelletto s/Ticino e consigliere e assessore della Provincia di Novara,
prima al Territorio (1996-2000) e poi all'Ambiente (2005-2009),
nonché consigliere ed amministratore di organismi sovracomunali (Consorzio
Parco Ticino, Consorzio Medio Novarese per i rifiuti, Consorzio acque Reflue
del basso Verbano).
PREMESSA: in un territorio già fortemente industrializzato nella prima metà
del novecento, tra Sesto Calende e Vergiate la Tematex, con circa 300 operai
nel settore delle macchine tessili, era sorta nel 1957 ed insediata in uno dei
vari stabilimenti dismessi dalla SIAI-Marchetti, a monte dell’attuale casello
autostradale (SIAI che era arrivata nella 2^ guerra mondiale a gestire una
dozzina di fabbriche, non solo attorno a Sesto, ma anche in Piemonte, fino a
Borgomanero ed Intra).
D. La crisi della Tematex nel 1971 derivava da problemi economici generali
dopo l’espansione degli anni ’60, da una contrazione del settore
meccano-tessile oppure da particolari condizioni aziendali?
R. La Tematex ha vissuto 2 momenti
di crisi: il primo, nel 71 quando era ancora un'azienda privata, aveva avuto
successo soprattutto grazie all’interscambio con i paesi dell’Est europeo ed in
particolare con l’allora Cecoslovacchia, alla quale forniva macchinario tessile
in cambio di macchine utensili. La crisi aveva origini essenzialmente
finanziarie. La lotta sindacale fu sostanzialmente in difesa dei posti di
lavoro, con tanto di occupazione della fabbrica durata 40 giorni, e fu vincente
perché si risolse con un intervento pubblico. L’azienda infatti, fu acquisita
dal gruppo EGAM e successivamente passò nel comparto meccano-tessile dell’Eni: un
settore che era ancora in fase espansiva. La seconda crisi intervenne dieci
anni più tardi, ma di fatto fu fatale per la continuità produttiva ed
occupazionale, nonostante sei mesi di lotte sindacali, comprendenti tentativi
di ristrutturazione e/o riconversione.
D. Nella lotta per la difesa dei posti di lavoro alla Tematex emersero
tratti specifici, rispetto alla storia sindacale in zona e rispetto ai
movimenti radicali di quegli anni, non solo nelle fabbriche?
R. Dal punta di vista sindacale, per come si determinarono le forme di
lotta, la vertenza del 1971 fu una novità assoluta, e non solamente nel
contesto locale. Occupazione della fabbrica, presidi permanenti, coinvolgimento
degli enti locali, delle parrocchie, dei rappresentanti istituzionali oltre che
dei partiti politici, manifestazioni pubbliche per sensibilizzare i cittadini,
incontri in sedi ministeriali, furono considerate un vero e proprio modello che
poi venne seguito da molte altre realtà.
Figura 1 – La Tematex occupata nel 1971
D. E la seconda crisi, nel 1981?
R. La seconda crisi vissuta dalla Tematex, invece, fu conseguente alle
difficoltà venutasi a creare nel settore meccano-tessile e più in generale nel
settore industriale di quel periodo, sia per progressiva saturazione del
mercato di riferimento, sia per una discutibile gestione industriale e politica
del gruppo Eni-Savio. La fabbrica, come nel 71, venne occupata dai lavoratori,
ma i 6 mesi di lotta non riuscirono a impedirne la chiusura.
In questo caso, nonostante tutte le iniziative, le assemblee, le
manifestazioni (Milano Roma Genova Pordenone) e gli incontri con i sindaci di
Vergiate e dei paesi limitrofi, con i consiglieri e/o assessori regionali, con
i parlamentari, ai ministeri ed i confronti con la dirigenza del gruppo
Eni-Savio, rimase la scelta di chiudere la Tematex, ufficialmente in una logica
di ristrutturazione del settore, secondo le direzioni aziendali, ma più
verosimilmente - secondo le nostre valutazioni - per ragioni politiche.
(Vergiate anello debole anche sindacalmente, pur in un contesto di
coordinamento sindacale, rispetto a Genova, Imola, Pordenone e Firenze: le
altre sedi del gruppo)
Le diversità rispetto alla precedente crisi aziendale per quanto riguarda
la vertenza sindacale furono molte, aldilà delle simili iniziali forma di
lotta.
Innanzitutto ci fu la capacità del Consiglio di Fabbrica e di alcuni
tecnici di elaborare un piano di ristrutturazione, che se fosse stato preso in
considerazione avrebbe garantito la permanenza di una unità produttiva nel
settore delle macchine tessili, pur con un previsto sacrificio occupazionale.
In seguito ci fu la gestione della mobilità di una parte dei lavoratori in
alcune società dell’Eni (AGIP, SNAM di Rho e San Donato milanese) ed altri nel
gruppo Agusta, poi per altri lavoratori furono contrattate le dimissioni a
fronte di incentivi. Di fatto quasi nessuno degli oltre 300 dipendenti rimase
senza lavoro.
D. Perché negli esiti della vertenza comparve l’ipotesi di una gestione
cooperativa di una parte degli impianti, seppur limitati al capannone più
recente, localizzato a Corgeno (frazione di Vergiate)?
R. Falliti anche i tentativi di cessione dello stabilimento ad imprenditori
privati, un gruppo di noi (tra i più sindacalizzati, già componenti del CdF ed
in maggioranza iscritti e/o simpatizzanti del Partito Comunista Italiano) si
costituì in comitato promotore. Dopo aver scartato l’ipotesi di una cooperativa
nel settore della manutenzione del verde (iniziativa ripresa anni dopo da un
nostro socio fondatore), con l’obiettivo sempre rivendicato di mantenere in
Vergiate almeno una unità produttiva, si manifestò alla direzione l’intenzione
di realizzare una cooperativa finalizzata alla costruzione dell’ultima macchina
rimasta nella gamma delle macchine di preparazione alla filatura tra quelle che
produceva la Tematex (la macchina a strappo). La stessa era stata recentemente
riprogettata ed aveva un discreto mercato (ritenuto però dalla direzione
Eni-Savio non sufficiente dal punto di vista della necessaria massa critica per
poterlo inserire, in equilibrio tra costi e ricavi, nella filiera produttiva della
stabilimento di Imola). Infatti nello stabilimento di montaggio (quello di
Corgeno) si stavano completando, a distanza di oltre 2 anni dalla chiusura
dello stabilimento di Vergiate, le ultime code produttive della gestione
Tematex e quindi 4 dei nostri futuri soci, che già operavano lì a tempo pieno,
sulla base della loro conoscenza e competenza, ci suggerirono di insistere
nella direzione indicata dal gruppo promotore, costituitosi circa un anno
prima, e di dar vita alla Cooperativa Comecor.
Figura 2 - I soci fondatori della
COMECOR
D. Puoi riassumere la vicenda della fondazione della CO.ME.COR.
(Cooperativa Meccanica Corgeno)? C’erano fattori esterni favorevoli a
tale scelta, di tipo ideale (autogestione, socialismo, ruolo dirigente della classe
operaia) oppure di carattere pratico (aiuti, commesse, sostegno organizzativo)?
R. Personalmente mi occupai delle premesse e successivamente delle
procedure costitutive con il supporto di Legacoop Lombardia (alla quale poi
Comecor aderì), in particolare con l’associazione delle Coop di produzione e
lavoro con sede a Milano (a Varese purtroppo non esisteva una struttura
specifica di riferimento per le Coop di lavoro). Con la consulenza ed il
supporto di un bravo funzionario, Osvaldo Meazza (deceduto prematuramente),
decidemmo di elaborare un piano di fattibilità per verificare a quali
condizioni preliminari la cooperativa avrebbe potuto avviare l’attività. Allo
scopo fu richiesta ed ottenuta la disponibilità della direzione Cognetex di
Imola (gruppo Eni-Savio), nostro potenziale cliente di destinazione delle
macchine a strappo (MSC), di supportare il gruppo promotore nella elaborazione
del suddetto piano di fattibilità. La Cognetex mise a disposizione due tecnici
che, assieme ai nostri soci più tecnicamente qualificati, per circa un anno
lavorarono all’analisi tecnica/economica dei componenti della produzione, ivi
compresi gli spazi fisici, gli impianti ed i macchinari necessari. Al termine
di questo complesso lavoro di elaborazione dei dati, verificata la possibile
fattibilità, ci fu la trattativa vera e propria con la controparte/cliente, che
sfociò nella sottoscrizione di una lettera d’intenti. Il contratto vero e
proprio fu poi sottoscritto dalle parti subito dopo la costituzione della Comecor,
che avvenne l’8 ottobre del 1985. La trattativa comprese e definì il numero
iniziale dei lavoratori ex Tematex impiegati (11) e le rispettive buonuscite
(messe dai soci nel capitale sociale), i macchinari e gli arredi per attrezzare
l’officina ed i rispettivi costi. Lo stesso contratto prevedeva la fornitura da
parte di Comecor di 12 macchine tessili all’anno per 3 anni. La realizzazione
doveva avvenire su disegni e distinte del cliente (la Cognetex di Imola) che si
riservava il collaudo funzionale a fine montaggio. Naturalmente l’attività si
avviò gradualmente, a partire dai primi di novembre dell’85, con le code di
montaggio. Nella primavera dell’86 iniziò l’attività complessiva (costruzione e
montaggio), dopo aver trasferito i macchinari e le attrezzature necessarie da
Vergiate a Corgeno in una parte dello stabilimento (circa 2000 mq), concesso in
comodato gratuito. Vennero poi assunti un’impiegata amministrativa ed un
operaio ex Tematex (non interessato ad associarsi) specializzato nella
conduzione di un centro di lavoro a controllo numerico (uno dei macchinari più
importanti). Per la gestione fiscale, paghe, contributi e bilancio ci
appoggiammo inizialmente allo studio Colombo di Sesto Calende, che - attraverso
il titolare (Andrea, anch’egli purtroppo scomparso) - svolse un importante
supporto di consulenza anche nelle fasi di definizione degli accordi
contrattuali. Per l’assistenza tecnica e per la manutenzione, inizialmente, pur
senza far parte della Coop, ci diedero un valido supporto a tempo perso alcuni
nostri colleghi della Tematex. Successivamente grazie al ricorso ed ai benefici
della legge Marcora, nata proprio nello stesso anno di fondazione della Comecor
e che aveva come finalità far nascere cooperative tra lavoratori di aziende in
crisi, ottenemmo il finanziamento necessario per acquistare il capannone ed i
macchinari. Nei primi sette anni di vita l’attività andò meglio delle
previsioni. Infatti il numero di macchine richieste e prodotte dapprima
raddoppiò e poi triplicò. Questa situazione, se da un lato permise una crescita
del fatturato, degli utili, dell’occupazione (altri 3 dipendenti ex Tematex
entrarono in Coop) ed un miglioramento delle condizioni economiche dei soci e
dei dipendenti (furono possibili aumenti di stipendio, remunerazione del
capitale sociale, gite sociali aperte anche ai famigliari), rese complicato e
debole il ricorso alla necessaria diversificazione produttiva. Infatti il venir
meno delle commesse della Cognetex di Imola, che rappresentavano 80% circa del
fatturato, misero la Comecor in difficoltà. La ragione principale della perdita
di questo fondamentale cliente fu la decisone governativa di privatizzare tutte
le aziende del gruppo Eni –Savio, con la conseguenza che il privato che
acquistò la Cognetex (la Sant’Andrea di Novara) non scelse di decentrare la
produzione delle macchine a strappo. Di fatto per la Comecor cessò
l’operatività nel settore.
D. Da allora avete cercato di diversificare la Vostra produzione?
R. Nel tentativo di ricercare alternative ci imbarcammo in una iniziativa
sponsorizzata da un funzionario di Legacoop, che purtroppo si rivelò
disastrosa. La Coop di Cremona (una carpenteria), con la quale avremmo dovuto
in partnership costruire macchine per la produzione dei pannolini, era di fatto
in mano ad un personaggio che avrebbe dovuto svolgere il ruolo del tecnico
commerciale, ma si rivelò assolutamente inaffidabile e deleterio per entrambe
le realtà. In particolare trascinò la Coop di Cremona al fallimento e la
Comecor si salvò grazie alla solidità patrimoniale ed alla tempestiva uscita
dal legame societario in cui ci eravamo infilati. Non senza sacrifici anche in
capo ai soci, ci ricollocammo nel mercato più generale delle lavorazione
meccaniche conto terzi, senza tuttavia rinunciare alla ricerca di produzioni
più complesse, ma da quel momento dovemmo rinunciare a tutta una serie di
benefici individuali. Iniziarono da allora tutta una serie di iniziative in
diversi settori. In particolare nel settore delle macchine per materie
plastiche, nel settore siderurgico e delle macchine del settore ceramico. In
seguito acquistammo i brevetti della ditta Ferrari di Borgoticino, che
realizzava presse per tintoria, ma il cui mercato, sufficientemente
remunerativo, purtroppo non andò oltre le forniture al gruppo Golden Lady,
nonostante le innovazioni effettuate dal nostro tecnico progettista. Questa
nuova opportunità ci indusse, per ragioni commerciali, a promuovere una
brochure per reclamizzare meglio i nuovi prodotti e le caratteristiche della
nostra officina meccanica, inserendo nella carta intestata della ditta il logo
Presse Ferrari, ed a partecipare ad alcune fiere del settore. Un’altra
iniziativa fu l’avvio della produzione delle pompe dosatrici: un’esperienza
completamente nuova nel campo della lavorazione dell‘acciaio inox su un
progetto della nascente Tecnofluss. L’iniziativa servì sicuramente come
esperienza, ma non ebbe riscontro positivo dal punto di vista economico. Si
consolidarono invece nel tempo i rapporti con due principali clienti: la Siti
di Marano Ticino (settore impianti per l’industria ceramica), concorrente della
Sacmi di Imola. (Questa era la più grande cooperativa metalmeccanica italiana
con un mercato a livello mondiale, aderente a Legacoop, della quale, nonostante
numerosi tentativi, non siamo mai riusciti a divenire fornitori). E la Amut
(settore impianti per materie plastiche) di Novara, che per molti anni
costituirono lo zoccolo duro del fatturato.
Figura 3 – l’interno della COMECOR
D. Siete così arrivati al secolo 21° ….
R. Nel 2002 uno sviluppo importante fu l’acquisizione del ramo d’azienda
della Omec srl di Landoni, un’azienda nostra fornitrice, con sede a poca
distanza dal ns. capannone, che operava nel settore della carpenteria meccanica
leggera . Una operazione che nei convegni di Legacoop andava sotto
l’impegnativa definizione inglese “workers buyout”, la cessione dell’azienda da
parte di un imprenditore senza eredi ai lavoratori della stessa. In effetti si
trattò di un acquisto da parte della cooperativa, ma ai lavoratori della Omec
venne offerta la possibilità di entrare in Comecor come soci. Alcuni di loro
accettarono la proposta perché fu loro offerta la possibilità di acquistare, a metà del valore, le
quote di capitale sociale dalla CFI (Compagnia Finanziaria Italiana). La
stessa, in virtù dell’applicazione della legge Marcora, partecipava dall’87, in
qualità di socio finanziatore alla ns. Coop, con una quota del valore di 3
volte il capitale dei soci/lavoratori Comecor e proprio in quella circostanza
aveva deciso di dismettere la sua partecipazione. La Omec, che operava
prevalentemente nel settore ferroviario (in particolare nella realizzazione dei
componenti e delle porte dei treni e degli autobus) continuò per i tre anni
successivi ad operare nel capannone di proprietà del sig. Landoni, al quale la
Comecor pagava l’affitto. Lo stesso sig. Landoni partecipò in qualità di socio
sovventore alla compagine Coop ed affiancò un nostro socio nella direzione
dell’officina fino al 2005, quando venne deciso di accorpare nello stabilimento
di proprietà della Comecor anche il reparto carpenteria. Con l’occasione, ed in
conseguenza di una modifica statutaria, al logo aziendale tradizionale venne
affiancato quello della Omec e venne leggermente modificata anche la dicitura
che divenne C. Omec.or società cooperativa.
Figura 4 – Il nuovo logo Comecor
D. Ma poi è arrivata la “grande crisi” (che – paradossalmente - invece ha
spinto altri lavoratori in lotta a tentare nuove esperienze di autogestione)?
R. La scelta di strategia industriale che nei primi anni dopo
l’acquisizione della Omec si era dimostrata positiva, purtroppo dal 2005
risentì gradualmente degli effetti della grave crisi industriale e finanziaria
che colpì il nostro paese e non solo il nostro settore in particolare. Ciò
determinò varie problematiche organizzative, finanziarie ed occupazionali
(mancati pagamenti da parte dei clienti, riduzioni delle commesse, cassa
integrazione, riduzione del personale, difficoltà nei rapporti tra i nuovi
soci, ecc). Le difficoltà si trascinarono per l’intero decennio successivo.
Solamente il ricorso alla Cassa Integrazione e la buona patrimonializzazione
della Coop, dovuta alle riserve accumulate negli anni precedenti, consentirono
di proseguire un’attività sempre più ridotta e senza la possibilità di
ulteriori investimenti che si erano resi necessari, sia per la sostituzione dei
macchinari ormai obsoleti, sia per l’acquisto di nuovi e più moderni strumenti
di lavoro. Accanto a queste difficoltà si evidenziarono carenze nella direzione
aziendale, che comportarono negli ultimi anni un distacco dei soci dai principi
di solidarietà e di spirito di servizio che avevano caratterizzato la nascita
della cooperativa. Il
pensionamento di tutti i soci fondatori (rimasti nella compagine sociale, ma
solo come soci sovventori senza ruoli operativi), le dimissioni di diversi soci/lavoratori per le
difficoltà finanziare intervenute (mancato pagamento degli stipendi), ed il
venir meno del rapporto di fiducia nel futuro della società, costrinsero di
fatto l‘esigua compagine rimasta (6 addetti) ad optare per la messa in
liquidazione della Coop, dopo aver verificato l’impossibilità di alternative
produttive e dopo aver riscontrato l’interesse di una impresa con sede
confinante con la proprietà Comecor ad acquisire il capannone . Da qui a fine
2017 la chiusura definitiva dell’attività, dopo aver venduto tutti i macchinari
e le attrezzature presenti e saldato positivamente tutte le pendenze aperte.
D. Liberarsi dal ‘padrone’ poteva
sembrare un’utopia praticabile? La scelta personale di assumere un ruolo imprenditoriale
(anziché cercarvi un altro lavoro salariato) l’avete vissuta come un azzardo?
R. Credo che per molti di noi la scelta di formare una Coop fu il tentativo
di uscire dalla condizione di lavoratore dipendente, dopo aver vissuto in
Tematex, anche nella gestione pubblica, un’altra esperienza negativa. Una
scelta consapevole che per le condizioni economiche individuali e per la
condivisione degli ideali politici non poteva che essere quella di diventare
imprenditori collettivi.
D. Il movimento cooperativo in Italia era tradizionalmente forte nei
settori agro-alimentare, edilizio e nella distribuzione commerciale (più tardi
anche in servizi, assicurazioni e finanza); molto meno nel manifatturiero. Vi
sentivate un po’ isolati (“il socialismo in una sola carpenteria”) oppure in
realtà ci sono state altre valide esperienze cooperative anche in questi
settori? C’erano dei “modelli” esterni che furono presi in considerazione? E
che relazioni furono stabilite con altre esperienze similari? Si ravvisò
l’esigenza di sostegni di qualche natura, da parte delle istituzioni o da forme
associative? Quali sono stati, in
questi decenni, i rapporti con gli altri soggetti esterni (comunità locale,
movimento cooperativo, sindacati e partiti, istituzioni)?
R. Come già ho detto, oltre alla solidarietà politica tra i promotori, ci
fu indubbiamente una disponibilità della dirigenza del gruppo Eni-Savio a
favorire la nascita della Coop, probabilmente con un duplice obiettivo.
Chiudere definitivamente la lunga vertenza sindacale e rendere attuabile una
legge dello stato (legge Marcora). Il ruolo del movimento Coop si rivelò
positivo particolarmente nella fase di preparazione e formazione della Coop.
Sicuramente la debole presenza di Coop nel settore manifatturiero nel contesto
provinciale e regionale, diversamente che in Emilia Romagna, al di là delle
affermazioni di principio nei congressi e nei convegni della Legacoop su “reti,
aggregazioni, integrazioni”, non ha mai prodotto risultati concreti. Meglio hanno
funzionato gli strumenti finanziari del sistema Coop ai quali la Comecor ha
sempre partecipato e dei quali ha tratto relativi benefici. Ci sono stati alcuni
tentativi di approccio con altre Coop del settore metalmeccanico sia Lombardo
che di altre regioni (Emilia Toscana Liguria), ma senza conseguenze
significative, se si esclude qualche marginale rapporto di fornitura con la
Frigorcoop di Sesto Calende e con una Coop emiliana. Per quanto riguarda il rapporto con le
istituzioni locali vi è stato un buon rapporto con il Comune di Vergiate ed in
particolare con l’amministrazione Mozzini, che dopo la chiusura si era fatta
carico del recupero dell’intera area Tematex di Corgeno e della sua
destinazione alle varie aziende interessate all’acquisto. Abbiamo partecipato a
diversi bandi di finanziamento della Regione Lombardia ottenendo qualche
contributo, fino a quando anche queste forme di sostegno regionali vennero
sospese.
D. Il nome COMECOR che
riecheggia COMECON (l’area economica comune che allora Collegava l’Unione
Sovietica con gli altri paesi del blocco comunista) implicava un giudizio
ancora positivo sulla ‘spinta propulsiva’ della rivoluzione del 1917?
R. L’acronimo Comecor fu attribuito dopo un discreto dibattito. Da un lato
alcuni di noi avrebbero preferito farlo derivare più marcatamente dal più
completo nome Cooperativa Meccanica Corgeno, ma la maggioranza, preoccupata
della possibile discriminazione politica, decise per il più asettico
Costruzioni Meccaniche Corgeno. La minoranza si adeguò accontentandosi del
richiamo al nome del più famoso ente commerciale dell’Unione Sovietica, non
ancora caduta in disgrazia.
D. Rispetto alla
conduzione padronale, la produzione autogestita si profilò in termini di
continuità oppure con importanti discontinuità riguardo al tipo di produzione,
alla divisione del lavoro, alle condizioni dei soci e di quella dei lavoratori
dipendenti (salari, orari, ritmi di lavoro), ai rapporti con i mercati
(fornitori, clienti, banche)?
R. L’organizzazione del lavoro, con le dovute distinzioni, aveva dei punti
in comune con quella della Tematex, d’altra parte inevitabilmente la nostra
esperienza veniva da lì. Inizialmente anche stipendi ed orari di lavoro furono
gli stessi di quelli praticati dall’azienda madre, successivamente venne
adottato un contratto delle aziende metalmeccaniche Coop, che però non si
differenziava molto da quello della Confindustria. Per quanto concerne i
rapporti commerciali, essi si basavano sulla trattativa privata come per
qualsiasi altra attività, mentre per i rapporti bancari come riferimento
esistevano accordi quadro tra il sistema bancario e le Coop, anche se spesso
erano migliori i rapporti stabiliti direttamente con gli sportelli locali.
D. Come funzionava la governance interna? Quale ruolo avevano i dirigenti e
i soci e quali i dipendenti? Vista oggi, si possono rilevare deficit nella
gestione? Si potevano praticare altre scelte? Da quali cause è dipesa
principalmente la chiusura, seppur non traumatica, della Vostra esperienza?
R. Con riferimento alla funzione operativa non esisteva la qualifica di
dirigente: i livelli più alti erano quelli di impiegato con funzioni
dirigenziali. Esistevano comunque diversi livelli di qualifica e retribuzione
contrattuale anche tra gli operai. Per quanto riguarda la parte amministrativa,
si faceva riferimento allo statuto che prevedeva tra l’altro, che ogni 3 anni
l’Assemblea nominasse un Consiglio di Amministrazione, un Presidente ed un
Vice. Sostanzialmente Presidente e Vice, per quasi l’intera vita della Comecor,
sono stati anche una sorta di esecutivo del CdA ed hanno svolto anche il ruolo
tecnico commerciale e finanziario amministrativo per la parte operativa.
Sicuramente sono stati commessi diversi errori di valutazione nelle scelte
operative (investimenti, fornitori, clienti), ma soprattutto su alcune figure
professionali, sia con funzioni direttive sia operaie. Quanto questi errori
abbiano influito sulla chiusura dell’attività, rispetto alla crisi generale che
ha investito l’industria in generale, non è facile da stabilire.
D. Si può ipotizzare un legame di memoria inter-generazionale tra la Vostra
autogestione e le vicende più remote della Vetreria di Sesto e meno remote del
Consiglio di Gestione che affrontò lo smantellamento e la riconversione del
gigantesco apparato industrial-militare della SIAI Marchetti nel 1945?
R. Credo di no.
D. In Tematex e Comecor hai trascorso gran parte della Tua vita
professionale, come tecnico e come manager, come socio e come Presidente,
infine “onorario” (anche se le Tue esperienze di consigliere e assessore, sia
comunale che provinciale, e di vita di partito, ne hanno ampliato gli
orizzonti) e così è stato per buona parte dei Tuoi colleghi: ritieni di poterne
trarre un bilancio anche sotto il profilo dei rapporti umani e delle
speranze/no di “un mondo migliore”?
R. Indubbiamente l’esperienza in Tematex è stata straordinaria sia dal
punto di vista professionale che umano. Ma è stata anche un’esperienza di
formazione politica e sindacale formidabile. La solidarietà tra i lavoratori,
l’alto livello delle relazioni sindacali, la conduzione democratica ed il buon
livello tecnologico dell’azienda, hanno creato le condizioni per una
maturazione individuale e collettiva di molti di noi. Non è stato un caso che
molte siano state le persone che hanno ricoperto posti di responsabilità nelle
amministrazioni pubbliche locali (sindaci, assessori, consiglieri). Per chi ,come
il sottoscritto, ma non solo, credeva negli ideali della sinistra, poter
fondare una cooperativa figlia di quell’esperienza, nella patria dell’industria
metalmeccanica (Lombardia), era il massimo dell’ambizione e della
soddisfazione. Il fatto poi che questa esperienza sia durata dieci anni di più
dell’azienda madre è stato un ulteriore motivo di soddisfazione.
D. Quali insegnamenti
si possono trarre da quella esperienza, eventualmente per orientare e
facilitare la nascita e lo sviluppo di iniziative similari? O il modello
cooperativo non ha prospettive future (oppure non le ha nel manifatturiero)?
R. Oggi sicuramente è più difficile pensare di ripetere esperienze simili.
Mi pare che non solo manchino le spinte ideali per andare in questa direzione,
ma al contrario ci sia un riflusso individualistico, che purtroppo non
favorisce le scelte di responsabilità collettiva. Inoltre negli anni molti
provvedimenti dei governi di centrodestra hanno penalizzato il sistema
cooperativistico attraverso un notevole aggravio della tassazione. Si
tratterebbe, in questo caso, di ripristinare alcune agevolazioni fiscali,
mentre invece da questo punto di vista, sono messe sullo stesso piano delle
società private che - diversamente dalle Coop - hanno scopo di lucro. A maggior
ragione questa operazione diventa ancora più difficile nel caso di aziende come
la Comecor, dove per gestire una officina meccanica occorrono centinaia di
migliaia di euro.
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